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Sommario del 13/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: fermare subito i piccoli risentimenti, distruggono fratellanza nel mondo

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La distruzione delle famiglie e dei popoli inizia dalle piccole gelosie e invidie, bisogna fermare all’inizio i risentimenti che cancellano la fratellanza: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Una Messa che ha voluto offrire per padre Adolfo Nicolás, preposito generale della Compagnia di Gesù dal 2008 al 2016, che dopodomani torna in Oriente per il suo lavoro. “Che il Signore - ha detto Francesco - retribuisca tutto il bene fatto e lo accompagni nella nuova missione. Grazie, padre Nicolás”. Hanno partecipato alla celebrazione i membri del Consiglio dei Nove Cardinali, in Vaticano per la loro 18.ma riunione. Il servizio di Sergio Centofanti

Fratellanza distrutta dalle piccole cose
Al centro dell’omelia del Papa, la prima Lettura, tratta dalla Genesi, che parla di Caino e Abele. Per la prima volta nella Bibbia “si dice la parola fratello”. E’ la storia “di una fratellanza che doveva crescere, essere bella e finisce distrutta”. Una storia – osserva il Papa – che comincia “con una piccola gelosia”: Caino è irritato perché il suo sacrificio non è gradito a Dio e inizia a coltivare quel sentimento dentro di sé. Potrebbe controllarlo ma non lo fa:

“E Caino preferì l’istinto, preferì cucinare dentro di sé questo sentimento, ingrandirlo, lasciarlo crescere. Questo peccato che farà dopo, che è accovacciato dietro il sentimento. E cresce. Cresce. Così crescono le inimicizie fra di noi: cominciano con una piccola cosa, una gelosia, un’invidia e poi questo cresce e noi vediamo la vita soltanto da quel punto e quella pagliuzza diventa per noi una trave, ma la trave l’abbiamo noi, ma è là. E la nostra vita gira intorno a quello e quello distrugge il legame di fratellanza, distrugge la fraternità”.

Il risentimento non è cristiano
Pian piano si diventa “ossessionati, perseguitati” da quel male, che cresce sempre di più:

“E così cresce, cresce l’inimicizia e finisce male. Sempre. Io mi distacco da mio fratello, questo non è mio fratello, questo è un nemico, questo dev’essere distrutto, cacciato via … e così si distrugge la gente, così le inimicizie distruggono famiglie, popoli, tutto! Quel rodersi il fegato, sempre ossessionato con quello. Questo è accaduto a Caino, e alla fine ha fatto fuori il fratello. No: non c’è fratello. Sono io soltanto. Non c’è fratellanza. Sono io soltanto. Questo che è successo all’inizio, accade a tutti noi, la possibilità; ma questo processo dev’essere fermato subito, all’inizio, alla prima amarezza, fermare. L’amarezza non è cristiana. Il dolore sì, l’amarezza no. Il risentimento non è cristiano. Il dolore sì, il risentimento no. Quante inimicizie, quante spaccature”.

Il sangue di tanta gente nel mondo grida a Dio dal suolo
Alla Messa a Santa Marta ci sono alcuni nuovi parroci, e il Papa dice: “Anche nei nostri presbiteri, nei nostri collegi episcopali: quante spaccature incominciano così! Ma perché a questo hanno dato quella sede e non a me? E perché questo? E … piccole cosine … spaccature … Si distrugge la fratellanza”. E Dio domanda: “Dov’è Abele, tuo fratello?”.  La risposta di Caino “è ironica”: “Non so: sono forse io il custode di mio fratello?”. “Sì, tu sei il custode di tuo fratello”. E il Signore dice: “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo”. Ognuno di noi – afferma il Papa, e anche lui si mette nella lista - può dire di non aver mai ucciso nessuno:  ma “se tu hai un sentimento cattivo verso tuo fratello, lo hai ucciso; se tu insulti tuo fratello, lo hai ucciso nel tuo cuore. L’uccisione è un processo che incomincia dal piccolo”.  Così, sappiamo “dove sono quelli che sono bombardati” o “che sono cacciati” ma “questi non sono fratelli”:

“E quanti potenti della Terra possono dire questo … ‘A me interessa questo territorio, a me interessa questo pezzo di terra, questo altro … se la bomba cade e uccide 200 bambini, ma, non è colpa mia: è colpa della bomba. A me interessa il territorio …’. E tutto incomincia da quel sentimento che ti porta a staccarti, a dire a l’altro: ‘Questo è fulano [tizio], questo è così, ma non è fratello …’, e finisce nella guerra che uccide. Ma tu hai ucciso all’inizio. Questo è il processo del sangue, e il sangue oggi di tanta gente nel mondo grida a Dio dal suolo. Ma è tutto collegato, eh? Quel sangue là ha un rapporto – forse un piccolo goccetto di sangue – che con la mia invidia, la mia gelosia ho fatto io uscire, quando ho distrutto una fratellanza”.

Una lingua che distrugge il prossimo
Il Signore – è la preghiera conclusiva del Papa - oggi ci aiuti a ripetere questa sua domanda: "Dov’è tuo fratello?", ci aiuti a pensare a quelli che “distruggiamo con la lingua” e “a tutti quelli che nel mondo sono trattati come cose e non come fratelli, perché è più importante un pezzo di terra che il legame della fratellanza”.

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Vescovi Costa Rica dal Papa: testimoniare tra la gente l'amore di Dio

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Papa Francesco ha ricevuto oggi i vescovi della Costa Rica, in visita "ad Limina". Al centro dell’incontro la situazione della Chiesa nel Paese centroamericano. Sulle speranze e le difficoltà della comunità cattolica, Alina Tufani ha sentito mons. Óscar Fernández Guillén, vescovo di Puntarenas e presidente della Conferenza episcopale costaricense:

R. – I problemi non mancano mai, alcuni sono grandi e altri meno. All’interno della Chiesa, però, quello che ci preoccupa è la mancanza di sacerdoti: abbiamo bisogno di più sacerdoti. Questo ci ha fatto pensare ed organizzare, in ogni diocesi, la pastorale vocazionale che sta già dando buoni risultati. C’è stata una crescita lieve nel numero delle vocazioni sacerdotali e questo ci incoraggia. L’altro problema che ci preoccupa - un problema che riguarda tutta la Chiesa latinoamericana - è la quantità enorme di persone battezzate che vivono la propria vita senza un’esperienza sacramentale e senza partecipare alla missione della Chiesa. Stiamo facendo molti sforzi per applicare uno dei principi del Documento di Aparecida, uno dei punti che Papa Francesco ha ribadito più volte: che la Chiesa sia una Chiesa in uscita per portare, nella migliore forma possibile, nella maniera più attraente, la gioia del Vangelo. Stiamo lavorando in tutte le diocesi e in ogni parrocchia con gruppi di fedeli cristiani che hanno una fede molto viva, che godono di una buona formazione, che hanno uno zelo missionario molto speciale, che stanno collaborando per testimoniare la vita cristiana nel matrimonio, nella famiglia e nell’ambito lavorativo, insieme a sacerdoti molto impegnati nella loro missione, anche se non sono tanti.

D. – Lei ha toccato un tema che riguarda molte Chiese in tutto il mondo, non solo in America Latina: come la Chiesa si inserisce nella società civile, soprattutto per quello che riguarda le legge sul matrimonio civile, l’aborto, ecc…

R. – Stiamo lottando, se così si può dire; ci stiamo sforzando per annunciare la bellezza, la grandezza del matrimonio cristianamente concepito e annunciare la bellezza della famiglia cristianamente intesa, impegnandoci a formare i fedeli per portare questo messaggio alla società civile e proclamare la grandezza della vita, dal momento del concepimento e per sempre. L’Assemblea legislativa consulta con frequenza la Conferenza episcopale di fronte a progetti legislativi e siamo sempre stati molto chiari nelle nostre risposte. Molte loro posizioni sono contrarie alle nostre. Evidentemente, in una cultura contemporanea con una concezione filosofica della vita relativista, nella quale non ci sono verità assolute e in cui ci sono persone che promuovono questa mentalità, siamo contenti che molti fedeli laici siano promotori e difensori della concezione cristiana della famiglia e dell’essere umano.

D. – Quali sono i problemi sociali ed economici più importanti in questo momento in Costa Rica?

R. – In ambito socioeconomico, posso fare riferimento a due aspetti che ci preoccupano: il deterioramento del tessuto sociale dovuto ad un incremento della violenza e del crimine organizzato, dominato dal narcotraffico. Questo preoccupa il Paese. Viviamo in una società che diventa sempre più aggressiva e vendicativa. Insieme a questo problema, la coesione sociale della comunità nazionale viene meno soprattutto a causa della crescente diseguaglianza. Tutti gli economisti parlano – ed è vero – di una crescita della ricchezza nel Paese; però a causa della disparità nella distribuzione di questa ricchezza, cresce la povertà in un settore molto ampio del Paese. Questo ci preoccupa, soprattutto perché la causa principale di questa diseguaglianza è un modello economico sociale che ha cambiato rotta. Infatti, prima il modello di sviluppo era incentrato sul benessere sociale, ma da qualche anno a questa parte c’è stato un cambiamento: si considera un sistema economico positivo – in maniera sbagliata – quello in cui il mercato produce benessere sociale automaticamente. C’è stato quindi un cambiamento: non è il benessere sociale il traguardo principale del sistema economico, ma il mercato. Questa non è la strada giusta; bisogna tornare all’obiettivo del benessere sociale come scopo primario dello sviluppo economico.

D. – Negli ultimi tempi, abbiamo visto che i vescovi hanno fatto svariati appelli per la protezione dei minori. Qual è la situazione dei bambini e dei giovani nel Paese e qual è la preoccupazione dei vescovi?

R. – Nella Costa Rica, da molti decenni, c’è stato l’interesse ad estendere l’istruzione gratuita e obbligatoria a livello nazionale. In questo senso, lo Stato ha fatto un lavoro ineccepibile nell’educazione della persona. Ci preoccupa che la famiglia oggi non si senta capace, in molti casi, di formare i bambini, di educarli di fronte all’invasione di una certa mentalità contemporanea. Una mentalità che si infiltra tra i ”pori” di tutti, attraverso i mezzi di comunicazione sociale e altri mezzi tecnologici, dove l’informazione è veloce ed efficace. Crediamo ci sia bisogno che la famiglia sia più cosciente del suo ruolo educativo. La missione della famiglia deve essere quella di mirare alla formazione della persona e i genitori devono avere più consapevolezza di essere i principali educatori e formatori dei bambini in tutti gli aspetti. In ogni caso, la formazione dei bambini, il rispetto loro dovuto come persone, l’educazione alla fede da parte della famiglia è parte della nostra preoccupazione pastorale nel Paese.

D. – In questi ultimi anni, un’azione concreta della Chiesa è stata quella di accompagnare tanti rifugiati in Centro America, migranti che vogliono attraversare le frontiere per arrivare negli Stati Uniti. In particolare, nel 2015, c’è stato il problema dei migranti cubani…

R. – Nella Costa Rica abbiamo tanti migranti nicaraguensi – i due Paesi sono vicini- e ultimamente stanno arrivando migranti dalla Colombia e dal Venezuela, per esempio. Bisogna dire che le nostre politiche sociali migratorie sono molto accoglienti. Questo fenomeno ha visto una svolta, come Lei ha detto, da qualche tempo a questa parte, perché molti di questi migranti non arrivano nella Costa Rica per rimanervi, ma per continuare il loro esodo verso altri Paesi, in particolare il “gigante del Nord”, ossia gli Stati Uniti. In questo senso, i poveri migranti si sono trovati di fronte ad un muro, quando il governo del Nicaragua ha chiuso la frontiera per impedire che queste persone passassero per il Paese per raggiungere gli Stati Uniti. Per questo, da tanti mesi la Costa Rica ha dovuto dare asilo e ospitalità a molti migranti provenienti da Cuba, Haiti e altri Paesi dell’Africa. In questo senso, bisogna ringraziare l’attuale governo che ha agito con grande umanità e grande solidarietà verso queste persone e riconoscere anche che ovunque siano stati e siano ancora questi migranti, i fedeli cristiani, motivati dai loro parroci, hanno teso loro una mano veramente fraterna.

D. – Quali sono le sfide per i vescovi, secondo il magistero di Papa Francesco?

R. – Una cosa che abbiamo detto al Papa durante questa visita è: “Grazie di cuore per il Suo servizio pastorale e per il Suo magistero”, ricco di gesti e di segni che riflettono la carità del Padre celestiale e la misericordia del Pastore. Lo consideriamo il nostro fratello maggiore e questi gesti e segni sono diventati per noi un esempio e uno stimolo. Per questo lo ringraziamo: per questo suo stile, per questo avvicinamento coerente alla gente che egli ha cercato sin dall’inizio - i più dimenticati, i più emarginati – e perché ci ha rivolto un appello a rafforzare questo modo di fare la pastorale.

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Papa: severità estrema con preti pedofili, chiedo perdono alle vittime

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“Chiedo perdono” alle vittime di abusi da parte di sacerdoti, dobbiamo dare prova di “estrema severità” verso i preti pedofili. E’ quanto scrive Papa Francesco nella prefazione del libro “La perdono, padre” di Daniel Pittet, bibliotecario a Friburgo in Svizzera, egli stesso vittima di abuso quando era bambino. Il Pontefice definisce questo libro una “testimonianza necessaria, preziosa e coraggiosa”. Ribadisce quindi l’impegno della Chiesa a proteggere i “più deboli e gli indifesi” e confida che le vittime di abusi, arrivate fino al suicidio, sono morti che pesano sulla coscienza del Papa e di “tutta la Chiesa”. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Per chi è stato vittima di un pedofilo è difficile raccontare quello che ha subito”, per questo la “testimonianza di Daniel Pittet è necessaria, preziosa e coraggiosa”. Papa Francesco esordisce così nella prefazione al libro “La perdono, padre” in cui il bibliotecario svizzero racconta la sua terribile vicenda di vittima di abusi da parte di un prete quando era bambino. Ancora una volta, scrive Francesco, ho visto “i danni spaventosi causati dagli abusi sessuali e il lungo e doloroso cammino che attende le vittime”.

Le vittime che si sono suicidate pesano sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa
Il Papa sottolinea l’importanza di leggere questa “testimonianza e scoprire a che punto il male può entrare nel cuore di un servitore della Chiesa”. “Come può un prete, al servizio di Cristo e della sua Chiesa, arrivare a causare tanto male? Come può – si chiede il Pontefice – aver consacrato la sua vita per con­durre i bambini a Dio e finire invece per divorarli in quello che ho chiamato ‘un sacrificio diabo­lico’, che distrugge sia la vittima sia la vita della Chiesa?”. Alcune vittime, ricorda con amarezza il Papa, “sono arrivate fino al sui­cidio. Questi morti pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa. Alle loro famiglie porgo i miei sentimenti di amore e di dolore e, umilmente, chiedo perdono”.

Massima severità con i preti pedofili e con chi li ha protetti
Si tratta, ammonisce ancora una volta Francesco, “di una mostruosità assoluta, di un or­rendo peccato, radicalmente contrario a tutto ciò che Cristo ci insegna”. Rammenta dunque che nella Let­tera Apostolica “Come una madre amorevole” ha esortato la Chiesa a “prendersi cura e proteggere con affetto particolare i più deboli e gli indifesi”. “Abbiamo dichiarato – ribadisce – che è nostro dovere far prova di severità estrema con i sacerdoti che tradiscono la loro missione e con la loro gerarchia, vescovi o cardinali, che li proteggesse, come già è suc­cesso in passato”.

La testimonianza di Daniel Pittet, un segno della forza del perdono e della preghiera
Nella disgrazia, si legge ancora nella prefazione del libro, “Daniel Pittet ha potuto incon­trare anche un’altra faccia della Chiesa e questo gli ha permesso di non perdere la speranza negli uomini e in Dio. Ci racconta anche della forza della preghiera che non ha mai abbandonato, e che lo ha confortato nelle ore più cupe”. Francesco ricorda così che Pittet ha scelto di “incontrare il suo aguzzino quarantaquattro anni dopo e di guardare negli occhi l’uomo che l’ha ferito nel profondo dell’animo. E gli ha teso la mano”. “Il bambino ferito – afferma il Papa – è oggi un uomo in piedi, fragile ma in piedi. Sono molto colpito dalle sue parole: ‘Molte persone non ri­escono a capire che io non lo odii. L’ho perdo­nato e ho costruito la mia vita su quel perdono’”.

Abbattere il muro del silenzio che soffocava scandali e sofferenze
Il Papa ringrazia “Daniel perché le testimonianze come la sua abbattono il muro di silenzio che soffocava gli scandali e le sofferenze, fanno luce su una terribile zona d’ombra nella vita della Chiesa”. Sono testimonianze che “aprono la strada a una giusta riparazione e alla grazia della riconciliazione e aiutano anche i pe­dofili a prendere coscienza delle terribili conse­guenze delle loro azioni”. “Prego per Daniel e per tutti coloro che, come lui – conclude Papa Francesco – sono stati feriti nella loro innocenza, perché Dio li risollevi e li guarisca, e dia a noi tutti il suo perdono e la sua misericordia”.

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Consiglio dei Nove: pieno sostegno a Magistero Papa Francesco

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Il Consiglio di Cardinali (C9) ha iniziato oggi la sua diciottesima sessione di lavoro. All'inizio della riunione, si legge in una dichiarazione del C9 pubblicata sul bollettino della Sala Stampa vaticana, il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, coordinatore del gruppo, dopo aver rivolto il suo saluto a Papa Francesco, “lo ha ringraziato a nome di tutti i membri per le sue parole nel discorso natalizio alla Curia Romana lo scorso 22 dicembre 2016, riconoscendovi incoraggiamento e indirizzo per i lavori del Consiglio”. “In relazione a recenti avvenimenti – prosegue la dichiarazione – il Consiglio dei Cardinali esprime pieno appoggio all'opera del Papa, assicurando al tempo stesso adesione e sostegno pieni alla sua persona e al suo Magistero”.

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Logo del viaggio del Papa a Fatima il 12 e 13 maggio

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Padre Carlos Cabecinhas, rettore del Santuario di Fatima e coordinatore generale della visita del Papa in programma dal 12 al 13 maggio prossimi, ha sottolineato che nel logo si è voluto ritrarre la "semplicità di stile e chiarezza" che caratterizza Papa Francisco.

L’immagine, disegnata da Francisco Provvidenza, presenta il disegno di un cuore fatto con grani di rosario, sormontato da una croce, e con dentro scritto, "Papa Francesco - Fatima 2017"; sotto il motto della visita papale "Con Maria, Pellegrino a Hope e Pace” e il logo delle celebrazioni del centenario delle apparizioni.

L’immagine viene associata, nei manifesti, ad una foto che ritrae Papa Francesco con un ampio sorriso mentre agita la mano sinistra.

"Abbiamo cercato di valorizzare la vicinanza fisica e amichevole del Papa, che, sorridente, agita la mano in un gesto di saluto e di benedizione", ha spiegato Francisco Provvidenza. (T.C.)

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Preoccupazione per il nuovo test missilistico della Nord Corea

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Alta la preoccupazione internazionale per il nuovo test missilistico messo in atto ieri dalla Corea del Nord: è stato lanciato un missile balistico a medio-raggio capace di trasportare una testata nucleare. Condanna arriva da più parti: dagli Stati Uniti al Giappone ma anche la Cina esprime critiche per la violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Questo test di Pyongyang rappresenta davvero una minaccia? Al microfono di Debora Donnini, risponde Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali: 

R. – Credo di sì, non tanto per gli aspetti militari ma soprattutto per quelli politici. È un regime chiuso e in quanto tale, il rischio è che tutti i ragionamenti siano circolari e non si guardi a un aspetto più ampio. Questo rende il regime di Pyongyang estremamente pericoloso.

D. – Secondo lei non è preoccupante l’aspetto militare?

R. - Dal punto di vista militare la Corea del Nord può avere la chance di lanciare il primo colpo, ma poi verrebbe immediatamente cancellata dalla faccia della terra politicamente, perché le forze statunitensi e di una eventuale coalizione internazionale sarebbero senza alcun dubbio in grado di occupare l’intera Corea del Nord portandola ad una riunificazione con quella del Sud.

D. - Secondo lei la Cina che ha condannato questo test missilistico della Corea del Nord, può svolgere un ruolo di mediazione?

R. - Non più di tanto, perché la Cina ha la sua agenda coreana molto forte, molto chiara. Quindi più che di mediazione la Cina gioca una partita autonoma nel proprio interesse supremo. Il vero punto è quanto Pyongyang sia desiderosa di ascoltare il grande vicino del Nord.

D. – Ma la Cina può svolgere un ruolo di dialogo con la Corea del Nord?

R. - Decisamente sì. I canali tra Pechino e Pyongyang sono sempre costantemente aperti. La mia sensazione è che con il passare degli anni Pyongyang tenda ad ascoltare di meno Pechino rispetto a quanto faceva qualche anno fa.

D. - La Corea del Nord può considerarsi il Paese più chiuso del mondo. Tra l’altro si parla di feroci persecuzioni verso le minoranze religiose in particolare verso i cristiani. Davvero rappresenta un Paese isolato?

R. - Totalmente isolato così come è isolata la sua leadership. È estremamente pericoloso proprio perché parlano e discutono soltanto tra di loro.

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Referendum in Svizzera: sì a cittadinanza a nipoti d'immigrati

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Dalla Svizzera un atto atteso verso gli immigrati di terza generazione per ottenere la cittadinanza con procedura agevolata e semplificate. Questo il risultato del referendum che ha decretato ieri una modifica costituzionale sulla naturalizzazione dei nipoti di immigrati nati e cresciuti sul suolo elvetico. Roberta Gisotti ha intervistato Enzo Rossi, ordinario di Economia delle migrazioni e Regolamentazioni, all’Università di Tor Vergata a Roma: 

Il tema immigrazione ogni giorno sulle pagine della stampa nel mondo. Mentre il presidente Usa Trump annuncia per questa settimana novità in materia dopo lo stop della magistratura americana al decreto della Casa Bianca che impone il divieto all’immigrazione da 7 Paesi a maggioranza musulmana, l’Europa resta al palo con le sue incertezze, contraddizioni, aperture sulla carta e chiusure nella pratica, scontri fra Paesi. In questo clima, 6 svizzeri su 10 hanno votato sì alla piena integrazione degli immigrati di terza generazione.

D. - Prof. Rossi, un segnale verso l’accettazione della realtà migratoria o solo una facilitazione burocratica?

R. – Io lo interpreterei più che altro come mettere ordine in una situazione utilitaristica. Il principale problema è quello di regolarizzare la posizione di alcune persone che sono già stabilite nel tessuto produttivo in maniera continuativa, e quindi di risolvere un problema dando loro la cittadinanza. In realtà, questo provvedimento svizzero non è nulla di nuovo rispetto a quello che già fanno moltissimi Paesi europei e, anzi, contiene clausole ancora più cavillose e a volte più restrittive. Quando noi diamo la residenza a cittadini stranieri, nella versione svizzera facciamo appello allo ius solis; in molti casi si fa appello al doppio ius solis, cioè si richiede anche una nascita o una permanenza di una generazione precedente. Questa è la situazione di moltissimi Paesi europei, come ad esempio la Germania; anche in Grecia, se i genitori sono presenti da cinque anni, si rilascia automaticamente, così avviene pure in Irlanda. Non avviene in Italia dove però abbiamo percorsi particolari per accompagnare i minori verso la cittadinanza. Quasi sempre si richiedono requisiti di integrazione linguistica e nella cultura del Paese ospitante. Nel caso della Svizzera, mi sembra che sia una delle versioni più restrittive fra quelle che abbiamo in Europa, perché si risale addirittura alla terza generazione, perché si va a guardare anche ai nonni. In realtà è il modo in cui in anni recenti tutti i Paesi, in particolare molti Paesi europei – come Germania e Italia – che hanno problemi di invecchiamento della popolazione, cercano di risolvere i problemi demografici. Evidentemente, noi diamo permessi di residenza, diamo permessi di lungo soggiorno a quelli che ci fanno comodo …

D. – Prof. Rossi, comunque è un dato di fatto che in Europa politiche di destra e di sinistra si sono dimostrate incapaci di pianificare e gestire flussi di migranti e rifugiati, una realtà che già da vent’anni gli organismi dell’Onu paventavano e che ora è al collasso …

R. –Sì, non mi sembra che la politica europea stia viaggiando verso una maggiore apertura. Qui assistiamo ad una serie di misure che sono allo studio, che sono state proposte dalla Commissione europea, che sono in parte già singolarmente attuate dagli Stati e che comportano forme più o meno mascherate di respingimento di questi flussi migratori, cercando di conciliare questi – che sono di fatto respingimenti – con una serie di Convenzioni internazionali, con il rispetto dei diritti umani, riuscendoci però soltanto in parte. Tant’è vero che abbiamo sentenze della Corte di Giustizia, della Corte europea dei diritti umani, che vanno contro certe misure prese da alcuni Stati.

D. – Lei dirige un master all’Università di Tor Vergata su “Economia, diritto e intercultura delle migrazioni”. Questo vuol dire comunque che il mondo accademico segnala questa esigenza di prepararsi a una società diversa rispetto a quella che vivevamo 20 anni fa?

R. – In realtà, noi abbiamo una grande richiesta, proprio in questi giorni esce il bando per l’edizione che apriremo ad aprile. C’è necessità di preparare operatori qualificati, in grado di corrispondere a quelle politiche che, sia pure lacunose e sia pure per certi versi criticabili, gli Stati stanno mettendo in atto. Non c’è dubbio che ci sarà sempre più bisogno di questo tipo di personale.

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In Romania ancora proteste contro la legge "salva-corrotti"

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Proseguono in Romania le proteste di piazza contro il governo social-democratico, che sta portando avanti il progetto della cosiddetta legge “salva corrotti”. Migliaia di persone hanno manifestato a Bucarest per il 12° giorno consecutivo “per un Paese pulito e migliore” e contro la normativa che, di fatto, depenalizza una serie di reati legati alla corruzione, come il favoreggiamento e l’abuso di potere. Giancarlo La Vella ne ha parlato con la giornalista rumena, Mihaela Iordache

R. – La gente vuole partecipare proprio perché non si fida più del governo. Al Parlamento si trova un altro disegno di legge che riguarda un’amnistia delle persone che devono scontare una pena al di sotto dei cinque anni, quindi potrebbero uscire dalle carceri anche persone corrotte, politici corrotti e questo la piazza lo teme. la piazza opera là dove la politica non può più intervenire, perché i partiti di opposizione più di una mozione di censura non hanno potuto fare, e, comunque, il governo ha superato anche quella mozione di censura …

D. – Questa faccenda ha provocato comunque una spaccatura all’interno del governo …

R. – Diciamo che, in realtà, si verifica in questi giorni a livello del partito socialdemocratico una certa mancanza di coesione, tra l’altro provocata anche dalla crisi istituzionale, mentre il Presidente del Paese continua a chiedere al Parlamento il voto per un referendum contro la corruzione. Questo vuol dire che la lotta alla corruzione è molto forte, in Romania, ma anche gli ostacoli sono presenti.

D. – Nei giorni scorsi c’erano state raccomandazioni nei confronti di Bucarest anche da parte dell’Unione Europea affinché si tenga alta la guardia contro la corruzione. Come il governo ha guardato a queste raccomandazioni?

R. – Il governo ha risposto ufficialmente che continuerà la lotta alla corruzione, però nello stesso tempo il ministro della giustizia ha detto che i Codici penali dovranno essere modificati. Questi segnali che manda il governo non tranquillizzano per niente la piazza, tantomeno Bruxelles. Quindi non c’è calma in Romania e questo non fa bene, per quanto riguarda l’economia: la Romania è il Paese che, comunque, registra il più alto tasso di crescita economica – intorno al 5%, il più alto dell’Unione Europea - ma inel Paese non c'è tranquillità e la piazza considera un suo dovere rimanere lì, vigile, proprio perché il governo deve sapere che la piazza c’è e lo osserva: non gli permetterà di prendere decisioni contrarie alle leggi che favoriscono la lotta alla corruzione.

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Card. Sepe: dalla Chiesa progetti concreti per il lavoro dei giovani

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Progetti concreti per il lavoro dei giovani, in questo difficile momento occupazionale: sono stati proposti al Convegno organizzato in questi giorni a Napoli sul tema “Non lasciate che qualcuno uccida la speranza dei vostri cuori" e a cui hanno partecipato i vescovi delle Diocesi del Sud d’Italia. Ascoltiamo il cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe al microfono di Federico Piana

R. – Noi, come Campania, abbiamo presentato alcune possibilità: si tratta del recupero di tutta una realtà artistico-ecclesiastica, di chiese, ecc. Poi l’utilizzazione di terreni che possono essere sfruttati per fare delle cooperative, in modo da realizzare dei progetti concreti. Si tratta di dimostrare che non abbiamo espresso solo dei desideri o delle buone intenzioni, ma che vogliamo renderli concreti.

D. – Tutto questo deve essere appoggiato dalla progettualità anche politica. La Chiesa del Sud cosa chiede di concreto questa volta alla politica, sia locale che nazionale?

R. – Noi diciamo loro, a livello nazionale e anche ai governatori, di mettere insieme le nostre preoccupazioni con le loro su dei dati molto particolari. Allora si tratta di voler valorizzare i beni culturali, delle chiese, ecc. Bene, concretamente cosa si fa? Tutto questo facendo sì che la partecipazione delle istituzioni confermi il progetto e che queste poi naturalmente lo gestiscano nella misura e nelle modalità concordate con i vari vescovi, le varie realtà ecclesiastiche.

D. – C’è un capitolo, che è stato sollevato anche in questo convegno, ossia la mancanza di progettualità per quanto riguarda i soldi che arrivano dall’Unione Europea. Molti fondi dell’Ue rimangono ingestiti e poi ritornano a Bruxelles. Ecco, anche qui bisogna avere dei progetti chiari per poter spendere questi soldi che potrebbero alleviare un po’ le difficoltà dei giovani…

R. – Assolutamente sì. Infatti è stata anche provvidenziale la presenza del Commissario europeo, il quale poi si è detto veramente molto felice, e ha detto: “Sì, questo fa parte proprio delle nostre finalità”. Quindi abbiamo, da una parte, la Commissione Europea che è pronta a venirci incontro; dall’altra parte, poi, una gestione trasparente, precisa e chiara da parte delle istituzioni locali. E in questa maniera evitiamo anche quella brutta situazione di dover rimandare indietro tanti soldi che non si spendono. Cioè qui si lavora un po’ “a triangolo”: istituzioni europee che approvano i progetti; istituzioni locali che fanno i progetti come sanno fare; e la Chiesa che è il collegamento perché le cose possano poi realizzarsi.

D. – In tutto questo sarà importante anche l’azione dei parroci, che sono molto vicini ai giovani che stanno soffrendo per la mancanza di lavoro…

R. – Certo, assolutamente. Qui in pratica si tratta anche di questo: il vescovo agisce anche in riferimento a quelle che sono le esigenze locali dei vari decanati, dei vari parroci, ecc. E siccome i nostri sacerdoti sono stati interessati fin dal primo momento e hanno visto la cosa in maniera molto positiva, qui dopo sarà opera nostra poter coordinare soprattutto i parroci e i decanati, quelli che sono i responsabili zonali della nostra diocesi, per mettere insieme qualcosa che possa soddisfare le esigenze. Certamente non riusciremo a soddisfare tutte le richieste, però possiamo dare un segno, in ogni decanato e in ogni parrocchia, che qualche ragazzo può essere chiamato a lavorare in questi campi che abbiamo: questo diventa un fatto di comunione e di ecclesialità.

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Argentina. Card. Poli agli Scout: appoggio a gender e aborto è inaccettabile

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“Insieme ad alcuni vescovi, sacerdoti, laici, con la presenza di pastori e dirigenti evangelici, stiamo elaborando una strategia per svincolarci, e allo stesso tempo immaginiamo una nuova unità cristiana radunati in una Federazione”. Questa l’affermazione dell’arcivescovo di Buenos Aires, card. Mario Poli, in una lettera indirizzata al presidente della Conferenza episcopale argentina, mons. Hèctor Aguer, nella quale spiega che le proposte di modifiche al “Progetto educativo” presentato nell’ultima Assemblea dei Boys Scout sulla definizione di famiglia non come un’unione “formata da uomo e donna”, ma “da persone”, ha oltrepassato i limiti. “Mesi fa ho avvertito  – scrive il porporato - di non tirare  troppo la corda perché stava per spezzarsi; ora considero che si è spezzata e non c’è una via di ritorno”

I Boys Scout, l’ideologia gender e l’aborto
Nella missiva, pubblicata tre giorni fa dall’agenzia cattolica Aica, il card. Poli avverte che già dal 1996, quando fu approvato il progetto educativo originale, alcuni dirigenti dei Boy Scouts sono stati sempre più inclini ad accettare progetti educativi dello Stato sull’educazione sessuale, anche se in contrasto con il programma scout di “educazione all’amore”. “Per sostenere la modifica del progetto – cioè l’accettazione del matrimonio omosessuale -  sono stati evidenziati chiaramente i principi e i postulati dell’ideologia gender e anche del diritto all’aborto”, afferma il porporato.

Abbiamo una sfida: il 96 % di cattolici membri dell’associazione
Le modifiche al  Progetto educativo degli Scout sono state approvate nell’Assemblea del novembre scorso. L’Associazione Boys Scout in Argentina nasce nel 1912. Solo nel 1937, per volontà del cardinale Copello, si crea l’Unione Scouts Cattolici argentini. Nel 1996 entrambe le istituzioni si uniscono  nell’attuale associazione  che conta 75 mila membri, dei quali il 96% è cattolico. “Ora abbiamo una sfida”, scrive il card. Poli, che spiega che nonostante la netta maggioranza dei membri cattolici dell’associazione  ci sono alcuni leader che  hanno votato  a favore delle modifiche, e che potrebbero “trascinare un grande numero di sottoposti” . “Bisogna essere cauti -  raccomanda il porporato - soprattutto per i gruppi che sono in parrocchia, i più numerosi”. L’arcivescovo Poli stima che per la prossima Plenaria dei vescovi sarà presentato un progetto per la creazione della federazione.

I Boys Scout negano la rottura con la Chiesa
“Neghiamo categoricamente che la nostra organizzazione abbia rotto i vincoli con la Chiesa cattolica”: questa la risposta dell’Associazione scout argentina alla pubblicazione della lettera del card. Poli. Sebbene sia certo che alla fine dell’anno scorso è stato modificato il testo del “progetto educativo”, è anche certo che il movimento “deve essere rispettoso di tutte le religioni che lo compongono e lo adattano ai propri precetti formativi”.

Gli scout aperti al dialogo costruttivo
​“Neghiamo assolutamente - si legge nel comunicato - che la nostra organizzazione a livello nazionale si sia pronunciata a favore dell’aborto”. I dirigenti dell’associazione affermano che le autorità ecclesiastiche sono state “disinformate” e  si dicono aperti ad un “dialogo permanente e costruttivo con gli enti che gli appoggiano e sostengono nel loro lavoro”. (A cura di Alina Tufani)

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Spettacoli gender a scuola: sperimentazioni sui minori

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Nel mondo della scuola italiana c’è una accesa discussione in merito ad alcune proposte teatrali e di lettura rivolte ad istituiti di ogni ordine e grado. Prodotti culturali che dicono di volere combattere bullismo e discriminazioni, ma poi mirano a destrutturare l’identità sessuale secondo la teoria del gender, che Papa Francesco ha definito come uno “sbaglio della mente umana”. Dopo le proteste di genitori e associazioni, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha ribadito il diritto al consenso informato per queste attività. Sul tema del Gender nelle scuole, Marco Guerra ha intervistato il bioeticista Renzo Puccetti, docente al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum: 

R. – La teoria del gender, benché vi siano i negazionisti, è sotto gli occhi di tutti che sia ampiamente all’opera, altrimenti non comprenderemmo i motivi per cui ai bambini vengano sostanzialmente proposti giochi con scambio di ruolo, vengano mostrati spettacoli analoghi e vengano fatti vestire da bambine i bambini e viceversa. Questo è un fatto che è in atto. Il problema è che questo nasce da una radice teorica: praticamente, il modo di comportarsi e che differenzia il maschile dal femminile, il modo di indentificarsi, il modo di pensare, il modo di relazionarsi, vengono intesi come una mera costruzione sociale. Abbiamo una montagna di studi, di letteratura scientifica che mostra che questa teoria in realtà è totalmente sbagliata. Addirittura, sono state dimostrate differenze nel primo giorno di vita dei bambini: ci sono comportamenti che sono diversi nei bambini di sesso maschile e di sesso femminile. Il problema fondamentale è questo, che noi ci dobbiamo chiedere: questa teoria facilita lo sviluppo della persona integrale, facilita un suo equilibrio psicofisico? Io ho seri dubbi, anche perché i fautori di questa teoria dovrebbero dimostrare che ci sono tutti questi benefici. E allora io mi chiedo se questa cosa che viene introdotta nelle scuola non assomigli a una grande sperimentazione sociale, una sperimentazione in cui non si capisce qual è il protocollo sperimentale, quali sono gli indicatori di efficacia. E ricordiamoci che è una sperimentazione su soggetti umani di età minore: quindi, secondo me, da questo punto di vista siamo assolutamente fuori dai canoni di un corretto approccio di qualsiasi tipo.

D. – Nelle scuole questa teoria sta facendo breccia anche attraverso alcuni spettacoli …

R. – Guardi, ho proprio sotto mano un testo di una collana di libri rivolti ai bambini e si dice che sono libri espressamente orientati al principio dell’identità di genere. La collana si rivolge a lettrici e lettori da tre a cinque e da sei a otto anni, fasce d’età nelle quali si giocano in maniera decisiva i processi di identificazione di genere e dunque le più favorevoli per innescare un cambiamento per le nuove generazioni. Io mi domando quale sia il cambiamento che si vuole innescare. Il fatto che, sostanzialmente, tutto è fluido, tutto è un costrutto sociale? Qualcuno dice: no, guardate, questo non è il nostro obiettivo; il nostro obiettivo è quello di prevenire il cosiddetto femminicidio. Voi immaginate che un bruto che accoltella una donna, che la sfregia gettando l’acido, non lo farà perché da bambino gli avevano letto la favoletta della principessa che combatte il drago? Ho seri dubbi anche in relazione al fatto che gli studi – c’è proprio una vastissima indagine condotta a livello europeo proprio dall’Unione Europea - bene, questa vastissima indagine ha dimostrato che laddove c’è maggiore uguaglianza di genere, quelli sono i Paesi nei quali si registrano maggiori delitti nei confronti delle donne.

D. – Fermo restando che ogni disuguaglianza va combattuta, la scuola dovrebbe insegnare a valorizzare le differenze …

R. – Certo: perché questa – peraltro – è la bellezza della creazione. Vi fornisco solo un dato: sapete qual è la caratteristica che costituisce il maggiore fattore di discriminazione, di stigma, di bullismo nelle scuole? E’ il peso della persona. In realtà, quello che noi dobbiamo valorizzare è la bellezza e la dignità di ogni singola persona: questo dovremmo insegnare ai nostri bambini. Quando hai fatto questo, non hai bisogno di insegnare la irrilevanza delle differenze.

Su questi spettacoli proposti per la scuola, abbiamo sentito anche il commento del prof. Furio Pesci, docente di Storia della Pedagogia alla Sapienza di Roma, presidente del comitato scientifico della Fondazione Montessori Italia: 

R. – Penso che fondamentalmente si tratti di due questioni che suscitano forti perplessità. Una è relativa al contesto scolastico in cui vengono utilizzati questi libri, questi percorsi di formazione e spettacoli. Gli insegnanti non sono preparati e talvolta nemmeno disposti a seguire in prima persona questi programmi. L’altro aspetto riguarda i contenuti stessi delle proposte in circolazione perché fanno riferimento ad un pensiero e ad una ricerca scientifica ancora controversi. In ogni caso, secondo me, la questione fondamentale è che, trattandosi di materia controversa, presentarla nella scuola richiederebbe l’atteggiamento più laico possibile, ovvero il confronto aperto tra le opinioni. Questo purtroppo non avviene e proprio questo, secondo me, è il problema veramente grande.

D. - In particolare, in questi mesi, c’è uno spettacolo - che sta destando un grande dibattito - proposto alle scuole in orario scolastico. Si tratta di “Fa’ fa fine”, che presenta un bambino che si sente un giorno maschio e un giorno femmina. Insomma, per rispettare il prossimo c’è bisogno di creare un’identità più fluida …

R. - Se si vuole rimediare a una discriminazione che nella storia sicuramente c’è stata, si può fare, ma, a mio avviso, utilizzando altri mezzi, altre forme. La trovata di rappresentare un adolescente che vuole essere maschio o femmina a giorni alterni è lontana dallo stesso vissuto, dagli stessi travagli interiori delle persone che hanno effettivamente questi problemi di orientamento. Non mi sembra quindi una proposta pedagogicamente sensata, perché in qualche modo banalizza la materia stessa che tratta. Se si tratta di bambini piccoli, anche di preadolescenti, possono anche fraintendere la situazione dell’opera teatrale ed in questo senso trarne una visione deformata di quello che è in realtà il percorso della costruzione dell’identità e certamente anche l’identità sessuale. 

D. - Il nobile intento di combattere il bullismo e l’omofobia è perseguito attraverso quella che gli autori di questi spettacoli chiamano “destrutturazione dell’identità di genere”. Non si rischia di confondere l’obiettivo con un metodo che non ha basi scientifiche?

R. - Si è sostenuto che esistono degli stereotipi culturali che strutturano anche l’identità delle persone in formazione che vanno combattuti perché sono falsi, secondo me si esagera nell’affermare che, se questo è vero, se esistono questi stereotipi, allora tutto è uno stereotipo o, comunque, la costruzione sociale dell’identità passa addirittura in primo piano rispetto a quello che è il dato biologico. È necessario che la società, la cultura, riesca a far vivere a ciascuna persona la propria identità, anche dal punto di vista biologico; io devo raggiungere la mia armonia psicofisica.

D. - I grandi classici per ragazzi come “Peter Pan”, “Pinocchio”, possono ancora rappresentare un’offerta educativa o abbiamo bisogno di queste nuove storie che ci raccontano nuovi modelli sociali?

R. - Quando queste nuove storie si intitolano “Cenerentolo”, francamente a me viene da ridere. Si può innovare la letteratura per ragazzi, però questi classici che lei ha citato e anche tanti altri, come “Il piccolo Principe”, sono un patrimonio che non finirà mai di affascinare i giovani.

D. - Il ministro dell’Istruzione Fedeli, ha recentemente ribadito il diritto dei genitori al consenso informato. In una nota del Ministero, che risponde alle recenti polemiche, si afferma che iniziative extra-curricolari sono facoltative. C’è bisogno, però, che le famiglie tornino ad occuparsi dell’educazione dei giovani …

R. - Prima di tutto da un punto di vista organizzativo: se sono facoltative devono essere, a mio avviso, collocate nel pomeriggio e non al mattino; questo anche per non sottrarre tempo a quelle materie che la scuola deve fare paritariamente. Per quanto riguarda i genitori, questi devono certamente essere coinvolti e devono essere informati, ma pienamente. Se si tratta di educazione affettiva o di educazione sessuale, i genitori devono sapere che cosa si fa precisamente in quelle scuole, in quegli orari.

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Congo. Vescovo di Luiza: violenze inimmaginabili contro i civili

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“Sono state commesse violenze e atrocità inimmaginabili nei confronti di tranquilli cittadini” afferma in un comunicato inviato all’agenzia Fides da mons. Félicien Mwanama Galumbulula, vescovo di Luiza nella provincia del Kasai Centrale nella Repubblica Democratica del Congo, dove da giorni si affrontano i militari e i miliziani del defunto capo tribale Kamwina Nsapu.

A causa della psicosi della gente, è impossibile organizzare le esequie
“Negli scontri tra miliziani e militari mi hanno detto che vi sono stati dei morti, soprattutto a Ngwema e Mubinza” afferma mons. Galumbulula che ha interrotto il viaggio che stava effettuando con una delegazione di vescovi in Europa per tornare subito nella sua diocesi. “Il bilancio esatto è difficile da stabilire al momento. Ma sono state commesse violenze eccezionali e atrocità inimmaginabili nei confronti di tranquilli cittadini. La popolazione è in preda alla psicosi al punto che è impensabile al momento organizzare le esequie delle vittime”.

Saccheggiate e abbandonate cinque parrocchie
“Le parrocchie di Mubinza, Ngwema, Lubi, Kamponde, Mikele sono sconvolte” prosegue il vescovo. “Alcune sono state abbandonate ed altre saccheggiate”. Le più toccate dalle violenze sono Ngwema e Mubinza, i cui preti “hanno dovuto camminare giorno e notte per trovare rifugio in un’altra zona”. L’11 febbraio l’Onu ha espresso “inquietudine” per le violenze nel Kasai centrale che, a suo dire, avrebbero provocato negli ultimi giorni almeno 50 morti nella sola provincia di Tshimbulu. (L.M.)

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Giordania: aiuti del Patriarcato latino ai rifugiati iracheni

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“Dio è misericordioso”: è lo slogan del nuovo programma di aiuti in Giordania per i cristiani iracheni del Patriarcato latino di Gerusalemme, sostenuto dalla Luogotenenza tedesca dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e dalla Fondazione tedesca. Grazie a questo programma 136 famiglie di rifugiati oggi ricevono coupon di 50 dinari giordani per acquistare beni di prima necessità. L’assistenza, riferisce il portale del Patriarcato, riguarda anche l’educazione: la copertura delle tasse universitarie, l’acquisto di libri di testo e delle uniformi, i costi di trasporto per raggiungere la scuola e dei corsi di formazione.

Gli aiuti del Patriarcato latino di Gerusalemme dal 2014
Il Patriarcato latino di Gerusalemme sta offrendo aiuti in Giordania dall’agosto 2014, finanziando anche alloggi e altri servizi a tutti i cristiani iracheni che hanno vissuto in roulotte, baracche o ripari improvvisati nelle chiese. Alle 11.325 famiglie di sfollati viene assicurato un aiuto umanitario in contanti, cibo, vestiti, locali di accoglienza, acqua, medicine, ospedali, mezzi di trasporto e altro. (T.C.)

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Giornata Mondiale della Radio: un mezzo più vivo che mai

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“La radio sei tu”: è lo slogan scelto dall’Unesco per celebrare l’odierna Giornata Mondiale della Radio. L’invito è quello di incoraggiare le emittenti a promuovere la libertà di espressione e il rispetto per le diverse culture per migliorare la cooperazione internazionale. Il servizio di Benedetta Capelli

L’auspicio dei Queen, nel 1984, era quello che la radio non diventasse un semplice rumore di sottofondo ed in effetti a 33 anni di distanza da quella canzone, entrata nella testa di tutti, e a quasi 160 anni dai primi esperimenti con le onde elettromagnetiche, oggi la radio è più viva che mai. Ogni giorno circa 2,4 miliardi di persone nel mondo la ascoltano in Fm, sul dab o si collegano attraverso il web. Tanti modi per un mezzo che, negli anni, si è rinnovato grazie alla tecnologia anche nel linguaggio, rivelandosi duttile e capace di cogliere la novità della rivoluzione digitale. Giorgio Simonelli, docente di storia della radio e della televisione all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

“E’ il mezzo che unisce i due grandi caratteri di cui andiamo alla ricerca: ‘social’ e ‘personal’. La radio ‘social’ appunto, perché oggi si può ascoltare la radio preferita abitando in Australia, e quindi creare una grande comunità attorno alla radio attraverso delle scelte che però poi sono scelte ‘personal’, perché si possono scaricare e rimettere in circolazione i contenuti che si ritengono più opportuni, dando a questi una dimensione di personalità, individualità, autenticità. La radio è soprattutto un mezzo di forte identità. Io dico sempre che ognuno degli ascoltatori di radio, per indicare la radio che ascolta, usa l’aggettivo ‘possessivo’, dice: ‘la mia radio’; nessuno dice: ‘la mia televisione’”.

Probabilmente sulla scia di questa appartenenza, l’Unesco ha scelto come motto: “La Radio sei tu”:

“Questa grande parola magica di oggi – ‘interattività’ – la radio l’ha scoperta già negli anni Sessanta-Settanta. Con delle formule banali; le dediche erano una cosa semplice, però l’ascoltatore si sentiva protagonista nello scegliere le canzoni e nel dedicarle a qualcuno. Poi le forme, come il 3131, l’idea che qualcuno potesse parlare alla radio: prima fare delle domande  e poi dire la propria opinione. E poi tutta la grande epopea delle radio libere private che hanno sempre utilizzato il microfono aperto, il microfono a disposizione degli ascoltatori".

Web radio, radio universitarie o prettamente specializzate in argomenti sportivi, ancora radio libere ma sempre un mezzo di collegamento e in molti casi, come in Africa, di denuncia sociale. Lo ricorda, al microfono di Stefano Leszczynski il missionario comboniano padre Fabrizio Colombo, direttore di Signis, organizzazione non governativa che comprende membri di 140 Paesi e che riunisce i settori radio, televisione, cinema, video, educazione ai media, internet e le nuove tecnologie della comunicazione:

“Nella mia esperienza di radio, soprattutto africana, ho visto come la radio sia veramente il cuore di una popolazione, e come la radio possa cambiare, anche, la vita di una popolazione. Grazie a un’intervista di un bambino sfruttato, le cose sono cambiate. Una delle cose più gravi che ho potuto constatare lì è una sorta di schiavitù moderna: i bambini vengono venduti dai genitori a degli allevatori e quindi spariscono in queste lande un po’ deserte, a volte vengono anche torturati perché non obbediscono. E’ proprio una specie di schiavitù. La radio che gestivo ha avuto il coraggio di intervistare uno di questi bambini che ha raccontato la storia della sua schiavitù e come ne è scappato. Ecco, questa storia ha cambiato completamente la vita di tanti altri bambini che sono riusciti a uscire, a fuggire da quella situazione di schiavitù. Non solo: ma ha obbligato anche il governo a prendere delle misure. Quindi, ecco la radio che è anche un medium che cambia la vita”.

L’ha cambiata a milioni di persone che ascoltavano la Radio Vaticana per ritrovare, durante la Seconda Guerra Mondiale, i propri parenti partiti per il conflitto. Dal suo microfono, in sei anni, vennero inviati più di un milione e duecentomila messaggi, più di 12mila ore di trasmissione. E se oggi si guarda al futuro,  attraverso un profondo rinnovamento, fa sempre effetto ascoltare Pio XI che, il 12 febbraio 1931, inaugurò l’emittente pontificia in presenza dell'inventore della Radio, Guglielmo Marconi:

"Qui arcano Dei consilio suc­cedimus in loco Principis Apostolorum, eorum nempe quo­rum doctrina et praedicatio iussu divino ad omnes gen­tes et ad omnem creaturam destinata est, et qui primi in loco ipso mira sane ope Marconiana uti frui possu­mus …".

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Esequie del p. Leskovec, storico responsabile del Programma sloveno

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Si sono svolte questa mattina nella cappella della Curia generalizia della Compagnia di Gesù a Roma, le esequie di padre Paolo Leskovec, presieduta da padre Milan Žust, superiore della Comunità dei Gesuiti del Centro Aletti. Per molti anni responsabile del Programma sloveno della Radio Vaticana, padre Leskovec – che aveva 97 anni – aveva trascorso l’ultimo periodo della sua vita nell’infermeria della Comunità di San Pietro Canisio. 

Padre Paolo ha conosciuto il mistero del chicco di grano fin da piccolo
​Padre Žust ha voluto ricordare padre Leskovec con queste parole: “‘Se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto’. Queste parole, Cristo le dice quando sta entrando nella sua Passione, che poi culmina nella sua morte e risurrezione, e con questo ci offre una bellissima immagine, semplice e profonda, del chicco di grano che proprio attraverso la morte porta frutto. Padre Paolo ha conosciuto il mistero del chicco di grano fin da piccolo: ha vissuto la sua infanzia in un villaggio della Slovenia; da adulto, ha voluto offrire la sua vita al Signore nella Compagnia di Gesù attraverso vari servizi alla Chiesa: è stato professore al Pontificio Istituto Orientale, per lunghi anni ha lavorato alla Radio Vaticana, nel frattempo ha anche collaborato in parrocchia con la celebrazione delle Messe, con i colloqui spirituali, con le confessioni, e negli ultimi anni in infermeria, pregando. 

L'offerta della sua vita, ha portato frutti di vita nuova
La sua vita è stata piena di fatiche e di sacrifici ma nel rapporto con il Signore questa offerta della vita, come il chicco di grano, porta frutti, germogli, vita nuova. E crediamo che ormai tutta la sua vita sia nascosta, con Cristo, in Dio Padre”. (A cura di padre Ivan Herceg)

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Cattolici indiani a premier Modi: si attivi per rilascio p. Tom

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Il premier indiano Narendra Modi usi la sua influenza e quella del suo governo per negoziare con i Paesi del Medio Oriente la liberazione di padre Tom Uzhunnalil, rapito in Yemen il 4 marzo 2016. È l’appello lanciato dalla All India Catholic Union (Aicu), la più grande associazione di laici cattolici in India. Nella lettera, firmata dal presidente Lancy Da Cunha, i cattolici esprimono l’angoscia della comunità cristiana per i lunghi mesi di prigionia cui è sottoposto il sacerdote salesiano, nelle mani di militanti jihadisti riconducibili al sedicente Stato Islamico. Cunha afferma: “Chiediamo il suo personale intervento e assistenza per garantire che egli ritorni il prima possibile nella madrepatria e in condizioni in piena sicurezza. Speriamo e preghiamo che lei ci voglia sostenere”.

Nell'ultimo video di dicembre padre Tom chiedeva cure mediche in ospedale
Dallo scorso marzo - riferisce l'agenzia AsiaNews - padre Tom, originario del Kerala, è nelle mani di un gruppo islamico che ha assaltato una Casa di riposo per malati e anziani delle missionarie della Carità ad Aden, nel sud dello Yemen. Nell’attacco sono state massacrate quattro suore di Madre Teresa e altre 12 persone, presenti all’interno della struttura. Dopo mesi di silenzio, a fine dicembre è emerso un video in cui il sacerdote declina le proprie generalità e afferma di “aver bisogno urgente di cure mediche in ospedale”.

I cattolici comprendono come questo sequestro sia più complesso di altri 
L’associazione di laici riconosce che “le circostante sono molto più complesse rispetto ad altri casi di rapimento di indiani in Afghanistan. Apprezziamo gli sforzi compiuti dal governo dell’India e da altri per il rilascio del gesuita padre Alexis Premkumar, sequestrato in Afghanistan e liberato otto mesi dopo. Anche Judith D’Souza, cooperante cattolica indiana rapita nello stesso Paese, è stata rilasciata qualche tempo dopo”.

Appello per la salvezza e la libertà di padre Tom
​Secondo i cattolici, “data la difficile situazione nella regione, crediamo che il governo dell’India, con le sue enormi capacità di influenza e buoni rapporti in molti Paesi del Medio Oriente, sia nella migliore posizione per garantire un effettivo intervento per il rilascio di padre Tom dalla sua cattività”. “Lanciamo un appello – dice il presidente in conclusione – a lei e ai suoi colleghi del Ministero per gli Affari esteri di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la sua salvezza e libertà”. (S.D.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 44

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.