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Sommario del 18/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Chierici Mariani: siamo vicini ai semplici, non siamo principi

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Spingersi con coraggio verso le frontiere missionarie ed essere vicino ai semplici. E’ l’esortazione del Papa nel discorso rivolto ai circa 40 partecipanti al Capitolo Generale della Congregazione dei Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Francesco li ha ricevuti stamani in Vaticano. La Congregazione è dedita soprattutto all’istruzione cristiana dei giovani, alle missioni e all’apostolato della stampa. Il servizio di Debora Donnini

Quando si devono aggiornare le Costituzioni di una Congregazione religiosa, non si può andare avanti senza la dimensione della memoria, "memoria del passato" e "della storia dei fondatori". Per andare avanti serve anche la memoria "dei peccati della congregazione". Lo sottolinea Francesco nel discorso al Capitolo Generale dei chierici Mariani, riunito proprio per riflettere sugli ordinamenti. Quindi, fedeltà al carisma del fondatore ma anche cuore e mente "aperti alle nuove necessità della gente".

Non siamo principi, siamo vicini ai semplici
Francesco chiede dunque ai Chierici Mariani di mantenere vivo l’impegno per i poveri, un tratto che caratterizza fin dalla nascita la loro famiglia religiosa così come caratterizzò la vita del loro fondatore, san Stanislao di Gesù e Maria Papczynski, vissuto nella seconda metà del 1600 e canonizzato nel giugno dello scorso anno:

“La testimonianza cristiana richiede anche l’impegno con e per i poveri, un impegno che caratterizza il vostro Istituto fin dalle origini. Vi incoraggio a mantenere viva questa tradizione del servizio alle persone povere e umili, attraverso l’annuncio del Vangelo con linguaggio a loro comprensibile, con le opere di misericordia e il suffragio dei defunti”.

L'esortazione è alla vicinanza alla gente semplice, che ha ricevuto la fede proprio dalla semplicità delle mamme e delle nonne:

"Noi non siamo principi, figli di principi o di conti o di baroni, siamo gente semplice, il popolo. E per questo ci avviciniamo con questa semplicità ai semplici e a quelli che soffrono di più: i malati, i bambini, gli anziani abbandonati, i poveri, tutti … E questa povertà è al centro del Vangelo perché è la povertà di Gesù, non la povertà sociologica, quella di Gesù". 

Spingersi verso frontiere missionarie con linguaggi comprensibili per il nostro tempo
Significativa nella storia dei Chierici Mariani anche la figura del beato Giorgio Matulaitis, che s’impegnò nella riforma delle Costituzioni dell’antico ordine. Forte la sua eredità spirituale di totale dedizione alla Chiesa e all’uomo. Un aspetto che Francesco sottolinea per evidenziare l’atteggiamento che negli ultimi decenni ha ispirato le iniziative dell’Istituto, volte a diffondere il carisma nei Paesi poveri, specialmente in Asia e Africa. Oggi sono 20 i Paesi del mondo abbracciati dall’opera della Congregazione:

“La grande sfida dell’inculturazione vi chiede oggi di annunciare la Buona Novella con linguaggi e modi comprensibili agli uomini del nostro tempo, coinvolti in processi di rapida trasformazione sociale e culturale. La vostra Congregazione vanta una lunga storia, scritta da coraggiosi testimoni di Cristo e del Vangelo. In questa scia siete chiamati oggi a camminare con rinnovato zelo per spingervi, con libertà profetica e saggio discernimento – tutti e due insieme! - su strade apostoliche e frontiere missionarie, coltivando una stretta collaborazione con i Vescovi e le altre componenti della Comunità ecclesiale”.

Cogliere gli appelli dell'umanità bisognosa: non poche le situazioni di disagio morale e materiale
L’urgente necessità di “testimoniare il messaggio evangelico a tutti, senza distinzioni”, costituisce “il vasto campo del vostro apostolato”, rileva Francesco, e non sono poche le situazioni di ingiustizia e di disagio morale e materiale che interpellano i credenti:

“Solo cuori pienamente aperti all’azione della Grazia sono in grado di interpretare i segni dei tempi e di cogliere gli appelli dell’umanità bisognosa di speranza e di pace. Cari fratelli, sull’esempio del vostro Fondatore siate coraggiosi nel servizio di Cristo e della Chiesa, rispondendo alle nuove sfide e alle nuove missioni, anche se umanamente possono sembrare rischiose”. 

E infatti di fronte alla "piccolezza dei mezzi" e alla "nostra indegnità", centrale è l'atto di fede nella potenza del Signore: 

"Il Signore può, il Signore è capace. E la nostra piccolezza è proprio il seme, il seme piccolino, che poi germoglia, cresce, il Signore lo annaffia. E così va avanti. Ma il senso di piccolezza è proprio il primo slancio verso la fiducia della potenza di Dio: 'Andate, andate avanti su questa strada'”.

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Tweet: Dio ci chiede di accogliere i forestieri, anche noi lo siamo

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Quante volte nella Bibbia il Signore ci chiede di accogliere i migranti e i forestieri, ricordandoci che anche noi siamo forestieri!”.

Delle migrazioni, Francesco ha parlato ieri all’Università di Roma Tre: “Non sono un pericolo”, ma “una sfida per crescere”, aveva affermato. I migranti – aveva detto - fuggono dalla guerra e dalla fame: “Ma quale sarebbe la soluzione ideale? Che non ci sia la guerra e che non ci sia la fame, cioè fare la pace o fare investimenti in quei posti perché abbiano risorse per lavorare e guadagnarsi la vita”.

Il Papa ha lanciato un appello a “non sfruttare” i migranti: lo rivolge ai “potenti” della Terra, come ai criminali che gestiscono i traffici dei “barconi” carichi di migranti, che fanno sì che il Mediterraneo si sia trasformato in un “cimitero”: “Non dimentichiamo questo: il nostro mare, il ‘mare nostrum’, oggi è un cimitero. Pensiamolo quando stiamo da soli, come se fosse una preghiera”.

Ecco come accogliere chi arriva: come fratelli e sorelle: “Sono uomini e donne come noi”. Poi integrarli e accompagnarli: “Quando c’è questo: accoglienza, accompagnamento e integrazione, non c’è pericolo con le migrazioni. Si riceve una cultura e si offre un’altra cultura”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Visita del Papa nella parrocchia romana di Santa Maria Josefa

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Questa domenica, alle 15.30, il Papa si reca in visita pastorale alla Parrocchia di Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù a Castelverde di Lunghezza, nella periferia Est di Roma. Prima della Messa incontrerà i giovani, i malati, le famiglie assistite dalla Caritas parrocchiale e confesserà alcuni fedeli. Ma ascoltiamo il parroco, don Francesco Rondinelli, al microfono di Federico Piana: 

R. – Questa è una parrocchia molto variopinta, nel senso che ci sono tutte le classi sociali; ci sono molte famiglie giovani … Le difficoltà ci sono, perché è un quartiere di periferia, è un quartiere che soffre la crisi, non ci sono molte persone che lavorano, ci sono persone molto buone, generose, che vogliono fare, che vogliono lavorare, però non c’è l'offerta.

D. – I punti di forza quali sono?

R. – La giovinezza del quartiere e anche questa generosità di darsi, di regalare tutto quello che possono. Con questo evento del Papa, si sono mosse tantissime persone che hanno voluto lavorare per accogliere il Santo Padre.

D. – La venuta di Papa Francesco quali frutti potrà portare?

R. – Bè, la visita del Santo Padre è sempre la visita di Gesù Cristo, di tutta la Chiesa, quindi, a parte la benedizione, la gioia e la grazia che abbiamo, io spero che questo momento sia proprio un rilancio di tutta la parrocchia, cioè che sia un faro per tutto il quartiere.

D. – I giovani sono molto presenti nel quartiere. E’ la stessa cosa in parrocchia?

R. – Come al solito, come in tutte le parrocchie, abbiamo ovviamente delle difficoltà. Però, c’è un folto gruppo dei ragazzi delle Comunioni, delle Cresime e – un po’ di meno – di giovani del dopo-Cresima, fino all’età dell’università, più o meno fino ai 18 anni ... poi svaniscono.

D. – Quindi questa visita potrebbe anche riscaldare il cuore di questi giovani? Potrebbe essere un frutto ulteriore?

R. – A me piacerebbe molto proprio farli entrare come parrocchia, anche perché i giovani di oggi sono tutta la Chiesa di domani: questo vuol dire non solo curare la Chiesa di oggi, ma anche quella di domani.

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Il 26 febbraio Francesco visita la Chiesa anglicana a Roma

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Domenica 26 febbraio alle 16.00, Papa Francesco si recherà in visita presso la All Saints Church, Chiesa Anglicana di Roma, situata in Via del Babuino 153. Lo riferisce il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Greg Burke.

La Chiesa Anglicana è stata costruita a Roma nel 1882 su progetto dell'architetto inglese George Edmond Street, ma terminata dagli italiani Pio Barocci e Vincenzo Cannizzaro. La Chiesa è in stile neogotico ma le finestre a tutto sesto richiamano il romanico.

Il 6 ottobre dell’anno scorso Papa Francesco aveva incontrato i Primati delle Provincie Anglicane guidati dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby mettendo l’accento sui frutti raccolti in 50 anni di dialogo ecumenico che, ha aveva detto, non è mai un impoverimento ma sempre una ricchezza. Il 5 ottobre erano stati celebrati insieme i Vespri nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio, preceduti dalla firma di una Dichiarazione comune.

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Anno giudiziario vaticano: ergastolo è pena senza speranza

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L’ergastolo è una pena senza speranza. Così il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, alla Messa celebrata questa mattina presso la Cappella di Maria, Madre della Famiglia, nel Palazzo del Governatorato, in occasione dell’inaugurazione dell’80.mo Anno giudiziario del Tribunale dello Stato. Poi nell’Aula vecchia del Sinodo, la relazione del promotore di Giustizia, Gian Piero Milano. Massimiliano Menichetti

Una relazione di oltre quaranta pagine che ha fatto il punto sul sistema giudiziario vaticano in continuo aggiornamento per combattere, con tolleranza zero, “riciclaggio”, “finanziamento del terrorismo” e “ogni forma di criminalità economica", favorendo al contempo pratiche di assoluta trasparenza in linea con gli standard mondiali. Tra il 2013 al 2016 l’ufficio del promotore di Giustizia, in sede cautelare, ha disposto il sequestro di beni per un ammontare complessivo di quasi 12 milioni di euro. Il prof. Milano ha evidenziato le riforme avviate, in questo senso, da Papa Benedetto XVI e quelle introdotte o arrivate a compimento con Papa Francesco. Le convenzioni internazionali siglate hanno determinato una limitazione dell’indipendenza della Santa Sede - ha spiegato Milano - pur essendo comunque salvaguardata la natura, missione e i principi fondanti dell’ordinamento. Massima la collaborazione per le rogatorie internazionali:

“Nell'anno trascorso il nostro Tribunale ha ricevuto n. 4 richieste di rogatoria da autorità giudiziarie straniere, tutte provenienti dall’Italia, e portate ad esecuzione. Inoltre è in via di completamento la raccolta di elementi per dare esecuzione ad una rogatoria proveniente da Paese dall’area extracomunitaria”.

Ricordata la legge n. IX dell'11 luglio 2013 che ha modificato il codice penale e inserito l’articolo 116 bis tra i “delitti contro la sicurezza dello Stato”, cardine nel recente processo conosciuto come Vatileaks2, per divulgazione di notizie e documenti riservati. Poi, nell’ambito dei “delitti contro la Pubblica Amministrazione” ha spiegato:

“E’ interessante rilevare che le pene per i reati di corruzione e abuso di ufficio risultano più elevate nel massimo di quelle previste dal codice italiano, mentre più lievi sono le sanzioni per il peculato e la concussione”.

Il magistrato ha poi espresso apprezzato per il lavoro svolto ruolo dalla Gendarmeria in sinergia con il promotore di Giustizia, e le istituite A.I.F e Co.Si.Fi, ovvero l’Autorità di controllo e verifica finanziaria e il Comitato per la Sicurezza Finanziaria. In tema di lavoro ha invece evidenziato “purtroppo” “un doppio binario”, tra il Tribunale e l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, in caso di controversia. Un’asimmetria generata dalle modifiche introdotte nel giugno scorso. “Cenno speciale - ha detto il promotore - merita l’abolizione della pena all’ergastolo” sostituita con la reclusione da 30 a 35 anni, un punto centrale del magistero di Papa Francesco che l’ha definita  “una pena di morte nascosta”. Un pensiero ripreso questa mattina anche dal cardinale Parolin che ha celebrato la Messa, in Vaticano, in occasione dell’Anno giudiziario con tutto il personale dei Tribunali:  

“La condanna all’ergastolo - scriveva già negli anni ’50 dello scorso secolo, Francesco Carnelutti - è la dichiarazione che l’anima di un uomo è perduta per sempre. La speranza di rientrare nel consorzio umano, di riassumere l’aspetto dell’uomo libero, di riprendere il suo posto nelle società è ossigeno che alimenta il carcerato. Dal momento che è entrato in carcere questa è la ragione della sua vita. Nel privarlo di questa, sta l’inumanità della condanna alla vita”.

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Oggi in Primo Piano



Vertice di Monaco: Pence, alleanza Usa - Nato incrollabile

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L’impegno degli Stati Uniti verso la Nato è “incrollabile”. Così il vice presidente Usa, Mike Pence, partecipando a Monaco alla Conferenza sulla sicurezza, dopo che il capo della Casa Bianca, Donald Trump, aveva definito l'Alleanza atlantica un'organizzazione “obsoleta”. A prendere la parola al vertice in Germania anche l'Alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza dell'Ue, Federica Mogherini, che ha assicurato come l'Unione europea sia “in buone condizioni”. Il servizio di Giada Aquilino

Sono state le critiche del presidente statunitense Donald Trump ai Paesi dell'Alleanza atlantica e gli apprezzamenti per la Brexit ad allarmare i partecipanti alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza. Già ieri il governo della Germania aveva esortato Washington a non mettere a rischio la compattezza dell'Ue e della Nato. Intervenendo oggi ai lavori, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha sottolineato che l’Alleanza non esiste solo “nell'interesse europeo, ma anche americano”, soprattutto in anni – ha aggiunto – “in cui assistiamo a sfide inimmaginabili”, in primis il terrorismo: esse vanno dunque affrontate insieme, rafforzando - ha proseguito - “l'Ue, la Nato, l'Onu e anche strutture come il G20”. Il vicepresidente Usa, Mike Pence, a Monaco ha assicurato che gli Usa sostengono “ancora la Nato” e resteranno i “migliori” partner dei membri dell’Alleanza. La riflessione di Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:

R. - Le dichiarazioni di Trump delle scorse settimane avevano seminato molte incertezze riguardo il futuro dell’Alleanza. Pence ora ha reinquadrato la situazione assieme agli europei, dicendo che la Nato naturalmente non si tocca. Il vicepresidente però ha anche sottolineato che solo quattro Paesi spendono il 2% del Pil previsto nelle spese per la difesa. Quindi moltissimi sono inadempienti e tra questi ci sono i grandi Paesi europei. La seconda cosa interessante da notare, è che ha lasciato nel vago il piano che l’amministrazione Trump avrebbe per sconfiggere definitivamente l’Is.

D. - A cosa si riferisce? Ad un possibile intervento sul campo?

R. - Esatto. Se analizziamo ciò che ha detto la Merkel nel suo discorso – apparentemente coincidente con quello del vicepresidente americano – vediamo che ci sono delle differenze. La cancelliera tedesca ha detto che i veri alleati sono europei ed americani, mentre la Russia è un Paese con il quale ci sono dei rapporti difficili. Quindi mentre i tedeschi hanno detto che sostanzialmente i russi devono mettersi da parte, con la loro nuova presenza nel Mediterraneo, Pence invece ha lasciato scoperto questo punto: ha soltanto detto che sull’Is ci sono nuovi piani, al momento ancora abbastanza misteriosi.

D. - È un caso che la Nato abbia rafforzato la propria presenza ad Est, aumentando le forze navali nel Mar Nero?

R. - La Nato in questo momento appare molto influenzata dalla propria politica tradizionale e dagli Stati maggiori che continuano a vedere ad Est il grande pericolo e comunque ci sono il conflitto latente in Ucraina e i problemi del Mar Nero… Direi che dobbiamo capire meglio che cosa succederà riguardo al piano contro l’Is, perché questo riguarda un punto in cui la Nato è sostanziante assente: l’area del Mediterraneo. Quindi la prossima partita credo si giocherà su questa posizione, sul fianco sud dell’Unione Europea.

D. - Ha fatto cenno al 2% del Pil di spese militari. La Merkel, a Monaco, ha assicurato che Germania e altri Paesi si sono imposti tale aumento entro dieci anni. Ma questo cosa significa? Su chi pesano di più queste spese?

R. - Sui Paesi come l’Italia, la Francia e la Germania sicuramente. L’amministrazione Trump intende tagliare molte spese della difesa, soprattutto quelle che riguardano la difesa collettiva e degli alleati. Non credo che Trump su questo farà marcia indietro. Quindi l’Europa deve prepararsi ad aprire i cordoni della borsa e non sarà una cosa semplice.

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Migliaia di cattolici a Manila contro le esecuzioni extragiudiziali

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Migliaia di cattolici sono scesi in piazza oggi a Manila, nelle Filippine, per protestare contro le esecuzioni extra-giudiziali sostenute dal presidente Duterte per combattere la droga nel Paese. La marcia, organizzata da associazioni laicali, ha denunciato le migliaia di esecuzioni sommarie di persone anche solo sospettate di traffico di stupefacenti. I cattolici, sostenuti dai vescovi, concordano sul combattere la piaga della droga, ma chiedono che ciò avvenga nel pieno rispetto dei diritti umani. Jean-Charles Putzolu ha sentito in proposito padre Bernard Holzer, missionario assunzionista a Manila: 

R. - Je crois que c’est une des étapes de la prise de conscience…
Credo che sia una delle tappe della presa di coscienza di questa situazione e soprattutto della presa di posizione dei cattolici. Il cardinale Tagle ha detto chiaramente che non bisogna fermarsi a questo raduno ma bisogna che nelle nostre vite, nel quotidiano, si facciano gesti per dimostrare che siamo contro le uccisioni e anche contro la droga e di vedere come poter aiutare le persone a liberarsi da questa dipendenza. Sentiamo che sta accadendo qualcosa.

D. - Duterte è stato eletto sulla base di questo programma, ma adesso la gente continua a sostenerlo?

R. – Oui. Jusqu’à présent ce que a beaucoup gêné les évêques…
Sì. finora quello che ha molto infastidito i vescovi è che l’opinione pubblica sostiene il presidente e in vari sondaggi emerge che più dell’80 per cento dice di essere d’accordo con lui, ma non sulle uccisioni. Adesso, questo appoggio sta diminuendo. Nel mondo cattolico, invece, ci sono molte riserve: ci sono stati più di 7.600 morti, molti di più che sotto la dittatura del presidente Marcos. Ma quello che possiamo riconoscere al presidente è che è incorruttibile, mentre scoppiano scandali ovunque, e questo gli dà un certo credito.

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Pakistan: cristiani vicini ai sufi dopo l'attentato al santuario

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Giro di vite in Pakistan dopo la strage di giovedì scorso nel Santuario sufi a Sehwan, nella provincia del Sindh, costata la vita ad almeno 80 persone, tra le quali 20 bambini. L’attacco è stato rivendicato dal sedicente Stato islamico. Ce ne parla Sergio Centofanti

Le Forze armate pakistane hanno annunciato l'uccisione di oltre 100 presunti terroristi in blitz effettuati in diverse zone del Paese dopo l’attentato. Le autorità hanno deciso di chiudere il confine con l'Afghanistan per motivi di sicurezza accusando Kabul di non fare nulla per impedire l’ingresso di estremisti nel Paese. Centinaia di civili afghani, anche malati, sono rimasti bloccati alla frontiera. Lo Stato islamico ha rivendicato l’attentato kamikaze nel tempio sufi dove i fedeli erano in preghiera.

La vicinanza dei cristiani ai sufi
La piccola minoranza cristiana in Pakistan si è detta sconvolta da questa ennesima strage che colpisce innocenti. La gente si sente vulnerabile – dice all’agenzia Fides padre Bernard, direttore del Seminario Santa Maria a Lahore – ed è arrabbiata con le istituzioni che non proteggono i cittadini. “Oggi sappiamo di essere tutti dei potenziali obiettivi – osserva - nessuno è escluso. Le vittime di questi ultimi attentati sono tutte musulmane, domani potrebbero essere cristiane, indù o sikh”.

Chi sono i sufi
I sufi seguono la via mistica dell’Islam per giungere a Dio, accorciano la distanza tra l’uomo e il Trascendente e per questo non sono visti di buon occhio sia dai sunniti che dagli sciiti. I sufi sono più aperti al dialogo. Un detto di un maestro sufi recita: “Quand'ero giovane ero un rivoluzionario che voleva cambiare il mondo. Ora che sono vecchio chiedo a Dio di cambiare me stesso. Se avessi pregato per questo fin dall'inizio non avrei sprecato la mia vita”.

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Italiani in crisi trovano lavoro emigrando in Albania

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Lavoratori e piccoli imprenditori in crisi, dall'Italia sbarcano in Albania. Complice un clima di discreta crescita, tasse e tenore di vita bassi, al di là dell'Adriatico per molti, da diversi anni, si apre una nuova vita. Ma il vero “miracolo albanese” non è così reale come dipinto da tanta stampa italiana. Ce ne parla Paola Simonetti: 

All’inizio era la meta solo dei grandi imprenditori italiani che, alla ricerca di manodopera a basso costo, delocalizzavano la loro attività senza troppi scrupoli, cercando di mantenere stabile il profitto maturato in Italia. Ora l’Albania è l’orizzonte anche per lavoratori e piccoli imprenditori in crisi. A Tirana, in particolare, capitale di una discreta crescita del Paese oltre Adriatico, si aprono spesso nuove opportunità. Cittadini strozzati dalla crisi italiana, vessati da una pressione fiscale paralizzante, ma anche studenti gravati da costi troppo alti per i soggiorni universitari fuori regione, che hanno giocato la carta dell'emigrazione, in quella terra che solo qualche decennio fa vedeva nella Penisola una nuova America.  

16mila, dei 19mila italiani presenti in Albania, sarebbero lavoratori con un contratto da dipendenti, a cui si accostano altre tipologie di professionisti, che con un sistema fiscale favorevole ed un costo della vita almeno cinque volte più basso rispetto all'Italia, riescono a vivere anche con meno di 900 euro al mese, come racconta, Erion Gjatolli, corrispondente dall’Albania per l’Osservatorio Balcani e Caucaso:

"Gli italiani che arrivano oggi in Albania sono innanzitutto quelli specializzati, vale a dire medici, docenti universitari, architetti … Poi, c’è anche chi chiaramente si ingegna ed apre un’agenzia per trovare alloggi ai connazionali che arrivano, mentre, forse le vere celebrità in tutto questo sono i ristoratori, i cuochi italiani che arrivano, aprono ristoranti. Il vantaggio principale che l’Albania offre in questo caso è la vicinanza geografica, ma soprattutto la conoscenza della lingua. Inoltre, c’è una burocrazia più snella e una pressione fiscale intorno al 15%. In Albania con 250 euro si trova un buon alloggio, costa meno fare la spesa e costano meno i servizi. È certamente più conveniente vivere qui".

Dunque, professionisti di varia natura hanno trovato una piccola rinascita spesso dopo aver fallito in patria. Come Maurizio Cantalini, 50anni che all'Aquila gestiva un bar nel centro storico, andato distrutto col sisma del 2009. A Tirana, ha aperto un nuovo locale, "lì dove - dice - c'è fermento e voglia di fare".  Ma il “miracolo Albania” non è esattamente come descritto da molta parte della stampa italiana. A giocare un ruolo importante nella nuova immagine del Paese oltre Adriatico, diversi fattori, molto efficaci come sottolinea ancora Gjatolli:

"C’è sicuramente una narrazione del miracolo albanese e di questa inversione di marcia tra le due migrazioni che, giornalisticamente, funziona molto; piace in Italia perché presenta anche una critica più o meno latente al nostro Paese, piace qui perché viene vissuta come una sorta di rivincita dopo tanto migrare. Ma bisogna tenere presente che è una narrazione fondata su due filoni: quanto è bella la vita nel Block di Tirana e quanti sono gli italiani che vi si trasferiscono. Purtroppo il Block è la zona più esclusiva del centro di Tirana, vale a dire che fuori da quel centro, e soprattutto fuori da Tirana, la realtà purtroppo non è quella che viene dipinta dai reportage della stampa italiana".

Certo è che, secondo gli ultimi dati della Camera di commercio italo–albanese, per molti l’Albania resta un approdo goloso: nel solo 2016, 2-3 aziende al mese si sono stabilite nel Paese, dove un operaio costa 300 euro al mese contributi compresi e dove nuovi comparti dell’economia si vanno aprendo, come quello del turismo. Una fetta di mercato quest’ultima tutta da costruire.

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Etty Hillesum parla ai giovani in un libro di Matteo Corradini

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Esther Hillesum, chiamata Etty, il 7 settembre del 1943 saliva su un treno in partenza verso i lager nazisti nell’est dell’Europa, seguendo il destino di morte di oltre centomila ebrei olandesi. Morirà due mesi dopo ad Auschwitz. Aveva 29 anni. Dal treno lasciava cadere un biglietto su cui, tra l’altro, aveva scritto: “Siamo partiti cantando”. Difficile immaginare quale poteva essere il canto di quei deportati che così cercavano di non cedere all’angoscia e alla disperazione. A dare una risposta ci prova Matteo Corradini in un libro che porta il titolo di quel biglietto. Pubblicato dall’editrice “rue Ballu”, nella collana per ragazzi “Jeunesse Ottopiù”, il libro: “Siamo partiti cantando. Etty Hillesum, un treno, dieci canzoni” è illustrato da Vittoria Facchini e ha ricevuto il premio Andersen 2016 come migliore Progetto editoriale. Adriana Masotti ha chiesto allo stesso scrittore Corradini, impegnato nella didattica della Memoria e studioso dell’ebraismo olandese, di definire in poche parole chi è stata Etty: 

R. – E’ stata una ragazza curiosa di tutto: curiosa della vita, curiosa delle persone, ma soprattutto curiosa di se stessa. Etty per me è stata questa scoperta: la scoperta di una persona che voleva viaggiare anzitutto dentro se stessa.

D. – Una ragazza che aveva anche la voglia di vivere e di godere delle belle cose della vita, e nello stesso tempo aveva una grande profondità. Lei le fa dire: “Ho voluto condividere il destino del mio popolo fino in fondo”. Fa impressione …

R. – Sì, questo è anche un dato storico. Etty collaborava con la comunità ebraica per la parte più sociale, che era quella che si occupava proprio di accudire i deportati nel lager di transito di Westerbork, che era il lager attraverso cui sono passati praticamente tutti gli ebrei olandesi. E lei aveva la possibilità di salvarsi, nonostante fosse ebrea. Decise invece di non farlo: decise di accompagnare il suo popolo, di accompagnare le altre persone in questo destino terribile, e lo decise consapevolmente. E’ una sorta di martirio, il suo. Lei non lo interpreta esattamente così, lo vede come una scelta naturale: “La mia gente, i miei amici, le persone che conosco e le persone che sono uguali a me vanno lì: io vado con loro”.

D. – Un elemento molto importante per Etty è la scrittura: la sua ancora di salvezza, possiamo dire …

R. – Sì: lei scrive tanto; scrive i diari, scrive le lettere … Etty aveva una spiritualità molto forte, ma aveva anche una spiritualità oggettivamente molto originale, talmente originale da non essere inquadrabile in nessuna delle religioni che potrebbero fare riferimento a Etty: lei non era troppo ebrea, ma non era neanche troppo cristiana. Etty cammina su questo confine tra una spiritualità interiore fortissima, l’appartenenza a una religione sempre però con uno stile pieno di dubbio. Forse siamo affezionati a lei proprio per questo, perché una persona con tanti dubbi, in fondo, assomiglia a noi …

D. – “Siamo partiti cantando”: ma di che cosa avrà parlato questa canzone? Lei, nel suo libro, fa dieci ipotesi: la canzone degli alberi, del mare, della bellezza femminile, della matita e altre. Forse è utile fare qualche esempio. Non so: la canzone della camicia da notte …?

R. – Lei aveva questa fissa per le camicie, per la camicia da notte, e aveva letto su un giornale che erano state intercettate ad Amsterdam delle persone – una l’aveva vista anche lei – in camicia da notte: c’erano delle persone che avevano perso tutto o quasi tutto e quindi tra gli ultimi abiti che avevano, c’erano queste camicie da notte. E allora, lei racconta proprio di queste persone. In particolare, una di queste era stata uccisa e quindi lì, nella canzone, viene raccontata in prima persona la morte di quest’uomo, e lui quasi la prende con ironia, dice: “La camicia da notte era quasi nuova” …

D. – Ecco: perché questa iniziativa di scrivere, di Etty, rivolgendosi proprio – in particolare – ai giovani, e qual è il messaggio che lei spera ricavino dalla lettura di questo libro?

R.- Allora, di Etty Hillesum non è stato facile parlare, però è un argomento che credo valga la pena di avvicinare ai giovani, perché Etty scrive in un’età in cui le domande, per certi versi, sono più forti delle certezze. E questo credo sia il suo messaggio: cioè l’idea che quando le domande sono più grandi di te, non stai vivendo un dramma, stai vivendo la vita; è la tua vita che è fatta più di domande che di certezze. Quello di Etty è un cammino di ricerca, è un cammino che io auguro ai giovani. Cioè, io auguro di fare della fragilità una virtù, un valore: noi esseri umani dobbiamo fare della nostra fragilità la nostra virtù.

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Il commento di don Sanfilippo al Vangelo della VII Domenica T.O.

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Nella settima Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli: 

“Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra … Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano (…) Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“Io vi dico: non opponetevi al malvagio, ma se qualcuno ti colpisce sulla guancia destra porgigli anche l’altra…amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano”. “Com’è possibile che Gesù faccia affermazioni così scomode, anzi, esagerate? Io non sono Gesù Cristo…” potremmo dire. “Ma se facciamo tutti così allora il male dilaga…” aggiungeremmo. “In realtà questa parola va adattata ai tempi odierni” spiegherebbe, forse, il buon senso umano. Ecco alcune reazioni tipiche di chi tenta di addomesticare la parola di Dio, annullandola di fatto, e giudicando le Scritture, il Signore e la Chiesa che la proclama fedelmente. Lasciamoci, piuttosto, interrogare in profondità da ciò che costituisce il cuore del Kerigma. Può darsi che questo Vangelo metta in luce come la nostra identità cristiana sia fragile a causa di una formazione insufficiente, forse non abbiamo ancora la statura adulta della fede. Se così fosse, non perdiamoci d’animo! Al contrario, è una grazia rendersene conto, scoprire i propri peccati e sentirsi comunque incoraggiati da Dio ad intraprendere un cammino graduale di salvezza. Chiediamo a Maria che ci indichi, nella Chiesa, una via, un carisma, un movimento nel quale la nostra fede possa crescere fino a giungere alla pienezza. Da sempre i cristiani sono detti “coloro che camminano” verso la Pasqua.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 49

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.