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Sommario del 19/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cuori si convertano alla pace. Appelli per Congo, Pakistan e Iraq

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I cuori induriti dall’odio si convertano alla pace, in Africa, in Medio Oriente, in Asia e in tutte le parti del mondo dove si soffre a causa di guerre e violenze. Così il Papa alla preghiera dell’Angelus in Piazza San Pietro, durante la quale ha esortato a rispondere al male col bene, perché - ha detto - la rappresaglia “non porta mai” alla risoluzione dei conflitti, neppure in famiglia. Il servizio di Giada Aquilino

Un invito ad essere artigiani di “comunione” e di “fraternità” nella vita quotidiana e in famiglia, praticando “la pazienza, il dialogo, il perdono”. Lo sguardo di Papa Francesco all’Angelus si sofferma su quelle popolazioni che oggi soffrono a causa di violenze e conflitti, come nella regione del Kasai Centrale in Repubblica Democratica del Congo, da dove giungono – riferisce il Pontefice – notizie di scontri “brutali”. Il Papa sente “forte” il dolore per le vittime, specialmente per la “tragedia” dei tanti bambini “strappati alle famiglie e alla scuola” per essere “usati come soldati”. Assicura vicinanza e preghiera, anche per il personale religioso e umanitario che opera in quella che definisce una regione “difficile”:

“Rinnovo un accorato appello alla coscienza e alla responsabilità delle autorità nazionali e della comunità internazionale, affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle. Preghiamo per loro e per tutte le popolazioni che anche in altre parti del Continente africano e del mondo soffrono a causa della violenza e della guerra”.

Quindi un pensiero e una preghiera per le “care” popolazioni di Pakistan e Iraq, colpite nei giorni scorsi da “crudeli” atti terroristici:

“Preghiamo per le vittime, per i feriti e i familiari. Preghiamo ardentemente che ogni cuore indurito dall’odio si converta alla pace, secondo la volontà di Dio”.

Partendo dalla riflessione sulla “rivoluzione” cristiana annunciata da Gesù che - come spiega il Vangelo odierno di Matteo - mostra “la via della vera giustizia mediante la legge dell’amore” che supera quella del “taglione”, cioè occhio per occhio e dente per dente, Francesco nota come Gesù chieda ai discepoli di “reagire” al male non “con un altro male”, ma “con il bene”.

“Solo così si spezza la catena del male: un male porta un altro male, un altro porta un altro male… Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un ‘vuoto’, un vuoto di bene, e un vuoto non si può riempire con un altro vuoto, ma solo con un ‘pieno’, cioè con il bene. La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti”.

Il rifiuto della violenza, spiega, non vuole dire ignorare o contraddire le esigenze della giustizia: l’amore cristiano, che si manifesta “in modo speciale” nella misericordia, rappresenta una “realizzazione superiore” della giustizia. Gesù, prosegue, insegna infatti la “netta” distinzione tra giustizia e vendetta.

“La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza”.

Il “comandamento dell’amore del prossimo” - e non un nuovo “ordinamento civile” - che Gesù propone comprende anche “l’amore per i nemici”: ciò non vuol dire approvare il male compiuto dal nemico, ma è l’invito a una prospettiva “superiore”, “magnanima”, perché anche il nemico “è una persona umana”, creata a immagine di Dio, sebbene “offuscata da una condotta indegna”:

“Quando parliamo di ‘nemici’ non dobbiamo pensare a chissà quali persone diverse e lontane da noi; parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con il nostro prossimo, a volte con i nostri familiari. Quante inimicizie nelle nostre famiglie, quante! Pensiamo a questo. Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo chiamati a rispondere con il bene, che ha anch’esso le sue strategie, ispirate dall’amore”.

Pregando la Vergine Maria affinché ci aiuti a seguire Gesù sulla strada della dignità umana, nei saluti finali il Papa ricorda tra gli altri gli studenti irlandesi di Armagh e il Movimento giovanile guanelliano.

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Tweet del Pontefice: cerchiamo strade nuove per annuncio Vangelo

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Sentiamoci spinti dallo Spirito Santo a individuare con coraggio strade nuove nell’annuncio del Vangelo”.

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Il programma del viaggio del Papa a Genova

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“La visita del Papa possa confermarci nella fede di Cristo e nello slancio missionario”. È quanto scrive l’arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, nel messaggio con cui accompagna la pubblicazione del programma diocesano riguardante la visita di Papa Francesco a Genova, il prossimo 27 maggio.

Il Papa arriverà all’aeroporto di Genova alle 8.15, accolto dal cardinale e dalle autorità civili. Subito dopo, allo stabilimento Ilva ci sarà l’incontro con il mondo del lavoro. Alle 10.00, in Cattedrale, il Papa incontra i vescovi e i religiosi della Regione Ecclesiastica Ligure. Alle 12.15, appuntamento con i giovani al Santuario di Nostra Signora della Guardia. Sempre presso il Santuario, il Papa pranzerà con i poveri, i rifugiati, i senza fissa dimora e i detenuti. Nel pomeriggio, alle 15.45, si reca all’ospedale pediatrico “Giannina Gaslini” per salutare i bambini ricoverati. Alle 17.30 presiederà la Messa per tutti i fedeli nell’area della Fiera del Mare. Il congedo è previsto per le 19.30.

Nei prossimi mesi – scrive il cardinale Bagnasco - intensificheremo la preghiera affinché il ritorno a Genova del Successore di Pietro – dopo le due visite di San Giovanni Paolo II nel 1985 e nel 1990 e di Benedetto XVI nel 2008 – lasci un segno profondo nel cuore dei genovesi”. “Ci prepariamo ad ospitare Papa Francesco con speranza e trepidazione. Possano questi eventi, che appartengono alla storia dell’Arcidiocesi e della Città - conclude il messaggio - essere semi posti nel fecondo tessuto genovese, così da portare frutti di bene per tutti”. 

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Oggi in Primo Piano



Ucraina. Domani tregua nell'est, via gli armamenti pesanti

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Entrerà in vigore domani nelle regioni russofone dell’Ucraina orientale il nuovo cessate-il-fuoco tra forze governative e ribelli separatisti. Ad annunciarlo è il ministro degli Esteri russo, Lavrov, a margine della 52.ma Conferenza sulla sicurezza che si conclude oggi a Monaco di Baviera, dove però non sono stati fatti grossi passi avanti sulla soluzione del conflitto che da 4 anni incendia l’Ucraina. Ci aggiorna Roberta Barbi: 

Gli Stati Uniti continueranno a incalzare la Russia sull’effettivo rispetto degli accordi di Minsk: queste le dichiarazioni, da Monaco, del vicepresidente Usa Mike Pence. Critica Mosca: “Tale posizione – afferma il presidente della Commissione affari internazionali, Kosachyov – consente al governo di Kiev di sabotare costantemente gli accordi di Minsk”. Intanto, però, c’è accordo sulla tregua che dovrebbe scattare domani nel Donbass, dal quale sembra saranno ritirati gli armamenti pesanti, e che è frutto di una riunione del cosiddetto Quartetto di Normandia, composto da Francia, Germania, Russia e Ucraina. Sul significato di questa intesa abbiamo sentito Fulvio Scaglione, giornalista di Famiglia Cristiana e profondo conoscitore dell’area:

“La tregua è sicuramente una buona notizia, perché è meglio di una guerra guerreggiata e dei morti, anche civili, che restano sul campo. Però anche questa tregua, al momento, non è ancora stata ufficialmente accettata dai separatisti filorussi del Donbass. Per parte sua, pure l’Ucraina non ha fatto in questi anni tutti i passi previsti dagli accordi di Minsk. Insomma siamo veramente molto lontani”.

Intanto la situazione umanitaria è sempre più preoccupante: nei giorni scorsi l’Unicef ha fatto sapere che sono 19 mila i bambini che ogni giorno affrontano gravi pericoli nelle regioni ucraine coinvolte dal conflitto; 12 mila quelli che vivono in comunità costantemente bombardate e circa un milione i minori che richiedono assistenza umanitaria. Nel frattempo il presidente russo Putin ha firmato un decreto per il riconoscimento temporaneo dei documenti intestati a chi risiede permanentemente nelle zone secessioniste filorusse dell’Ucraina. A spiegare la valenza di questo gesto è ancora Scaglione: 

“La Russia ha riconosciuto queste Repubbliche autonomiste che nessun altro ha riconosciuto, in nome della difesa delle minoranze russofone: è un gesto che non facilita la composizione del problema in Ucraina. Non c’è la volontà e chi ha un pochino di questa volontà non ha la forza. Per esempio, Poroshenko, il presidente dell’Ucraina, non è in grado di imporre al Parlamento ucraino la discussione di quei provvedimenti che dovrebbero dare alle regioni del Donbass una maggiore autonomia e uno statuto speciale, che è previsto dagli accordi di Minsk”.

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Yemen, mons. Hinder: Paese devastato dagli interessi

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Ancora donne e bambini vittime nello Yemen. E' accaduto in un nuovo raid contro un corteo funebre nel nord di Sana'a. Per l'Onu episodi del genere sono pari a crimini di guerra. Non c'è tregua nel Paese dal 2004 quando governo e ribelli Houti hanno iniziato la guerra, complicata dalla presenza dell'estremismo islamico dell'Is e di Al Qaeda. La popolazione è allo stremo, molte aree sono irraggiungibili dalle Ong e non c'è nessun controllo su quanto avviene. "Non si vede la fine di questa tragedia che si consuma nel silenzio della comunità internazionale", così al microfono Gabriella Ceraso, il vicario apostolico dell'Arabia meridionale, mons. Paul Hinder

R. – E’ vero che il Paese è in distruzione, è un caos, praticamente. Anche se ci sono delle regioni dove si vive, però si vive male. Ci sono centinaia di migliaia di persone che hanno fame, bambini che muoiono ed è quasi impossibile arrivare in certe zone del Paese. Non so quando finirà questo dramma e questa tragedia. Ho l’impressione che uno dei problemi sia senz’altro che ci sono troppi che guadagnano con questa guerra: tutti i trafficanti d’armi,e poi gli interessi ideologici che stanno dietro… E’ veramente qualcosa di diabolico.

D.  – Le testimonianze che arrivano dalla popolazione dicono: il mondo deve sapere…

R.  – E’ vero,perchè l’opinione mondiale non si interessa tanto di questo conflitto che però è uno dei più pericolosi nella zona e avrà delle conseguenze anche su altre parti del mondo, se continua così. Ma, detto questo, rimane una tragedia per le persone,per chi soffre la fame, per coloro che vivono nell’insicurezza… E tutta la sfiducia che si crea, l’odio che produrrà…

D. – E ricordiamo una cosa che è anche importante: il grandissimo patrimonio culturale di questo Paese, la preziosità distrutta pezzo dopo pezzo…

R. – Mi fa piangere pensare che questo tesoro culturale di un passato così lungo stia andando in pezzi… E’ terribile!

D. – Fa piangere il cuore anche il fatto che anche la presenza religiosa, cristiana non riesca a reggere la gravità, la pericolosità di una realtà del genere...

R. – Questa nostra presenza ora è veramente piccola. Ci sono due presenze ancora ridotte delle suore della carità che continuano il loro lavoro nonstante i rischi e poi ci sono fedeli, persone che rimangono nel Paese per offrire servizio al popolo negli ospedali o altrove, però anche per loro è difficile mettersi in contatto tra di loro perché non possono viaggiare. Abbiamo perso anche la visione d’insieme di tutti i problemi del Paese.

D. – Cosa chiedere a Dio per il futuro del Paese e anche per chi combatte?

R. – Prima di tutto ci vuole per tutti una conversione del cuore e poi un governo che guidi secondo criteri di giustizia e di equità, perché anche quello è un problema, ci sono tanti interessi egoistici di gruppi o tribù che mettono a rischio ogni accordo che si fa… e che la popolazione musulmana possa tornare a una vita musulmana autentica, lontana dagli estremismi che stanno prendendo piede, a un equilibrio anche dell’anima e a un rispetto reciproco all’interno del popolo verso l’esterno.

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La crisi in Grecia: situazione drammatica, ma non se ne parla più

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La Grecia è di nuovo in grave difficoltà economica. Il prossimo lunedì si riuniscono i ministri delle Finanze dell’area euro e il timore è che non ci sia accordo sul pacchetto di finanziamenti da offrire al Paese indebitato, che rischia di trovarsi con le casse prosciugate già a luglio. Divergenze di opinioni separano il Fondo monetario internazionale, il governo di Atene e gli altri creditori europei, ma il dato di fatto è che per ottenere aiuti serve un nuovo severo pacchetto di riforme che va a peggiorare una situazione sociale già emergenziale. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Francesco De Palo, direttore della Testata on line Mondogreco

R. – L’Eurogruppo è fondamentale perché – da come avviene da sette anni a questa parte – ogni sei mesi decide per misure che vanno a sommarsi a quelle che sono state già firmate. Quindi abbiamo la grossa bolla dei cinque miliardi che dovrebbero essere messi dal Fondo monetario internazionale da un lato, quindi l’ulteriore tranche per Atene, e altre riforme “lacrime e sangue” che il governo non può fare. Perché? Perché sono sette anni che il governo ha già fatto tagli verticali a stipendi e pensioni; alcune riforme in verità non sono state fatte, altre sono completamente folli in questo momento da un punto di vista sociale per la Grecia, quindi il Paese è in balia di una non decisione da parte di Atene e da una richiesta, diciamo eccessiva, da parte dei creditori internazionali.

D. - Questo Paese doveva dichiarare un fallimento? Sarebbe stato meglio tornare alla dracma e ricominciare?

R. - Probabilmente. Vi dico soltanto che nessuno presterebbe del denaro a chi non ne ha per restituirlo, che se una persona normale fa una dieta la può fare per sei mesi, se la fa per tanti anni muore e, soprattutto, non c’è una rinascita, perché nessuno, per esempio, immagina delle “No tax zone” per le imprese internazionali, di mettere su delle attività che possano esser propedeutiche ad uno sviluppo futuro di questo Paese. La classe politica greca, ed europea, ha fallito, solo che la differenza rispetto al 2012 è questa: mentre nel 2012 il debito greco era in pancia da istituti bancari francesi e tedeschi, oggi è nella pancia dei Paesi membri che hanno speso la bellezza di 200 miliardi di euro senza un solo risultato.

D. - Il silenzio che grava sulla Grecia, può essere manovrato dal fatto che movimenti antieuropeisti alla finestra nei prossimi voti in vari Paesi, trarrebbero nutrimento dal caso Grecia?

R. - Sì, il suo assunto è corretto. Non se ne parla anche per paura dei potenziali “no” che vorrebbero salire sul carro di quei vincitori che vincitori non sono. Però, in questo momento, la responsabilità è anche dei grandi gruppi editoriali che hanno deciso di scrivere la parola “silenzio” sul caso greco, perché di storie greche ce ne sono tantissime. Ieri sui giornali greci c’era la storia di una coppia che ha perso un bimbo e ha passato un inferno durato sette mesi perché questo feto non ha avuto nemmeno la dignità di una sepoltura e di un’analisi approfondita.

D. - Giovani e famiglie in Grecia, cioè il tessuto sociale di un Paese che garantisce il suo futuro, si sta smembrando. Abbiamo notizie non solo di maggior uso di droghe, ma anche prostituzione maggiore tra i giovani. E' così?

R. - Lo confermo e aggiungo che nell’argomento prostituzione vanno purtroppo inseriti i migranti che si prostituiscono per cinque, dieci euro. Le famiglie in questo momento stanno vivendo una situazione di emigrazione da primi Novecento. Oggi partono dalla Grecia fior di professionisti con laurea nella propria valigia, con master, con mogli e con figli con destinazione “Paesi sviluppati”, quindi Nord Europa, Svezia, Finlandia e Australia. Ma non parte più il ventenne in cerca di lavoro; parte il quarantenne, che dovrebbe raccogliere i frutti del proprio lavoro. Quindi il nocciolo della crisi è nella regione dell’Attica, dove Atene registra la metà della popolazione greca, cinque milioni di persone. Le farmacie sociali che stanno nascendo in questi anni anche grazie alla straordinaria solidarietà di questo popolo, ai sacerdoti, anche italiani, perché la Caritas italiana sta facendo un lavoro egregio di assistenza, sono quelle che danno i medicinali gratis, perché oggi ammalarsi di cancro in Grecia è un lusso che non tutti possono permettersi.

D. - La Grecia non ha produzione industriale e non ha lavoro. Perché non si riesce a sbloccare questa situazione?

R. - La responsabilità va data al premier Papandreou che nel 1980, quando ha avviato la nascita del Pasok, ha cominciato – questo bisogna dirlo – a distribuire prebende e pensioni senza creare una politica industriale. In Grecia fino a prima degli anni ’70, fino ai colonnelli, c’era una fabbrica che costruiva addirittura autobus e auto; però, si è inteso, con una politica industriale deleteria per fare favori agli amici degli amici, importare persino due elementi come olio e cotone che sono presenti in Grecia da millenni! Questo significa che in Grecia la classe politica fallimentare è andata a braccetto con quei finanziamenti europei che poi Bruxelles mandava ad Atene. Quindi questa crisi greca, dobbiamo dirlo con chiarezza e con franchezza, ha molti padri.

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Presidenziali in Ecuador: probabile il ballottaggio

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Elezioni presidenziali questa domenica in Ecuador. Il presidente Rafael Correa, del partito di ispirazione socialista, Alianza País, lascia la più alta carica del Paese dopo 10 anni. Sembra potergli succedere Lenín Moreno, già vicepresidente, al quale i sondaggi assegnano un 30% di consensi. Il servizio di Giancarlo La Vella

L’Ecuador forse alle soglie di un cambiamento che potrebbe far virare l’asse politico dalla sinistra al centro-destra. Lenín Moreno, delfino di Rafael Correa, probabilmente non ce la farà a vincere al primo turno. Dovrebbe riuscire ad ottenere il 40% dei consensi, con un distacco di almeno il 10% sul secondo candidato. Questo è quello che prevede la legge elettorale in Ecuador. Molto più verosimilmente si andrà al ballottaggio del 2 aprile e a Moreno potrebbe venire a mancare il supporto soprattutto dei movimenti indigeni, insoddisfatti dalla politica di Alianza País, per quanto in Ecuador siano riconosciuti i diritti e le diversità culturali delle varie realtà etniche locali. Potrebbero rientrare in lizza i candidati del Movimiento Creo e del Partito Social Cristiano. Il Paese, indipendente sin dal 1830, è una repubblica dal 1832, dopo essere stata colonia spagnola per lungo tempo e dopo aver fatto parte per alcuni anni della Grande Colombia, uno Stato che comprendeva oltre l’attuale Colombia, anche Venezuela e Panama, fondato da Simon Bolivar, il liberatore delle Americhe dal dominio spagnolo. Chiunque vinca dovrà comunque affrontare una situazione economica difficile, aggravata dalle conseguenze del devastante sisma dello scorso aprile, che ha causato danni pari a 3 miliardi e 400 milioni di dollari. Ma queste elezioni, alle quali sono chiamati quasi 13 milioni di cittadini, molti gli indecisi, rivestono un’importanza per tutta la regione latino-americana. Quest’anno ci saranno elezioni presidenziali anche in Honduras e Cile e tutta la regione potrebbe essere politicamente ridisegnata. Giulia Angelucci ne ha parlato con Piero Gorza, esperto dell’area e docente all’Università di Torino: 

R. – Sicuramente in Sudamerica si sta vivendo la crisi dei partiti della sinistra, questo è evidente: lo vediamo in Venezuela, lo vediamo in Brasile… C’è un’affermazione dei partiti della destra o almeno del centro, dei partiti più apertamente neoliberali… La partita è sicuramente aperta. E’ probabile che in Ecuador si vada al ballottaggio.

D.  – Ci saranno nel corso del 2017 altre elezioni in America Latina: come potrebbe mutare lo scenario politico?

R. – Come dicevo, c’è un’emergere delle destre… Sarà da vedere cosa capita in Bolivia, perché, comunque vada l’esperienza di Morales, è un’esperienza lunga. C’è il tentativo di Morales, cosa che non ha voluto Correa, di riproporsi per la quarta volta come candidato presidenziale ed effettivamente ha ottenuto una serie di risultati pur a volte scivolando un poco su posizioni populiste, ma con una reinvenzione della tradizione; però la Bolivia sarà l’altro luogo in cui si giocheranno un po’ gli equilibri sudamericani.

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Sant'Antonio: a Padova, la Festa della Lingua

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A Padova, questa domenica, la tradizionale Festa della Traslazione delle reliquie di Sant’Antonio, detta popolarmente “Festa della Lingua”. In mattinata, la Messa pontificale presieduta da mons. Giovanni Tonucci, delegato pontificio per la Basilica; alle 17 quella solenne e successivamente la processione con la reliquia del mento del Santo. Ma quali sono le origini di questa festa? Federico Piana lo ha chiesto a padre Oliviero Svanera, rettore della Basilica di Sant’Antonio da Padova: 

R. – Il riferimento della Festa è proprio un momento storico in cui le spoglie del Santo vengono traslate dalla cappella che le aveva contenute in un primo momento alla nuova Basilica. Questa traslazione la compì l’allora generale dell’ordine San Bonaventura, nel 1265. Ebbene, in quell’occasione, San Bonaventura con somma sorpresa di tutti ebbe a notare che nelle spoglie mortali del Santo la lingua era rimasta vermiglia e bella come il se il Santo fosse stato appena sepolto. Quindi questo divenne un miracolo immediato, perché sappiamo che la lingua dovrebbe essere uno dei tre organi ad essere subito in decomposizione. Ma soprattutto divenne un miracolo per cui si ritenne che ciò che il Santo aveva proclamato in vita con la sua lingua diventava un segno - così disse San Bonaventura – che il Signore aveva benedetto le sue parole e la sua opera.

D. – Quindi la lingua ha un’importanza simbolica forte, direi, in questo caso…

R. – Si dice che il Santo era solito iniziare le sue prediche con una preghiera che diceva più o meno così: “Fai, Signore, che la mia lingua scocchi come freccia per proclamare le tue meraviglie”. Come a dire: la lingua venga utilizzata per lanciare sempre parole d’amore, per essere una proclamazione delle stupende opere del Signore. Un po’ come canta anche Maria Santissima quando magnifica il Signore per le sue meraviglie. Quindi la parola diventa nella bocca del Santo un messaggio forte che indica certamente la Parola evangelica, ma che rimanda anche alle nostre parole e al loro contenuto e al loro senso e anche ai silenzi che a volte dovrebbero accompagnare le parole quando non sono all’altezza di intenzioni o di modalità adeguate.

D. – Come si svolge questa traslazione, questa “Festa della Lingua”?

R. – La celebrazione più importante è quella del pomeriggio in cui tutte le realtà antoniane presenti, le associazioni, i gruppi, i devoti si raccolgono per vivere poi un momento di processione, che avviene all’interno della Basilica. Non viene portata in processione la lingua del Santo che rimane nella sua teca: è troppo fragile per essere in qualche modo smossa dal reliquiario e dalla cappella del tesoro. Viene portato, invece, in processione il mento del Santo, quindi il richiamo rimane comunque a una reliquia legata alla bocca. Poi sappiamo anche che ci sono vari reliquiari che rimandano alle corde vocali del Santo… Quindi all’interno della Basilica viene portato in processione questo grande reliquiario, bellissimo, che fu anche - forse qualcuno ricorderà - oggetto di un furto all’inizio degli anni ’90 e poi per fortuna - o meglio perché il Santo fa ritrovare le cose smarrite! - fu ritrovato anche il suo reliquiario. Questo reliquiario viene portato in processione con solennità all’interno della Basilica come segno della presenza viva del Santo: è un richiamo per tutti noi a essere coloro che portano la Parola del Vangelo a tutti gli uomini.

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Beato Angelico: pittore della tenerezza e della bellezza di Dio

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L'incanto della pittura che si unisce alla solennità della musica: un inno alla bellezza, i Vespri solenni in memoria del Beato Angelico, patrono degli artisti, celebrati venerdì sera a Roma nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. La celebrazione, presieduta dal cardinale vicario Agostino Vallini, è stata accompagnata dai Conservatori di Roma, Latina e Frosinone e dal Coro polifonico Musicanova. Il servizio di Marina Tomarro

Attraverso le vostre opere voi rendete una lode a Dio perché esaltate la bellezza della sua opera, il Creato. Così il cardinale vicario Agostino Vallini,  ha voluto omaggiare gli artisti presenti alla celebrazione dei Vespri in memoria del Beato Angelico. Ascoltiamo la sua riflessione:

R - Credo che noi dobbiamo collocare la memoria del Beato Angelico nel contesto del Vespro che abbiamo appena celebrato. Nella Lettura breve Paolo dice che Cristo è tutto e che dunque alla luce di Cristo, tutto il resto è relativo, per indicare questa armonia interiore che ha maturato a partire dall’incontro con Gesù a Damasco. Secondo me è proprio una chiave di interpretazione della spiritualità del Beato Angelico per il quale l’arte era il riflesso della sua fede, del primato di Cristo nella sua vita.

D. – Perché si parla di un’arte che avvicina a Dio?

R. – L’arte io la definisco una scintilla dell’origine: il Signore ha messo nel cuore di alcune persone delle capacità intuitive di espressione, di traduzione in opere d’arte della sua bellezza, del suo mistero. E dunque è evidente che chi è capace di esprimere la bellezza dell’arte non può che diventare anche un comunicatore della bellezza di Dio.

Il Beato Angelico viene ricordato anche come pittore della tenerezza, perchè soprattutto la sua prima fase pittorica è caratterizzata da volti angelici e di Madonne che esprimevano una dolcezza tale che lasciava già intravedere un mondo ultraterreno, come ci spiega Tiziana D’Acchille, direttore dell’Accademia di Belle Arti, a Roma:

"Il Beato Angelico è stato definito 'il pittore della tenerezza'. Ebbene questa tenerezza non è altro che il portato di quello stile tardo-gotico di cui il Beato Angelico è uno degli ultimi grandi interpreti. Quello stile che lo porta soprattutto nella prima fase della sua opera a indulgere in dettagli decorativi, in preziosismi e soprattutto in un uso del colore con una forte valenza simbolica e metafisica. Questi colori, che hanno dei legami con la complessa simbologia cromatica medievale, richiamano i colori di un mondo ultraterreno. E’ per questo che il Beato Angelico si chiama anche il “pittore della tenerezza” perché imprime ai volti dei personaggi che lui dipinge questo aspetto così dolce, così tenero, così vicino a quelle Madonne della dolcezza che sono tipiche di un’iconografia medievale, tardomedievale".

I Vespri volevano essere un percorso musicale attraverso i secoli, partendo da compositori di fine Cinquecento, come Giovanni Battista Fasolo, per arrivare fino al Novecento con il Salve Regina di Poulenc. Ne parla con noi Roberto Giuliani, direttore del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma:

"In questa occasione è stato concepito un Vespro interamente musicale, che devo dire è una rarità, nel senso che era la prassi all’epoca, lo è stato per molti anni, ma è sempre più difficile riuscire ad ascoltare un Vespro che sia interamente cantato e accompagnato dagli strumenti. In questo caso abbiamo pensato di strutturare questo Vespro in modo che fosse presente un ampio arco temporale. Il penultimo brano non a caso è di un compositore novecentesco. Abbiamo voluto creare un excursus temporale ampio, che parte concettualmente dal Beato Angelico - anche se le musiche del periodo non sono state eseguite, perché abbiamo spostato sul Cinquecento la maggior parte degli interventi musicali - fino ad arrivare al Novecento. Questa è stata una nostra piccola dimostrazione che all’interno di una celebrazione di questo tipo si può portare un ampio repertorio musicale".

E antica è la tradizione musicale dei Vespri che risuonavano solenni nelle cappelle delle cattedrali europee e successivamente anche nelle corti, e quindi oggi diventa importante riscoprire di nuovo la bellezza di queste grandi polifonie, come sottolinea Paola Besutti, docente all’Università di Teramo:

"Anzitutto la cosa essenziale è riportare alla realtà della liturgia vespertina quanto effettivamente avveniva, cioè non c’era nessun passo della liturgia vespertina che non fosse in musica, anche ordinariamente. Certamente nel periodo del Beato Angelico, c’erano le grandi polifonie delle grandi cattedrali, dei grandi compositori franco-fiamminghi che hanno cominciato ad invadere tutta l’Europa scendendo dal Nord verso l’Italia. E finalmente anche in Italia le cappelle musicali, le grandi cappelle musicali, le grandi cappelle delle cattedrali ma anche delle corti cominciano ad amare e a vivere anche quotidianamente la meraviglia della polifonia dei più alti livelli. Questo riportare le polifonie e il canto piano nella realtà quotidiana anche della liturgia è quanto di meglio si possa fare per riportare il senso sonoro, anche il paesaggio sonoro che si viveva nella preghiera".

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E' morto Michael Novak: sognava un capitalismo dal volto umano

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E’ morto venerdì a Washington, all’età di 93 anni, Michael Novak. Era nato nel 1933 a Johnstown, in Pennsylvania. Teologo, filosofo, scrittore e diplomatico, Novak è stata una delle personalità più importanti nell’ambito del dibattito sul rapporto tra cattolicesimo, economia e società alla fine del XX secolo e l’inizio del XXI. Lo studioso americano elaborò una ridefinizione della nozione di "giustizia sociale" che affonda le proprie radici nel principio di sussidiarietà e nella società civile concepita come ‘contraltare dello Stato’. Al centro della sua indagine il concetto di persona di cui mette in luce la libertà, la laboriosità e la creatività. Forte il suo impegno perché il suo paese, l’America, rimanesse fedele alle radici cristiane. Il 4 maggio 1994, Novak fu insignito del 24.mo Premio Templeton per il progresso nella religione. Sul pensiero di Novak, Adriana Masotti ha sentito l’economista e storico del pensiero economico Luigino Bruni, docente all’Università LUMSA di Roma: 

R. - Michael Novak è stato sicuramente un personaggio importante, un innovatore, una figura che ha messo in luce la persona, la responsabilità e quindi anche il tema dello Stato in rapporto alla persona, dicendo cose importanti. Soprattutto, ha rimesso al centro del dibattito l’etica religiosa – l’etica cristiana, cattolica nel suo caso – per capire il capitalismo. Lui in particolare, criticando un po’ e riprendendo Max Weber e la sua famosa “Etica protestante e lo studio del capitalismo”, ha detto che c’è un’etica cattolica nello spirito del capitalismo. Evidentemente, una personalità complessa che ha anche avuto molte critiche: più che la sua azione, magari per come è stato usato poi in America da un certo cattolicesimo più conservatore, che ha interpretato il lavoro di Novak facendolo diventare una sorta di legittimazione etica del capitalismo così com’è.

D. – Lui diceva che il capitalismo è il sistema economico più accettabile, anche se non il migliore dei mondi possibili. Quindi, secondo lei è stato troppo ottimista, troppo entusiasta, nel delineare questa libertà del mercato?

R. – Dobbiamo, come sempre, contestualizzare quel pensiero: Novak ha avuto come grande nemico intellettuale il comunismo e le varie forme di pianificazione statalista. Da questo punto di vista, se uno compara il comunismo sovietico con il capitalismo americano, non ci vuole molto a dire che quest'ultimo è un luogo dove molti valori cristiani sono rispettati e sono valorizzati. Certo, se Novak oggi dovesse valutare il capitalismo attuale, la linea che sta prendendo un certo capitalismo finanziario, individualistico che sta diventando la nuova religione del nostro tempo, pagana e anti-cristiana, sono convinto che sarebbe molto più dubbioso e molto più critico di quanto non sia stato nella sua carriera. Se pensiamo a Papa Francesco di oggi, non so come dovremmo rileggere queste tesi. Probabilmente, Papa Francesco racconta un cristianesimo più problematico in rapporto al capitalismo, e credo che Novak abbia avuto, nell’ultima parte della sua vita, un’evoluzione un po’ più critica, un po’ più scettica rispetto all'età giovanile.

D. – Tornerei al concetto di sussidiarietà: ecco, mi pare che questo sia di grande attualità, nel senso che mi pare che oggi nella società ci sia un fiorire di buone pratiche, di gruppi solidali, di iniziative di quartiere …

R. – Sì, anche qui dobbiamo essere onesti nei confronti di Novak, per rispettarlo. Cioè, la sussidiarietà è una categoria che nasce soprattutto in Europa. La sussidiarietà che conoscono gli americani del Nord è un po’ diversa: è molto lasciata al mercato. C’è anche lì questo concetto, ma l’errore che poi si è commesso negli ultimi 30 anni è pensare che il modo più corretto per prendere sul serio il principio di sussidiarietà fosse quello di lasciare al mercato il primo passo e immaginare tutto il resto come secondo, terzo, quarto passo, compresa la politica e il civile. Questa declinazione oggi è in profonda crisi, perché noi ci stiamo accorgendo che l’economia è diventata anti-sussidiaria. Ma qual è la base del principio di sussidiarietà? E’ il concetto di persona, come diceva Michael Novak, cioè è la persona che vive in quel contesto, dentro a quel problema che ha le risorse e le conoscenze, le competenze per affrontare il problema. In realtà, l’economia capitalista di oggi fa il contrario centralizzando sempre più le decisioni...

D. – Ma che ci sia una voglia di sussidiarietà nella società, si può dire?

R. – Assolutamente, è vero. Ma questa c’è nonostante l’economia, non grazie all’economia. C’è molta richiesta di sussidiarietà, ci sono molte forme che dicono protagonismo del civile, della gente; ma ripeto, questo sta accadendo nonostante il capitalismo attuale, non grazie ad esso.

D. – Quale può essere l’eredità che Novak lascia? Quale può essere uno spunto positivo che possiamo tenere presente?

R. – Ci sono molti spunti positivi, sicuramente uno dei punti di forza di Novak è stato che lui non ha mai avuto paura delle critiche. Quindi, una sua prima eredità è questa: l’onestà intellettuale. Seconda eredità, è prendere sul serio la fondazione religiosa del capitalismo, perché i problemi e le opportunità del capitalismo sono di natura teologica. Siccome la teologia non la studia più nessuno, a chi si occupa di economia sfuggono dimensioni fondamentali che invece potremmo capire se studiassimo di più la teologia. E infine, un terzo messaggio che lui porta, è il ruolo che ha l’economia per la vita buona. Novak ci ricorda che l’economia è troppo importante per lasciarla soltanto agli economisti. Se noi oggi riporteremo più teologi, più sociologi, più persone spirituali dentro le banche, dentro le imprese, se ci occuperemo di economia tutti e non solo gli economisti, forse il capitalismo del terzo millennio sarà più umano e più vicino a questo umanesimo che Novak voleva e che ha sognato e per il quale ha lavorato.

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Usa, vescovi a governo: rispettare accordi e impegni sul clima

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“La tradizione giudaico-cristiana ha sempre inteso l'ambiente come un dono di Dio, perciò, siamo tutti chiamati a proteggere la nostra casa comune”. Sulla base di questo principio, la Commissione episcopale di giustizia e sviluppo umano della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb), insieme al presidente del Catholic Relief Services (Crs), ha sollecitato il governo del presidente Donald Trump a mantenere gli impegni degli Usa per la tutela e la salvaguardia del Creato sia a livello nazionale sia globale.

Vescovi: gli Stati Uniti mantengano gli impegni
“Vogliamo riaffermare l'importanza della leadership degli Stati Uniti e l’impegno per l'Accordo di Parigi”. Così si legge nella lettera indirizzata al segreterio di Stato del governo statunitense, firmata da mons. Frank Dewane, vescovo della diocesi di Venice in Florida, da mons. Oscar Cantú, vescovo di Las Cruces nel New Mexico, e da Sean Callahan, presidente del Catholic Relief Services (Crs). La missiva ricorda che già nel 2015, la Usccb affermò che il finanziamento dei programmi di adattamento e attenuazione degli effetti del cambiamento climatico inclusi nell'accordo di Parigi era urgente, specialmente se ci si vuole assumere la responsabilità comune del fenomeno del riscaldamento globale. I vescovi e il Crs sottolineano l'importanza di agire all'interno del Paese per limitare le emissioni di carbonio e contribuire - in questo modo - a mitigare le conseguenze del cambiamento climatico sulle popolazioni più vulnerabili. “L'accordo di Parigi è un passo fondamentale per entrambi questi obiettivi”, si legge ancora nel testo.

Le politiche del neopresidente rischiose per il clima
Durante la campagna elettorale, Trump aveva più volte ribadito che non avrebbe rispettato l’Accordo di Parigi e che considera il cambiamento climatico “un’invenzione dei cinesi per danneggiare l’economia americana”. L’Agenzia Usa per la protezione dell’ambiente sembra aver interrotto qualsiasi attività pubblica di comunicazione, sia attraverso i propri siti istituzionali sia attraverso i social network. Anche sul sito ufficiale della Casa Bianca, qualsiasi riferimento ai cambiamenti climatici è stato eliminato e sostituito con l’America First Energy Plan, nel quale si presenta l’orientamento del nuovo piano energetico statunitense.  “Il presidente Trump - si legge nel testo - è impegnato a eliminare le politiche dannose e non necessarie come il Climate Action Plan”, quest’ultimo firmato dall’ex presidente Obama a giugno del 2013 per contrastare gli effetti del riscaldamento globale.

Fornire energia sostenibile, pulita, sicura ed equa
Nella lettera, la Commissione episcopale per lo sviluppo umano e la Crs hanno espresso la preoccupazione della Chiesa per la grande sfida che, oggi, affronta la comunità globale per fornire non solo energia sostenibile, efficiente e pulita, ma anche sicura, accessibile ed equa. “Ciò richiederà ingegno, investimenti e sforzo”, si legge nel testo, che ricorda i grandi progressi che eminenti scienziati e ingegneri, insieme a istituti di ricerca e aziende di energia, hanno già compiuto verso la produzione di energia pulita a prezzi accessibili. “Attraverso investimenti in infrastrutture e tecnologie negli Stati Uniti - aggiungono i vescovi - il governo ha l'opportunità unica di raggiungere la sicurezza energetica e affermare la propria leadership globale nella crescita di un settore energetico sostenibile”.

I poveri patiscono di più gli effetti dei cambiamenti climatici
I vescovi ricordano, poi, i principi dell’Enciclica "Laudato si'", nella quale Papa Francesco respinge ogni concezione ristretta e polemica del cambiamento climatico, ovvero non si escludono le cause dovute a fenomeni naturali, ma si riconosce che il riscaldamento globale negli ultimi decenni è dovuto anche - e soprattutto - alla grande concentrazione di gas serra rilasciati principalmente a seguito di attività umana. In sintonia con il pensiero del Pontefice, i vescovi ricordano l’importanza di implementare politiche che permettano l’adattamento delle popolazioni, specialmente le più povere e vulnerabili, e che attenuino gli effetti dei cambiamenti climatici, indipendentemente dalle cause. “I poveri e le popolazioni più vulnerabili - si legge nel testo - patiscono in modo sproporzionato gli effetti di uragani, inondazioni, siccità, carestie e scarsità di acqua”.

 

Stati Uniti siano esempio di solidarietà per il mondo
“Questo è un momento di incertezze e di opportunità significative per la nostra nazione e per il mondo - conclude la lettera dei vescovi - pieni di speranza in Dio, preghiamo perché il lavoro del governo contribuisca ad aumentare la ricchezza materiale, sociale e spirituale degli Stati Uniti e a rafforzare ulteriormente la solidarietà in tutto il mondo”.  (A cura di Alina Tufani)

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Orrore in Repubblica Democratica del Congo: decapitati 25 civili Hutu

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Non c'è pace per la Repubblica Democratica del Congo, dove 25 civili di etnia Hutu sono stati decapitati ad opera delle milizie Mai-Mai Mazembe di etnia Nende nel villaggio di Kyaghala, nella turbolenta provincia congolese del Nord Kivu. A riferirlo è il rappresentante locale del governo di Kinshasa.

Le violenze e la preghiera del Papa
Le vittime si vanno ad aggiungere ai circa cento morti dei giorni scorsi che si contano in varie aree del Paese. 
Papa Francesco, nel dopo Angelus in Piazza San Pietro, ha rivolto un pensiero di vicinanza al Congo ex Zaire, sconvolto dalle violenze. (R.B.)

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Iraq. Avviata l’offensiva contro Mosul ovest, roccaforte Is

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È iniziata questa mattina, dopo essere stata annunciata dal premier al Abadi, l’offensiva delle truppe irachene a Mosul ovest, ultima roccaforte del sedicente Stato Islamico nell’area. A quattro mesi dall’inizio delle operazioni contro l’Is, infatti, l’esercito iracheno ha riconquistato quasi per intero la città tranne la parte occidentale, circa il 40% della superficie totale, dove c’è la Medina e dove prima del conflitto risiedeva circa la metà della popolazione. I soldati stanno procedendo dal lato di Nineveh e dal sud, avanzando verso l’aeroporto - la cui conquista sarebbe particolarmente strategica per la riuscita dell’operazione - mentre è già stata dichiarata la ripresa del controllo nella centrale di al Lazaka, in prossimità del fiume Tigri. Questo quanto riferito in un comunicato ufficiale a firma del capo delle forze armate, il generale Abdulamir Yarallah.

In risposta due attentati dell'Is a Mosul ovest, almeno 3 morti e 12 feriti
Appena scattata l'offensiva irachena, l'Is è tornato a contrattaccare con due attentati kamikaze a Mosul ovest. Il primo attentatore si è fatto espoldere in un ristorante del quartiere al Zuhur, uccidendo un civile e ferendo almeno 7 persone; il secondo, invece, ha agito nel mercato di Nabi Yunis, causando due vittime e cinque feriti. 

L'allarme di Save the Children: 350 mila bambini in trappola
Sono circa 350 mila i bambini intrappolati nella parte ovest di Mosul dove è in corso l'offensiva da parte delle truppe irachene contro l'Is. Ad annunciarlo è Save the Children che ha anche lanciato un appello alla comunità internazionale affinché "faccia di tutto per proteggerli". L'ong, nello specificio, chiede corridoi di evacuazione sicuri che vengano istituiti il più rapidamente possibile. 

La preghiera di Papa Francesco
Papa Francesco questa mattina, al termine dell'Angelus in Piazza San Pietro, è tornato a parlare dell'Iraq, che assieme al Pakistan - ha detto -  è stato sconvolto da violenti attentati terroristici negli ultimi giorni. (R.B.) 

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Somalia. Autobomba esplode a Mogadiscio, almeno 15 morti

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È di almeno 15 morti e un numero imprecisato di feriti il bilancio di un violento attentato nella Medina di Mogadiscio, in Somalia. Secondo quanto riferito dalla polizia locale, ci sarebbe stata l’esplosione, probabilmente di un’autobomba, all’interno di un mercato, con feriti molto gravi.

L’attacco non è ancora stato rivendicato, ma i sospetti cadono su al Shabaab
L’attacco non è ancora stato ufficialmente rivendicato, ma si sospetta l'azione dei miliziani di al Shabaab, il gruppo di terroristi di matrice islamica attivo dal 2006 nell’Africa Orientale. (R.B.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 50

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.