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Sommario del 20/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai vescovi del Cile: annunciate la novità di Cristo

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Papa Francesco ha ricevuto stamani i presuli della Conferenza Episcopale del Cile, in visita "ad Limina Apostolorum", guidati dal loro presidente, mons. Santiago Jaime Silva Retamales. Tra i partecipanti, anche il card. Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago del Cile, intervistato al termine dell’incontro col Pontefice da Giada Aquilino

R. – Il Papa ha parlato con noi per circa tre ore e noi abbiamo dialogato con lui di tutti i problemi, con una semplicità e con un’apertura eccezionali che considero davvero un grande segno della riforma della Chiesa che vuole Papa Francesco, in senso di comunione, di sinodalità.

D. – Ci sono dei temi in particolare che sono stati toccati dal Papa e da voi?

R. – Problemi concreti di un popolo che è secolarizzato, pensando a come si evangelizza questo popolo secolarizzato; di un popolo che è governato fondamentalmente da persone che non sono credenti ma che sono aperte, con buona volontà, ad accogliere pure il messaggio della Chiesa. Abbiamo parlato di gioie e anche di sofferenze: la gioia, per esempio, di vedere una Chiesa che nel nostro Paese ha nella devozione popolare, specialmente della Madonna e dei Santi, una forza incredibile: basti pensare che la devozione alla Madonna del Carmine è presente dal deserto del Nord al freddo del Sud. Abbiamo parlato del clero, della formazione dei seminaristi, dei giovani che oggi hanno bisogno di essere ascoltati: il Papa ci ha parlato della ‘pastorale dell’orecchio’: camminare con loro ascoltandoli e annunciando la novità di Gesù Cristo. Abbiamo parlato poi di problemi sociali, dei nostri anziani e dei poveri.

D. – Eminenza, lei ha fatto cenno anche ai ‘dolori’ del vostro Paese e della Chiesa. La pedofilia, purtroppo, ha toccato anche la Chiesa cilena. E’ stato un argomento trattato?

R. – E’ stato senz’altro un argomento trattato, con molta sincerità, con la capacità - che il Papa ci ha chiesto - di essere attenti ai problemi, appunto, e alle ingiustizie che, quando si tratta soprattutto di pedofilia, sono mancanze gravissime riguardo ai diritti umani e sono anche un grave peccato davanti a Dio. Il Papa ci ha raccontato che una volta, uscendo dalla metropolitana di Buenos Aires, in una piazza affollata perché c’era una manifestazione, c’erano dei genitori con un bambino e questi genitori gridarono al piccolo: “Vieni via, perché ci sono i pedofili”. Il Papa ci rimase male, ma ora ci ha detto: “Guardate fino a che punto può arrivare una mentalità che vede il male dappertutto”. Quindi ci ha invitato a superare anche questa situazione.

D. – Tra le sfide della Chiesa oggi, in Cile, c’è anche l’attenzione alla società contemporanea: si discute molto dell’aborto, delle unioni tra persone dello stesso sesso. Qual è la via della Chiesa?

R. – E’ stato toccato anche questo tema, con il Santo Padre. Lui ci ha ricordato l’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, frutto del Sinodo e anche dell’intervento diretto del Santo Padre. Io ho avuto l’occasione di partecipare alle due sessioni del Sinodo, con l’apporto personale del Papa, l’attenzione al capitolo IV di “Amoris Laetitia”, e poi tutto il capitolo sull’educazione dei figli. E oggi è tornato a dirci che il capitolo fondamentale è il IV, ma poi abbiamo analizzato anche gli altri capitoli. Noi stiamo lavorando molto sulla famiglia; sappiamo che l’ambiente culturale è avverso; sappiamo quanto incida la ‘dottrina del genere’ e quanto influisca anche sulla vita concreta il tema del matrimonio e il tema della vita. Abbiamo lavorato e stiamo lavorando fortemente su questo.

D. – Si parla anche della questione dei Mapuche…

R. – Sono convinto che il popolo Mapuche abbia tutte le qualità e le possibilità per poter dialogare con lo Stato cileno: è un popolo maturo, che ha convinzioni profonde, che ha formazione profonda. Al presidente della Repubblica è stato presentato un documento, un mese fa. A capo dell’équipe di riflessione c’era il vescovo di Temuco. Come all’epoca dello sciopero della fame dei gruppi dissidenti c’era stato l’arcivescovo di Concepción – che allora ero io – adesso il vescovo di Temuco è a capo di tutto questo. Ciò significa anche una certa fiducia: anche se lo Stato di per sé è uno Stato laicista, comunque ha una certa fiducia in noi, anche se ci critica, poi alla fine viene a cercarci. E credo che questa sia un’opera molto bella della Chiesa.

D. – Un auspicio della Chiesa cilena per il futuro del Paese, a oltre 40 anni dai fatti del regime Pinochet…

R. – Possiamo camminare decisamente sulla via della riconciliazione profonda. La riconciliazione non dimentica i fatti: dimenticare sarebbe dimenticare la storia che è maestra di vita. Ma la riconciliazione significa andare anche più in là dei fatti e quindi io credo che i valori e il messaggio del Vangelo ci invitino a riconoscere le situazioni, soprattutto la mancanze riguardo ai diritti umani che hanno fatto un danno grandissimo e continuano a farlo, ancora dopo 40 anni. Ma significa anche volontà del perdono nella coscienza che quello che si perdona è gratuito: il perdono è sempre gratuito. Unire quindi la verità con una strada nuova di costruzione del futuro.

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Il Papa nella parrocchia di S. Maria Josefa: preghiera, antidoto contro l'odio

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Visita pastorale di Papa Francesco nel pomeriggio di questa domenica alla parrocchia romana di Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù a Ponte di Nona. La parrocchia nella periferia Est della capitale, era stata visitata 15 anni fa da Giovanni Paolo II quando la chiesa era appena stata costruita. Per Francesco è la tredicesima visita a una comunità parrocchiale della sua Diocesi, una comunità inserita in un quartiere che conosce problemi di degrado, povertà e disoccupazione. Nell'omelia, il forte invito del Papa a percorrere la via della santità chiedendo la grazia di non rimanere nel rancore e di riuscire a pregare per i nemici. Il servizio di Adriana Masotti

La Messa celebrata dal Papa nella chiesa di Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù sigilla un pomeriggio ricco di incontri con le persone e i gruppi della parrocchia.  Alla celebrazione eucaristica Francesco pronuncia l’omelia a braccio sottolineando che il messaggio proposto dalle letture è unico e indica un programma di vita: “Siate santi, perché Io, il Signore vostro Dio, sono santo” e “Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ma qual è il cammino per diventare santi?”. Gesù dice il Papa lo spiega con cose concrete:

“Niente vendetta. 'Ma, me l’hai fatta: me la pagherai!': questo è cristiano? No. 'Me la pagherai' non entra nel linguaggio di un cristiano. Niente vendetta. Niente rancore. E’ il cammino del perdono, del dimenticare le offese".

Le grandi guerre, spiega Francesco, tutto questo massacro di gente, di bambini, tutto l’odio che c’è nel mondo è lo stesso odio che tu hai nel tuo cuore per qualcuno. Certo, quello è "ingrandito", ma è lo stesso:

“Perdonare, nel mio cuore. Questa è la strada della santità e questo allontana dalle guerre. Ma se tutti gli uomini e le donne del mondo imparassero questo, non ci sarebbero le guerre: non ci sarebbero. La guerra incomincia qui, nell’amarezza, nel rancore, nella voglia di vendetta, di farmela pagare. Ma questo distrugge famiglie, distrugge amicizie, distrugge quartieri“.

Dio è magnanimo, continua il Papa, Dio ha il cuore grande, che tutto perdona, è misericordioso. Se Lui è misericordioso, se Lui è santo, se Lui è perfetto, noi dobbiamo essere misericordiosi, santi e perfetti come Lui. Questa è la santità:

“Io vi suggerisco di incominciare da poco. Tutti abbiamo nemici; tutti sappiamo che quello o quella sparla di me: tutti lo sappiamo. E tutti sappiamo che quello o quella mi odia. Tutti sappiamo. Incominciamo da poco”.

Gesù chiede poi di pregare per i nemici, per quelli che non sono buoni, per tutti:

"Noi preghiamo per quelli che ammazzano i bambini nella guerra? E’ difficile, è molto lontano... Ma dobbiamo imparare a farlo, perché si convertano. Noi preghiamo per quelle persone che sono più vicine a noi e ci odiano o ci fanno del male? 'Eh, Padre, è difficile, eh? Io avrei voglia di stringere il collo, eh?' – Ma prega! Prega perché il Signore cambi la vita. La preghiera è un antidoto contro l’odio, contro le guerre, queste guerre che incominciano a casa, che incominciano nel quartiere, che incominciano nelle famiglie … Pensate soltanto alle guerre di famiglie per l’eredità: quante famiglie si distruggono, si odiano per l’eredità".

La preghiera, dice ancora il Papa, è potente, la preghiera vince il male, la preghiera porta la pace. Gesù dice: “Voi siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”:

"E per questo, chiedere la grazia di non rimanere nel rancore, la grazia di pregare per i nemici, di pregare per la gente che non ci vuole bene, la grazia della pace. Vi chiedo, per favore, di fare questa esperienza: tutti i giorni una preghiera. 'Ah, questo non mi vuole bene: ma, Signore, ti prego …': uno per giorno. Così si vince, così andremo su questa strada della santità e della perfezione".

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Francesco ai bambini: il Papa è quello che Dio vuole per la Chiesa

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Quando era bambino Papa Francesco voleva fare il macellaio e fra i momenti più difficili della sua vita, c’è stata l’asportazione di una parte di un polmone a 20 anni. E’ stato lui stesso a soffermarsi su particolari intimi della sua vita nel vivace il dialogo a braccio con bambini e ragazzi del catechismo, ieri durante la visita alla parrocchia romana di Santa Maria Josefa, a Castelverde di Lunghezza. Ce ne parla Debora Donnini

Grande l’entusiasmo dei bambini che fanno a gara per farsi selfie con il Papa. Nel salone del teatro parrocchiale, prende corpo un gioioso “botta e risposta” contraddistinto dalla curiosità delle domande senza filtri dei più piccoli. Si parte dall’elezione del Papa operata dai cardinali con i loro voti.

Il Conclave non elegge il più intelligente ma chi Dio vuole
Fra “i colpevoli”, Francesco indica scherzando il cardinale Vicario Agostino Vallini, presente all’incontro. Colui che viene eletto non è necessariamente il più intelligente, “forse non è il più furbo” o “il più sbrigativo per fare le cose” ma “è quello che Dio vuole per quel momento della Chiesa”, spiega rispondendo ad una domanda:

“Come vedete, è un processo fatto di molta preghiera. Non si paga, non ci sono amici potenti che spingono, no, no. Dunque, chi fa il Papa?... No, la domanda la farò così: chi è la persona più importante in quel gruppo che fa il Papa? Pensateci bene! Chi è? [Uno dice: “Il Papa”]. No, il Papa non è fatto ancora. [Alcuni: “Dio”] Dio, lo Spirito Santo, che tramite il voto fa il Papa”.

Ma per diventare Papa prima di tutto bisogna “essere un buon cristiano”. “Il tempo passa, il Papa deve morire come tutti o andare in pensione come ha fatto il grande Papa Benedetto, perché non aveva buona salute”, prosegue Francesco, e arriverà un altro sempre “eletto dai cardinali sotto la luce dello Spirito Santo”.

La vita per me non è stata facile. Francesco ricorda quando gli fu tolta parte di un polmone
Le domande spaziano poi su temi più personali. “Tu, quando eri piccolo, che cosa volevi fare da grande?”, gli viene chiesto. “Volevo fare il macellaio”, risponde diretto Francesco, perchè gli piaceva quando lo vedeva lavorare al mercato. Poi si sofferma su un momento difficile della sua vita:

“Quando avevo 20 anni, sono stato vicino alla morte per un’infezione, mi hanno tolto parte di un polmone… ma il Signore mi ha portato avanti. E poi i momenti difficili che tutti abbiamo, tutti, nella vita. State attenti a questo! La vita è un dono di Dio, ma nella vita ci sono momenti brutti, ci sono momenti difficili che bisogna superare e andare avanti. Io ne ho avuti tanti, come tutta la gente”.

"Per me la vita non è stata facile", prosegue, le difficoltà ci sono e ci saranno per tutti ma si superano con la fede e con il coraggio.

Se il Papa non sente che è padre, gli manca qualcosa
Giulia poi chiede: “Come ci sente ad essere il rappresentante della Chiesa cattolica?”. “Con tanta responsabilità”, risponde Francesco: uno che rappresenta la Chiesa infatti non può fare “brutta figura”:

“E il Papa è anche vescovo e padre e quello che deve sentire il Papa è che è padre; se il Papa o il Vescovo non sente che è padre, gli manca qualcosa”. 

Le “parti” poi si invertono ed è Francesco a fare domande ai ragazzi su Dio, la Trinità e la Madonna.

L'incontro con famiglie assistite dalla Caritas: è Gesù che ha bisogno in chi chiede aiuto
Dopo il caloroso incontro con i ragazzi, quello con le famiglie assistite dalla Caritas. Il Pontefice raccomanda “l’apostolato dell’orecchio”: non solo dare qualcosa, ma ascoltare. E ricordarsi che quando qualcuno viene a chiedere aiuto, quella persona è Gesù:

“E’ Gesù che ha bisogno in questa persona. ‘Ma questa è una persona che sparla, che non va in chiesa, che non crede in Dio…’. Ma è Gesù. E’ Gesù. E’ la vostra preghiera che fa allargare il cuore e la fede: è Gesù, è con me, Gesù è con me, oggi. E questo pacco lo do a Gesù. E questo sorriso lo do a Gesù. Questa è la vostra strada di santità. Se voi fate questo, diventerete santi”.

E’ la tenerezza infatti che toglie il veleno alla lingua di serpente, che magari ha una persona. “Anche io”, conclude, “busso alla porta del vostro cuore” chiedendo non un pacco ma una preghiera.

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Il Papa riceve il card. Vallini

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina anche il cardinale vicario Agostino Vallini.

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Tweet: lasciamoci contagiare dal bene e contagiamo il bene!

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Un nuovo tweet di Papa Francesco è stato pubblicato oggi sull’account @Pontifex in nove lingue: “Se il male è contagioso, lo è anche il bene. Lasciamoci contagiare dal bene e contagiamo il bene!”.

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Oggi in Primo Piano



Offensiva su Mosul. Padre Ghazwan: civili senza cibo né acqua

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La pace invocata ieri all’Angelus dal Papa per l’Iraq sembra oggi ancora lontana. Ci vorranno almeno tre mesi, secondo fonti militari, perché si concluda l’offensiva avviata dall’esercito del premier al-Abadi contro i miliziani dell’Is asserragliati nella parte occidentale di Mosul. Quest’ ultima roccaforte finora è sembrata inespugnabile dai raid della coalizione internazionale, ma il timore maggiore riguarda ancora una volta i 650mila civili che vi sono intrappolati. Il servizio di Gabriella Ceraso

“Spazzeremo via Al Baghdadi”. E’ questa la promessa del governo iracheno che a 4 mesi dall’inizio della grande offensiva sulla Piana di Ninive e a un mese dalla liberazione dei quartieri orientali di Mosul ieri ha lanciato con tank, blindati e cacciabombardieri, l’assalto più difficile sulla riva destra di Mosul. Già bonificate le prime aree, ma ci vorranno almeno tre mesi nonostante si fosse parlato inzialmente di poche settimane per eliminare l’Is. Perché tanta lentezza e ancora tanti morti? L’analisi di Armando Sanguigni, consigliere dell’Istituto di Studi di politica internazionale:

R. - Si sarebbe dovuto partire molto prima: il tempo non perdona. Secondo: quello che sta avvenendo a Mosul è un po’ lo specchio delle contraddizioni dell’Iraq, nel senso che coloro che vogliono liberare Mosul hanno agende diverse e in parte contraddittorie e vogliono usare Mosul come chiave per catturare di più, la grossa preda che è l’Iraq nel suo insieme e il suo ruolo; e lì debbo dire che l’istanza iraniana è sicuramente quella più minacciosa.

D. – Cacciato l’Is da Mosul, l’Iraq è libero?

R. – Vinto militarmente l’Is, ci sarà da affrontare il tema di come sradicare le ragioni che lo hanno creato e alimentato. E lì debbo dire che la faglia politico-settaria è la massima responsabile di tutto quello che sta avvenendo, con la complicità di tanti anni di disastrosa cogestione americano-irachena. E’ chiaro che la gente ha paura del dopo, perché il dopo di chi sarà? Sarà di chi ha usato Mosul per imporre il proprio dominio politico o no? E questa è una grave domanda, perché oggi al-Abadi, l’attuale premier, sicuramente non è in grado di gestire un Paese, neanche in una configurazione federale, perché il vero dramma non è più sui curdi, che in Iraq vivono ben diversamente che in Siria, ma tra sunniti e sciiti. E lì, se non c’è una capacità politica di restituire al popolo iracheno la vera sovranità, si andrà verso una situazione molto, ma molto complicata.

Intanto dove l’Is passa tutto è raso al suolo e l’esercito farà altrettanto: l’Onu teme per gli sfollati di Mosul ma in realtà la popolazione per ora è in trappola, sfruttata e abusata,ci racconta il parroco di Alqosh, a pochi chilometri da Mosul, padre Ghazwan Baho:

 R.– Speriamo che sia l’ultima battaglia contro l’Is in questa città. La parte ovest della riva del Tigri è più popolata, conta circa un milione di persone. Soffrono veramente per tutto. Non c’è più cibo, non c’è più acqua … Però le persone non possono scappare perché c’è il fiume e chiunque prova a farlo, viene ucciso dall’Is. Quindi, in questo momento, non ci sono vie di uscita da questa città.

D. - Ma sappiamo che l’Onu sta preparando dei campi di accoglienza …

R. - Sì, questo accadrà quando l’esercito prenderà una parte di questa città e aprirà della vie d’uscita per le gente.

D. - Voi, che avete già vissuto la liberazione di Mosul Est, che idea vi siete fatti? Può riuscire un’operazione del genere?

R. - Sì può riuscire, però ci saranno tante vittime come è già accaduto nella parte Est di Mosul. Speriamo che i tempi siano più veloci rispetto a prima; dicono entro i tre mesi.

D. - Il vostro timore maggiore è per il dopo Mosul. Molti pensano ancora di partire, ma ci sono anche poche famiglie che tornano a popolare città liberate dall’Is: sono poche, ma è un segnale. Ed è la fede a dare ai cristiani la forza oltre che la vicinanza del Papa:

R.- La voce del Papa arriva sempre, soprattutto in questi momenti. Il patriarca è sempre in contatto con Roma. Noi sabato sera, dopo la Messa, abbiamo fatto una processione verso una collina, dove abbiamo posto una croce alta 12 metri. Abbiamo pregato tutta la notte, perché questa croce è la nostra salvezza, è la nostra forza.

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Guerra in Congo, un missionario: è lotta per le risorse naturali

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L’appello per la pace all’Angelus domenicale di Papa Francesco, pone l’attenzione, tra gli altri, sulla Repubblica Democratica del Congo. Dalla regione del Kasai Centrale continuano a giungere notizie di scontri brutali. Ma anche altre regioni congolesi sono colpite da violenze continue. In questa situazione la Chiesa è fortemente impegnata per riportare la stabilità nel Paese africano. Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Loris Cattani, missionario saveriano, membro della Rete “Pace per il Congo”: 

R. – La Conferenza episcopale è impegnata in una missione di mediazione tra l’opposizione e la maggioranza presidenziale, per portare a compimento l’accordo firmato il 31 dicembre dello scorso anno.

D. - La Repubblica Democratica del Congo rimane purtroppo terreno di confronto armato. Ci sono vari gruppi militari che operano in varie zone...

R. - Soprattutto per la questione del Kasai, che vede in contrasto le forze armate ed un gruppo armato, la soluzione non è tanto di tipo militare, quanto politico; nel senso che si tratta di una rivendicazione di un capo tradizionale. In ballo ci sono questioni di successione a capo del potere tradizionale, che vanno risolte col dialogo.

D. - Dietro questa serie di microconflitti, c’è anche il controllo del territorio, un territorio che è ricco di materie prime?

R. - Questo fenomeno si manifesta soprattutto nell’Est. È normale che si lotti per il controllo di un territorio ricco di risorse naturali, però queste risorse naturali vanno gestite dall’amministrazione. C’è un codice minerario che regola l’attività mineraria. Quindi si tratta di farlo applicare. Bisogna ripristinare l’autorità dello Stato sul territorio. Se non c’è un’autorità efficiente, è chiaro che si lascia libero spazio alle rivalità dei vari gruppi armati per impossessarsi, appunto, di un territorio in vista dello sfruttamento delle risorse naturali che si trovano in quel territorio.

D. - In questa situazione così instabile, in quali condizioni si trova la popolazione civile?

R. - La popolazione civile si trova tra due fuochi: i gruppi armati e l’esercito congolese. Quindi praticamente è proprio la popolazione civile che ne fa le spese, in quanto si vede poi costretta a fuggire, per evitare di essere vittima di uno scontro tra esercito e gruppo armato.

D. - Le speranza di pace sono ancora lontane?

R. - Se pensiamo un po’ al passato, in cui la guerra era ben visibile adesso si è fatto un passo avanti. Bisognerà continuare su questa linea, per rispristinare l’autorità dello Stato sul territorio. Quindi anche per i gruppi armati, la soluzione non è tanto di tipo militare, quanto politico: avere un’autorità dello Stato capace di gestire l’amministrazione, le risorse e i problemi locali.

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Congo: saccheggiati un seminario e una parrocchia

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I miliziani di Kamwina Nsapu hanno saccheggiato il seminario maggiore di Malole di Kananga, nel Kasai Centrale, nella Repubblica Democratica del Congo. Lo riferisce l’agenzia Fides. I miliziani hanno rotto sistematicamente le porte delle camere e distrutto tutto quello si trovava dentro.

Saccheggiato il seminario di Kasai, poi liberato dopo un’ora di scontri
"Sono entrati nelle camere degli insegnati ed hanno bruciato i loro bagagli” ha dichiarato a Radio Okapi il rettore del seminario, don Richard Kitenge. Dopo uno scontro durato un’ora, l’esercito è riuscito a liberare il seminario dai miliziani. Il fatto risale a sabato scorso, il giorno prima che Papa Francesco lanciasse il suo appello, dopo l’Angelus, per questa provincia congolese da mesi sconvolta dalle violenze dei seguaci del defunto leader tradizionale Kamwina Nsapu, ucciso ad agosto dalle forze di sicurezza. In un comunicato inviato all’agenzia Fides, il vescovo di Luiza, mons. Félicien Mwanama Galumbulula, aveva denunciato “violenze eccezionali e atrocità inimmaginabili nei confronti della popolazione”, commesse dai miliziani di Kamwina Nsapu in diverse località della sua diocesi del Kasai Centrale

Governo: movente politico dietro l’assalto ad una parrocchia di Kinshasa
Anche nella capitale Kinshasa si è avuto un grave atto vandalico nei confronti della Chiesa cattolica. Ieri una decina di giovani sconosciuti hanno saccheggiato la parrocchia di San Domenico alle prime luci dell’alba. Secondo la testimonianza del parroco, il gruppo era organizzato con zaini per portare via gli oggetti da depredare. Il governo congolese ha condannato l’assalto alla parrocchia ed ha affermato che gli assalitori avevano un movente politico.

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Allarme carestia in Sud Sudan: un milione a rischio fame

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Allarme carestia nel Sud Sudan, dove 100 mila persone stanno già soffrendo la fame e 1 milione sono a rischio di penuria di cibo. Servizio di Roberta Gisotti:

A denunciare la grave calamità che colpisce il Paese africano sono tre agenzie delle Nazioni Unite, Fao, Unicef e Pam e lo stesso governo. Dal dicembre del 2013 in Sud Sudan è in corso una guerra civile, esplosa a causa di uno scontro politico tra il presidente Salva Kiir e il suo ex vice Rieck Machar, accusato di aver tentato un golpe. Ne è seguito un conflitto etnico tra le tribù Dinka e Nuer con decine di migliaia di morti e milioni di sfollati. L'Onu perfino paventa che in Sud Sudan si consumi un genocidio. ''La nostra paura peggiore si è realizzata'', ha dichiarato Serge Tissot, capo della Fao in Sud Sudan, evidenziando che la guerra ha distrutto le zone fertili del Paese. Per cui oggi 5 milioni e mezzo di sud sudanesi, la metà della popolazione, soffre di insicurezza alimentare. I più vulnerabili sono i bambini, oltre 250 mila sono gravemente malnutriti e ''molti di loro moriranno'' se non avranno urgentemente aiuti alimentari, ha ammonito il capo dell'Unicef nel Paese africano, Jeremy Hopkins. ''Questa carestia - ha puntualizzato Joyce Luma, responsabile del Pam in Sud Sudan - “è stata provocata dagli uomini”. E, “in assenza di pace e sicurezza – ha aggiunto - l'assistenza umanitaria può fare quel che può''.

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Vescovo di Norcia: consegna casette in legno è vita che riparte

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Ieri mattina sono state consegnate a San Pellegrino di Norcia le prime 18 soluzioni abitative di emergenza per i terremotati. I moduli, da 60 e 40 metri quadrati, sono realizzati nel rispetto della normativa antisismica e del risparmio energetico, e in grado di ospitare nuclei famigliari da quattro e due persone. Nei prossimi giorni, saranno consegnate altre 20 casette, mentre nella zona industriale della città di San Benedetto, si sta lavorando per la realizzazione di altri 63 moduli. Grande soddisfazione del sindaco Nicola Alemanno: "Oggi possiamo dire - ha spiegato - che le istituzioni qui hanno lavorato come meglio non si potesse, nonostante le tante difficoltà”. Ascoltiamo il commento di mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, al microfono di Marina Tomarro

R. – Il ritrovare una casa anche se piccola e anche se non casa propria, dà innanzitutto un senso di sicurezza e direi anche di normalità: è la vita normale che riprende, piano piano, passo dopo passo. Il fatto di passare da una situazione di estrema precarietà, come può essere quella della vita sotto la tenda o in una roulotte, e arrivare in una casa stabile, ferma, fissa, dice che la vita riprende. E dunque c’era una lunga attesa nella gente della Valnerina di questo evento. Mi sembra che queste prime case siano davvero il segno della ripartenza. Un segno che viene reso fecondo anche dai gesti della solidarietà che mi piace definire della carità: uno degli assegnatari della casetta di legno ha rinunciato a quella che gli era stata assegnata per metterla a disposizione della signora più anziana del paese che non rientrava nella prima lista dei beneficiari delle casette.

D. – Com’è l’umore delle persone, in questo momento? Come stanno?

R. – E’ difficile definire l’umore, nel senso che la gente è provata; è provata da cinque mesi di minaccia di terremoto, dalla precarietà, dall’incertezza, anche dalla fatica fisica, certo. Nello stesso tempo, c’è una grande speranza, una determinazione, una voglia di riprendere, di ricominciare guardando avanti. Si attende, certo, l’intervento responsabile delle istituzioni a tutti i livelli e si ha molta fiducia che questo intervento si realizzi presto e in maniera diretta ed efficace. Insieme c’è determinazione della gente della Valnerina, fortemente attaccata al proprio territorio, alle proprie radici umane, culturali, religiose, gente che non vuole abbandonare il proprio paese, la propria cittadina e desidera lì ricostruire: non soltanto le case, non soltanto le aziende, ma ricostruire la propria vita con tutte le sue componenti.

D. – Quali sono le urgenze di questo momento? Di cosa hanno maggiormente bisogno, adesso?

R. – Io direi, di un luogo di incontro; un luogo dove i rapporti umani possano cementarsi, possano svilupparsi. Adesso c’è un po’ la situazione della dispersione: ognuno nella propria roulotte, fino a poco fa anche sotto le tende; adesso verranno, già ci sono i container, verranno le casette … Però la gente domanda anche un luogo dove potersi incontrare, dove poter coltivare delle relazioni e dove, naturalmente, anche poter celebrare i sacramenti della fede. Di fatto, grazie a Caritas italiana, a Norcia è iniziata ormai da una settimana la costruzione di un centro di comunità; altrettanti edifici sono in programma: nei prossimi giorni partirà la costruzione di centri di comunità anche a Cascia, ad Ancarano di Norcia e poi a Cerreto. Dunque, luoghi dove si possa sperimentare la bellezza dello stare insieme. Accanto a questo, certamente, la gente aspetta gli aiuti necessari per poter ritrovare un ritmo di vita che sia, per quanto possibile, sicuro, tranquillo e nello stesso tempo dignitoso.

D. – In questi giorni avete celebrato la seconda sessione dell’Assemblea Sinodale, dove vi siete confrontati sul tema “Per una Chiesa in comunione: rafforzare il senso di appartenenza”. Cosa ne è venuto fuori?

R. – E’ stato bello vedere i 160 delegati condividere, in gruppi da 10 persone, la propria esperienza di vita di Chiesa a livello parrocchiale, a livello di zona pastorale, a livello di diocesi. Si sente il bisogno anche qui - non tutta la diocesi è stata segnata dal terremoto - tutti sentono il bisogno di valorizzare e approfondire quei legami di conoscenza, di condivisione, di comunione che rendono bella la vita della Chiesa. Noi vogliamo che questa assemblea che, ripeto, prenderà tutto questo anno pastorale, ci aiuti a crescere nella comunione e nella missione. Queste sessioni ci aiutano ad approfondire uno o l’altro dei diversi aspetti per indicare poi quali possano essere le linee programmatiche per l’annuncio del Vangelo che vogliamo sia – come il Papa continua a ricordarci – sorgente di gioia per la vita dei credenti e per la vita degli uomini e delle donne di buona volontà.

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Statua di Papa Francesco al confine tra Messico e Usa

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Quattro metri e 60 cm di altezza, oltre una tonnellata di peso, bianca: si presenta così la scultura dedicata a  Papa Francesco, realizzata dall’artista messicano Pedro Francisco Martínez e collocata giovedì scorso a Ciudad Juárez, alla frontiera tra Messico e Stati Uniti L’opera è stata collocata precisamente nel “Punto”, dove è posta la frontiera tra i due Paesi, il luogo che il Pontefice visitò un anno fa come ultima tappa del suo viaggio in Messico.

Un simbolo di amore e solidarietà
“E’ un simbolo dell'amore, bontà e solidarietà, ha spiegato l'artista Pedro Francisco Martinez. Il braccio sinistro è parallelo al Rio Bravo, il fiume che divide il Messico dagli Stati Uniti perché lanci un messaggio di speranza con la colomba, e unisca la nostra città con El Paso, ovvero la città in Texas, Usa, subito dopo il confine. “Sono città unite  - prosegue lo scultore - che non devono essere separate né da un muro né da un fiume. La comunità umana non ha frontiere”.

Cerimonia di inaugurazione con messa conclusiva
Alla cerimonia di inaugurazione, lo scorso 17 febbraio, da programma figura la presenza del sindaco della città messicana, Enrique Serrano, e dell’orchestra Aztec, formata da 120 giovani musicisti. A presiedere la Messa conclusiva, infine, il vescovo locale, mons. Josè Guadalupe Torres. Negli ultimi giorni decine di migliaia di messicani – riferiscono i media locali – sono scesi in piazza per protestare contro la decisione del neo presidente Usa Trump di costruire un muro alla frontiera tra i due Paesi. Proteste si sono registrate anche in alcune città statunitensi. (A cura di Paolo Ondarza)

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Fiocchi in ospedale: si estende in Italia il sostegno alle neomamme

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Grazie alla collaborazione tra Save the Children e la Fondazione Arché onlus, al San Camillo-Forlanini di Roma è approdato il progetto “Fiocchi in ospedale” per aiutare e assistere le mamme prima e dopo il parto. Si tratta del sesto sportello in un ospedale italiano, nato con l'obiettivo di migliorare il benessere del nucleo familiare in un momento fondamentale della sua vita. Il servizio di Roberta Barbi: 

Un incontro di armonie tra due realtà leader nel settore dei servizi sociali come Save the Children e Arché: solo così si poteva implementare anche all’ospedale San Camillo, al piano terra del reparto di Ostetricia-ginecologia, uno spazio accogliente con fasciatoi, sale per l’allattamento e occasioni d’incontro con ginecologi, psicologi e professionisti del settore nascita, dedicato alle mamme in attesa e alle neomamme in difficoltà. Ci racconta come sta andando, il coordinatore locale dei servizi in ospedale di Arché, Uli Mittermair:

“Fin dall’inizio il nostro progetto è stato caratterizzato dalla collaborazione. Noi non siamo tuttologi: se viene una mamma qui che ha problemi di allattamento, noi chiamiamo un’ostetrica; c’è una mamma che ha problemi linguistici? Ci sono i mediatori culturali che fanno turni giornalieri in questo ospedale. C’è una mamma che non capisce cosa succede al suo bambino? Abbiamo la possibilità di andare a parlare con il medico… in ogni caso siamo informati e possiamo lavorare con la mamma in tempi che sono più idonei ad aiutarla”.

Il progetto di Save the Children “Fiocchi in ospedale”, attivo nel Lazio dove in pochi anni il dato sulla povertà relativa delle famiglie è salito al 6.9%, ha integrato e valorizzato le attività che già da alcuni anni svolgeva in questo ospedale Arché, come spiega ancora Mittermair: 

“Quando siamo entrati qui all’ospedale San Camillo abbiamo trovato una grandissima sensibilità al sociale. La particolarità qual era? Che qui non si veniva per una malattia, ma si veniva per partorire. Per il medico non c’è tempo di aspettare i tempi delle famiglie, noi, invece, quello che facciamo prima di tutto è aspettare le famiglie, conoscere le famiglie, fare in modo che le famiglie conoscano noi, aspettiamo di comprendere cosa sta succedendo insieme alla famiglia e quali sono le loro capacità e i loro punti di forza: incominciamo da lì”.

La Fondazione Arché onlus nasce a Milano oltre 25 anni fa, inizialmente si occupa di una nuova emergenza di cui allora alcuni minori erano protagonisti: quella dell’Hiv perché nati da mamme sieropositive. In seguito, con i progressi della medicina nell’ambito delle cure per l’Aids, l’attenzione si è spostata sul nucleo mamma-bambino con disagio sociale e fragilità personale, ma senza dimenticare la sua missione originale, quella di “inventare ogni giorno la speranza” come spiega il padre sacramentino Giuseppe Bettoni, che ha fondato Arché nel 1991:

“Nel 1991, quando abbiamo scoperto l’Hiv pediatrico, siamo venuti a contatto con situazioni familiari a dir poco drammatiche. Ci si misurava con la malattia, con la morte e con la sopravvivenza, quindi con il destino di questi bimbi sani che rimanevano orfani; un contesto in cui di speranza ce n’era davvero poca. Ci siamo interrogati su quale fosse la nostra missione: era anche quella di dare una speranza che andasse un po’ al di là di quello che le persone vivevano come una colpa, specialmente le mamme dicevano: 'Come, io ho dato la vita a questa creatura, ma gli ho dato anche la morte per colpa dei miei peccati e dei miei errori?'”.

Oggi Arché non offre solo spazi neonato-famiglia, ma assistenza e aiuto a tutto tondo a mamme e bambini in difficoltà in Italia e all’estero, perché tiene ben presente la definizione che di salute dà l’Organizzazione Mondiale della Sanità: “Uno stato completo di benessere fisico mentale e sociale, non solo l’assenza di malattia”. Dei vari progetti attuati ci parla ancora padre Bettoni:

“Abbiamo due strutture di accoglienza a Milano, un progetto d’intervento sugli ospedali a Milano, a Roma e a San Benedetto del Tronto, abbiamo anche progetti su Milano e su Roma di assistenza domiciliare con minori in gravi difficoltà; abbiamo la presenza in Africa di due giovani che si dedicano alla prevenzione dell’Hiv, siamo in Zambia nella diocesi di Monze e in Kenya nella diocesi di Kisii. Stiamo sviluppando in quest’ultimo tempo un progetto importantissimo verso l’autonomia di queste mamme dove, accanto agli appartamenti dove accogliamo le mamme dopo le comunità, stiamo facendo partire un laboratorio di sartoria. Questo del lavoro è il futuro: si tratta di inventare, ancora, la speranza”.

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Al via la campagna "Cresciuto in Oratorio"

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Oggi volti noti in vari ambiti come sport, spettacolo, imprenditoria, un tempo ragazzi con un una passione in comune: l’oratorio. Sono tanti i vip amati dal grande pubblico che hanno trascorso parte della loro infanzia in attività ludiche o ricreative all’interno delle sale o dei campi parrocchiali. Sono i protagonisti della campagna “Cresciuto in oratorio” promossa da Odielle, Oratori delle diocesi lombarde, e finanziata dalla Regione Lombardia. Tra loro spiccano i nomi dell’attore Giacomo Poretti, del calciatore Manuel Locatelli, del tennista Corrado Barazzutti, della cantante Bianca Atzei, del cantautore Davide Van de Sfroos e del calciatore Beppe Bergomi.

Il campione mondiale Bergomi: l’oratorio è stato la mia scuola calcio
Quest’ultimo, campione mondiale nel 1982 e storico capitano dell’Inter,  in un video disponibile su Youtube racconta: “L’oratorio è stato la mia scuola calcio. E anche la mia scuola di vita”. Da giovanissimo infatti Bergomi ha tirato i primi calci a un pallone nell’oratorio di Settala, la sua città natale. Lì il calciatore ha scoperto la sua passione e il suo talento. Non solo: i ritiri spirituali, le giornate in oratorio o i campeggi estivi, spiega ancora, sono state occasione per imparare “spirito di squadra che poi ho portato anche in serie A”.

Tanti i volti, noti e non, “Cresciuti in Oratorio”
La campagna “Cresciuto in Oratorio” si compone non solo di volti noti, ma di chiunque desideri raccontare sul sito www.cresciutoinoratorio.it la propria esperienza di gioco e formazione “sotto il campanile”: ne emerge un quadro variegato di testimonianze e contributi che dimostrano come la formazione giovanile in oratorio abbia dato frutti significativi nelle attività professionali in età adulta.  Per “raccontarsi” è possibile utilizzare Facebook, caricando una foto e un testo o un video di novanta secondi.

Al via laboratori di musica e cinema
L’iniziativa è partita dallo scorso primo febbraio quando Davide Van De Sfrooos e Giacomo Poretti si sono offerti di riportare in oratorio le competenze acquisite offrendo ai ragazzi due laboratori, uno di cinema e uno di musica. Il primo selezionerà le tre band migliori, che suoneranno due brani sul palco dello Stadio di San Siro a Milano il 9 giugno 2017 nel pomeriggio prima del suo concerto. Il secondo insegnerà ai ragazzi come si fa un vlog, ovvero un videoblog. E rimontando i video che riceverà, scriverà un “racconto dei racconti” sugli oratori che verrà presentato a Venezia in concomitanza con la 74.ma Mostra Internazionale d'arte cinematografica.

Previsto un percorso di giornalismo
Infine è previsto un percorso di giornalismo sostenuto dal quotidiano Il Giorno che nelle pagine locali o sul web ospiterà i racconti delle attività degli oratori, corredati di foto, alla mail oratori@ilgiorno.net. (A cura di Paolo Ondarza)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 51

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.