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Sommario del 21/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa sui migranti: è imperativo morale accoglierli e proteggerli

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“Assieme al diritto di poter emigrare, deve essere garantito anche il diritto di non dover emigrare”, trovando nella propria patria la possibilità di una vita dignitosa. Per quanti fuggono invece “occorre aprire canali umanitari accessibili e sicuri”. Così Papa Francesco ricevendo stamattina in Vaticano i partecipanti al VI Forum Internazionale “Migrazione e pace” in corso a Roma. Il Forum, spiega nel suo saluto al Papa mons. Silvano Maria Tomasi del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, convoca ogni due anni diversi attori sociali e politici alla ricerca di nuove strade per umanizzare il fenomeno migratorio e ridurre le sofferenze dei migranti. L’evento è organizzato dal Dicastero sullo Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, lo Scalabrini International Migration Network e la Fondazione Konrad Adenauer. Hanno preceduto il discorso del Papa alcune testimonianze di immigrati. Il servizio di Adriana Masotti

Le parole di un'immigrata al Papa:

"Siamo eritrei, siamo ortodossi, con percorsi di fuga differenti. Io ho attraversato il Mar Rosso per andare in Yemen, mentre mio marito ha attraversato il deserto del Sudan e della Libia ed è giunto qui in Italia attraverso la rotta mediterranea, giungendo a Lampedusa...."

Nel racconto di una donna eritrea arrivata in Italia con la sua famiglia attraversando il deserto e il mare, c’è tutto il dramma di chi è costretto a scappare dalla propria terra a causa di conflitti, violenza e povertà. Le migrazioni sono sempre esistite ma, dice il Papa, preoccupa la natura forzosa di molti flussi migratori di oggi, che aumenta le sfide poste alla comunità politica, alla società civile e alla Chiesa. E indica in quattro momenti quella che dovrebbe essere la comune risposta: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Spesso siamo indotti, dice il Papa, a non guardare al prossimo come ad un fratello da accogliere:

"Di fronte a questa indole del rifiuto, radicata in ultima analisi nell’egoismo e amplificata da demagogie populistiche, urge un cambio di atteggiamento, per superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza verso coloro che bussano alle nostre porte. Per quanti fuggono da guerre e persecuzioni terribili, spesso intrappolati nelle spire di organizzazioni criminali senza scrupoli, occorre aprire canali umanitari accessibili e sicuri”.

Ma non basta accogliere, è necessario anche proteggere i migranti resi più vulnerabili allo sfruttamento e alla violenza:

"Proteggere questi fratelli e sorelle è un imperativo morale da tradurre adottando strumenti giuridici, internazionali e nazionali, chiari e pertinenti; compiendo scelte politiche giuste e lungimiranti; prediligendo processi costruttivi, forse più lenti, ai ritorni di consenso nell’immediato; attuando programmi tempestivi e umanizzanti nella lotta contro i “trafficanti di carne umana” che lucrano sulle sventure altrui; coordinando gli sforzi di tutti gli attori, tra i quali, potete starne certi, ci sarà sempre la Chiesa”. 

Lo sviluppo, continua Francesco, è un diritto innegabile di ogni essere umano. Anche in questo è necessaria un’azione coordinata:

“La promozione umana dei migranti e delle loro famiglie comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare , ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza. A tal fine vanno incoraggiati gli sforzi che portano all’attuazione di programmi di cooperazione internazionale svincolati da interessi di parte e di sviluppo transnazionale in cui i migranti sono coinvolti come protagonisti”.

Riguardo all’integrazione, il Papa sottolinea che essa non è né assimilazione né incorporazione, ma un processo bidirezionale che si fonda sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro. Rapportarsi in modo diverso nei confronti di quanti sono costretti a lasciare il proprio luogo di origine è un dovere di giustizia, afferma Francesco perché non sono più sostenibili e non sono più accettabili le disuguaglianze economiche oggi esistenti, tutti devono poter “beneficiare dei frutti della terra”:

"Non può un gruppetto di individui controllare le risorse di mezzo mondo. Non possono persone e popoli interi aver diritto a raccogliere solo le briciole.(...) Fare giustizia significa anche riconciliare la storia con il presente globalizzato, senza perpetuare logiche di sfruttamento di persone e territori, che rispondono al più cinico uso del mercato, per incrementare il benessere di pochi”.

Francesco ricorda poi la centralità della persona umana in tutte le sue condizioni, anche l’irregolarità legale non consente sconti sulla sua dignità.  E va anche recuperato il valore della fraternità.  Per noi cristiani, poi, conclude il Papa, l’ospitalità offerta al forestiero è offerta a Gesù Cristo stesso:

“Per questo «è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore".

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Papa: santa vergogna vinca tentazione dell'ambizione anche nella Chiesa

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Il Signore ci dia la grazia della “santa vergogna” di fronte alla tentazione dell’ambizione che coinvolge tutti, anche la comunità ecclesiale. E’ l’esortazione del Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ricorda l'invito di Gesù a mettersi al servizio di tutti. Il servizio di Debora Donnini

“Tutti saremo tentati”. Parte da questo dato di fatto nella vita cristiana, l’omelia di Francesco sulle Letture odierne: la prima ricorda che chi vuole servire il Signore, si deve preparare alla tentazione, il Vangelo narra di Gesù che annuncia ai discepoli la sua morte, ma loro non capiscono e hanno timore di interrogarlo. Questa è “la tentazione di non compiere la missione”, dice il Papa. Anche Gesù fu tentato: prima nel deserto per tre volte dal diavolo e poi da Pietro sempre davanti all’annuncio della sua morte.

La tentazione dell’ambizione è anche fra vescovi e nelle parrocchie
Ma c’è un’altra tentazione di cui parla il Vangelo: i discepoli per strada discutono, infatti, su chi di loro fosse il più grande e tacciono quando Gesù gli chiede di cosa stessero parlando. Tacciono perché si vergognano di quella discussione:

“Ma era gente buona, che voleva seguire il Signore, servire il Signore. Ma non sapevano che la strada del servizio al Signore non era così facile, non era come un arruolarsi in un’entità, un’associazione di beneficenza, di fare il bene: no, è un’altra cosa. Avevano timore di questo. E poi la tentazione della mondanità: dal momento che la Chiesa è Chiesa fino a oggi, questo è successo, succede e succederà. Ma pensiamo nelle parrocchie alle lotte: ‘Io voglio essere presidente di questa associazione, arrampicarmi un po’’, ‘Chi è il più grande, qui? Chi è il più grande in questa parrocchia? No, io sono più importante di quello e quello lì no perché quello ha fatto qualcosa …’, e lì, la catena dei peccati”.

La tentazione che porta a “sparlare dell’altro” e ad “arrampicarsi”. E Francesco fa altri esempi concreti per far comprendere questa tentazione:

“Alcune volte lo diciamo con vergogna noi preti, nei presbiteri: ‘Io vorrei quella parrocchia …’ – ‘Ma il Signore è qui …’ – ‘Ma io vorrei quella …’. Lo stesso. Non la strada del Signore, ma quella strada della vanità, della mondanità. Anche fra noi vescovi succede lo stesso: la mondanità viene come tentazione. Tante volte, ‘Io sono in questa diocesi ma guardo quella che è più importante e mi muovo per fare … sì, muovo quest’influenza, quest’altra, quell’altra, quest’influenza, faccio pressione, spingo su questo punto per arrivare là …’ – ‘Ma il Signore è là!’”.

La santa vergogna per la tentazione della mondanità: siamo servi inutili
Il desiderio di essere più importanti ci spinge verso la strada della mondanità. E il Papa esorta quindi a chiedere sempre al Signore “la grazia di vergognarci, quando ci troviamo in queste situazioni”. Gesù capovolge infatti quella logica: ricorda ai Dodici che “se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti” e prende un bimbo e lo mette in mezzo a loro. Il Papa chiede quindi di pregare per la Chiesa, “per tutti noi” perché il Signore ci difenda “dalle ambizioni, dalle mondanità di quel sentirsi più grandi degli altri”:

“Che il Signore ci dia la grazia della vergogna, quella santa vergogna, quando ci troviamo in quella situazione, sotto quella tentazione, vergognarsi: ‘Ma io sono capace di pensare così? Quando vedo il mio Signore in croce, e io voglio usare il Signore per arrampicarmi?’. E ci dia la grazia della semplicità di un bambino: capire che soltanto la strada del servizio … E forse, io immagino un’ultima domanda: ‘Signore, ti ho servito tutta la vita. Sono stato l’ultimo tutta la vita. E adesso, che?’, cosa ci dice il Signore? ‘Di’ di te stesso: ‘Servo inutile sono’”.

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Santa Sede: fermare il mercato globale della tratta

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E’ urgente e doveroso porre fine al traffico di esseri umani e a tutte le forme di sfruttamento, in particolare la prostituzione, il lavoro forzato, il commercio di organi umani e l’uso dei bambini su internet e in guerra. Così l’arcivescovo Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, intervenuto alla 22.ma Conferenza Internazionale sul tema “Sostenere la protezione dei rifugiati. Diritti umani e leggi umanitarie: il ruolo di Ginevra nella ‘azione umanitaria internazionale”. Il servizio di Paolo Ondarza

Perseguire i trafficanti attraverso leggi nazionali e internazionali
Ricordando il dramma crescente dei circa 244 milioni di migranti nel mondo, spesso in fuga da guerre e persecuzioni e la loro facile esposizione -specialmente donne e bambini - al mercato globale clandestino della tratta, il presule ha esortato la comunità internazionale a perseguire i trafficanti sulla base di chiare leggi nazionali e internazionali. Tra queste ha suggerito la confisca dei profitti derivanti dalle attività illecite e il conseguente risarcimento con tali fondi delle vittime, spesso sfruttate a livello sessuale o obbligate a lavori forzati nascosti in stabilimenti illegali, fabbriche, case o aziende agricole clandestine.

Un business da 32 mld di dollari
Il business della tratta in effetti – ha spiegato l’Osservatore permanente - frutta circa 32 miliardi di dollari ed è terzo solo al commercio di armi e droga. Inoltre sebbene esistano normative condivise a livello internazionale  che condannano il traffico e lo sfruttamento delle persone, permangono divergenze interpretative di tali norme da parte di tribunali nazionali e regionali. Mons. Jurkovič si dice però convinto che sia possibile creare un consenso unanime nel tutelare la dignità di ogni persona umana.

Costante la condanna della tratta da parte della Chiesa
Ecco perché – è la raccomandazione del presule – “la comunità internazionale ha il dovere morale e legale di  sradicare questa grave violazione dei diritti umani e deve sforzarsi affinché tutti gli esseri umani convivano in libertà, uguaglianza, armonia e pace. Il delegato della Santa Sede suggerisce a tal fine una collaborazione tra intellettuali, leader morali e religiosi e reti sociali globali. Quindi ricorda la condanna della tratta più volte rimarcata dagli ultimi pontificati e la particolare sollecitudine sul tema manifestata da Papa Francesco. La Chiesa – ha ricordato l’arcivescovo – collabora attraverso le sue organizzazioni con altre istituzioni, religiose e non, nella prevenzione della tratta e nel reinserimento delle vittime nella società, e dedica queste ultime la Giornata Mondiale dell’ 8 febbraio, nella memoria di santa Giuseppina Bakita.

La tratta può essere sconfitta
La tratta può essere sconfitta. Incoraggiante l’auspicio espresso da mons. Jurkovič: “una delle sfide per tutti noi - ha detto ai partecipanti alla Conferenza Internazionale di Ginevra– è diventare l’ultima generazione che deve combattere il commercio di vite umane”.

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Tauran in Egitto per un seminario contro il fanatismo religioso

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Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, si recherà dal 22 al 23 febbraio al Cairo, in Egitto, per partecipare ad un Seminario presso l’Università di Al-Azhar, uno dei principali centri d'insegnamento religioso dell'Islam sunnita. Tema dell’evento: "Il ruolo di al-Azhar e del Vaticano nel contrastare i fenomeni di fanatismo, estremismo e violenza in nome della religione". Il porporato è accompagnato dal segretario del Pontificio Consiglio, mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, e da mons. Khaled Akasheh, capo Ufficio per l’Islam. Della delegazione cattolica farà parte anche mons. Bruno Musarò, nunzio apostolico in Egitto.

Dopo lo storico incontro tra Papa Francesco e il Grand Imam di Al-Azhar, il prof. Ahmad Al-Tayyib, avvenuto il 23 maggio 2016, il segretario del Dicastero vaticano si è recato più volte al Cairo, dove ha avuto diversi incontri e riunioni preliminari. La riunione si svolgerà, come in precedenza, alla vigilia del 24 febbraio, in ricordo della visita che San Giovanni Paolo II fece ad Al-Azhar, in quel giorno dell’anno 2000.

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Gli aiuti del Papa per il Sahel contro la desertificazione

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Dal 21 al 25 febbraio si terrà a Dakar, in Senegal, la riunione annuale del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel che, affidata dal Santo Pontefice fin dalla sua nascita nel 1984 al Pontificio Consiglio Cor Unum, ora rientra nelle competenze del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Al CdA prenderà parte il segretario delegato del Dicastero, mons. Giampietro Dal Toso, in qualità di osservatore della Santa Sede; è prevista la visita del nunzio apostolico in Senegal, mons. Michael Wallace Banach. Nel corso della riunione, si esamineranno i progetti in attesa di finanziamento; quelli già finanziati nel 2016 sono stati 43 in 6 Paesi, con uno stanziamento totale di circa 550.000 dollari; fino al 2015 sono stati circa 3.200, per un totale di oltre 37.000.000 di dollari.

Con la collaborazione, in particolare, della Conferenza Episcopale Italiana, della Conferenza Episcopale Tedesca e della Chiesa locale, la Fondazione realizza, a nome del Santo Padre, progetti contro la desertificazione e per la gestione e lo sviluppo delle unità agricole, per gli impianti di pompaggio dell’acqua, per il miglioramento delle acque potabili e per le energie rinnovabili, in favore delle comunità dei Paesi membri (Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Mali, Mauritania, Niger e Senegal). La Fondazione si occupa, inoltre, di formare personale tecnico specializzato. Nel corso degli anni, ha anche potuto favorire il dialogo interreligioso: la maggioranza dei beneficiari, infatti, è di religione musulmana.

Gli ultimi dati dello Human Development Index, che misura l’indice di sviluppo umano per ciascun Paese, evidenziano come, tra gli ultimi 20 della graduatoria, 19 appartengono all’Africa e, di questi, 7 si trovano nella zona del Sahel. Ad aggravare la situazione sono, oggi specialmente, le frequenti crisi alimentari, l’esaurimento delle risorse naturali, soprattutto idriche, e la violenza perpetrata sulla popolazione dell’area, che vede la presenza di gruppi estremisti.

I membri del CdA sono: S.E. Mons. Sanou Lucas Kalfa, Vescovo di Banfora (Burkina Faso), Presidente; S.E. Mons. Mamba Paul Abel, Vescovo di Ziguinchor (Senegal), Vicepresidente; S.E. Mons. Happe Martin Albert, Vescovo di Nouakchott (Mauritania), Tesoriere; S.E. Mons. Ouédraogo Ambroise, Vescovo di Maradi (Niger); S.E. Mons. Ildo Fortes, Vescovo di Mindelo (Capo Verde); S.E. Mons. Djitangar Edmond, Arcivescovo di N’Djamena (Ciad); S.E. Mons. Ellison Robert Patrick, Vescovo di Banjul (Gambia); S.E. Mons. Pedro Carlos Zilli, Vescovo di Bafata (Guinea Bissau); S.E. Mons. Traoré Augustin, Vescovo di Segou (Mali). 

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Mostra Evangelii Gaudium. Papa: contagiare con la bellezza della fede

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“I testi e le immagini di questa mostra possano far crescere il desiderio di uscire e contagiare tutti con la bellezza della fede”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un chirografo per la mostra itinerante sulla Evangelii Gaudium, “Una Chiesa che esce”, curata dal vaticanista di Repubblica, Paolo Rodari, per la Emi, l’Editrice Missionaria Italiana. La mostra di 15 pannelli presenta alcuni concetti chiave dell’Esortazione apostolica. “La gioia del Vangelo – si legge ancora nel chirografo – riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Alessandro Gisotti ha chiesto a Paolo Rodari come sia nata questa originale iniziativa di evangelizzazione: 

R. – L’idea è della casa editrice Emi, la casa Editrice dei Missionari Italiani, che mi ha proposto di fare i testi di questa mostra. E’ una cosa che non avevo mai fatto: all’inizio ero un po’ titubante, perché non credo che Bergoglio in generale abbia bisogno di esegeti, cioè di qualcuno che lo interpreti, e in particolare i suoi testi sono chiari di per sé, insomma, non c’è bisogno che qualcuno li spieghi. Però, in effetti, lui stesso, a Firenze, al Convegno ecclesiale di Firenze chiese in qualche modo che aiutasse tutti a entrare in questo testo che era un po’ – tra virgolette – il suo programma di Pontificato. Allora, l’idea di poter semplicemente dare un contributo, un aiuto, offrendo la mia visione, cioè come io giornalista vaticanista vedo questo testo, mi è sembrata una cosa, in fondo, fattibile. E quindi, l’idea è nata in risposta alla domanda di questa casa editrice che voleva avere questa modalità per aiutare i fedeli e coloro che sono interessati a entrare un po’ di più in questo testo decisivo.

D. – Nel chirografo firmato di suo pugno per questa mostra, Papa Francesco si augura che – appunto – attraverso questa mostra si possa contagiare tutti con la “bellezza della fede”: le immagini aiutano molto, in questo senso …

R. – Intanto, questo chirografo è stato un grande dono di cui siamo contenti; è stata una cosa che ci ha confermato che il lavoro è stato un lavoro giusto, il tentativo – usando testi ma anche immagini – di entrare un po’ di più nel senso di questo Pontificato. Cioè, una Chiesa che deve imparare tutta insieme a uscire, ad andare fuori da una visione chiusa, da una certa autoreferenzialità e andare incontro all’uomo. E allora io ho cercato di far parlare la stessa Chiesa, dove questo esercizio è già svolto. Ci sono tanti esempi, anche tante immagini che usano in questo senso, ma sostanzialmente gli esempi sono esempi di vita vissuta, cioè tanti sacerdoti e laici che già vivono questa spinta a uscire, magari anche in posti di confine, che non sono ritenuti "il centro della Chiesa", ma che lo sono nel momento in cui agiscono in questo modo.

D. – A chi è rivolta, in particolare, questa mostra? Quali sono anche le aspettative tue e della Emi?

R. – E’ rivolta, ovviamente, a tutti coloro che vogliono approfondire questo testo che dicevamo, appunto, positivo. L’aspettativa è che sostanzialmente le parrocchie, i centri culturali la facciano propria, la espongano e aiutino tutti coloro che hanno questa sensibilità, che hanno anche questo desiderio di conoscere meglio non solo questo testo, ma attraverso questo testo anche questo Pontificato così innovativo, che le parrocchie e i centri culturali anzitutto la prendano, la affittino, la comprino e possano aiutare coloro che sono interessati a entrare nel cuore di questo testo e quindi nel cuore del Pontificato di Francesco.

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Oggi in Primo Piano



Libia: nuovo naufragio, morti oltre 70 migranti

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I corpi di 74 migranti irregolari sono stati trovati sulla costa occidentale libica tra ieri e oggi, a una cinquantina di chilometri da Tripoli: lo ha riferito la Mezzaluna rossa libica, che ha rinvenuto un'imbarcazione in grado di portare oltre cento persone. Non si esclude, quindi, che il mare possa restituire i corpi di altre vittime di questo nuovo naufragio.  Le vittime sarebbero di varie nazionalità africane.

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Il vescovo di Atene: "Ci aiuteranno dopo che ci hanno ammazzati!"

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E’ ancora paralisi in Grecia dopo il fallimentare Eurogruppo di ieri. Non c’è accordo col Fondo monetario internazionale per un nuovo pacchetto di aiuti ad Atene che entro l’estate deve riempire le casse e pagare stipendi, pensioni e servizi. L’Europa chiede riforme, senza più austerità, ma sono parole vuote davanti ad una popolazione ridotta allo stremo. “Lo Stato non ha più soldi e stiamo diventando tutti mendicanti. Vanno cambiate le politiche”: è questo il forte appello di mons. Sevastianos Rossolatos, arcivescovo dei cattolici di Atene, al microfono di Gabriella Ceraso: 

R.  – Lo Stato deve tanti soldi ai privati e alle aziende e non può pagarli, deve dei miliardi. L’economia non si può muovere così, il commercio non può andare avanti. I negozi continuamente chiudono. Ci troviamo di fronte ad uno Stato che ci sta succhiando il sangue e non sappiamo come fare. Certamente ci vogliono riforme, ma ci stiamo convincendo che ci faranno prima morire poi faranno le riforme dello Stato.

D. – Quello su cui si è inciso sempre in questi mesi, per quanto riguarda i tagli, sono state le pensioni. Come va sotto questo punto di vista?

R.  – Tante famiglie, tanti nonni aiutano i loro figli disoccupati con le loro pensioni e le pensioni continuano anche quest’anno a diminuire. Gli stipendi diminuiscono e quello che deve pagare un lavoratore per l’assicurazione invece aumenta. E’ una pazzia. Quando esco da casa devo pensare sempre a prendere con me dei soldi perché incontrerò senzatetto e non posso girare la testa altrove.

D. – Tagli alle pensioni significa mancanza di futuro anche per i ragazzi che non hanno sbocchi è così?

R.  – Sono usciti negli anni di crisi dal Paese 450 mila giovani. Stiamo preparando degli scienziati e li mandiamo all’estero a sostenere l’economia di altri Paesi!

D.  – Io immagino che la Conferenza episcopale, voi come Chiesa stiate vicino alle persone…

R. – Stiamo vicino soltanto perché ci stanno aiutando. La Caritas di Grecia non ha più fondi propri e anche i vescovi e la Conferenza episcopale si trovano in molta difficoltà per affrontare i bisogni pastorali, il sostentamento del clero… Quelli che ci stanno aiutando sono soprattutto le Conferenze episcopali dei Paesi più poveri: è impressionante, solo chi si sente nella difficoltà può capire l’altro che è in difficoltà. Siamo diventati mendicanti anche noi come vescovi e abbiamo le mani legate non possiamo fare niente.

D.  – Eppure oggi la stampa continua a dire: “L’Europa non vuole essere pessimista sulla Grecia". Cioè si viaggia su due piani completamente differenti: da una parte la logica economica, dall’altra la vita reale…

R. - Per questo dico: prima ci ammazzano e poi vengono a sostenere l’economia? Per chi? Per le persone morte? Devono portare avanti l’economia, ragionare in modo differente.

D. - Qualche giorno fa il Papa ha detto: “Le economie devono prevenire la formazione degli scarti non crearli e poi curarli” …

R. - Sì, lo scarto … Ci sono persone che avevano delle imprese, dei negozi che andavano molto bene e adesso si trovano senzatetto e dormono per strada senza averne colpa. Sono diventati lo scarto della società, ma non hanno colpa, l’economia è cambiata e nessuno ha colpe personali.

D. - Queste riforme di cui parla la politica, quali dovrebbero essere?

R. - Noi non siamo economisti, però una politica di diminuzione delle spese è una via senza uscita. Bisogna aumentare la produzione, il commercio!

D. - Come guida pastorale, con i suoi sacerdoti, con le comunità, come la affrontate questa realtà?

R. - Cerchiamo di sperare che la situazione possa cambiare, però la gente non chiede a noi la soluzione; la gente quando viene, viene a chiedere aiuto. Per quanto riguarda l’economia non abbiamo parole da dire.

D. - Potete solo accompagnarli e condividere?

R. - Sì, certamente. Sentono che tutti affrontiamo la stessa situazione.

D. - Un’economia che fa i conti solo con il debito, con le tasse, con le regole, dimentica l’umanità che è alla base, è un’economia destinata a fallire. Lo ha detto anche il Papa …

R. - Cercano di sostenere la moneta, la cosiddetta politica monetaria, ma non pensano alle persone e sono le persone che fanno aumentare l’economia!

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Da chiesa ungherese e siro-ortodossi aiuti ai profughi cristiani

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Il card. Péter Erdő, arcivescovo di Budapest-Esztergom, ha ricevuto oggi nel Palazzo primaziale, a Buda, il Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e tutto l'Oriente Ignazio Efrem II. Il Patriarca ha avuto anche un incontro con un gruppo di profughi cristiani accolti in Ungheria. Il responsabile del Programma Ungherese della Radio Vaticana, padre László Vértesaljai, ha  intervistato sull’evento il card. Peter Erdő:

"Stamattina ho potuto ricevere la visita personale di Sua Beatitudine Ignazio Efrem II, Patriarca ortodosso di Antiochia. È venuto dalla Siria insieme al metropolita di Mosul che lavora nell’Iraq settentrionale per l’aiuto ai cristiani perseguitati. Il tema principale sono stati la preghiera e il lavoro comune per la pace e per l’aiuto ai cristiani della regione. È vero che tanti sono stati costretti a lasciare le loro case, i loro villaggi. La maggior parte vive ancora in quella regione dell’Iraq del Nord su un territorio controllato dai curdi, nelle vicinanze di Damasco e a Damasco città. Per questa gente naturalmente sembra essere più urgente offrire qualche possibilità di sopravvivenza, non soltanto beni materiali, ma una possibilità di lavoro, un’attività produttiva che permetta loro di vedere qualche prospettiva nella loro patria affinché possano tornare nella loro terra di origine. D’altronde abbiamo constatato che anche in Ungheria ci sono alcuni profughi cristiani della Siria, fedeli di quella Chiesa ortodossa. Sua Beatitudine aveva chiesto di incontrarli personalmente. Cerchiamo di radunare le nostre forze per prestare gli aiuti più necessari, più urgenti. Questa è la preoccupazione della nostra Chiesa qui in Ungheria. È un compito relativamente modesto, però siamo tenaci: non smettiamo di aiutare quelli coloro che ne hanno bisogno".

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Africa. Trump verso abrogazione legge sui minerali insanguinati

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L’amministrazione americana è pronta ad abrogare il Dodd Frank Act, legge promossa e fatta approvare da Obama nel 2010 che obbliga le aziende a garantire che nessuno dei propri prodotti contenga minerali provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dai Paesi vicini, da sempre terre di conflitti. Si riapre così l’annosa e pericolosa questione dei cosiddetti minerali insanguinati la cui vendita alimenta di fatto il sistema economico di numerosi gruppi ribelli. Cecilia Seppia

L’obiettivo di Donald Trump è piuttosto chiaro: favorire gli interessi nazionali, far ripartire l’economia, creare nuovi posti di lavoro e togliere alle aziende quotate in Borsa il cappio di oneri, controlli e spese legati alla tracciabilità dei materiali usati per i loro prodotti. Ecco perché è pronto ad abrogare il "Dodd Frank Act", riaprendo di fatto dopo anni l’importazione di alcune materie prime e “liberalizzando” il mercato dei minerali insanguinati che coinvolge Paesi come il Burundi, l’Uganda, il Ruanda ma soprattutto la Repubblica Democratica del Congo. Raffaello Zordan, giornalista della rivista comboniana Nigrizia:

"L’amministrazione Trump evidentemente non tiene conto del fatto che sul terreno, come ad esempio, nelle Repubblica Democratica del Congo, nel Nord Est in particolare, ci sono situazioni molto difficili dal punto di vista del lavoro e della qualità della vita su cui questa abrogazione potrebbe avere degli effetti ancor più devastanti. Questa amministrazione ritiene che non ci debba essere nessuna preoccupazione tra queste persone e che gli sforzi che ha fatto la Comunità internazionale, soprattutto la società civile, per arrivare a regolamentare questi famosi 'minerali dei conflitti' sia una perdita di tempo. Diciamo che in parte è una professione di realismo: Trump e i suoi consiglieri sanno che in molte di quelle aree la legge potrebbe anche tutelare, ma in realtà non tutela perché spesso è terra di nessuno e quindi dicono: 'Perso per perso, andiamo avanti così e cerchiamo di trarre dei benefici da una situazione che in fondo va a ricadere su persone che non sono cittadini, non sono considerati'”.

L’oro, il tungsteno, il tantalio e il coltan, metallo altamente ricercato perché alla base di prodotti tecnologici come smartphone, tablet e Pc, con il decreto di Trump saranno dunque di nuovo estratti, lavorati e venduti in modo incontrollato, finanziando di fatto i numerosi conflitti armati che insanguinano e affamano la popolazione e tutti quei gruppi ribelli che fanno del commercio illecito di materie prime la loro principale fonte di sostentamento economico. Ma se da un lato il governo di Kinshasa trema al solo pensiero, il Ruanda, desideroso di risollevare le sue finanze fa già il tifo per Trump. Ancora Zordan:

"Da un lato, parliamo del Congo, abbiamo un Paese che doveva andare alle elezioni l’anno scorso - probabilmente non ci andrà nemmeno quest’anno - con un presidente che vuole stare a cavallo anche se ha già fatto due mandati e la Costituzione gli impedisce di fare il terzo, un esercito un po’ allo sbando che non si sa come reagirà, e i vescovi congolesi che stanno lavorando pazientemente per ricucire un dialogo politico ed arrivare finalmente a fare un voto senza spararsi addosso e la zona dei minerali insanguinati, cioè il Nord e Sud Kivu, che può alimentare scontri, tensioni, in questa fase. Non mi pare che sia una scelta che vada a vantaggio del Congo; sicuramente no. Andrà a vantaggio magari dell’Uganda e del Ruanda che è alleato degli Stati Uniti negli ultimi venti anni e sta  facendo tutto un suo processo di modernizzazione dell’economia, però rimane comunque un Paese piccolo, con dei problemi di democrazia evidenti e che guarda al Congo come il proprio giardino di casa e quindi approfitta di ogni sua debolezza. Mi auguro però che l’Europa, che ragiona con dei parametri diversi su quell’area dell’Africa in generale e sui minerali della guerra, abbia un atteggiamento di chiusura per far riflettere l’amministrazione Trump che naturalmente è autonoma e farà un po’ quello che vuole. Però, insomma, bisognerà vedere se l’alleato Kagame, presidente del Rwanda, non farà troppo il padrone di casa come già sta facendo in quell’area. All’Europa credo che questo non vada bene".

La mano libera degli Usa sui minerali di conflitto, almeno da qui ai prossimi due anni, preoccupa le Ong nazionali e internazionali, fa storcere il naso all’Ue, perciò Trump rassicura proponendo soluzioni alternative e norme che rompano il legame tra gruppi ribelli e commercio di minerali: in particolare si parla di individuare persone e soggetti che violano la legge e i diritti umani, soluzione difficile da immaginare in contesti come il Congo in cui lo stupro viene ancora usato come arma di guerra. Zordan:

"Nessuno è mai riuscito a controllare i vari focolai di ribellione che ci sono nel Nord-Est della Repubblica democratica del Congo. Sono situazioni alimentate, provate da documenti Onu e non da fantasie. Ci sono state delle guerre negli ultimi venti anni per questa ragione. Quindi pensare adesso di mettersi a tavolino o meno e cercare di regolamentare i gruppi ribelli è una cosa che non sta né in cielo né in terra. L’unica cosa che può regolamentare i gruppi ribelli è che nel Kivu ci sia effettivamente sovranità della Repubblica democratica del Congo - che ad oggi non c’è o è parziale - e che a Kinshasa ci sia uno Stato centrale serio, più attento a quei temi di quello che è stata l’amministrazione Kabila e che arrivi a trattare politicamente con ciascuno di questi gruppi, alcuni dei quali vanno naturalmente anche fermati, disarmati; con gli altri si può ragionare, vedere, valutare".

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Presidenziali in Ecuador: vescovi chiedono trasparenza

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“I risultati finali di ogni elezione popolare devono sempre riflettere la virtù della giustizia e il valore della trasparenza”. Con queste parole inizia il breve comunicato della Conferenza episcopale dell'Ecuador con cui i vescovi invitano ad una giornata di preghiera per il Paese in attesa dei risultati finali delle votazioni presidenziali di domenica scorsa. La tensione politica sta crescendo in queste ore: con oltre il 90 per cento dei voti scrutinati, non si sa ancora se ci sarà o meno un ballottaggio tra il candidato di governo Lenin Moreno e il candidato dell’opposizione Guillermo Lasso.

Il popolo ecuadoregno non vuole essere truffato
I vescovi esortano le istituzioni politiche a garantire la trasparenza e a promuovere la fiducia necessarie per una convivenza civile e democratica. “Il popolo ecuadoregno non vuole essere truffato”, si legge nel messaggio dei vescovi che chiamano le autorità elettorali a “collaborare perché la verità si veda rispecchiata nella tempestiva pubblicazione dei risultati di queste importanti elezioni in cui è stata espressa la volontà politica dei cittadini”.

Tensione per l’attesa dei risultati
Con oltre il 92 per cento dei voti scrutinati, il candidato del partito di governo, Alianza Pais, Lenin Moreno, è al primo posto con il 39 per cento dei voti contro il 28,43 per cento del  candidato di Creo, partito di centro destra, Guillermo Lasso. Tuttavia, questi risultati impediscono di determinare il vincitore, in quanto la legge elettorale stabilisce che per essere eletto presidente al primo turno è necessario avere oltre il 50 per cento dei voti o un minimo del 40 per cento e una differenza di almeno 10 punti rispetto al secondo candidato più votato. Le autorità elettorali non garantiscono un risultato definitivo prima di mercoledì.

L’alternativa è andare al ballottaggio
Le proteste dei leader e dei sostenitori di Lasso si sono accese dopo che è stato sospeso temporaneamente il servizio governativo che diffonde i risultati parziali degli scrutini al 70 per cento del conteggio. Le autorità del Consiglio nazionale elettorale, ieri sera, hanno richiamato alla calma, mentre le proteste dei cittadini in diverse città del Paese chiedono un secondo turno elettorale e accusano il governo di frode. Il candidato di governo Moreno, che si proclama vincitore indiscutibile, ha affermato che accetterà di andare al ballottaggio se non raggiungerà i voti necessari. Il presidente uscente Rafael Correa, suo mentore, ha detto che, se sarà necessario, si conteranno i voti “uno ad uno”. Ma su Twitter ha scritto ai suoi follower di prepararsi per una “nuova vittoria popolare ad aprile”. (A cura di Alina Tufani)

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Confronto tra Stati Uniti e Unione Europea sul futuro della Nato

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Sempre in primo piano il dibattito tra Stati Uniti e Unione Europea sul futuro della Nato. Il vicepresidente americano, Mike Pence, in visita a Bruxelles, corregge in parte le critiche del presidente Trump sull’Alleanza Atlantica e conferma l’impegno nella cooperazione con il Vecchio continente per la sicurezza militare. Ma quale potrebbe essere la futura struttura della Nato, in armonia con le esigenze di sicurezza americane ed europee? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo: 

R. – E’ nella tradizione repubblicana chiedere un maggiore impegno militare nelle spese e per la Difesa agli altri Paesi alleati nella Nato, questo lo ricordiamo sia dall’epoca di Reagan come all’epoca di Bush junior, quindi non è un fatto nuovo. L’Europa e il Canada dovranno cercare di svolgere un diverso ruolo. Il problema è vedere effettivamente se questo è possibile in una situazione di crisi diffusa come quella che si sta vivendo nell’Europa occidentale. Teniamo presente che sono anni che la Nato pone come traguardo delle spese militari il due per cento del Pil: la media dei Paesi Nato è intorno all’1,4 per cento. Quindi, al di là delle dichiarazioni, dovremmo vedere nei fatti quello che potrà avvenire. Aumentare dall’1,4 per cento al due per cento è un impegno economico notevole.

D.  – Quali le sfide di oggi per la Nato?

R. – Il mondo è cambiato profondamente. Non abbiamo più il pericolo dell’invasione comunista. Le minacce sono il terrorismo internazionale. Si parla addirittura di cambiamenti climatici, si parla del problema delle migrazioni e della proliferazione nucleare. Emigrazione e cambiamenti climatici certamente non possono essere risolti con sistemi d’arma. Il problema della proliferazione nucleare è un dato reale; a oggi non può essere considerato un problema drammatico nel senso che certamente è un’arma pericolosissima - si sta facendo di tutto per cercare di spingere la Corea del Nord a ridurre il suo arsenale che sta costruendo anno dopo anno - ma oggettivamente non la vedo una minaccia tale da esigere un riarmo della Nato. Il vero problema dal punto di vista militare è quello del terrorismo.

D. - Quindi una nato più polizia che non esercito?

R. – Sì, la Nato è praticamente l’unica alleanza militare internazionale che è in grado di progettare la propria potenza militare sull’intero scacchiere mondiale. Quindi un teatro decisamente lontano da quello originario, che era la difesa del territorio dei Paesi aderenti all’alleanza atlantica.

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Caso Unar. Belletti: gestione impropria di risorse pubbliche

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In Italia, ondata di sdegno nella classe politica e nell’opinione pubblica dopo le accuse di uso irresponsabile di denaro pubblico per finanziare attività sospetatte perfino d'illegalità, quando mancano fondi in ambiti di grave e gravissimo disagio sociale. Si è dimesso ieri sera Francesco Spano, direttore generale dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni, istituito presso la presidenza del Consiglio, travolto dallo scandalo denunciato da un programma Tv. Il servizio di Roberta Gisotti, che ha raccolto il commento di Francesco Belletti, sociologo presidente del Cisf, Centro internazionale di studi sulla famiglia:  

La vicenda è nota: oltre 55 mila euro sarebbero stati erogati dall’Unar all’associazione Anddos, rete di circoli in tutta Italia, registrati come enti culturali, per usufruire di un regime fiscale favorevole, in realtà – secondo il programma Tv  “Le iene” - destinati ad ospitare incontri anche a pagamento fra uomini gay, a promuovere pratiche sessuali estreme,  a favorire la prostituzione. L’Unar, nato nel 2003, recependo una direttiva europea, ha la scopo sulla carta di “contrastare ogni forma di discriminazione fondata sull’appartenenza etnica e religiosa”. Resta difficile capire come mai questo Ufficio abbia allargato le sue attività per promuovere le comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) e la teoria gender nelle scuole. Prof. Belletti, a dir la verità che l’Unar esulasse dai suoi ambiti era stato denunciato diverse altre volte….

R.  – C’è stato un grande dibattito nel 2013-2014, quando avevano costruito una piattaforma specificamente dedicata all’Lgbt facendo entrare senza particolari meccanismi di accreditamento 29 associazioni all’interno di un comitato e poi emanando strategie di lotta a sostegno della ideologia Lgbt che dovevano entrare nelle scuole. Di fatto l’Unar ha preso posizioni molto schierate ed è un cattivo modo di gestire istituzioni che dovrebbero rappresentare un po’ tutti e non cavalcare singoli temi in modo unilaterale.

D. – Quindi si confonde la libertà di non essere discriminati, poi, alla pretesa di diritti particolari e perfino di privilegi...

R.  – Diciamo che la possibilità di gestire fondi pubblici per vertenze precise va custodita con grande attenzione, perché bisogna essere capaci di valorizzare una risorsa che è tolta ad altre destinazioni e che quindi deve essere capace di custodire un bene comune. Non si può genericamente finanziare qualunque cosa e, di fatto, l’associazionismo nel mondo cattolico e le realtà più strutturate sanno quanto sia impegnativo proporre progetti ed iniziative. Le regole sono serie, le regole vanno rispettate e bisogna preoccuparsi di dove vanno a finire i soldi e della qualità dei destinatari. E allora mi spiace molto che un ente che ha una finalità importante venga piegato a interessi che sono particolarmente specifici: cioè, è un particolarismo che distorce l’uso del denaro pubblico. Ovviamente il tema è particolarmente sensibile perché sulla questione dei diritti delle persone gay, del tema dell’omofobia - su cui c’è una legge in corso, con l’ipotesi di un reato che non è mai stato definito - c’è un grande problema. E’ chiaro che episodi di intolleranza ci sono e vanno condannati ferocemente, nessuno deve aver paura della propria incolumità per il suo orientamento sessuale. Ma da lì a costruire percorsi privilegiati e a promuovere qualunque cosa, purché si intesti questa battaglia di libertà e di diritti civili ipotetica che va sotto la voce Lgbt, ne corre tanto. E’ un triste esempio di un modo poco trasparente e poco appropriato di usare risorse pubbliche.

D. – L’esigenza di un maggiore controllo va girata alla classe politica che ora trasversalmente punta il dito contro l’Unar, ma dov’erano? In fondo l’Unar siede presso la presidenza del Consiglio…

R. – Chi ha responsabilità di governo non può chiamarsi fuori, non si può dire: “Me l’hanno fatta sotto il naso, non sapevo…”. Il problema del nostro Paese è anche la ricostruzione delle catene di responsabilità e forse anche il Dipartimento per le pari opportunità, il soggetto politico a cui dovrebbe rispondere l’Unar, qualche responsabilità ce l’ha. Insomma, non si può dire: “L’ha fatto l’Unar, punto e basta”. Purtroppo non possiamo più farlo. Bisogna verificarlo e vigilare. L’Unar è un ente che va riprogrammato e protetto non va stigmatizzato per definizione perché ha fatto un errore. Però l’errore c’è stato, è grave e ci sono responsabilità, amministrative ma anche politiche.

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Amatrice a 6 mesi dal sisma, un paese in attesa di rinascere

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Attività produttive rase al suolo come le case. È la realtà di Amatrice toccata con mano dal presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, e da quello della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che hanno fatto visita nei luoghi devastati dal terremoto del 24 agosto scorso. Il sindaco della cittadina, Pirozzi, ha chiesto alcune misure di sostegno, come l’abolizione dell'addizionale Irpef regionale per i lavoratori residenti nella zona più colpita. Intanto, piccole e grandi iniziative, come una festa di Carnevale, riportano il sorriso a piccoli e grandi. Il servizio di Alessandro De Carolis

Gli sfregi del terremoto sono ancora lì, cristallizzati da una impalpabile patina di ghiaccio. Ma a guardarli da una certa angolazione capita in qualche caso di veder filtrare tra le pareti sventrate un raggio di sole. È la metafora di Amatrice, sei mesi dopo la prima e peggiore scossa del 24 agosto. Su un’area, quella del Centro Italia, che proprio non riesce a trovare un nuovo assetto – due notti fa ancora nuove scosse – i sopravvissuti fanno quadrato per sopportare la paura e non portare da soli il peso della speranza, moneta che nello splendore desolato del luogo è difficile da smerciare. Erano in tremila, gli amatriciani, e adesso un piccolo popolo di roulotte, mentre per paradosso i nomadi sono quelli che hanno dovuto mettere radici in sistemazioni lungo la costa adriatica. Come Rinaldo Serafini, barbiere, sloggiato dalla furia del terremoto:

R. – Purtroppo, noi siamo delocalizzati a San Benedetto. Ci eravamo fatti forza dopo la scossa del 24 ed eravamo rientrati in casa, perché essendo una casa nuova, inizialmente le lesioni riportate erano leggere.

D. – Come riuscite ad andare avanti, a sostentarvi?

R. – Adesso non lavoriamo. Faccio il barbiere, mia moglie ha una lavanderia. Quindi avendo due attività commerciali siamo in “stand by”, siamo in attesa che riparta la zona commerciale, quindi questo centro commerciale che la Regione sta preparando. All’inizio ci avevano parlato di tempi un pochino più brevi – ci parlavano di Pasqua – adesso aspettiamo … Aspettiamo fiduciosi, anche perché ora stiamo andando avanti con il sussidio che ci viene dato mensilmente per le attività commerciali. Però, certo, è dura.

Il sole che filtra tra le macerie è la voglia di sorridere che il sisma non ha divelto dagli amatriciani. Se Rinaldo crede nella speranza di ripartire e non racconta quanti affetti tra i più cari di un uomo abbia perduto in quella notte terribile, Carmine Monteforte, 74 anni, presidente della Pro Loco, si rincuora nel vedere il chiasso che fanno i bambini di Amatrice nel rincorrersi, mascherati da principesse e pirati, durante la festa di Carnevale organizzata sabato scorso nella tenda-mensa della Protezione Civile, dove per un po’ ha fatto visita, tra mille selfie e pacche sulle spalle, anche Roberto Baggio. Carmine Monteforte:

R. – Finalmente, ho visto qualche sorriso. È stata una cosa bellissima non tanto per noi, quanto per i ragazzini, i bambini…

D. – Ormai sono passati sei mesi dalla grande scossa. Vi sentite tutelati, aiutati?

R. – Ci sentiamo tutelati ed aiutati. Ci hanno portato tante cose. Noi ci lamentiamo solo del fatto che le cose vanno un po’ a rilento, le casette… Certo, anche per la temperatura, la neve, però non so, non capisco tutta questa burocrazia... La mia casa è totalmente distrutta, è in piena zona rossa.

D. – Qual è la speranza per Amatrice?

R. – La speranza è quella di ricominciare tutto daccapo. Siamo montanari, non ci abbattiamo. Siamo fiduciosi. Le cose vanno sì un po’ a rilento, però penso riusciremo ad arrivare su in vetta.

Governo a Regione Lazio si muovono per assicurare entro Pasqua 400 casette di emergenza ai residenti, 25 quelle già consegnate. Il governatore, Zingaretti, ha fatto un sopralluogo ad Amatrice e Accumoli per aggiornare sullo stato dei lavori del Pass di Amatrice, il Posto di assistenza socio sanitaria, e sul piano di delocalizzazione delle imprese commerciali necessario per rilanciare l'economia locale. Ancora Rinaldo Serafini:

R. – La solidarietà non solo materiale, anche quella psicologica: tutta l’Italia e tutto il mondo ci sono stati vicino. Amatrice ha avuto una risposta stratosferica. Dal profondo del cuore apprezzo tutto quello che è stato fatto, perché questa cosa ci aiuta. Abbiamo perso non solo le cose materiali, ma diversi affetti. La mia famiglia è stata toccata non poco. Quindi ora, anche in loro memoria, dobbiamo avere la forza per ripartire.

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Giornata del Braille, l'alfabeto che aiuta 30 milioni di ciechi

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Oggi ricorre la Giornata nazionale dedicata all’alfabeto Braille. A due secoli dalla sua nascita, il Braille è un sistema che aiuta più di 30 milioni di ciechi nel mondo. Ma quali sono oggi le problematiche principali per chi, in particolare i giovani, hanno difficoltà visive? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Katia Caravello, membro del consiglio direttivo dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti: 

R. – La problematica principale è costituita dal fatto che i libri di testo per i ragazzi, quindi per gli studenti, arrivano sempre con tempi piuttosto lunghi, per tutta una serie di motivi, e quindi questo vuol dire che i ragazzi non possono, al primo giorno di scuola, avere a disposizione lo stesso materiale che hanno i loro compagni di scuola.

D. – Nel 2017, ha ancora senso parlare di scrittura Braille, quindi una scrittura meccanografica, manuale, complicata anche a vederla, quando ci sono tanti ausili tecnologici che invece sono più facili da usare, forse?

R. – Assolutamente sì, nel senso che per un bambino che nasce cieco o gravemente ipovedente o comunque lo è dalla tenerissima età, il Braille è fondamentale: come per un bambino vedente imparare a leggere e scrivere con carta e penna. Quindi la tecnologia sicuramente è un aiuto, assolutamente integrabile con il sistema Braille che deve però essere tassativamente insegnato sempre. Infatti, uno dei problemi è che spesso gli insegnanti di sostegno non sanno il Braille e sostengono che si possa sostituire con la tecnologia. Ma ciò vuol dire che questi ragazzi accedono alla cultura innanzitutto in maniera assolutamente mediata, mentre il Braille permette di farlo in piena autonomia; e poi, solo con l’audio rischiano di non sapere l’ortografia delle parole, perché la sintesi vocale non rende così immediato rendersi conto di come sia scritta una parola.

D. – Infatti dobbiamo sottolineare che il Braille, tra l’altro, non è una lingua, ma è un sistema di scrittura dell’alfabeto latino …

R. – Certamente. Il Braille è un alfabeto: infatti si parla di “sistema Braille” o “codice Braille”, ma è sostanzialmente la parola più semplice per capire cos’è “alfabeto”. Ogni combinazione dei sei puntini – otto per il Braille informatico – di cui è composto, formano una singola lettera o un segno di punteggiatura … Però, non è una lingua: assolutamente no.

D. – Ancora oggi possiamo dire che la questione del Braille attiene alla questione dell’alfabetizzazione, in buona sostanza …

R. – Certamente. Poi è sicuramente molto utile anche nella quotidianità, quindi è consigliabile che un minimo lo imparino anche le persone che perdono la vista in età adulta, se non anziana, perché magari non arriveranno a leggerlo con la fluidità di chi l’ha imparato da piccolo, però per quelle che sono le utilità nella vita quotidiana, come le scritte che ci sono sulle scatole dei medicinali o per etichettare delle cose, è assolutamente utile.

D. – Ci può raccontare qual è stata la sua principale difficoltà nell’apprendere il Braille, tra l’altro in età adulta?

R. – E’ stato innanzitutto un blocco psicologico, nel senso che il Braille è come il bastone bianco, è l’etichetta, è uno dei segni distintivi della cecità. Quindi, quando si è ancora in una fase in cui il trauma non è stato ancora elaborato, approcciarsi al Braille non è semplice. Detto questo, la difficoltà principale non è tanto imparare a scriverlo, perché alla fine è abbastanza semplice, scriverlo; è leggerlo. Nel senso che il mio tatto comunque non è affinato quanto il tatto di una persona che è non vedente dalla nascita; per cui, ci vuole tanto, tanto, tanto esercizio …

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Spagna. Commissione permanente vescovi guarda a Sinodo giovani

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Termina oggi a Madrid, presso la Casa de la Iglesia, la 240.ma Riunione della Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola. Si tratta dell’ultimo appuntamento della Commissione all’interno del triennio 2014-2017 e prima del rinnovo degli incarichi che sarà deciso dalla prossima Assemblea Plenaria, che avrà luogo dal 13 al 17 marzo.

All’attenzione dei vescovi l’insegnamento della religione cattolica
Durante la tre giorni i vescovi affronteranno il tema dell’insegnamento della religione cattolica: sarà data comunicazione del documento elaborato dalla Commissione episcopale sull’Istruzione, presieduta da mons. César Augusto Franco, sullo stato dell’Insegnamento della religione in Spagna nell’ambito del Patto educativo.

Focus sulla vocazione al sacerdozio
Al presidente della Commissione episcopale dei Seminari e delle università, mons. Enric Vives, è affidato invece il compito di esporre le novità introdotte dal documento Nuova Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, promulgato lo scorso anno da Papa Francesco sul dono della vocazione presbiteriale.

Vescovi spagnoli guardano al Sinodo sui giovani
Al centro dei lavori dei vescovi spagnoli anche lo studio del documento preparatorio della prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, convocata dal Papa in Vaticano per l’ottobre 2018 sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Infine i presuli approveranno i temi all’ordine del giorno della prossima Plenaria e affronteranno questioni legate ad aspetti economici e alle singole commissioni episcopali. (P.O.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 52

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.