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Sommario del 24/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: in Dio giustizia è misericordia. Non cedere alla logica casistica

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Nel cammino del cristiano la verità non si negozia, ma occorre essere giusti nella misericordia, come ci ha insegnato Gesù. E’ quanto affermato dal Papa nella Messa mattutina a Casa S. Marta mettendo in guardia dall’ipocrisia e dall’inganno di una fede ridotta ad una “logica casistica”. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

“E’ lecito per un marito ripudiare la propria moglie?”. E’ la domanda che nel Vangelo odierno di Marco i dottori della Legge, che seguono Gesù durante la predicazione in Giudea, gli rivolgono.

Gesù non cede alla logica casistica spiegando sempre la verità
Lo fanno per metterlo ancora una volta “alla prova”, osserva Francesco che, dalla risposta data da Gesù, trae spunto per spiegare cosa conta di più nella fede:

“Gesù non risponde se sia lecito o non è lecito; non entra nella loro logica casistica. Perché loro pensavano soltanto alla fede in termini di ‘si può’ o ‘non si può’, fino a dove si può, fino a dove non si può. Quella logica della casistica: Gesù non ci entra, in questo. E rivolge una domanda: ‘Ma che cosa vi ha ordinato Mosè? Che cosa è nella vostra Legge?’. E loro spiegano il permesso che ha dato Mosè per ripudiare la moglie, e sono loro a cadere nel tranello, proprio. Perché Gesù li qualifica ‘duri di cuore’: ‘Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma’, e dice la verità. Senza casistica. Senza permessi. La verità”.

“Gesù dice sempre la verità”, ”spiega le cose come sono state create”, sottolinea ancora il Papa, la verità delle Scritture, della Legge di Mosè. E lo fa anche quando ad interrogarlo sull’adulterio sono i suoi discepoli, a cui ripete: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei, e se lei ha ripudiato il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.

La logica della casistica è ipocrita, inganna
Ma se la verità è questa e l’adulterio è “grave”, come spiegare allora, domanda il Papa, che Gesù ha parlato “tante volte con un’adultera”, ”pagana”? Ha “bevuto dal bicchiere di lei, che non era purificato?”. E alla fine le ha detto: “Io non ti condanno. Non peccare più”? Come è possibile?:

“E il cammino di Gesù – si vede chiaro – è il cammino dalla casistica alla verità e alla misericordia. Gesù lascia fuori la casistica. A quelli che volevano metterlo alla prova, a quelli che pensavano con questa logica del ‘si può’, li qualifica – non qui, ma in altro passo del Vangelo –ipocriti. Anche con il quarto comandamento, questi negavano di assistere i genitori con la scusa che avevano dato una bella offerta alla Chiesa. Ipocriti. La casistica è ipocrita. E’ un pensiero ipocrita. ‘Si può – non si può’ … che poi diventa più sottile, più diabolico: ma fino a chi posso? Ma di qui a qui, non posso. E’ l’inganno della casistica".

Dalla casistica, alla verità alla misericordia: questo il cammino cristiano
Il cammino del cristiano non cede dunque alla logica della casistica, ma risponde con la verità, cui si accompagna, sull’esempio di Gesù, la misericordia, “perché Lui è l’incarnazione della Misericordia del Padre, e non può negare se stesso. Non può negare se stesso perché è la Verità del Padre, e non può negare se stesso perché è la Misericordia del Padre”. ”E’ questa la strada che Gesù ci insegna”, difficile da applicare, fa notare il Papa, davanti alle tentazioni della vita:

Giustizia e misericordia, strada non facile ma che rende felici
“Quando la tentazione ti tocca il cuore, questo cammino di uscire dalla casistica alla verità e alla misericordia, non è facile: ci vuole la grazia di Dio perché ci aiuti ad andare così avanti. E dobbiamo chiederla sempre. ‘Signore, che io sia giusto, ma giusto con misericordia’. Non giusto, coperto dalla casistica. Giusto nella misericordia. Come sei Tu. Giusto nella misericordia. Poi, uno di mentalità casistica può domandare: ‘Ma, che cosa è più importante, in Dio? Giustizia o misericordia?’. Anche, è un pensiero malato, che cerca di uscire … Cosa è più importante? Non sono due: è uno solo, una sola cosa. In Dio, giustizia è misericordia e misericordia è giustizia. Il Signore ci aiuti a capire questa strada, che non è facile, ma ci farà felici, a noi, e farà felice tanta gente".

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Il Santuario della Spoliazione: mons. Sorrentino ne parla al Papa

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Papa Francesco ha ricevuto nella mattinata di oggi mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. Un incontro improntato ad una grande sintonia, ha commentato mons. Sorrentino, in cui ha potuto parlare a lungo al Papa del Santuario della Spoliazione recentemente eretto ad Assisi. Ma sentiamo lo stesso arcivescovo al microfono di Adriana Masotti

R. – L’incontro è stato bellissimo, naturalmente. Come sempre il Papa è paterno, accogliente… E con me, che avevo qualche cosa di importante da dirgli, ci siamo subito intesi. Questo qualcosa di importante era per me il Santuario della Spoliazione, che abbiamo recentemente eretto ad Assisi, ed è il Santuario che fa perno proprio sul vescovado dove abito e sulla vicina Chiesa di Santa Maria Maggiore, che è l’antica Cattedrale di Assisi. Il termine “spoliazione” ricorda l’evento che si svolse in vescovado otto secoli fa, quando Francesco, nel suo contenzioso con il padre, davanti al vescovo Guido, si spogliò di tutte le vesti e di tutti i suoi beni per essere tutto di Cristo e tutto dei fratelli. E Papa Francesco, con la sua visita del 4 ottobre 2013, volle visitare anche questa sala e tenne un discorso veramente toccante sui significati insiti in questo evento: intanto il Dio che in Cristo si spoglia della Sua gloria e viene a farsi uno di noi. E poi tutti i significanti conseguenti: è uno che ama Cristo ed è uno che si spoglia per lui di se stesso, dello spirito mondano, come il Papa sottolineò. E questo Santuario diventa così una cassa di risonanza di un gesto clamoroso, profetico, che merita di essere riscoperto in tutta la sua pregnanza di significato e di messaggio per l’uomo di oggi. Ho spiegato al Papa questi passaggi.

D. – Spoliazione: un messaggio contenuto in molte parole e inviti di Papa Francesco alla Chiesa e ai cristiani…

R. – Infatti. Io gli ho ricordato come era avvenuto il nostro primo incontro, quando gli avevo proposto di inserire nel viaggio assisano anche questa tappa. E gli avevo detto: “Santo Padre, viene ad Assisi, sarà bello che almeno venga in vescovado a dire un ‘Padre Nostro’, come lo disse Francesco nell’atto della spoliazione. E gli ho ricordato la sua reazione alla mia richiesta: mi fissò e con un piglio molto convinto mi disse “Un ‘Padre Nostro’, ma io voglio venire e voglio parlare di come la Chiesa si deve ‘spogliare’”. E poi venne, e fece il suo discorso davanti a un auditorio che era tutto di persone in disagio, in difficoltà: erano poveri, disoccupati, ai quali spiegò che davvero come cristiani dobbiamo tutti spogliarci di noi stessi e vivere di Gesù Cristo, vivere di amore, di solidarietà, di condivisione.

D. – Assisi rimane punto di riferimento e luogo di visite, di pellegrinaggi di tante persone, sia fedeli che turisti. Ecco, non è stata toccata la città questa volta dal terremoto. Come si vive?

R. – Non è stata toccata dal terremoto e per questo dobbiamo davvero ringraziare il Signore. Purtroppo Assisi è stata toccata dalla cattiva informazione, perché un’informazione generica sul terremoto in Umbria ha prodotto delle paure in realtà infondate, e noi in questi mesi stiamo riscontrando un calo della partecipazione dei pellegrini e dei turisti. Ma - grazie a Dio - Assisi è stata risparmiata, e quindi ci si può venire tranquillamente.

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In udienza dal Papa l'arcivescovo di Firenze, il card. Betori

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Papa Francesco ha ricevuto nella mattinata di oggi il card. Giuseppe Betori Arcivescovo di Firenze. Lo riferisce il Bollettino della Sala Stampa vaticana .

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Tweet: la gioia è un dono che va condiviso

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Nuovo tweet oggi di Papa Francesco sull’account @Pontifex: “Nel cuore del cristiano, scrive il Papa, c’è sempre la gioia. Sempre. La gioia accolta come un dono e custodita per essere condivisa con tutti”.

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Card. Tauran: cristiani e musulmani contro estremismo religioso

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La Santa Sede e Al Azhar ribadiscono la loro volontà di lottare contro l’estremismo religioso. E’ quanto emerso dal seminario che si è concluso ieri al Cairo, in Egitto, presso l’Università di Al Azhar, principale istituzione dell’islam sunnita, a cui ha partecipato una delegazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso guidata dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero. L’evento arriva nove mesi dopo lo storico incontro in Vaticano tra il Papa e il grande imam di Al Azhar, lo sceicco Ahmed Al Tayeb. Il cardinale Tauran ne parla al microfono di Helène Destombes

R. – C’est une nouvelle étape. Il n’a pas du tout été…
E’ una nuova fase. Non è stato assolutamente menzionato il problema di Ratisbona e nemmeno il fatto che per anni non ci sia stata comunicazione tra noi. Deliberatamente abbiamo detto quello che vogliamo fare insieme oggi e domani, e credo che sia importante perché questa è la concretezza. Senza dubbio, credo che abbiano riaperto… diciamo che il cammino è di nuovo praticabile. E noi ci siamo trovati d’accordo nel valutare la gravità della situazione di violenza e anche la necessità di trasmettere valori alle giovani generazioni. Abbiamo cercato insieme le cause della violenza: tutti ci siamo trovati, tutti, d’accordo – soprattutto i musulmani – nell’affermare che non è lecito invocare la religione per giustificare la violenza. Dobbiamo continuare su questa strada: più la violenza aumenta – ed è grave – più è necessario moltiplicare questo tipo di incontri. Come ho detto, incontri come questo che si è tenuto sono veramente doni che si fanno all’umanità, perché dimostrano che esiste la possibilità di lavorare insieme. Quello che invece vogliono i terroristi è dimostrare che non è possibile vivere insieme, con i musulmani; noi affermiamo il contrario.

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Chiusa l'inchiesta diocesana per la beatificazione di Benedetto XIII

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Un Pontefice che amava stare tra la gente, dalla vita semplice e umile. Così il postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione di Benedetto XIII, Paolo Vilotta, ha tratteggiato la figura di Papa Pierfrancesco Orsini, vissuto a cavallo tra il ‘600 e il ‘700. Oggi presso il tribunale diocesano di Roma, dopo 5 anni, si è conclusa la fase dell’inchiesta, gli atti ora passeranno alla Congregazione per le Cause dei Santi. Ce ne parla Benedetta Capelli

“Camminare con i piedi per terra ma con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto”. Si può sintetizzare così la vita di Pierfrancesco Orsini nato a Gravina di Puglia nel 1650 da una nobile famiglia e morto da Papa, con il nome di Benedetto XIII, a Roma nel 1730. Paolo Vilotta, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione:

“Dal mio punto di vista, sicuramente, lui comincia già con qualcosa di straordinario. Ricordiamo che lui proviene da una famiglia nobile del Sud Italia, da Gravina di Puglia; lì il suo approccio con la vocazione non è stato quello carrieristico, ma lui scelse il cammino dei mendicanti – diventando una frate domenicano – andando contro i voleri della famiglia nobile, perché questa non era una scelta prestigiosa”.

Comincia dunque con una scelta controtendenza la sua vita religiosa che poi si espresse, con il tempo, nell’ostilità per il carrierismo. Ascetico, ma anche pratico, uomo di grande cultura divenne docente di filosofia per i giovani professi domenicani.  

“La sua grandezza nella sua vita è questa impronta forte come vescovo e allo stesso tempo lui era una persona profondamente di preghiera che si affacciava al popolo che voleva essere presente. Si dedicava davvero alla Chiesa; era sempre presente, aiutava concretamente i poveri. Quando è stato vescovo a Benevento si è preoccupato proprio delle norme da far attuare, ad esempio, per la gestione agricola. E lo stesso fece anche nelle altre diocesi: a Cesena, a Manfredonia. Tutto questo lo ha reso “un vescovo speciale”.

Fu sua l’intuizione di creare un monte frumentario, una sorte di credito agrario,  accompagnato poi dalla riorganizzazione degli enti ecclesiastici e delle norme canoniche. Lo spirito di dedizione per gli altri si espresse nell’organizzare i soccorsi e l’assistenza dopo due devastanti terremoti che colpirono Benevento nel 1688 e nel 1702. Vescovo presente, vero uomo di Dio tanto da essere chiamato “il Borromeo del mezzogiorno”, divenne cardinale a soli 22 anni contro la sua volontà e poi Papa nel 1724 ma il suo spirito non cambiò:

“Sono tantissime le testimonianze che lo ricordano come uomo di preghiera, uomo che meditava, uomo che personalmente andava per le chiese di Roma come Papa  - e non solo a Roma - per consacrare altari, per stare vicino alla gente, un uomo estremamente di cultura di grandissima cultura. Evangelizzatore, in questa evangelizzazione c’era sempre un carattere molto misericordioso”.

Incoraggiò i missionari francescani, domenicani, cappuccini e anche i gesuiti soprattutto verso l’America e l’Asia. Il suo esempio di vita, in un momento storico di cambiamento per il papato, resta oggi ancora attuale nonostante siano passati diversi secoli e nonostante alcune critiche dei suoi contemporanei:

“Aveva la preoccupazione di avere una mano forte sul governo della Chiesa mantenendo sempre presente il gregge. Lui si è distinto in un’epoca in cui il papato non si svolgeva proprio in questo modo.. Mantenne questo forte legame sempre sia da vescovo e poi da pontefice con il suo essere religioso, quindi con il suo essere frate dominicano. Non lo dimenticò mai. Aveva auesto camminare con i piedi per terra ma rivolto sempre con lo sguardo verso l’alto e questo gli diede la forza di stare vicino alla gente. Venne amato da tutti”.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Strage Al-Bab. Aleppo, suor Guadalupe: non dimenticateli

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A Ginevra proseguono i negoziati di pace per la Siria sotto l’egida dell’Onu, mentre è salito ad almeno 60 morti il bilancio dell’attentato alla periferia nordoccidentale di al-Bab, ex roccaforte jihadista. Intanto da Aleppo continuano ad arrivare richieste di aiuto sul fronte umanitario. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Il sedicente Stato islamico continua a perdere terreno anche in Siria, ma terribile è la ritorsione dei jihadisti. Oggi, in un'autobomba è esplosa contro una postazione dell'Esercito libero siriano, una formazione ribelle, a Sousian, località situata alla periferia nordoccidentale di al-Bab. Sessanta i morti, oltre cento i feriti, quasi tutti civili. Le milizie avevano partecipato insieme ai militari turchi all'offensiva per liberare al-Bab dall'Is e ieri avevano annunciato il controllo di quasi tutta città. Dalla liberata Aleppo, ormai ridotta un cumulo di macerie, arriva l’appello di suor Guadalupe de Rodrigo, rilanciato da Aiuto alla Chiesa che Soffre, diventato virale sui social:

R. – Siamo ad Aleppo, in uno dei quartieri conquistati dai ribelli, ed è rimasto così. La situazione degli abitanti, soprattutto dei cristiani, è molto difficile, ancora. Non c’è elettricità da sei mesi, non c’è luce, non c’è acqua da un mese, non è facile riscaldare le case quando non c’è gas, non c’è combustibile, non c’è gasolio… La situazione per i cristiani qui ad Aleppo è molto complicata, è molto difficile. Aspettano veramente da voi aiuto e preghiera, appoggio: vi chiedo di non abbandonarli, vi chiedo di non dimenticare questi cristiani di Siria – di Aleppo in particolar modo – che tanto soffrono ancora…

Intanto in Svizzera, a Ginevra, sono in corso i negoziati di pace per la Siria sotto l’egida dell’Onu. La quarta tornata di colloqui a cui partecipano, oltre al governo di Damasco, alcuni gruppi dell’opposizione cerca di uscire dall’incubo di un conflitto che dura da cinque anni ed ha provocato oltre 300 mila morti e migliaia di sfollati interni ed esterni. Ieri nel discorso di apertura, Staffan De Mistura, l’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, ha ribadito che è necessario da parte di opposizione e regime l’assunzione di una responsabilità  storica.

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Iraq: truppe di Baghdad nelle zone ovest di Mosul. Orrore per i bimbi kamikaze

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Le forze irachene sono entrate per la prima volta nei distretti occidentali di Mosul. Dopo violenti combattimenti, è stato completamente liberato anche l’aeroporto internazionale della seconda città irachena. L’avanzata contro le milizie del cosiddetto Stato islamico è supportata anche dai bombardamenti dei caccia e degli elicotteri americani. Il Califfato sta rispondendo con un massiccio uso di autobombe. Ufficiali Usa denunciano che bambini e disabili sono utilizzati come kamikaze. Sulla situazione a Mosul, Marco Guerra ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: 

R. – E’ esattamente quello che avevamo denunciato qualche mese fa, peraltro nel silenzio generale: avevamo ammonito la comunità internazionale sul fatto che c’erano gravi episodi di utilizzo dei bambini come kamikaze durante questo che può essere considerato uno dei peggiori assedi, forse il più drammatico assedio degli ultimi anni. Purtroppo, i bambini vengono utilizzati in ogni modo, vengono purtroppo portati all’interno di mercati, anche sul campo di battaglia, in alcuni quartieri, e fatti esplodere. Naturalmente, questo è un fatto gravissimo! A novembre erano 32, oggi possiamo affermare con certezza che purtroppo il numero dei bambini che vengono utilizzati per questa pratica atroce potrebbe essere addirittura maggiore, altro che il risultato della controffensiva di un Isis messo alle strette. Oggi abbiamo visto anche che c’è stata la conquista dell’aeroporto da parte dell’esercito, quindi sicuramente nella difficoltà, questo è quello che sta facendo Isis.

D. – Quali sono i numeri dell’assedio di Mosul? Siamo nel pieno dell’emergenza umanitaria, come è stato denunciato qualche mese fa?

R. – Gran parte delle persone sono state sfollate nelle zone, naturalmente esterne alla città. Esistono ancora dei quartieri che purtroppo non sono stati espugnati. I racconti che ci fanno le persone che sono arrivate nei nostri centri di accoglienza ci parlano appunto di violenze, di abusi, in particolar modo contro le donne proprio perché Isis non ha pietà alcuna di queste situazioni. Ci sono ancora 700 mila persone nella parte ovest intrappolate, che quindi naturalmente hanno bisogno di tutto. Voglio ricordare anche che le zone di Erbil, gran parte delle zone nelle quali vengono assorbite molte di queste persone in fuga, sono allo stremo, nel senso che c’è bisogno di tutto: quindi un sostegno alle reti ospedaliere, un sostegno in termini di acqua che l’Unicef sta naturalmente portando in queste zone, in termini di sostegno psicologico, di kit sanitari e anche nelle zone limitrofe a Mosul.

D. – Oggi, le truppe irachene sono entrate nei quartieri occidentali. Si prospetta un accerchiamento delle zone ancora controllate dallo Stato islamico. Si rischia quindi una carneficina?

R. – Come dicevo poco fa, in questo momento ci sono 700 mila persone che si trovano nella zona occidentale e non c’è dubbio che Isis in fuga, fino a oggi, ha dato ampia dimostrazione della sua crudeltà: con l’utilizzo di bambini kamikaze, attraverso abusi, attraverso violenze, attraverso stupri, lasciandosi dietro il peggio che si possa immaginare. Cioè, non è lontano immaginare che la situazione vada via via peggiorando. Vedete, in questi casi noi non siamo neanche nelle condizioni di chiedere corridoi umanitari, proprio perché non c’è un interlocutore – in questo caso, Isis – in grado di garantire che le popolazioni riescano ad essere sfollate. Quindi, noi siamo totalmente affidati alle truppe irachene che entrano nei quartieri e via via lasciano defluire le persone. Che però purtroppo – e specialmente è il caso dei bambini – assistono alle scene peggiori: decapitazioni, uccisioni di massa, insomma, non dimentichiamo che i bambini in questa zona hanno assistito a cose che veramente un bambino non dovrebbe mai vedere!

D. – Quindi, le organizzazioni umanitarie, come l’Unicef, cosa chiedono per mettere in sicurezza la popolazione in questa fase di recrudescenza dei combattimenti?

R. – Innanzitutto, laddove vengono aperti corridoi umanitari grazie all’intervento delle truppe irachene o di quelle alleate, che possano far defluire immediatamente tutta questa massa di gente… Noi ci aspettiamo naturalmente un altro grande esodo nelle zone limitrofe, in queste ore. Il secondo, una volta fatta questa operazione, è riuscire ad arrivare, attraverso le nostre unità mobili, al maggior numero di persone possibile all’interno dei campi dove li stiamo accogliendo. Quindi ci auguriamo che, comunque sia, venga rispettato il diritto internazionale, che nessuno torca un capello ai bambini e che in particolare donne e bambini abbiano accesso ai servizi di base nella misura più immediata possibile. Anche perché – non dimentichiamolo – questo conflitto ha dimensioni enormi e non credo che sia alla sua svolta finale, perché ci sono ancora aspetti piuttosto complessi: la presa della parte occidentale non avverrà in poco tempo…

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Trump: "Più armi nucleari per difenderci dalla Nord Corea"

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Fanno discutere le nuove dichiarazioni del presidente americano, Donald Trump, che rilancia la necessità di una nuova corsa agli armamenti non convenzionali. “L’arsenale nucleare – ha detto il capo della Casa Bianca – va ampliato, per difendere Giappone e Corea del Sud dalla minaccia atomica sempre più pericolosa del regime nordcoreano”. Sulle reali intenzioni del capo della Casa Bianca, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Bozzo, docente di Studi Strategici e Relazioni Internazionali all’Università di Firenze: 

R. – Si tratta di capire quale in effetti sia l’intenzione dell’amministrazione americana per quello che riguarda il rinnovo dell’arsenale nucleare, che è un programma peraltro varato da tempo. Indubbiamente, Trump, già in campagna elettorale e più recentemente, ha fatto una serie di dichiarazioni che vanno in senso contrario rispetto a quello che era stato l’impegno dell’amministrazione Obama per una riduzione ai minimi termini dell’arsenale nucleare.

D. – Per quanto alcuni osservatori internazionali hanno detto che ai tempi della Guerra Fredda proprio il confronto tra le testate nucleari sovietiche e americane ha garantito stabilità nel mondo, è pensabile oggi, in epoca di negoziati e di dialoghi, che si torni a un periodo come quello?

R. – Io non credo che torneremo ad un periodo come quello anche perché la storia non si ripete mai uguale a se stessa. Durante la Guerra Fredda, indubbiamente, la presenza di una deterrenza reciproca tra le superpotenze è stata un fattore che ha stabilizzato, anzi congelato l’ordine mondiale. Oggi siamo in una situazione molto diversa: le armi nucleari sono state ridotte in virtù degli accordi firmati negli anni passati. D’altro canto, i conflitti locali sono diventati molto più problematici e complessi, molto meno soggetti al controllo delle superpotenze. Trump peraltro ha adottato un’atteggiamento estremamente conciliante nei confronti della Federazione Russa. Perciò, il superamento del confronto diretto tra questi due attori mi fa ritenere che un ritorno al passato sia davvero impossibile. Rimane il fatto che indubbiamente le armi nucleari sono comunque un fattore preoccupante, perché l’eventuale utilizzo anche soltanto di poche di queste armi potrebbe avere delle conseguenze a dir poco disastrose.

D. – Quale altro fattore di deterrenza, invece, potrebbe essere adottato nei confronti della Nord Corea, che già in passato ha fatto minacce del genere, poi in fondo per far fronte a delle difficoltà economiche interne molto gravi?

R. – Sì, il gioco nord-coreano è abbastanza esplicito. Si tratta di un regime totalitario che non riesce neppure a sfamare la propria popolazione, che si trova ormai completamente isolato nel contesto internazionale, e che quindi ricorre alla minaccia di sviluppo dei programmi nucleari e missilistici semplicemente per, a mio avviso, ottenere dei vantaggi in cambio. Devo dire che peraltro si tratta di una minaccia relativa: la Corea del Nord dispone probabilmente, nella peggiore delle ipotesi, di una decina di testate nucleari, che certo non sono poche, e di un apparato missilistico che indubbiamente sta diventando di un certo rilievo anche tecnologico. Si trova circondata da vicini che potrebbero obliterarla dalla faccia della terra se solo lo volessero. Penso agli Stati Uniti che sono lontani, ma vicini, e soprattutto alla Cina o al Giappone, che potrebbe rapidamente nuclearizzarsi.

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Brexit. Dublino: l'Irlanda del Nord dovrebbe aderire all'Ue

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“L’Irlanda del Nord deve poter aderire all’Unione Europea dopo la Brexit”. Lo ha affermato il premier della Repubblica d’Irlanda, Enda Kenny, dopo l’incontro ieri con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Al referendum sulla Brexit la maggioranza dei cittadini nordirlandesi aveva votato per il “remain” e ora i negoziati potrebbe mettere in discussione gli accordi di pace del 1998. Michele Raviart ne ha parlato con Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto Studi Politici internazionali: 

R. – Il Regno Unito deve ancora capire quali rapporti regoleranno le relazioni con l’Unione Europea tra due anni o più, tra l’altro, perché non sappiamo bene quando il processo finirà. Chiaramente ciascuna parte tira l’acqua al suo mulino. Quindi, abbiamo sentito le posizioni del primo ministro irlandese che dice: noi dobbiamo avere il diritto di dirci che gli accordi che abbiamo fatto 20 anni fa, che mettevano un punto alla guerra indipendentista in Irlanda del Nord, continuino e che se l’Irlanda del Nord si esprime per restare nell’Unione Europea ci possa essere o una loro permanenza garantita almeno nella circolazione oppure, addirittura, una riunificazione dell’intero Paese.

D. – Dublino ha chiesto esplicitamente un referendum in Irlanda del Nord per la riunificazione e quindi diventare membri dell’Unione Europea. Su che basi?

R. – C’è una situazione paradossale in cui un Paese uscirebbe dall’Unione Europea e una parte di questo – l’Irlanda del Nord – resterebbe fuori. Qui è difficile trovare, cercare dei precedenti. Si tratta di posizioni negoziali su cui, di nuovo, è difficile pronunciarsi dal punto di vista giuridico. Io vi ricordo però, e secondo me questo è un punto importante, che l’Irlanda si appoggia alla Commissione europea e fa appello alla Commissione europea perché si schieri un po’ dalla sua parte e certamente Junker sarà felice di farlo, perché il messaggio della Brexit viene molto combattuto. L’Irlanda ha diverse vertenze aperte con la Commissione europea – ricordiamoci Apple l’anno scorso… E quindi la Commissione europea non si schiererà necessariamente e del tutto dalla sua parte.

D. – Sostanzialmente, sarebbe la fine del Regno Unito come lo conosciamo?

R. – Lo è già in parte, perché pensate a tutte le vertenze che si sono riaperte. Il referendum scozzese aveva stabilito che la Scozia sarebbe rimasta nel Regno Unito e tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. L’anno successivo si è deciso per il Brexit e si è riaperta la vertenza perché la Scozia aveva votato in netta maggioranza per restare all’interno dell’Unione Europea, mentre soltanto l’Inghilterra aveva votato per uscire. Qui si riapre una vertenza che era molto più violenta, quella dell’Irlanda del Nord, del processo di indipendenza che era finito alla fine egli anni ’90 con l’accordo di pace, e che è ancora più pericolosa. Intanto, in tutto questo si incrocia con una crisi all’interno del governo dell’Irlanda del Nord che ha portato alle dimissioni e tra poco, soltanto tra una settimana, il 2 marzo, si voterà anche lì.

D. – Adesso il confine tra regno Unito e Irlanda è sostanzialmente virtuale. Cosa potrebbe cambiare?

R. – Ormai sono passati venti anni dall’accordo di pace, i confini sono di fatto virtuali, no? Si può passare da un parte all’altra. Addirittura, l’accordo di pace prevedeva che i cittadini britannici nati nell’Irlanda del Nord potessero fare richiesta di passaporto irlandesi. Abbiamo visto, già l’anno scorso con la Brexit, che c’è stato un boom di persone britanniche, e non solo, che stanno facendo richieste di passaporti irlandesi per continuare a garantirsi di poter entrare nell’Unione europea. Dall’altra parte un “hard boarder” c’è già e non è tra l’Irlanda e il Regona Unito, ma fra Irlanda e Regno Unito e tutti gli altri Paesi dell‘Unione europea, perché Irlanda e Regno unito non fanno parte dell’accordo di Shengen di libera circolazione, in cui in teoria l’Irlanda voleva entrare negli anni ’90, ma aveva deciso di non entrarci in modo da garantirsi la libera circolazione con il Regno Unito. Adesso se il Regno Unito non facesse più parte dell’Unione Europea potrebbe costituire delle frontiere fisiche “hard borders”, anche  se il primo ministro britannico continua a negarlo. Invece, l’Irlanda magari vorrebbe entrare in Shengen e garantire degli “open borders” verso l’unione Europea. È forse questa la questione, no? Perché se si diventa cittadini europei poi si può circolare liberamente. Questo forse è il punto ed è il motivo per cui molti cittadini britannici vogliono cercare di garantirsi la cosa facendo richiesta di cittadinanza irlandese.

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Il nuovo caporalato nell'inchiesta per la morte della Clementi

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Una moderna catena di schiavitù: così si presenta oggi il caporalato come messo in luce dall'inchiesta della Procura di Trani che ha portato all'arresto di sei persone per la morte nel 2015 di Paola Clemente, la bracciante agricola uccisa da un malore nella campagna di Andria. Gli inquirenti hanno raccolto le testimonianze di oltre 40 colleghe di Paola, grazie soprattutto alle loro dichiarazioni e ai loro diari è emerso lo sfruttamento e il sottopagamento dei braccianti. Francesca Sabatinelli

E’ stata una battaglia di dignità, perché nessuno possa più morire come lei. Questa la speranza del marito di Paola Clemente, 49 anni, stroncata nel 2015 da quello che si tentò di far passare come un infarto, ma che ora, e gli arresti lo confermano, si sa essere stato un malore per la fatica. Accanto alla famiglia di Paola si è sempre schierata la Flai Cgil, Ivana Galli è la segretaria generale:

“Questi sei arresti hanno confermato quello che noi avevamo già denunciato l’anno scorso dopo la morte della signora Paola, e cioè che non era morta d’infarto ma di fatica, dentro la serra, d’estate, a 40 gradi all’ombra. Giorni e giorni di lavoro in queste condizioni, dalle tre del mattino alle sette di sera. È chiaro che è morta di fatica. E quindi dietro c’era uno sfruttamento sistematico”.

E’ un caporalato moderno quello che ha ucciso Paola Clemente nelle campagne di Andria, ma che sfrutta e sottopaga centinaia di persone in tutte le regioni d’Italia da nord al sud. A spiegare questa nuova forma più evoluta è stato il procuratore di Trani parlando delle persone arrestate, tra loro dipendenti di un’agenzia interinale e della ditta addetta al trasporto delle braccianti agricole, tutti residenti nel barese e nel tarantino. Ancora la Galli:

“Il caporale con il colletto bianco è un fenomeno molto radicato, molto diffuso ed è veramente complicato portarlo alla luce perché ha anche delle modalità complesse con cui si manifesta. Per cui, individuare il caporale, individuare l’organizzazione non è cosa facile perché si ammodernano e cambiano modalità e pelle a seconda, appunto, delle normative e della legge. Noi abbiamo due strumenti per sconfiggere questo fenomeno complesso e radicato che c’è su tutto il territorio nazionale. Gli strumenti che abbiamo sono gli strumenti che la legge offre e cioè dare una risposta con il collocamento pubblico, un collocamento che intermedia in maniera legale presso le istituzioni l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; e l’altro, è il trasporto: il trasporto che consente a questi lavoratori, a queste lavoratrici di raggiungere il proprio posto di lavoro”.

Alle braccianti, è uso riconoscere meno ore di quante effettivamente svolte, con una paga inferiore a quella prevista da contratto. Condizioni capestro accettate per bisogno estremo, per la diffusa situazione di povertà in cui versano molte famiglie soprattutto nel meridione italiano. Per questo nessuno si ribella, a spiegarlo una delle donne ascoltate dagli inquirenti: se fai la guerra la perdi e il giorno dopo non vai più a lavorare:

“Noi – istituzioni e organizzazioni sindacali – dobbiamo presidiare il territorio, far sentire questi lavoratori, queste lavoratrici meno soli rispetto al fatto che se denunciano non perdano il posto di lavoro, non vengano ricattati. Noi ci siamo inventati il sindacato di strada, questi pullmini della Flai Cgil che vanno in giro nelle campagne a parlare con le lavoratrici, ad aiutarle, a fare le vertenze, a fare le denunce ma soprattutto a farle sentire meno sole e a fare in modo che se denunciano non finiscono in mezzo alla strada e non perdono il posto di lavoro”.

L’approvazione della legge 199 sul caporalato, nell’ottobre scorso, ha permesso di ottenere risultati nella lotta a questo orribile fenomeno, che però è l’allarme è in continuo mutamento. Fabio Ciconte, direttore dell’associazione ambientalista Terra! Onlus e portavoce della campagna FilieraSporca contro lo sfruttamento del lavoro in agricoltura:

“Noi abbiamo visto nelle campagne foggiane, quest’estate, durante la raccolta del pomodoro, ad esempio l’aumento dei contratti di lavoro. E questo ci indica un’evoluzione, perché, è vero, ci sono i contratti, ma nei fatti camuffano un lavoro pagato a cottimo, una modalità di lavoro che prevede sempre lo sfruttamento. E perché questo possa non verificarsi, dobbiamo dare gli strumenti al comparto agricolo e alle filiere alimentari, intanto di essere trasparenti, e quindi in qualche modo dare al cittadino un controllo sociale di quello che avviene, ma poi dare anche il valore all’agricoltura in termini economici e di qualità. Perché qui il tema vero è che tu non riesci a remunerare in maniera sufficiente l’agricoltura, e quindi è chiaro che poi vai ad intervenire sull’abbattimento dei costi del lavoro ad esempio; e questo è un problema enorme. Quindi trasparenza della filiera, remunerazione del comparto agricolo, e mi viene da dire anche che noi dobbiamo fare in modo che l’agricoltura si metta a “fare sistema”, ovvero che le organizzazioni dei produttori facciano veramente il loro lavoro, di aggregare la componente agricola, in modo tale da avere un potere contrattuale più forte, e quindi essere remunerati di più”.

Ciò di cui bisogna sempre tener conto, è l’avvertimento, è che nelle campagne i braccianti vivono in isolamento fisico e geografico, condizioni che rendono più facile essere sfruttati e molto più difficile denunciare.

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Agli Oscar: "Il diritto di contare", una storia di donne e giustizia

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La notte degli Oscar che si celebrerà domenica prossima vede in competizione un buon numero di film che affrontano la piaga della segregazione razziale negli Stati Uniti e le difficoltà del cammino per una compiuta integrazione. Tra i titoli più belli, “Il diritto di contare”, che sarà sugli schermi italiani il prossimo 8 marzo. Il servizio di Luca Pellegrini

(dialogo dal film)

Karl Zielinski: Un ingegnere: C’è un posto vacante nel programma di formazioni ingegneri. Una persona con una mente da ingegnere e dovrebbe essere un ingegnere! Non puoi fare calcoli per il resto della vita!

Janelle Monáe: Signor Zielinski io sono una donna negra. Non prenderò in considerazione l’impossibile.

Karl Zielinski: Io un ebreo polacco i cui genitori sono morti in un campo di concentramento e adesso mi trovo sotto una navicella spaziale che porterà un’astronauta verso le stelle.Ti faccio una domanda: Se tu fossi un uomo bianco, vorresti diventare un ingegnere?

Janelle Monáe: Non lo vorrei diventare. Lo sarei già diventato.

Quelli erano i tempi. Anni ’60, Stati Uniti. Sono state le donne a incoraggiare Margot Lee Shetterley a scrivere finalmente la storia delle matematiche di colore della NASA. “Troppo spesso nella storia i loro ritratti, i nostri ritratti, di donne di colore - precisa la scrittrice - sono stati gravati dalla retorica negativa e dalla vulnerabilità che derivano dall’essere sia di colore che donne”. La retorica non grava assolutamente, invece, sul film che Theodore Melfi ha tratto da quelle belle pagine dedicate alle battaglie, alle umiliazioni e ai successi delle calcolatrici dell’Area ovest, quella dove loro erano confinate. A Langley, in Virginia. Il giudice di un tribunale ricorda com’era la vita allora in quello Stato.

(dialogo dal film)

Un giudice: Il liceo Hampton è una scuola per bianchi, signora Jackson.

Janelle Monáe: Sì, vostro onore, ne sono consapevole.

Un giudice: Sì, la Virginia è uno Stato segregazionista.

Janelle Monáe: Mi posso avvicinare Signore? Vostro onore, lei più di tutti dovrebbe capire l’importanza di essere primi.

Un giudice: In che senso signora Jackson?

Janelle Monáe: Lei è stato il primo nella sua famiglia ad arruolarsi nelle forze armate, nella marina americana; il primo a frequentare l’università …

Un giudice: Quale sarebbe il punto?

Janelle Monáe: Io voglio diventare un ingegnere della Nasa, ma non potrò riuscirci senza frequentare i corsi di quella scuola e non posso cambiare il colore della mia pelle. Perciò non ho altra scelta che diventare la prima, cosa che posso fare senza di lei.

Erano gli anni in cui la segregazione era legalizzata e la discriminazione razziale un fatto comune. Il titolo italiano del film, Il diritto di contare, gioca quindi brillantemente su un doppio significato: diritto di valere in quanto professioniste e quello di destreggiarsi tra calcoli e cifre. Entrambi senza discriminazioni. Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, le tre protagoniste del film, sono figure ancora poco conosciute, sebbene la loro energia e audacia, unite al ruolo fondamentale di ingegnosi “computer umani”, siano state indispensabili alla NASA. Katherine non lottava solo per se stessa. Lottava per le donne e per una maggiore giustizia. Un dialogo tratto dal film.

Taraji P. Henson: Signor Harrison, vorrei assistere alla riunione di oggi.

Al Harrison: Come mai?

Taraji P. Henson: I dati cambiano molto velocemente; la capsula cambia, la massa, le zone di lancio … Cambia tutto. Ogni giorno. Io faccio il mio lavoro, voi assistete alle riunioni. Io ricomincio da capo. Al lancio mancano poche settimane!

Al Harrison: E perché non può assistere?

Paul Stafford: Perché non ha l’autorizzazione AL.

Taraji P. Henson: Devo essere lì e sentire insieme a voi.

Paul Stafford: Le riunioni non sono aperte ai civili. Chiedono la massima autorizzazione!

Taraji P. Henson: Io sono la persona migliore per presentare i miei calcoli signor Harrison!

Al Harrison: Non intendi mollare, vero?

Taraji P. Henson: No, non mollerò!

Paul Stafford: E poi è una donna! Il protocollo non ne prevede la presenza!

Al Harrison: Ok, questo l’ho capito Paul. Ma all’interno di queste mura, chi è che fa le regole?

Taraji P. Henson: Lei signore. È lei il capo. Deve solo comportarsi come tale, signore.

Le tre attrici che le interpretano sono assolutamente formidabili: Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe; e pure Kevin Costner si ritaglia il ruolo del leader con onore. Un lavoro di squadra che fece crollare muri, una amicizia che si consolidò nelle prove. Erano i tempi di John F. Kennedy, quelli. E paiono lontanissimi.

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Usa, appello vescovi per la tutela dei migranti

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È un appello a tutelare i migranti quello lanciato da mons. Joe Vásquez, presidente del Comitato per le migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. In una nota diffusa ieri, il presule fa riferimento ai due protocolli di attuazione, in materia di immigrazione interna, emesse dal Dipartimento per la Sicurezza degli Usa. In particolare, le nuove norme stabiliscono che qualsiasi immigrato irregolare che violi la legge penale americana possa essere rimpatriato, mentre finora il provvedimento espulsivo riguardava solo i reati gravi. Inoltre, vengono rafforzate le forze militari al confine tra Stati Uniti e Messico.

Rischi per le famiglie migranti e per i più vulnerabili
“Riconosciamo l’importanza di garantire la pubblica sicurezza e saremmo favorevoli a misure ragionevoli in questo ambito”, scrive mons. Vásquez in una nota. Tuttavia, i due memorandum emessi recentemente “contengono alcuni provvedimenti che, se attuati così come sono scritti, finirebbero per danneggiare la pubblica sicurezza, piuttosto che rafforzarla”. Inoltre, aggiunge il vescovo statunitense, “complessivamente, le politiche contenute in questi memorandum finiranno per dividere le famiglie, sconvolgere comunità pacifiche, mettere in pericolo la vita e la sicurezza dei più vulnerabili e far crescere la paura nelle comunità di migranti”.

Tutelare minori non accompagnati e richiedenti asilo
Sottolineando, in particolare, come le politiche migratorie attuali “eliminino protezioni importanti per le fasce vulnerabili della popolazione, incluse i minori non accompagnati ed i richiedenti asilo”, il presule lancia l’allarme anche per “la grande espansione della militarizzazione al confine tra gli Usa ed il Messico” e per la priorità che viene data alla “deportazione” di migranti privi di documenti.

Difendere la dignità degli immigrati
Per questo, mons. Vásquez esorta l’amministrazione statale a “riconsiderare” i memorandum, così come “le azioni intraprese nel corso dell’ultimo mese” che “hanno posto gli immigrati in uno stato di maggiore vulnerabilità”. Infine, insieme a tutti i vescovi Usa, il presule ribadisce l’impegno della Chiesa “nella cura e nel rispetto della dignità umana di tutti, indipendentemente dallo status di immigrato”, così da “accompagnare e proteggere i fratelli e sorelle immigrati, riconoscendo il loro contributo e la loro dignità intrinseca, in quanto figli di Dio”. (I.P.)

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Oim: 366 i migranti morti nel Mediterraneo da gennaio

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I migranti morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2017 sono 366: il dato è stato reso noto oggi a Ginevra dall’Oim, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. La maggior parte dei decessi è avvenuta lungo la rotta Libia-Italia. Nell'analogo periodo dello scorso anno erano stati segnalati 97 decessi, si tratta dunque del 300% in più rispetto allo stesso periodo. Quasi 14 mila invece gli immigrati e i rifugiati giunti via mare in Europa da gennaio, oltre il 75% di essi, precisa l’Oim, è approdato in Italia e il resto in Grecia e Spagna. A cinque giorni dalla fine del mese di febbraio 2017, gli arrivi in Italia potrebbero essere dunque del 50% superiori a quelli registrati nel corso dei primi due mesi del 2016.

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Colombia, card. Salazar: la protezione di bambini è una priorità

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La protezione di bambini e adolescenti è una priorità assoluta per la Chiesa in Colombia e non si deve escludere nessuno sforzo per denunciare che l’abuso sessuale è “un delitto atroce contro l’umanità”, soprattutto in un momento in cui la violenza sui minori nel 2016 è aumentata, nella città di Bogotà, del 49,2%. E’ quanto scrive il cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo della capitale colombiana, rispondendo ad una lettera della direttrice dell’Istituto colombiano di benessere familiare, Cristina Plazas Michelsen, incentrata su questo turpe fenomeno. 

Il dramma degli abusi in Colombia
Quella degli abusi sessuali sui minori è una piaga sempre più dilagante in Colombia. E’ un raccapricciante scenario – denunciato recentemente anche dall’ente colombiano in difesa dei diritti dell’uomo – che si ripete soprattutto in contesti familiari segnati da violenza e abbandono dove lo sfruttamento sessuale, la pornografia e lo stupro possono segnare drammaticamente la quotidianità di migliaia di bambini. Solo nel 2015 sono stati oltre 18 mila i minori vittime di abusi nel Paese, dove è sempre più rilevante anche il turpe fenomeno del turismo sessuale.

“Tolleranza zero” da parte della Chiesa
Il cardinale Salazar, in particolare, chiede perdono per i casi che vedono coinvolti esponenti della Chiesa e ribadisce la linea della “tolleranza zero” precisando che i responsabili di tali crimini devono essere puniti sia secondo le norme di legge dello Stato sia in base a quelle del diritto canonico. La Chiesa – come ha scritto Papa Francesco nel 2016 nella lettera ai vescovi in occasione della Festa dei Santi Innocenti – “piange con amarezza questo peccato dei suoi figli e chiede perdono”. Ma la Chiesa è fortemente impegnata perché questi drammi non si ripetano.

Cruciale la selezione dei candidati al sacerdozio
Il cardinale indica in particolare nella prevenzione, nella formazione e in una più rigorosa selezione dei seminaristi alcune delle direttrici che devono orientare gli sforzi della Chiesa. Un’attenzione speciale – aggiunge il porporato – viene posta alle vittime e allo loro famiglie. Il cardinale ricorda poi un altro passaggio della lettera di Papa Francesco del 2016: “Ascoltiamo il pianto e il lamento di questi bambini; ascoltiamo anche il pianto e il lamento della nostra madre Chiesa, che piange non solo davanti al dolore procurato nei suoi figli più piccoli, ma anche perché conosce il peccato di alcuni dei suoi membri: la sofferenza, la storia e il dolore dei minori che furono abusati sessualmente da sacerdoti. Peccato che ci fa vergognare”. (A cura di Amedeo Lomonaco)    

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Egitto: Sinai, un altro cristiano ucciso e famiglie copte in fuga

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Circa 200 famiglie di cristiani hanno lasciato Al Arish nelle due ultime due settimane in seguito a uccisioni di copti perpetrate da jihadisti del sedicente Stato Islamico. Lo riferiscono alla stampa internazionale fonti della comunità copta, confermando l'uccisione di un altro cristiano - il sesto nel giro di un mese - nel capoluogo del Sinai settentrionale. Il suo nome era Kamel Youssef, un idraulico. È stato assassinato nei pressi della sua abitazione, davanti a moglie e a figli. Quella copta è la più grande comunità cristiana del Medio Oriente e rappresenta circa il 10% della popolazione egiziana. Domenica scorsa era stato diffuso un video in cui gli ex miliziani "Ansar Beit el-Maqdes", ora affiliati all'Is, indicavano nei copti la loro "preda favorita" e nell'attentato del dicembre scorso a una chiesa del Cairo con 27 morti "solo l'inizio" della persecuzione di quelli che hanno definito "infedeli". (G. A.)

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Sud Sudan, appello dei vescovi: Paese dilaniato da guerra e carestia

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E’ urgente e accorato l’appello lanciato dai vescovi del Sud Sudan, dove oltre 4,9 milioni degli 11 milioni di abitanti hanno bisogno immediatamente di aiuti umanitari. Lo scorso 20 febbraio il governo ha dichiarato lo stato di carestia in varie zone del Paese, dove sono oltre un milione i bambini sotto i cinque anni che soffrono di malnutrizione grave.

Senza aiuti, crisi alimentare destinata ad aggravarsi
Nel messaggio pastorale rivolto alla popolazione del Sud Sudan i presuli esortano la comunità internazionale ad intervenire in tempi rapidi altrimenti la crisi alimentare è destinata ad aggravarsi. Uno scenario drammatico, quello del Paese africano, legato anche alla guerra civile scoppiata nel 2013. Un conflitto che ha spinto oltre 3 milioni di persone a lasciare le loro case cercando rifugio in Paesi vicini. Il Sud Sudan è stato dichiarato indipendente nel 2011. Nel 2013 è piombato in una guerra civile, che ha provocato migliaia di morti nonostante l'impiego di circa 12 mila Caschi blu.

La violenza colpisce anche la Chiesa
Questo clima di violenza colpisce anche la Chiesa e in particolare sacerdoti, suore e religiose. Alcune chiese - ricordano i presuli - sono state bruciate. Nel messaggio vescovi ribadiscono che la Chiesa non si schiera con una delle parti coinvolte nel conflitto. La Chiesa - scrivono - è a favore della pace, della giustizia, del perdono, della riconciliazione, del dialogo, dello stato di diritto e del buon governo. Ed è contro la violenza, la discriminazione, la corruzione e l’oppressione.

L’appello del Papa
Nel messaggio i presuli ricordano le parole pronunciate da Papa Francesco durante l’udienza generale di mercoledì scorso. “Destano particolare apprensione - aveva detto il Santo Padre - le dolorose notizie che giungono dal martoriato Sud Sudan, dove ad un conflitto fratricida si unisce una grave crisi alimentare che condanna alla morte per fame milioni di persone, tra cui molti bambini”. “In questo momento - aveva aggiunto - è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti”: “il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”. (A.L.)

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Burkina Faso: con una app, Chiesa più vicina ai fedeli

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“Preghiere catho mobile”: è la app che in Burkina Faso offrirà preghiere e notizie sulla vita della Chiesa locale. Presentata lunedì scorso dall’arcivescovo di Ouagadougou, il card. Philippe Ouédraogo, l’applicazione fornirà agli iscritti almeno 4 messaggi al giorno, per rispondere anche alla volontà della Chiesa di conformarsi allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il porporato, riferisce il quotidiano Sidwaya, ha spiegato che i moderni mezzi di comunicazione sono doni di Dio che permettono agli uomini di avere prontamente una buona informazione, sono canali di trasmissione del Vangelo. Ne sono prova la creazione di Radio Ave Maria nel 1993, della televisione Maria nel 2009 e ancora del sito web e del giornale “Duc in Altum” lo scorso anno.

Il progetto coinvolge tre enti
“Preghiere catho mobile” è stata creata in collaborazione con l’operatore di telefonia mobile Airtel Burkina ed è frutto di un partenariato che coinvolge la direzione dei media dell’arcidiocesi di Ouagadougou e l’edizione multimediale di Bayard Afrique. Per il card. Ouédraogo si tratta di uno strumento che permetterà anche di crescere nella fede attraverso le preghiere che saranno inviate ogni giorno: “Questo nuovo servizio - ha concluso - offre l’occasione di vivere in perfetta comunione per costruire un mondo più bello, più giusto e più fraterno”. (T.C.)

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Bangladesh, card. D’Rozario: estremismo islamico resta grave minaccia

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“Voglio anzitutto rendere omaggio ai fratelli e alle sorelle che hanno perso la vita per mano dei jihadisti a Dacca il primo luglio del 2016, comprese le vittime italiane”. E’ quanto ha riferito all’associazione Acs-Italia il cardinale Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dacca, in oocasione della consacrazione oggi, in Bangladesh, della chiesa di San Michele ad Harintana. La chiesa, la cui prima pietra è stata posta lo scorso 27 settembre, è stata costruita grazie alle donazioni di diversi benefattori, anche italiani.  “Non importa - ha affermato il porporato - quanto sia piccola la comunità cristiana. Questa ha certamente bisogno di un luogo di culto”.

Le condizioni della comunità cristiana in Bangladesh
Il cardinale Patrick D’Rozario si è poi soffermato sulle condizioni della piccola comunità di fedeli in un Paese dove i cristiani non superano lo 0,5%. “I cristiani in generale, e le popolazioni tribali in particolare, vivono nella povertà estrema”. “Abbiamo bisogno - ha aggiunto - di sacerdoti e religiose, soprattutto docenti qualificati per formare i seminaristi. Molte parrocchie gestiscono pensioni e ostelli, i quali rappresentano il mezzo migliore, in alcuni casi l’unico possibile, per offrire agli studenti cristiani più poveri la possibilità di istruirsi”.

Nel Paese asiatico diverse le criticità legate alle salute
A destare preoccupazione sono anche le carenze del sistema sanitario. “Le malattie epidemiche - ha detto l’arcivescovo di Dacca - sono ancora molto comuni nelle remote aree rurali del Bangladesh. La cura per le donne incinte e per i neonati è sempre stata una priorità fra le attività della Chiesa cattolica in Bangladesh e dobbiamo cercare fondi per amministrare reparti maternità e ambulatori”. Non bisogna dimenticare poi che “quasi ogni anno il Bangladesh è colpito da calamità naturali e molti cristiani già colpiti dalla povertà perdono la casa”. 

La piaga dell’estremismo islamico
Una delle minacce più gravi resta l’estremismo islamico. Negli ultimi due anni Al Qaeda e il sedicente Stato Islamico hanno rivendicato la responsabilità per l’uccisione di decine di persone. “La Chiesa - ha affermato il porporato - prega per la conversione dei responsabili di questi crimini”, di cui sono vittime non solo i cristiani, ma anche “alcuni induisti e buddisti”. “Il governo è consapevole della necessità di garantire sicurezza alle minoranze”. “La comunità cristiana bengalese - ha concluso l’arcivescovo di Dacca - non verrà meno alla propria missione”.

L’attentato del primo luglio del 2016
Nella notte del primo luglio, sette terroristi islamisti hanno aperto il fuoco all'interno di un ristorante situato nel quartiere diplomatico di Dacca, non distante dall'ambasciata italiana: 22 civili e 5 attentatori sono morti durante l’attacco. Uno dei terroristi è stato catturato e tredici ostaggi sono stati liberati dalle forze armate bengalesi. Riferendosi a questo drammatico episodio, Papa Francesco in un messaggio pubblicato il 2 luglio del 2016 ha parlato di “atti barbari”, di “offese contro Dio e l’umanità”. (A.L.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 55

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.