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Sommario del 25/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai parroci: siate vicini alle coppie in ogni situazione

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Siate vicini alle coppie in ogni situazione: alle unioni celebrate in Cristo come alle unioni civili, alle famiglie felici e infelici. E’ quanto chiede il Papa nel discorso ai partecipanti al corso di formazione, per i parroci, sul nuovo processo matrimoniale, promosso dal Tribunale della Rota Romana. Il corso ha preso il via mercoledì scorso e si conclude oggi. Francesco, che ha ricevuto i partecipanti stamani in Vaticano, ribadisce la necessità di una lunga preparazione al matrimonio, da vivere non come un fatto sociale ma come vero Sacramento. Il servizio di Debora Donnini

I parroci sono chiamati ad essere “compagni di viaggio”, che testimoniano e sostengono le persone, in ogni situazione:

“Nessuno meglio di voi conosce ed è a contatto con la realtà del tessuto sociale nel territorio, sperimentandone la complessità variegata: unioni celebrate in Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici”.

Nella maggior parte dei casi, infatti, i parroci sono i primi interlocutori dei giovani che desiderano il Sacramento del matrimonio. Non solo. A loro si rivolgono i coniugi che hanno seri problemi e hanno bisogno di riscoprire la grazia del Sacramento.

Il corso di formazione sul nuovo processo matrimoniale era indirizzato infatti proprio ai parroci, con l’obiettivo di approfondire quanto proposto nel Sinodo sul tema “Matrimonio e famiglia”, poi recepito e integrato nell’Esortazione Apostolica "Amoris laetitia" e quindi tradotto nei due specifici provvedimenti, i Motu proprio Mitis Iudex e Misericors Jesus. Il Papa quindi loda queste iniziative di studio.

Catecumenato per sposi: preparare i fidanzati e poi seguire le giovani coppie
La prima cosa che Francesco chiede è che si testimoni la grazia del Sacramento del matrimonio fra uomo e donna, sia nella preparazione per i fidanzati sia, poi, nell’accompagnare le giovani coppie, aiutandole a vivere “nei momenti di gioia e in quelli di fatica”:

“Ma io mi domando, quante volte o quanti di questi giovani che vengono ai corsi prematrimoniali capiscano cosa significa ‘matrimonio’ e il segno dell’unione di Cristo e la Chiesa. ‘Sì, sì’, dicono di sì; ma capiscono, questo? Hanno fede in quello? Sono convinto che ci voglia un vero catecumenato per il Sacramento del matrimonio e non fare la preparazione con due o tre riunioni e poi andare avanti”.

Francesco chiede quindi ai parroci di realizzare questo catecumenato dei futuri sposi. Una necessità già espressa nel recente discorso alla Rota Romana:

“Vi incoraggio ad attuarlo nonostante le difficoltà che potrete incontrare. Credo che la difficoltà più grande sia pensare o vivere il matrimonio come un fatto sociale – ‘noi dobbiamo fare questo fatto sociale’ – e non come un vero Sacramento che vuole una preparazione lunga. Lunga”.

Il matrimonio è “icona di Dio”. L’amore di Dio Uno e Trino e l’amore fra Cristo e la Chiesa devono essere quindi al centro della catechesi matrimoniale.

Non presentarsi come esperti di norme giuridiche
Bisogna anche sostenere quanti si sono resi conto che “la loro unione non è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione”:

“In questa delicata e necessaria opera fate in modo che i vostri fedeli vi riconoscano non tanto come esperti di atti burocratici o di norme giuridiche, ma come fratelli che si pongono in un atteggiamento di ascolto e di comprensione”.

Vicinanza ai giovani che convivono senza sposarsi
Francesco chiede poi di farsi prossimi e accogliere quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi. “Sono fra i poveri e i piccoli”, verso i quali la Chiesa vuole essere madre che non abbandona:

“Anche queste persone sono amate dal cuore di Cristo. Abbiate verso di loro uno sguardo di tenerezza e di compassione. Questa cura degli ultimi, proprio perché emana dal Vangelo, è parte essenziale della vostra opera di promozione e difesa del Sacramento del matrimonio”.

La parrocchia è infatti il luogo, per antonomasia, della salvezza delle anime, come insegnava il Beato Paolo VI. Bisogna quindi essere ministri di consolazione specialmente fra le persone più fragili.

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Papa a Capodarco: società è giusta solo se riconosce diritti dei deboli

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La Comunità di Capodarco ha compiuto nel dicembre 2016 i suoi primi 50 anni. Si è svolta nell’ambito di questo anniversario l’udienza di stamattina con Papa Francesco in Aula Paolo VI. Circa 2600 i partecipanti insieme a don Franco Monterubbianesi, il fondatore, e a don Vinicio Albanesi, l’attuale presidente. “Soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli, una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia”, ha detto il Papa, ringraziando la Comunità per il suo prezioso impegno a fianco delle persone più fragili. Ascoltiamo le parole del Papa nel servizio di Adriana Masotti

“Voi avete scelto di stare dalla parte di queste persone meno tutelate, per offrire loro accoglienza, sostegno e speranza, in una dinamica di condivisione. In questo modo avete contribuito e contribuite a rendere migliore la società”.

E’ con parole di profonda gratitudine che il Papa si rivolge ai membri della Comunità di Capodarco “per il bene, dice, compiuto in tutti questi anni al servizio delle persone disabili, dei minori, di quanti vivono situazioni di dipendenza e di disagio, e delle loro famiglie”. E per la testimonianza offerta alla società aiutandola a scoprire “la dignità di tutti, a partire dagli ultimi”. La qualità della vita all’interno di una società si misura, in buona parte, afferma Francesco, dalla capacità di includere coloro che sono più deboli. Anche la persona con disabilità e fragilità deve inoltre essere aiutata ad attuare le sue potenzialità:

“Una società che desse spazio solo alle persone pienamente funzionali, del tutto autonome e indipendenti non sarebbe una società degna dell’uomo. La discriminazione in base all’efficienza non è meno deplorevole di quella compiuta in base alla razza o al censo o alla religione”.

Il Papa sottolinea l’approccio della Comunità verso chi si sente uno “sconfitto dalla vita”: un approccio, dice, che supera l’atteggiamento pietistico e assistenzialistico per favorire il protagonismo della persona:

“Vi incoraggio a proseguire su questa strada, che vede in primo piano l’azione personale e diretta dei disabili stessi”.

Francesco riconosce: non è facile lavorare nel campo del disagio personale e sociale. Ci vuole anche coraggio e spirito di sacrificio. Sottolinea poi il contributo che le persone diversamente abili possono offrire alla comunità ecclesiale favorendo rapporti semplici e fraterni:

“Accogliendo tutti questi 'piccoli' segnati da impedimenti mentali o fisici o da ferite dell’anima, voi riconoscete in essi dei testimoni particolari della tenerezza di Dio, dai quali abbiamo molto da imparare e che hanno un posto privilegiato anche nella Chiesa”.

Al termine dell'udienza il lungo saluto del Papa a molti dei presenti: incontri personali, intensi, fatti di carezze, sguardi e reciproci abbracci.

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Il popolo di Capodarco: ridare speranza e protagonismo agli ultimi

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Tanta gioia tra i circa 2600 partecipanti all’incontro del Papa con la Comunità di Capodarco, accompagnati dal fondatore, don Franco Monterubbianesi. Presenti operatori e volontari, che lavorano al fianco di disabili ed emarginati, e persone che - grazie al loro aiuto - hanno ritrovato la speranza di vivere, riuscendo a reinserirsi nella società. Ascoltiamo alcune testimonianze al microfono di Marco Guerra: 

R. - Noi accogliamo mamme che hanno problemi nel vissuto personale, donne che hanno subito violenze dai propri compagni e che non hanno un alloggio.

R. - La nostra è una comunità che sta a Fermo e lavora in sinergia con il dipartimento di salute mentale. In pratica nella nostra casa vengono persone mandate dal dipartimento e poi con queste persone cerchiamo di costruire un percorso. L’idea è quella poi di arrivare nel giro di qualche anno al reinserimento.

In Aula Paolo VI c’è tutta la galassia delle cooperative della Comunità di Capodarco impegnate nelle periferie della società. Disabili mentali e fisici, nuovi poveri, migranti ed emarginati, trovano un modello di recupero e integrazione che parte dalla valorizzazione dei talenti di ogni persona. Così com’è stato per Donatello, ex-tossico dipendente di Castelfidardo, letteralmente rinato dopo l’incontro con Capodarco:

R. - E’ stato un cambio radicale della mia vita. Ho vissuto per 20 anni per strada, non avevo un tetto, non avevo famiglia e lì ho trovato un tetto, una famiglia, persone che mi volevano bene. Io credo che non è sufficiente smettere di drogarsi, ma serve avere una visione nuova della vita.

E dopo 50 anni questa rete di cooperative rappresenta un modello alternativo che va oltre il pietismo e l’assistenzialismo di Stato. Il fulcro di questa realtà è l’inserimento lavorativo e la piena autonomia del soggetto che vive in situazioni di emarginazione, come confermano le parole dei responsabili di alcune comunità di Fermo e Boville Ernica:

R. - Sicuramente è una modalità possibile che parte dalla valorizzazione delle persone più emarginate. Cioè, il modello sta in questo: con le persone in difficoltà costruire insieme il loro futuro. Una società impostata così è una società che è migliore anche per i cosiddetti sani.

D. - Voi  aiutate a togliere i talenti da sotto terra…

R.  – Assolutamente, sì. E suggeriamo anche a chi pensa di non averne che vale la pena. Li aiutiamo a scoprire i talenti che hanno e a farli moltiplicare.

R. - Sì, come prima don Franco, ha detto al microfono, questo modello ha permesso un cambiamento radicale nella vita di chi era costretto a stare segregato in casa, a trascorrere giornate chiuso nel proprio mondo, senza contatti sociali e senza potersi realizzare laddove anche il disabile può e deve realizzarsi.

D. - Un impegno avviato da un consacrato ma che ora si regge sulle gambe di migliaia di laici che ogni giorno lavorano per la comunità di Capodarco...

R. - L’intuizione di don Franco è stato possibile realizzarla attraverso un mondo di laici, disabili, persone in difficoltà, volontari, è stato un messaggio che è stato raccolto: è il messaggio della fede cristiana.

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Papa: costruire ponti dove si alzano muri per paura degli altri

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Abbiamo bisogno di fraternità, di costruire ponti in un mondo dove si alzano muri per paura degli altri. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco nell’udienza alla Delegazione Cattolica per la Cooperazione, organismo nato in Francia 50 anni fa sulla scia della Populorum Progressio del Beato Paolo VI. Il Papa ha ribadito la necessità di una conversione ecologica per promuovere il bene comune. Il servizio di Alessandro Gisotti

Far crescere la “cultura della misericordia” basata “sulla riscoperta dell’incontro con gli altri”. Ricevendo in Vaticano i membri della Delegazione Cattolica per la Cooperazione, Francesco ha messo l’accento sull’urgenza di promuovere una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza:

“Non abbiate paura di percorrere le strade della fraternità e di costruire ponti tra le persone e tra i popoli, in un mondo in cui si alzano ancora tanti muri per paura degli altri. Mediante le vostre iniziative, i vostri progetti e le vostre azioni voi rendete visibile una Chiesa povera con e per i poveri, una Chiesa in uscita che si fa prossima delle persone in stato di sofferenza, di precarietà, di emarginazione, di esclusione”.

Sviluppo sia integrale, promuova ogni uomo e tutto l’uomo
Nel suo discorso, il Papa si è dunque soffermato sull’attualità dell’Enciclica di Paolo VI, Populorum Progressio, nel 50.mo anniversario di pubblicazione:

“Come ha scritto il Beato Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio, ‘lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. […] La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino’”.

Serve conversione ecologica per promuovere il bene comune
La parola “solidarietà”, ha ripreso, “si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità”. Il Papa ha così espresso l’urgenza “di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”:

“E’ proprio in questa dinamica che la Délégation Catholique pour la Coopération ha voluto inscrivere la propria azione, realizzando un vero partenariato con le Chiese e gli attori locali dei Paesi in cui i volontari sono inviati, e lavorando d’intesa con le autorità civili e tutte le persone di buona volontà. Essa contribuisce anche ad un’autentica conversione ecologica che riconosce l’eminente dignità di ogni persona, il valore che le è proprio, la sua creatività e la sua capacità di cercare e di promuovere il bene comune”.

Il Papa ha infine incoraggiato la Delegazione Cattolica per la Cooperazione “ad essere al servizio di una Chiesa che permette a ciascuno di riconoscere la sorprendente prossimità di Dio”, impegnandosi “in vista del bene di tutti e della salvaguardia della nostra casa comune”.

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Papa: rischio guerra mondiale per l'acqua. Ascoltare grido dei poveri

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Ascoltare il grido del fratello vuol dire ascoltare il grido della terra che chiede rispetto e condivisione responsabile di un bene che è di tutti. E’ il nuovo monito di Papa Francesco, che ieri pomeriggio è intervenuto ad un seminario alla Pontificia Accademia delle Scienze sul diritto umano all’acqua. Agli esperti riuniti alla Casina Pio IV in Vaticano, il Pontefice ha chiesto un’azione concreta urgente ed un forte impegno in difesa dell’acqua che potrebbe altrimenti finire al centro di "una grande guerra mondiale". Cecilia Seppia

Dove c’è acqua c’è vita e solo lì la società può crescere e progredire, perciò la protezione di questo bene, umile e puro come lo definisce San Francesco, ma dal valore inestimabile, e la tutela del diritto di ogni uomo all’acqua potabile e sicura, sono azioni urgenti e cruciali nel mondo di oggi. Così il Papa intervenendo ad un seminario alla Pontificia Accademia delle Scienze, rimette l’accento sulla difesa dell’ambiente minacciato da egoismi e sfruttamento:

“E’ doloroso vedere quando in una legislazione di un paese o di un gruppo di paesi non si considera l’acqua come un diritto umano, ancora più doloroso quando si cancella ciò che c’era scritto lì e si nega questo diritto umano. È un problema che riguarda tutti e fa sì che la nostra Casa comune sopporti tanta miseria e reclami soluzioni effettive, davvero capaci di superare egoismi che impediscono l’attuazione di questo diritto vitale per tutti gli esseri umani”.

E’ necessario dunque attribuire all’acqua la centralità che merita nell’ambito delle politiche pubbliche, ma bisogna anche ricordare che dal diritto che abbiamo ad essa deriva un obbligo, un dovere che gli è collegato e che non si può separare: agire per essa, farlo in modo equo, concretizzando anche con strumenti giuridici, quanto approvato in materia dalle Risoluzioni Onu del 2010. Un diritto, quello all’acqua incontaminata, determinante per la sopravvivenza delle persone e del futuro dell’umanità, ecco perché secondo il Papa la prima azione d’urto consiste nell’educare le generazioni future, informarle sulla gravità di questa realtà, anche perché il rischio è enorme:

“La formazione della coscienza  è un compito difficile; richiede convinzione e dedizione. E io mi chiedo se in mezzo a questa terza guerra mondiale a pezzetti che stiamo vivendo non siamo in cammino verso la grande guerra mondiale per l’acqua… Ancora non è tardi, ma è urgente prendere coscienza del bisogno di acqua e del suo valore essenziale per il bene dell’umanità”.

Il Papa ripete con dolore le cifre dell’Onu, definendole sconvolgenti: mille bambini perdono la vita ogni giorno a causa di malattie collegate all’acqua, milioni di persone consumano acqua inquinata, altre muoiono di sete. Non è tardi per agire - ripete -  ma è necessario prendere coscienza del bisogno di acqua e del rispetto di essa come condizione imprescindibile per l’esercizio degli altri diritti umani: 

“Se rispetteremo questo diritto come fondamentale, staremo ponendo le basi per proteggere gli altri diritti. Ma se violeremo questo diritto essenziale, come potremo vegliare sugli altri e lottare per loro! In questo impegno di dare all’acqua il posto che le corrisponde è necessaria una cultura della cura e dell’incontro”.

Tutte le forze sono dunque chiamate in causa: scienziati, imprenditori, governanti e politici in un atteggiamento rinnovato, quasi una poesia, una nuova creazione:

“Occorre unire tutte le nostre voci in una stessa causa; non saranno più voci individuali o isolate, ma il grido del fratello che reclama per mezzo di noi, è il grido della terra che chiede il rispetto e la condivisione responsabile di un bene, che è bene di tutti. In questa cultura dell’incontro, è imprescindibile l’azione di ogni Stato come garante dell’accesso universale all’acqua sicura e di qualità”.

Dio, conclude, non ci abbandona in questo lavoro, ma il lavoro è nostro, così come la responsabilità. Quindi agli esperti riuniti nella Casina Pio IV in Vaticano, Francesco lancia la sfida più bella, l’ideale più alto per il quale vale la pena lottare:

“Con il nostro “poco” contribuiremo a far sì che la nostra casa comune sia più abitabile e più solidale, una casa dove nessuno venga scartato né escluso, ma dove tutti godiamo dei beni necessari per vivere e crescere in dignità”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Papa visita Chiesa anglicana a Roma. Rev. Boardman: gioia incredibile

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Questa domenica, Papa Francesco si recherà alle 16.00 presso la Chiesa Anglicana di Roma, la Parrocchia di Ognissanti, situata in Via del Babuino. Si tratta di una visita storica: mai nessun Papa era stato in questa Chiesa che festeggia quest’anno il 200.mo anniversario della prima celebrazione eucaristica. Nell’ottobre dell’anno scorso, il Papa aveva incontrato in Vaticano i Primati delle Provincie Anglicane, guidati dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, in occasione dei 50 anni di dialogo ecumenico. Su questa visita ascoltiamo il parroco di Ognissanti, il reverendo Jonathan Boardman, al microfono di Philippa Hitchen

R. – È una gioia incredibile, ha un significato assolutamente straordinario! Ma allo stesso tempo penso che sia una cosa normale, dopo 50 anni. E in un certo senso questo riflette il carattere di Papa Francesco, perché lui ha un modo semplice di fare le cose. Al momento di accettare il nostro invito, per me avrà detto semplicemente: “Sì certo, andrò!”. Dunque, questa è una delle tante cose spirituali della nostra vita cristiana: che una cosa straordinaria è una cosa normale, una cosa quotidiana. E creare questa connessione tra le due cose è importante e noi proviamo a farlo.

D. – Oltre alla preghiera comune con il Papa, ci sarà anche il lato molto pratico del gemellaggio con la Parrocchia cattolica di Ognissanti a Roma…

R. – Sì, infatti. Ci sarà un servizio insieme ai poveri ogni venerdì sera alla stazione Ostiense, che noi abbiamo già cominciato. E ci saranno le occasioni che promettiamo di fare insieme, per conoscerci meglio e per creare un’amicizia più profonda: partecipare alle due diverse Liturgie e conoscerci anche come comunità cristiana, per i nostri culti.

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Oggi in Primo Piano



Siria: attentati ad Homs rivendicati da gruppi qaedisti

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Sono stati rivendicati dal ramo di Al Qaeda in Siria, il fronte Fateh al-Cham, gli attentati di questa mattina ad Homs, che hanno provocato oltre 40 vittime, tra cui il capo dell'intelligence militare, il generale Hassan Daaboul. Gli attentati hanno colpito le basi della sicurezza nella città occidentale, la terza della Siria, in particolare i quartier generali delle forze dell'ordine statali e dei servizi segreti militari e civili. Ad entrare in azione, almeno sei terroristi e alcuni di loro si sono fatti saltare in aria. Giada Aquilino ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: 

R. – Con le difficoltà di gestire e mantenere il controllo del territorio e con l’avanzata delle forze lealiste di Assad e i loro alleati, si ritorna alla strategia degli attentati in particolare nelle zone riconquistate. E i servizi di sicurezza sono poi un vero centro nevralgico, ancora forse più delle forze armate, del potere alawita, cioè della minoranza religiosa che controlla la Siria e di cui fa parte il presidente Assad.

D. - Qual è il ruolo strategico di Homs?

R. – Homs è stata la prima grande riconquista da parte del regime e ha segnalato forse una certa inversione di tendenza nel conflitto. Assieme ad Aleppo, è non solo una città simbolo della Siria, ma controlla delle vie strategiche per la base di Tartous, tenuta dalle forze russe: è l’unica base russa nel Mediterraneo; e soprattutto porta anche verso Damasco, verso il nord del Libano. Quindi era fondamentale per il regime controllarla.

D. – Qual è la storia del gruppo di qaedisti del fronte Fateh al-Cham, che ha rivendicato le azioni?

R.  – Si tratta di una serie di gruppi jihadisti che sono spin-off del fronte Jabhat al-Nusra, struttura di Al Qaeda. Crescendo lo Stato Islamico e con le evidenti penetrazioni dei gruppi radicali jihadisti dentro l’opposizione ad Assad, c’è stata tutta una serie di pressioni affinché alcuni gruppi si dessero una “ripulita” almeno formale. Fateh al-Cham è dunque uno spin-off di al-Nusra, per renderlo più presentabile, più digeribile all’opinione pubblica occidentale.

D.  – E che legami hanno con il sedicente Stato islamico?

R. – Ideologicamente seguono un modello assolutamente diverso di jihadismo globale, ma pur sempre fanno parte del fronte jihadista. Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico, pur essendo legati all’ideale jihadista, si sono a lungo combattuti anche se non sono mancate a volte convergenze tattiche. Ma stiamo parlando di formazioni che sono rivali proprio perché portano lo stesso messaggio jihadista, seppur in modo diverso.

D. – Nel frattempo, a Ginevra, l’Onu cerca di far ripartire i colloqui intra-siriani dopo dieci mesi di pausa: qual è la situazione?

R. – Bisogna avere il coraggio di essere ottimisti, ma anche quello di essere realisti. Questi colloqui si trascinano stancamente: mentre da parte filo-Assad c’è una strategia chiara – e cioè vincere la guerra – da parte occidentale c’è una confusione cosmica, che mi sembra accentuata anche dal nuovo presidente statunitense. E soprattutto ci sono Paesi come l’Arabia Saudita e i Paesi arabi sunniti che continuano con le loro politiche molto ambigue: dicono di sostenere l’opposizione moderata, che non si capisce quale sia, e in realtà trafficano con i gruppi più radicali. Non sono disposti ad accettare gli iraniani come interlocutori e, se non si accettano come interlocutori, non si va da nessuna parte, visto che Hezbollah e le milizie sciite, sia in Iraq sia in Siria, sono decisive.

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Francia, i vescovi: rispondere a disperazione agricoltori

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Solidarietà dei vescovi francesi ai lavoratori agricoli del Paese viene espressa in una Dichiarazione del Consiglio permanente. “Vogliamo esprimere la nostra attenzione, la nostra vicinanza ed il nostro sostegno ai lavoratori agricoli – si legge nel documento – La crisi è profonda, complessa e molto sfaccettata” perché tra le tante diversità del mondo rurale, “la crisi non colpisce tutti allo stesso modo”. Ma “nessuno – è il monito dei vescovi – può rassegnarsi ad un futuro incerto per l’agricoltura e per ciò che essa rappresenta”. 

Non restare sordi alla disperazione degli agricoltori
Di qui, l’appello della Conferenza episcopale da un lato a “non rimanere sordi di fronte alla disperazione degli agricoltori”, che “non hanno più la speranza di vivere del loro lavoro”; dall’altro a “non rimanere indifferenti agli eccessi di un’economia che non mette la persona al centro delle sue scelte”. Non solo: i vescovi d’Oltralpe mettono in evidenza che i problemi della realtà agricola pongono una domanda più profonda: che tipo di società si sta sviluppando? “È urgente – ribadiscono i presuli – mettere in discussione il modo di mangiare e di vivere” di tutti.

Pensare a nuove iniziative
Se, infatti, non esiste attualmente “una risposta facile per risolvere la crisi agricola”, allora bisogna avere “il coraggio di guardare le cose in modo diverso e di pensare insieme come incoraggiare e sostenere nuove idee, nuovi approcci e nuove iniziative che vadano verso l’innovazione, i prodotti di qualità e l’avvio di circuiti brevi di trasformazione e commercio”.

Creare spazi di dialogo
Centrale poi l’appello a riflettere sulla precarietà che stanno vivendo oggi gli agricoltori. Dal suo canto, conclude la Cef, “la missione della Chiesa sarà quella di creare spazi di dialogo, dibattito, occasioni di aiuto reciproco per migliorare la qualità della produzione, della convivenza, della vita, per dare un’anima” alla società. (I.P.)

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Vescovi Sudafrica: Paese resti nella Corte penale internazionale

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Il Sudafrica non esca dalla Corte penale internazionale (Cpi): questo l’appello lanciato da mons. Abel Gabuza, presidente della Commissione episcopale sudafricana per la Giustizia e la pace, dopo che il governo locale ha annunciato l’intenzione di lasciare la Cpi, a causa delle critiche subite per non aver arrestato il presidente sudanese Omar al Bashir durante una visita a Johannesburg. Contro Al Bashir la Cpi aveva spiccato un mandato di arresto per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella regione del Darfur.

Decisione del governo, bocciata dall’Alta Corte di Pretoria
La decisione dell’esecutivo sudafricano è arrivata senza l’approvazione del Parlamento locale e per questo l’Alta Corte di Pretoria l’ha bollata come incostituzionale, invitando presidente e ministri a “presentare immediatamente comunicazione di recesso”. “Ribadiamo il nostro appello al governo  - sottolinea mons. Gabuza - a restare all’interno della Cpi, almeno fino a quando l’Africa non avrà sviluppato una sua Corte regionale efficace, con la capacità e la volontà di chiedere conto delle responsabilità di tutti i funzionari e dirigenti statali, ed in particolare dei rappresentanti di governo”.

Il Protocollo di Malabo
Invece di spendere soldi per impugnare la sentenza dell’Alta Corte, quindi – è l’auspicio di mons. Gabuza – il governo sudafricano dovrebbe investire le sue risorse ed i suoi sforzi “nella mobilitazione di altri Paesi africani per assicurarsi che un numero sufficiente di Stati membri ratifichi il Protocollo di Malabo che istituisce una Corte africana di Giustizia e dei diritti umani”.

Occorrono riforme urgenti ed efficaci
Elaborato nel 2014 dall’Unione Africana, tale protocollo è stato ratificato, finora, solo da 11 dei 54 Stati africani membri dell’Ua. Infine, il presule esorta il governo sudafricano a dare ascolto “ai ripetuti appelli per riforme urgenti ed efficaci”. (I.P.)

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Chiesa australiana su abusi sessuali: non accada mai più

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“Non accada mai più”. E’ questo il grido denso di dolore che la Chiesa australiana, umiliata e scossa, condensa in un monito imperativo al termine delle audizioni della Royal Commission, istituita in Australia per fare luce sugli abusi compiuti da membri del clero. Dopo quattro anni d’inchiesta, sono stati accertati tra il 1980 e il 2010 circa 4.440 casi all’interno della Chiesa cattolica. Circa 1.880 sacerdoti - pari al 7% dei preti australiani - sono risultati coinvolti.

L’impegno con i sopravvissuti degli abusi
“Come presidente della Conferenza episcopale australiana - si legge nel comunicato diffuso ieri e firmato dall’arcivescovo Denis Hart - mi rivolgo ai sopravvissuti degli abusi sessuali su minori, ai cattolici e a tutta la comunità e prendo questo impegno: farò tutto quanto in mio potere per garantire che l’abuso del passato non accada mai più e che le riforme che i miei compagni vescovi e i leader religiosi hanno approvato negli ultimi anni, siano attuate. Ribadisco che la Chiesa cattolica in Australia continuerà a sostenere i superstiti di abusi sessuali su minori”.

Nuove prospettive per il futuro
Nel corso delle ultime tre settimane, sono apparsi davanti alla Commissione più di 70 esponenti della Chiesa con l’obiettivo di individuare lacune ed errori ma anche per delineare prospettive efficaci per il futuro. Si è inoltre cercato di comprendere come sia stato possibile che questi casi non siano stati presi in esame dai vertici della Chiesa. Sono stati analizzati – si legge poi nel comunicato – molti aspetti tra cui “il diritto canonico, il confessionale, il celibato, il clericalismo, la formazione, il supporto professionale e la supervisione”.

Atteso il rapporto finale della Commissione reale
“Quello che abbiamo imparato dal lavoro condotto per capire meglio quali dinamiche hanno contribuito a diffondere l’abuso sessuale su minori nella Chiesa – scrive mons. Hart – deve ora essere implementato nelle nostre politiche e pratiche future”. Il presule esprime inoltre gratitudine alle vittime degli abusi per “il coraggio” che hanno dimostrato. L’indagine compiuta in questi anni dalla Commissione reale e dall’Ente formato dalla Chiesa cattolica – sottolinea infine il presule - è stata “faticosa e impegnativa”. Alla fine di quest’anno il presidente della Commissione reale, Peter McClellan, presenterà al governo australiano le raccomandazioni e il rapporto finale. (A cura di Amedo Lomonaco)

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Shock in Italia per due rom chiuse in gabbia e filmate

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Indagati per sequestro di persona, ma osannati dal web e dalla Lega. Due dipendenti di un supermercato di Follonica dovranno rispondere alla giustizia per aver rinchiuso, in un gabbiotto per rifiuti, due donne nomadi che raccoglievano gli scarti del negozio. Dopo averle filmate deridendole, i due hanno poi diffuso in Rete il video che ha suscitato frasi di odio contro le donne e perfino sostegno ai due autori del gesto. Francesca Sabatinelli ha intervistato il giornalista Giovanni Maria Bellu, autore del libro “I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell'Italia”, nonché presidente dell’Associazione Carta di Roma, punto di riferimento per tutti coloro che sono impegnati al fianco delle minoranze nel mondo dell’informazione: 

R. - Fa impressione l’intera sequenza. Nel senso che noi, normalmente, siamo abituati a leggere cose feroci sui social che poi vengono diffuse, vengono commentate, vengono aggravate, oppure cose non feroci, per esempio normali notizie che riguardano gli immigrati o che riguardano i rom, ma che vengono bersagliate da commenti di odio. In questo caso abbiamo un atto già odioso compiuto da irresponsabili e sorprende la ferocia di quell’atto. Sorprende di meno il fatto che poi loro l’abbiano messo, così, con questa svagatezza, sulle loro pagine facebook e che sia stato diffuso. Perché noi assistiamo, sempre quando c’è un discorso d’odio, al fatto che abbiamo dei soggetti che quasi non si rendono conto di compiere un atto che poi porta alla conoscenza di migliaia, a volte centinaia di migliaia di persone, il loro gesto. In questo caso, tra l’altro, si sono anche autodenunciati, cioè hanno fornito pubblicamente la prova del reato. Questo indica il livello che, anche in un ambito criminale o paracriminale, il rapporto col social può creare: cioè il livello di inconsapevolezza totale. Il fatto più grave di tutti è che poi alcuni soggetti politici, e in particolare il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, si siano buttati in questa melma cercando di creare consenso da questo orrore. Forse questo è il fatto grave.

D. - C’è però anche la reazione degli avventori del supermercato in questione, intervistati all’uscita, che hanno mostrato atteggiamenti palesemente razzisti o di assoluta indifferenza. Questo indigna ma soprattutto fa paura…

R. – Io credo che se noi avessimo la forza, la forza che ci manca, la forza che storicamente manca a questo Paese, di considerarci una comunità e avere un senso dello Stato e un senso della nazione, dovremmo tutti quanti allarmarci, indipendentemente dalle convinzioni politiche, per questo clima. Sicuramente è vero che è molto più facile il discorso razzista del discorso della consapevolezza. Ed è ancora più facile in un momento di esasperazione sociale, di crisi economica… E’ una cosa che spezza la possibilità di un dialogo, che ne elimina i presupposti. Purtroppo c’è una parte della politica che rimesta in questo fango e sono i veri irresponsabili pericolosi.

D. - Però non si può aspettare che solo la classe politica intervenga…

R. - Certamente un ruolo fondamentale ce l’hanno i mezzi di comunicazione. E un ruolo forse oggi ancora più importante ce l’hanno quanti gestiscono i social. E’ stata istituita, nel maggio dell’anno scorso alla Camera, una commissione di studio, dedicata a Jo Cox, la parlamentare inglese che è stata uccisa qualche giorno prima del referendum sulla Brexit, che si occupa dell’intolleranza e dell’odio e ragiona su come eliminare o attenuare questo fenomeno. Si è individuato nei social, nel debole filtro che esercitano, nel ritardo con cui eliminano le parole d’odio, uno dei problemi principali. E’ un problema dell’informazione in senso lato, dei social in particolare, e poi dei mezzi di informazione tradizionali che si avvalgono, tra l’altro, dei social per diffondere i loro articoli e utilizzano i social come filtro per i commenti e molto spesso questo filtro non viene esercitato oppure viene esercitato con grande ritardo. Per cui questi messaggi d’odio che sono facili, semplici, suggestivi, consentono di dare sfogo alla rabbia e anziché essere bloccati continuano a circolare. Purtroppo c’è anche chi confonde questo con la libertà di manifestazione del pensiero, ma non ha nulla a che fare, e ritiene che bloccare questi messaggi d’odio sia un atto di censura, rallentando ulteriormente l’azione repressiva che invece deve essere fatta. Questo è come dire che l’ingiuria e la diffamazione sono atti di libera manifestazione del pensiero, ognuno di noi a livello individuale sa benissimo che se è diffamato o ingiuriato non dice che chi lo sta ingiuriando sta esercitando un diritto costituzionale, ma sta commettendo un reato. E questo vale anche a livello collettivo.

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Sicilia, mons. Pennisi: sia garantita assistenza ai disabili

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Mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e delegato della Conferenza episcopale siciliana per la Sanità, lancia un appello alle istituzioni regionali siciliane perché vengano assicurati servizi e assistenza ai disabili. “Le persone con disabilità, le loro famiglie che affrontano ogni giorno sacrifici 'eroici', gli operatori e le associazioni di volontariato in Sicilia vivono nella frammentarietà e nella precarietà dei servizi che portano ad una sfiducia paralizzante nelle istituzioni e a una distorsione costante delle relazioni”, si legge in una dichiarazione del presule pubblicata sul portale delle Chiese di Sicilia. “Già Papa Francesco, per il Giubileo delle persone con disabilità, ha denunciato la tentazione di tenere queste persone 'separate', in qualche 'recinto, magari dorato', o nelle 'riserve' dell’assistenzialismo - aggiunge mons. Pennisi - perché non si intralci 'il ritmo del falso benessere', quando addirittura non si arriva a ipotizzare che sia 'meglio sbarazzarsene quanto prima' per evitare che diventino un peso insostenibile dal punto di vista economico. Noi non possiamo permetterlo”.

I vescovi siciliani chiedono più iniziative a favore dei soggetti con disabilità
Nell’ultima sessione di lavoro del 16-18 gennaio scorso, i vescovi delle diciotto diocesi della Sicilia avevano esortato l’assessore regionale alla Famiglia, perché si creassero “percorsi virtuosi a favore delle persone disabili”, perché si rendessero “più stabili e certi i servizi scolastici ed extrascolastici”. La Conferenza episcopale aveva inoltre chiesto "di redigere il Progetto individualizzato di vita per l’autodeterminazione e l’inclusione sociale” e, accogliendo l’invito del garante delle persone con disabilità, avevano invitato le autorità competenti ad essere “sempre più presenti e coinvolte nelle fasi di programmazione delle iniziative a favore dei soggetti con disabilità".

No alla cultura dell’emarginazione sociale e dello scarto
“Laddove sussistono barriere architettoniche e mentali si coltiva la cultura dell’emarginazione sociale e la 'mentalità dello scarto' e della 'globalizzazione dell’indifferenza – afferma l’arcivescovo di Monreale –. Facciamo appello perché le nostre Istituzioni regionali mantengano le promesse fatte e si mettano al servizio della salute e della vita di tutte le persone. Vita che deve essere coerentemente difesa e promossa, non solo nel suo sorgere e nel suo tramontare, ma anche nel suo scorrere il più possibile sereno”. (T.C.)

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo dell'ottava Domenica T.O.

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Il Vangelo dell'ottava Domenica del Tempo ordinario presenta il brano del Vangelo in cui Gesù insegna ai discepoli a non servire Dio e il denaro, invitandoli a fidarsi della Provvidenza di Dio di fronte alle necessità concrete della vita:

"Non preoccupatevi dunque dicendo: 'Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?'. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno". 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di Don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Quando siamo tentati di credere che Dio ci abbia abbandonato, è facile cercare una sicurezza alternativa nel benessere economico, illudendosi che l’abbondanza delle risorse metta al riparo dalla precarietà dell’esistenza. Gesù Cristo, oggi, indica la via per superare ogni paura: “Cercate, anzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia! Tutto il resto vi sarà dato in aggiunta…, infatti, il Padre sa che ne avete bisogno”. Anziché affannarci per il denaro, interroghiamoci su cosa Dio voglia da noi quotidianamente, cosa sia giusto compiere per essergli graditi. La Volontà di Dio, infatti, è l’unica realtà che dà pace se la seguiamo, svela chi siamo realmente, illuminando le scelte che Egli attende da noi in ogni circostanza. L’amore alle ricchezze, al contrario, è la radice di tutti i mali, crea facilmente divisioni e violenze. Fin da piccoli è bene imparare a ricercare cosa sia giusto nel suo Regno, non c’è tesoro più grande sulla terra, altrimenti una costante insoddisfazione ci accompagnerà. Ciò implica la familiarità con le Scritture, il desiderio di scoprire, poco a poco, la Verità custodita dal Magistero, e l’essere introdotti gradualmente nella tradizione vivente della Chiesa attraverso l’iniziazione cristiana, che si protrae nel corso di tutta la nostra esistenza. Il resto ci sarà donato con grande prodigalità!

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 56

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.