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Sommario del 27/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa nella Chiesa anglicana: testimoniare insieme Vangelo della carità

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Storica visita di Papa Francesco, ieri pomeriggio, nella Chiesa anglicana di Ognissanti a Roma: mai nessun Pontefice si era recato presso questa comunità che festeggia quest'anno il bicentenario della sua presenza nella capitale. Una nuova tappa significativa a 50 anni dall'inizio del dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani. Nel corso della visita, Francesco ha benedetto la nuova icona di Cristo Salvatore ed è stato ufficializzato il gemellaggio tra questa parrocchia e quella cattolica di Ognissanti. Nell'occasione il Papa ha annunciato che è allo studio un viaggio nel martoriato Sud Sudan. Il servizio di Giancarlo La Vella

“Fratelli e sorelle in Cristo, mediante il nostro comune Battesimo”.

Dopo aver ricevuto il benvenuto da parte del reverendo Jonathan Boardman e del vescovo Robert Innes, il Pontefice ha ringraziato per l’invito ed è subito entrato nel vivo della visita: il desiderio di camminare insieme ormai lontano dal sospetto, dalla diffidenza e dall’ostilità reciproci del passato. La sua riflessione parte dall’icona del Cristo Salvatore, da lui benedetta:

“Gesù, guardandoci, sembra rivolgere anche a noi una chiamata, un appello: 'Sei pronto a lasciare qualcosa del tuo passato per me? Vuoi essere messaggero del mio amore, della mia misericordia?'”.

Ed è proprio il bisogno della misericordia divina, unito all’umiltà, sull’esempio di San Paolo, che riuscì a superare così le incomprensioni sorte nella comunità di Corinto, la chiave di volta nel cammino ecumenico odierno: “Diventare umili" e "riconoscersi bisognosi di Dio, mendicanti di misericordia". E’ questo "il punto di partenza – dice il Papa – perché sia Dio ad operare":

“Se riconosciamo la nostra debolezza e chiediamo perdono, allora la misericordia risanatrice di Dio risplenderà dentro di noi e sarà pure visibile al di fuori; gli altri avvertiranno in qualche modo, tramite noi, la bellezza gentile del volto di Cristo”.

Cattolici e Anglicani – dice ancora Francesco – su queste basi sono chiamati a camminare insieme, attraverso la testimonianza concorde della carità, con la quale si rende visibile il volto misericordioso di Gesù:

“Ringraziamo il Signore perché tra i cristiani è cresciuto il desiderio di una maggiore vicinanza, che si manifesta nel pregare insieme e nella comune testimonianza al Vangelo, soprattutto attraverso varie forme di servizio”.

Dove ci si unisce nel nome di Gesù – sottolinea il Santo Padre – Egli è lì e, rivolgendo il suo sguardo di misericordia, chiama a spendersi per l’unità e per l’amore. Infine, il dialogo del Papa con i fedeli presenti. Tre domande: una sul rapporto oggi tra cattolici e anglicani:

"Il rapporto tra cattolici e anglicani oggi è buono, come fratelli. E questo è importante, ma strappare un pezzo dalla storia e portarlo come se fosse un’icona dei rapporti non è giusto. Un fatto storico deve essere letto nell’ermeneutica di quel momento, non con un’altra ermeneutica. Ma è vero che nella storia ci sono cose brutte. 'Oggi va meglio, ma non facciamo tutte le cose uguali... Ma camminiamo insieme, andiamo avanti insieme. E dobbiamo continuare su questo".

Una seconda domanda su quali siano le tappe da seguire nel dialogo ecumenico, tra teologia e azione sociale: 

"Ambedue le cose sono importanti. Non si può fare il dialogo ecumenico fermi. Il dialogo ecumenico si fa in cammino perché il dialogo ecumenico è un cammino e le cose teologiche si discutono in cammino. Ma nel frattempo noi ci aiutiamo, noi, uno con l’altro nelle nostre necessità, nella nostra vita, anche spiritualmente ci aiutiamo. Si deve cercare il dialogo teologico per cercare anche le radici, sui sacramenti, su tante cose su cui ancora non siamo d’accordo. Ma questo non si può fare in laboratorio: si deve fare camminando, lungo la via".

Poi una terza domanda su come migliorare i rapporti alla luce di quanto di buono fanno le Chiese del Sud del mondo:

"Le Chiese giovani hanno una vitalità diversa, perché sono giovani. Per esempio, io sto studiando, i miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan, perché sono venuti i vescovi, l’anglicano, il presbiteriano e il cattolico, tutti e tre insieme a dirmi: 'Per favore, venga in Sud Sudan, soltanto una giornata, ma non venga solo, venga con Justin Welby', l’arcivescovo di Canterbury. Da loro, Chiesa giovane, è venuta questa creatività. E stiamo pensando se si può fare, anche se la situazione è troppo brutta laggiù… Ma lo dobbiamo fare, perché loro, tutti e tre insieme, vogliono la pace e loro lavorano insieme per la pace".

Rimane, dunque, vivo l’intento della Dichiarazione comune firmata nell’ottobre scorso tra Papa Francesco e il primate della Comunione anglicana, Justin Welby: la volontà di andare oltre gli ostacoli verso la piena unità e il desiderio di un cammino ecumenico, che non sia solo teologico, ma nelle azioni concrete su temi comuni, come la cura del Creato, la carità e la pace.

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Sud Sudan. Vescovo di Yei: "La gente prega perché il Papa venga"

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Forte risonanza hanno avuto le parole del Papa che ieri, alla Chiesa anglicana di Ognissanti, ha prospettato la possibilità di una sua visita in Sud Sudan, paese martoriato dalla guerra civile e dove circa 100mila persone sono praticamente alla fame. Il servizio di Debora Donnini:

Sono tre i vescovi sudanesi - uno anglicano, uno presbiteriano ed uno cattolico - che hanno chiesto al Papa di visitare questo martoriato Paese, anche una sola giornata, assieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Lo racconta lo stesso Papa Francesco che parla di un viaggio, allo studio, in Sud Sudan. Sull’eco di queste parole, sentiamo mons. Erkolano Lodu Tombe, vescovo di Yei, in Sud Sudan:

"I’m delighted, I am happy to hear that the Pope may come, may come to South Sudan. …
Sono entusiasta e felice di sentire che il Papa potrebbe venire in Sud Sudan! Il Santo Padre non ha promesso: lo spera. Per questo la gente ha detto: preghiamo per la venuta del Santo Padre in Sud Sudan. La sua venuta avrebbe un grande significato per la nostra fede e per la nostra vita, perfino per i non cristiani, per tutte le popolazioni del Sud Sudan …".

Dopo decenni di sanguinoso conflitto, il Sud Sudan, cristiano e animista, riesce a ottenere l’indipendenza nel 2011 dal Nord arabo e islamico. Ben presto però, precisamente nel 2013, il Sud Sudan ripiomba nell’incubo di una nuova guerra civile, che poi, nonostante gli accordi di pace, si riaccende nel luglio dello scorso anno. A combattersi i gruppi che sostengono il presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, e quelli legati al suo vice Riek Machar, di etnia Nuer. Si perpetuano uccisioni di civili, stupri, torture e saccheggi, sono ormai 100mila le persone ridotte alla fame, complice anche la carestia, e sono fra i 2 e i 3 milioni i sudanesi sfollati o fuggiti nei Paesi limitrofi. Sulla drammatica situazione, ancora mons. Lodu Tombe:

"The current situation in our Country, in South Sudan, is still the situation of a civil war …
In questo momento, il Sud Sudan vive la condizione di una guerra civile. Ci sono uccisioni, ci sono persone che scappano nei Paesi vicini, aggressioni e distruzioni di chiese sono all’ordine del giorno, eppure la gente del Paese è convinta che prima o poi tutto questo finirà. Noi tutti abbiamo la speranza che questa brutta situazione finisca presto. Non so quantificare il tempo, ma finirà, perché sia la Chiesa sia la gente sia il governo vogliono porre fine a questa brutta situazione nel nostro Paese".

Un appello per il Sud Sudan, Francesco lo aveva levato mercoledì scorso, all’udienza generale. Aveva chiesto di far arrivare alle popolazioni sofferenti gli aiuti alimentari. E ancora, in un recente Messaggio Pastorale, anche i vescovi sudanesi hanno lanciato un accorato appello al mondo perché le parti tornino a negoziare, e hanno ribadito la loro di disponibilità a favorire questo dialogo. Quale, dunque, l’impegno della Chiesa in questo momento?

"Our intervention first of all is to make sure that the appeal of the Holy Father Pope Francis …
Il nostro intervento, prima di tutto, mira a far sì che l’appello che Papa Francesco ha lanciato, lo scorso 22 febbraio, alla comunità internazionale, arrivi veramente anche alle popolazioni del Sud Sudan. La crisi attuale è troppo pesante e il Papa ha detto che la comunità internazionale deve guardare alle sofferenze della gente del Sud Sudan. Quindi, anche la nostra voce lancia un appello e lo stesso governo del Sud Sudan ha dichiarato che ci sono migliaia di persone che stanno soffrendo la fame nel Paese: per questo il nostro impegno è prima di tutto quello di prendere atto della sofferenza della gente. La catastrofe umanitaria richiede una risposta urgente e noi chiediamo alla comunità internazionale di venire in aiuto alla gente che in Sud Sudan sta morendo di fame".

E tutto questo con la speranza che il Sud Sudan torni, finalmente, un giorno, a respirare la pace.

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Sarà Beato don Tito Zeman, martire salesiano sotto il comunismo

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Papa Francesco ha ricevuto stamane il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzando il Dicastero a promulgare i decreti riguardanti un nuovo Beato e sette nuovi Venerabili Servi di Dio. Il servizio di Sergio Centofanti

Sarà presto Beato il sacerdote slovacco Tito Zeman, salesiano, di cui è stato riconosciuto il martirio. Nato nel 1915 presso Bratislava, si trasferisce a Roma dove studia alla Gregoriana ed emette la professione perpetua a 23 anni nella Chiesa salesiana del Sacro Cuore. Nel 1940 viene ordinato sacerdote a Torino.

Tornato in patria, iniziano le prime prove. Nel 1950 il regime comunista cecoslovacco vieta gli ordini religiosi e inizia a deportare i religiosi nei campi di concentramento. Don Zeman organizza viaggi clandestini verso Torino per consentire ai giovani salesiani di completare gli studi per diventare sacerdoti. E’ un grande rischio che affronta con coraggio. Al terzo viaggio è scoperto: viene arrestato, subisce un duro processo, durante il quale è descritto come traditore della patria e spia del Vaticano. E’ a un passo dalla condanna a morte. Il tribunale comunista gli infligge 25 anni di prigione. Esce nel 1964, dopo 12 anni di reclusione, durante i quali subisce torture e privazioni di ogni tipo. Ma il fisico è ormai debilitato e la salute compromessa: muore a 54 anni. “Anche se perdessi la vita - aveva detto - non la considererei sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che ho aiutato è diventato sacerdote al posto mio”.

Tra i nuovi Venerabili Servi di Dio, di cui sono state riconosciute le virtù eroiche, figura un medico di Spello, Vittorio Trancanelli. Nato nel 1944, si sposa con Lia Sabatini: ha un figlio naturale e ne adotta altri sette. Opera come chirurgo presso un ospedale di Perugia: per lui è una missione. Al centro di tutto c’è la persona del malato. Anche lui passa attraverso la dolorosa esperienza di numerose malattie. Muore a 54 anni. Poco prima di spirare vuole accanto a sé la moglie e i figli, e indicandoli dice: “Per questo vale la pena vivere; anche se fossi diventato chissà chi, se avessi avuto i soldi in banca, avessi comprato tante case, cosa avrei portato con me adesso? Cosa portavo davanti a Dio? Adesso porto l’amore che abbiamo dato”. 

Gli altri Nuovi Venerabili Servi di Dio sono:

- Mons. Ottavio Ortiz Arrieta, della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, Vescovo di Chachapoyas; nato il 19 aprile 1878 e morto il 1° marzo 1958;

- Don Antonio Provolo, Sacerdote diocesano, Fondatore della Società di Maria per l’Educazione dei Sordomuti e della Congregazione di Maria per l’Educazione delle Sordomute; nato il 17 febbraio 1801 e morto il 4 novembre 1842;

- Padre Antonio Repiso Martínez de Orbe, Sacerdote professo della Compagnia di Gesù, Fondatore della Congregazione delle Suore del Divino Pastore; nato l’8 febbraio 1856 e morto il 27 luglio 1929;

- Madre Maria della Mercede Cabezas Terrero, Fondatrice dell’Istituto Religioso delle Operaie Missionarie del Sacro Cuore di Gesù; nata il 19 dicembre 1911 e morta il 30 settembre 1993;

- Suor Lucia dell’Immacolata (al secolo: Maria Ripamonti), Suora professa della Congregazione delle Ancelle della Carità; nata il 26 maggio 1909 e morta il 4 luglio 1954;

- Pietro Herrero Rubio, Laico; nato il 29 aprile 1904 e morto il 5 novembre 1978;

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Altre udienze

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Per le altre udienze odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana

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Scola: Papa a Milano, occasione d'incontro per credenti e non credenti

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Il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola ha illustrato oggi in conferenza stampa la visita pastorale che Papa Francesco compirà nel capoluogo lombardo il prossimo 25 marzo. Ce ne parla da Milano Fabio Brenna

Papa Francesco viene per confermarci nella fede per indicarci quello che conta veramente nella vita. E’ questo l’obiettivo dell’intensa giornata di sabato 25 marzo, secondo l’arcivescovo di Milano, il cardinale Scola. Ritmi intensi per una visita che vuole essere tutt’altro che blindata nonostante la presenza di migliaia di agenti schierati dalle istituzioni, in cui possa prevalere la gioia di un incontro. Quattromila e settecento saranno i volontari impiegati. Dopo il primo contatto con la periferia delle case popolari di via Salomone, il Papa incontrerà i religiosi in Duomo, prima di trasferirsi al carcere di San Vittore dove incontrerà i detenuti e pranzerà con loro.

Momento centrale della giornata la grande Messa delle ore 15.00 al parco di Monza in cui sono attese almeno 500 mila persone. Già organizzati 3.500 pullman e oltre 400 i treni speciali messi a disposizione verso il capoluogo della Brianza. L’invito a muoversi in modo sostenibile, anche con la bicicletta e con gli spostamenti a piedi. “Un’occasione di incontro per tutti, credenti e non credenti”, lo ha definito ancora il cardinale Scola. Infine, il grande abbraccio dei ragazzi della cresima allo stadio di San Siro. E proprio qui sarà donato al Papa il piano straordinario per sradicare entro il 2020 la povertà infantile a Milano.

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Oggi in Primo Piano



Cambogia: la gioia dei cattolici per la nuova chiesa a Po Thon

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“Una gioia immensa”. Così padre Gustavo Adrian Benitez, parroco di Po Thon, in Cambogia, per l’inaugurazione, nei giorni scorsi, della nuova chiesa. In questo villaggio vive una comunità cattolica che ha circa 100 anni, sopravvissuta alla dittatura di Pol Pot. Il vescovo della capitale Phnom Penh, mons. Olivier Schmitthaeusler, ha presieduto la solenne cerimonia, cui hanno partecipato diversi padri del Pontificio istituto missioni estere. Massimiliano Menichetti

Un fiore che sboccia in quello che è stato uno dei deserti più aridi: la Cambogia del dittatore comunista Pol Pot. Si evoca questa immagine nel vedere i muri chiari della nuova chiesa di Po Thon, a due passi dalla capitale Phnom Penh. Qui da oltre 100 anni vive una comunità cattolica khmer, la prima etnia del Paese. In questo angolo della Cambogia ancora oggi vivono fedeli che hanno conosciuto i martiri cattolici del sanguinario regime che distrusse la maggior parte dei luoghi di culto cattolici. Pol Pot fino alla fine degli anni 70, prima di essere rovesciato dal vicino Vietnam, sterminò il suo popolo. Nel folle disegno di creare un Paese nuovo, torturò e uccise ogni intellettuale, costringendo praticamente tutti al lavoro nei campi. Oggi la Cambogia è un Paese in crescita ma che fatica a guardare il suo passato. I cattolici, pur restando una minoranza in un contesto a maggioranza buddista, sono apprezzati e punto di riferimento: impegnati nel sociale, nell’educazione e nella costruzione di ponti con il vicino Vietnam. 

Padre Gustavo Adrian Benitez racconta la Cambogia di oggi e dei martiri del regime di Pol Pot, partendo dall'inaugurazione della nuova chiesa della piccola comunità cattolica di Po Thon: 

R. – Una gioia grande per la comunità anche perché la comunità ha più di 100 anni. Su questo c’è tanto da dire perché in Cambogia, essendo un Paese buddista, trovare tutta la famiglia che sia cattolica è un po’ raro. In questa comunità, che è una comunità antica ed è una comunità khmer, cambogiana, più di 50 famiglie sono cattoliche - tutta la famiglia vuol dire due, tre o quattro generazioni - e quindi avere una nuova chiesa è proprio una gioia!

D. - All’interno del territorio della parrocchia c’è proprio una parte solo khmer…

R. - Sì, sono responsabile di tre comunità. Dopo il fiume, dopo il Mekong, due sono vietnamite, nate in Cambogia, che conoscono quindi la lingua khmer. Ma questa dove è stata inaugurata e consacrata la nuova chiesa è proprio una comunità khmer, ovvero una comunità cambogiana al 100 per 100.

D. - Una delle sfide è proprio mettere insieme queste due realtà cattoliche. Da una parte quella vietnamita e dall’altra parte quella Khmer…

R.  - Sono popoli che non vanno d’accordo, per il passato sia della Cambogia sia del Vietnam, una tensione che arriva fino ad oggi e la comunità cattolica ne risente. Quindi per noi è proprio una sfida nell’educazione, nella formazione… ma è anche una sfida per il Paese a livello politico, sociale: ricostruire i ponti fra questi due Paesi.

D. - Nella storia recente il Paese ha subito la dittatura di Pol Pot: è rimasto segnato da questa dittatura?

R.  - Sì, soprattutto le generazioni passate. Le generazioni nuove talvolta sanno poco perché a scuola si dice poco. E’ un popolo che vuole anche dimenticare.

D. – La dittatura di Pol Pot fu una dittatura estremamente sanguinaria…

R. - Si calcola che tre milioni di cambogiani vennero uccisi. Un regime crudele contro la propria nazione: cioè un cambogiano contro un cambogiano e questa forse è una cosa più difficile da capire. Lui voleva iniziare una Cambogia “da zero”, rieducare la popolazione e per farlo doveva praticamente uccidere gli strati più elevati: medici, avvocati … Tutti questi sono stati imprigionati e poi uccisi. Quando Pol Pot è entrato a Phnom Penh ha chiesto a tutti di abbandonare la città e tutti hanno lavorato nei campi.

D. – Nella zona di Po Thon vi sono persone che hanno conosciuto le 35 vittime del regime per le quali è stata avviata la causa di beatificazione…

R. – Ci sono stati soprattutto due preti, il padre Salem e il vescovo Joseph Chhmar Salas. Prima dell’arrivo di Pol Pot e prima del 1975 avevano l’abitudine di celebrare Messa in queste comunità. Quindi molti dei nostri cattolici, oggi anziani, li hanno conosciuti, hanno celebrato con loro.

D. – Quali sono le difficoltà che affronta oggi il Paese?

R. – Noi abbiamo tantissimi giovani. Una delle sfide è proprio quella dell’educazione, che i giovani abbiano la possibilità di formarsi, per avere un futuro migliore rispetto a quello dei loro genitori. Poi c’è la sfida sociale, politica, poiché la Cambogia è anche un Paese in grandissimo sviluppo.

D. - Come Chiesa, come missionari, qual è la vostra linea di frontiera?

R. - Siamo pochi preti missionari e questa è una sfida per noi, per la Chiesa in Cambogia. Qui a Phnom Penh in tutto il vicariato abbiamo più di 40 comunità, ma noi preti, che siamo al servizio di questa comunità, saremmo una ventina… Uno dei primi fronti è proprio la cura pastorale e poi c’è l’aspetto della promozione umana, dei diritti… c’è il fronte sociale, le divisioni… E anche l’educazione…

D. – Qual è il rapporto con le altre fedi?

R. – Il buddismo è la religione ufficiale e i rapporti sono molto buoni. In tutte le attività che facciamo c’è una percentuale minima di cattolici, il resto sono tutti buddisti… Bambini, giovani, persone anziane, siamo apprezzati. I rapporti sono molto buoni.

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Congo. L'Onu condanna gli attacchi alle parrocchie

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“I luoghi di culto appartengono a tutti e, in quanto tali, sono destinati ad essere apolitici; le chiese sono anche luoghi di raccoglimento per le popolazioni e devono essere rispettate e protette”: è quanto si legge nella dichiarazione congiunta della Monusco (Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo), della nunziatura apostolica della Repubblica Democratica del Congo e della Conferenza episcopale (Cenco) redatta in seguito ai recenti attacchi contro parrocchie e altre infrastrutture cattoliche e pubblicata sul portale dell’Onu. Particolarmente violenti nelle province di Kinshasa, Haut-Katanga, Kasaï-Centrale e Kasaï-Orientale, attraverso tali gesti, prosegue la dichiarazione, “gli autori e/o committenti attentano al bene comune di tutti i congolesi”.

Cessino immediatamente tali atti deplorevoli
Maman S. Sidikou, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo e capo della Monusco, mons. Marcel Utembi, arcivescovo di Kisangani e presidente della Cenco, e mons. Luis Mariano Montemayor, nunzio, condannano fermamente tali atti vandalici, perseguibili penalmente per il diritto congolese e lanciano un appello perché cessino immediatamente tali atti deplorevoli. Monusco, Cenco e nunziatura apostolica chiedono infine agli attori politici di condannarli egualmente al fine di evitare qualunque tentativo di manipolazione volto a minare l’attuazione dell’accordo politico, globale e inclusivo del 31 dicembre scorso sullo svolgimento delle elezioni presidenziali entro il 2017. (T.C.)

 

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Vescovi spagnoli: utero in affitto è sfruttamento di donne e bambini

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“La posizione della Chiesa e della morale cristiana è in linea con la tesi sostenuta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: crediamo che la maternità surrogata costituisca uno sfruttamento delle donne e anche dei bambini che devono nascere, trasformati in oggetto di consumo”. Così il portavoce dei vescovi spagnoli, padre José Maria Gil Tamayo, interpellato dai giornalisti nei giorni scorsi durante la conferenza stampa al termine dei lavori della Commissione Permanente della Conferenza Episcopale nazionale.

Le persone non hanno prezzo, il figlio è un dono
“Le persone non hanno un prezzo e un figlio non è un diritto, ma un dono”. Chiare le parole del sacerdote: “la maternità surrogata è una mercificazione. Dobbiamo smettere di usare eufemismi: se parliamo di utero in affitto è affitto; se di aborto è aborto, non interruzione di gravidanza”. 

La Chiesa incoraggia adozione e affido
Il desiderio di paternità e maternità, la Chiesa invita a viverlo attraverso l’adozione e l’accoglienza delle persone con difficoltà, “specialmente dei più piccoli”. Padre Gil Tamayo ribadisce che per questo motivo i vescovi più volte hanno invocato legislazioni più flessibili, che facilitino le adozioni, garantendo sempre i diritti del bambino. 

Avere un figlio non è un diritto
Il portavoce dei presuli spagnoli ha messo in luce i vincoli affettivi che si generano tra la madre gestante e il bimbo nel grembo e ha posto l’accento sui problemi di identità personale ai quali andrà incontro il bambino nato da maternità surrogata. “Queste persone, pur avendo la stesso valore e dignità di ogni uomo, saranno sempre il frutto di una transazione, il più delle volte economica. La Chiesa dunque giudica "la gestazione per altri" una via non lecita, che contravviene all’ordine naturale della procreazione umana e che si basa sulla rivendicazione del “falso” diritto ad avere un figlio. 

Insegnamento della religione: costituito un tavolo per il dialogo educativo
La conferenza stampa tenutasi lo scorso 23 febbraio è stata anche l’occasione per fare il punto sulla situazione dell'insegnamento della religione in Spagna al centro dei lavori della Commissione Permanente dei vescovi. Padre Gil Tamayo ha spiegato che è stato creato un tavolo  ecclesiale per il dialogo educativo  presieduta dal card. Ricardo Blazquez e con la partecipazione, tra gli altri,  della Concapa, la Fundació Escola Cristiana de Catalunya, la Confederazione cattolica delle scuole e il Forum delle famiglie. Scopo del neonato organo, la cui prima riunione si terrà il prossimo 2 marzo, è quello di  affrontare la questione del  patto educativo nazionale con spirito di costruttività e tutelando i princìpi della libertà dell’educazione cattolica. L’obbiettivo – ha detto il portavoce – “è  offrire la formazione migliore agli uomini e alle donne di domani”.

Organizzata per i giovani consultazione web in vista del Sinodo 2018
in vista della quindicesima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi che si terrà in Vaticano nell’ottobre 2018, i presuli spagnoli hanno deciso la creazione di un gruppo di lavoro per concludere la consultazione del documento preparatorio dell’assemblea. Prevista inoltre una consultazione on line rivolta ai giovani sui temi delle loro aspirazioni di vita. Le risposte che perverranno costituiranno la base per redigere l’Instrumentum laboris, il documento da cui partirà la discussione dei padri sinodali. (A cura di Paolo Ondarza) 

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Ucraina. Monito Usa: Russia rispetti il cessate il fuoco

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Ad una settimana dall’entrata in vigore del nuovo cessate il fuoco nell’Est dell’Ucraina, gli Stati Uniti chiedono alla Russia di rispettare “immediatamente” la tregua. Ce ne parla Giada Aquilino

Osservanza del cessate il fuoco, ritiro di tutte le armi pesanti e accesso “pieno e senza restrizioni” agli osservatori internazionali. In una nota, il Dipartimento di Stato americano sollecita la Russia a rispettare la tregua nelle regioni orientali dell’Ucraina, scattata il 20 febbraio. Aldo Ferrari, profondo conoscitore dell’area ex sovietica e docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia:

“È L’ennesima tregua. Purtroppo è destinata anch’essa a non essere rispettata se non si arriva una soluzione politica complessiva. Com’è successo per tutte le altre. Purtroppo da una parte e dall’altra ci sono violazioni, quasi quotidianamente, e questo ha portato a uno stillicidio di vittime. Il problema è che la soluzione politica auspicata non è ancora in vista, vale a dire che nessuna delle due parti - non solo la Russia ma anche l’Ucraina - rispetta gli accordi di Minsk. Manca la volontà politica da parte di Mosca ma anche dell’Occidente di fare compromessi e quindi purtroppo non ci sono grandi ragioni di ottimismo”.

La nuova presidenza statunitense Trump hanno fatto sapere che continuerà a chiedere il rispetto degli accordi di Minsk da parte della Russia. Ora Washington pone l’attenzione sugli osservatori internazionali, dopo che nei giorni scorsi i ribelli filo russi hanno requisito un drone della missione Osce che stava verificando informazioni su un attacco contro un depuratore di Donetsk. Altro nodo cruciale, rimane il ritiro delle armi pesanti. Aldo Ferrari:

“Ritirare le armi pesanti vuol dire, se fatto in maniera unilaterale, sguarnire le regioni separatiste di fronte all’esercito ucraino o, da parte ucraina, di fronte a una possibile avanzata dei separatisti appoggiati da Mosca. Quindi, per assoluta mancanza di fiducia nella controparte, nessuna delle due parti mette realmente in opera questo che sarebbe soltanto il primo dei passi della tregua”.

La crisi ucraina, scoppiata nel 2014, ha provocato ufficialmente oltre 10 mila morti. Due anni fa gli accordi di Minsk, ma in questi giorni l’Unicef ha lanciato un allarme per un milione di bambini che ha urgente bisogno di aiuto umanitario nell’est dell’Ucraina. Critica la situazione a Donetsk e Lugansk. Ancora Ferrari:

“La situazione vede queste due Repubbliche autoproclamate governate in maniera ‘disinvolta’, con il forte appoggio di Mosca, ma con un’economia devastata, anche per i forti bombardamenti subiti nelle fasi precedenti del confronto. Quindi la produzione industriale è molto ridotta, c’è una fortissima emigrazione. E’ una situazione estremamente precaria che sempre più assomiglia a quella di altri ‘Stati-non Stati’ dello spazio post-sovietico. Penso in particolare a quanto accaduto nel Caucaso, in Abkhazia, Ossezia, Karabakh, Transnistria, Moldavia. Insomma, è una situazione che tende a peggiorare e non a migliorare. E non ci sono passi in avanti nella soluzione diplomatica della questione”.

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Siria: 50 profughi in Italia grazie ai corridoi umanitari

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Mentre a Ginevra stentano a decollare i colloqui di pace per la Siria, un nuovo gruppo di 50 profughi è atterrato questa mattina a Fiumicino nell’ambito dei “corridoi umanitari” promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche e Tavola Valdese. Ad un anno dall’arrivo del primo gruppo, sono quasi 700 le persone salvate dalla guerra evitando le mortali traversate del Mediterraneo, come spiega Paolo Ciani, che si occupa di immigrazione per la Comunità di Sant'Egidio, al microfono di Michele Raviart

R. – Il bilancio è sicuramente positivo, nel senso che noi abbiamo lanciato questo programma di corridoi umanitari come una risposta concreta ai viaggi della disperazione, alle tanti morti in mare, al piccolo Aylan che tutti abbiamo visto riverso sulla spiaggia delle coste turche. Non si poteva continuare a guardare e a non far nulla. Quindi il primo bilancio è dire che queste persone vulnerabili oggi hanno una vita nuova e non sapremmo come sarebbero state, se ancora vive o in che condizioni di disperazione. L’altra cosa positiva è che la sicurezza per queste persone - ma anche pe l’Europa per l’Italia, per la nostra cittadinanza - è stata garantita perché i corridoi umanitari prevedono il fatto che le persone siano conosciute nei luoghi di origine, nel caso dei profughi siriani in Libano e controllate, prese le impronte, viste le persone e poi possano tenere un visto d’ingresso.

D. - Che storie portano? Chi sono queste persone?

R. - Portano le storie di dolore di tanti fuggiti dalla guerra. Noi in questi anni abbiamo visto che in Siria c’è una situazione drammatica e che tanti hanno sofferto, sono morti, famiglie separate, drammi. I corridoi umanitari si rivolgono particolarmente a situazioni di vulnerabilità: famiglie con molti bambini, persone malate, anziani, donne sole, cioè i più fragili all’interno di una fragilità complessa come quella di chi fugge dalla guerra.

D. - Che cosa faranno ora che hanno raggiunto l’Italia?

R. - Da una parte il percorso per ottenere i documenti, quindi fanno la richiesta di asilo politico e tutte le procedure legate a questo e poi, si inseriscono in contesti di città, paesi, villaggi che li accolgono, accompagnati da istituzioni e comunità che accolgono. Quindi vanno a scuola, cercano lavoro … la vita quotidiana di tutti, perché l’accoglienza non può essere solo dare un letto o un piatto da mangiare, ma integrare e, in questo primo anno, noi abbiamo visto  - sappiamo, abbiamo sperimentato - che non sono le istituzioni ad integrare, ma la società, la comunità. In Italia tante città, paesi, parrocchie istituti si sono attivati accogliendo ed integrando questo famiglie. Questo è un grande risultato.

D. - Che reazioni ci sono state negli altri Paesi rispetto a questo progetto dei corridoi umanitari?

R. - All’inizio c’è stata un’osservazione di ciò che accadeva, poi è cresciuto l’interesse perché si è visto che era un programma serio che funzionava gratuitamente, nel senso che la società civile si è presa carico, anche economicamente, dei viaggi e della presenza di queste persone. Così, ad esempio, la Francia, a breve, aprirà un programma analogo. A Barcellona abbiamo visto una grande manifestazione di popolo per dire: “Attenzione apriamo ai rifugiati”; anche la Spagna ha dimostrato un certo interesse. Noi crediamo che questo possa essere un modello replicabile a livello europeo Paese per Paese.

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Gaza. Suor Nadila: giovani senza prospettive e il radicalismo cresce

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Torna il fuoco incrociato tra Israele e la Striscia di Gaza. Alcune postazioni di Hamas, ritenuta da Gerusalemme una formazione terroristica, sono state colpite stamani dai jet con la stella di Davide in risposta ad un precedente lancio di razzi contro il sud di Israele. Ingenti i danni e almeno quattro i feriti. Intanto continua l’isolamento e la privazione tra gli abitanti della Striscia, tra cui una comunità di circa 1300 cristiani. “Viviamo in uno stato di continua tensione” dice - al microfono di Gabriella Ceraso suor Nadila, della Congregazione del Rosario, che insegna in una scuola a Gaza City: 

R. – Non c’è una situazione chiara a Gaza ma ci sono tante difficoltà, come ad esempio la mancanza di elettricità. Qualche volta viene per due ore, tre ore, otto ore … non abbiamo mai elettricità per 24 ore. È questa la difficoltà più grave. Poi c’è il lavoro e il non riuscire ad uscire, anche i malati che vogliono andar fuori, a prendere le medicine hanno difficoltà … Non c'è questa possibilità, non c'è. Israele concede permessi, ma non per tutti e la verità è che le persone che hanno soldi escono dal Paese, ma i poveri che non hanno niente, che cosa fanno?

D. - E i giovani cosa fanno? Come va la scuola?

R. - A Gaza il 90 percento dei giovani non ha lavoro. Ci sono tanti problemi, in particolare la droga. È un Paese chiuso, è questa la difficoltà e il radicalismo aumenta perché non c’è apertura di mentalità. In questo momento la Chiesa attraverso la Pontifical mission, sta cercando di creare possibilità di lavoro per i giovani attraverso le associazioni cristiane, le scuole e un ospedale. E noi stesse nella scuola assumiamo i giovani che hanno studiato nel campo dell'educazione.

D. - Come vi state preparando alla Quaresima?

R. - Adesso tutti i nostri studenti, cristiani e musulmani, stanno raccogliendo vestiti usati per donarli alle famiglie più povere di Gaza. Stiamo facendo questo.

D. - Ma qual è il messaggio che darà ai suoi bambini per questa Quaresima?

R. - Il primo e più importante è questo: che l’amore e la fede danno senso alla vita e che bisogna essere gioiosi in qualunque situazione si vive, perché Dio è il Signore del tempo e della storia.

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Vescovi Guatemala contro nave abortista olandese

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“Attentano al diritto umano alla vita, alla salute delle donne e alla sovranità dello Stato guatemalteco”, così si legge nel comunicato della Conferenza episcopale del Guatemala, che condanna l’organizzazione olandese “Women on Waves” conosciuta per la pratica di aborti gratuiti sulla sua nave. L’arrivo al porto di San Josè – prima tappa del “tour della morte”– era previsto per il 24 febbraio. Nella notte del 23 febbraio la Guardia Costiera ha fermato l’equipaggio della barca a vela che fa da spola tra la terra ferma e la nave ancorata nelle acque internazionali dell’Oceano Pacifico.

Vescovi chiedono allo Stato di rispettare la legislazione
“Manteniamo il nostro impegno - si legge nella nota - per la difesa della vita sin dal concepimento, come previsto dalla Costituzione Politica della Repubblica del Guatemala nell’articolo 3”. L’aborto in Guatemala è previsto solo in caso di grave pericolo per la salute della madre. Il presidente Jimmy Morales ha risposto in prima persona all’appello dei vescovi ordinando una azione militare che ha bloccato fino a ieri qualunque attività dell’organizzazione abortista. Per  tre giorni, gli attivisti hanno fatto ricorso contro il blocco imposto dai militari. Il sistema consiste nel portare le donne incinte in una piccola imbarcazione fino alle acque internazionali dove in un grande container adibito a presidio medico viene praticato l’aborto chirurgico o chimico. In acque internazionali vale la legge della nave, che è olandese, quindi l’aborto è legale.

Vescovi chiamano a difendere la vita
“Come Chiesa cattolica promoviamo e difendiamo la dignità di ogni essere umano, ed è per questo - scrivono i vescovi - che esortiamo tutta la popolazione a mantenersi in allerta di fronte all’azione di queste organizzazioni che attentano al diritto fondamentale alla vita umana dei guatemaltechi”. Il Ministero degli Affari Esteri ha informato che l’imbarcazione ha lasciato le acque territoriali guatemalteche ieri sera scortata dalle navi del comando navale del Pacifico, ma non hanno precisato quale sarà il loro prossimo destino. (A cura di Alina Tufani) 

 

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Brasile. Campagna fraternità: proteggere vita ed ecosistemi

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“Fraternità: ecosistemi brasiliani e difesa della vita”: questo il tema della Campagna di fraternità 2017, indetta come ogni anno dalla Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb). Il versetto biblico di riferimento sarà “Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). L’iniziativa, giunta alla 54.ma edizione, avrà inizio il primo marzo, Mercoledì delle Ceneri, ed invita a prendersi cura del Creato, in ogni sua forma. L’obiettivo, spiega mons. Leonardo Ulrich Steiner, segretario generale della Cnbb, è quello di “sottolineare la diversità di ogni ecosistema e creare relazioni rispettose della vita e della cultura delle persone che vi vivono, soprattutto alla luce del Vangelo”.

Crisi ecologica richiede conversione interiore
Di qui, l’allarme lanciato dal presule contro la distruzione degli ecosistemi, “sintomo di una crisi ecologica che richiede una profonda conversione interiore”. “Quando preghiamo per il Creato e per le persone che in esso vivono, ci apriamo ad una nuova vita”, afferma mons. Steiner, ribadendo che ogni cristiano è “sia coltivatore che custode della Creazione”.

“Vedere, giudicare, agire”
Per aiutare la comprensione e l’approfondimento del tema della Campagna è stato preparato un apposito sussidio, suddiviso in capitoli in base al metodo del “vedere, giudicare, agire”, strutturato nella seconda metà del ‘900 dal sacerdote belga Joseph-Léon Cardijn. Con il tempo, tale metodologia è diventata primaria per tutte le Conferenze episcopali latinoamericane, orientandone la riflessione e i piani pastorali per una presenza ecclesiale più aggiornata e incisiva. Il sussidio della Cnbb, dunque, aiuta ad approcciarsi agli ecosistemi, alle loro caratteristiche e ricorda il contributo della Chiesa in difesa della vita e della cultura dei popoli nativi. In particolare, il documento riporta passi del magistero degli ultimi tre Pontefici – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – in materia ecologica. (I.P.) 

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Il Marocco si ritira da zona contestata nel Sahara Occidentale

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Il Marocco ha annunciato il ritiro da una delle zone contestate del Sahara Occidentale, causa di forti tensioni con gli indipendentisti del Fronte Polisario. Ma c’è chi teme che possa riesplodere la guerra. Il servizio di Sergio Centofanti

Il Sahara Occidentale è un’ex colonia spagnola del continente africano, annessa unilateralmente dal Marocco nel 1975. E’ ricca di fosfati e petrolio e le sue acque sono pescosissime. Il Fronte Polisario, che rappresenta il popolo saharawi, ha proclamato l’indipendenza di questo territorio bagnato dall'Oceano Atlantico: indipendenza riconosciuta da 76 Stati, principalmente africani e sudamericani, e anche dall’Unione Africana ma non dall’Onu, che lo ha incluso nella sua lista di territori non autonomi.

La guerra che ne è scaturita è terminata temporaneamente col cessate il fuoco del 1991, grazie alla promessa del Marocco di organizzare un referendum sull’autodeterminazione, che però non ha mai avuto luogo. La questione cruciale è chi ha diritto di voto tra i tanti coloni marocchini giunti in questa terra e la popolazione saharawi, di cui non esiste ancora un censimento ufficiale.

Adesso stanno riesplodendo le tensioni: migliaia di saharawi vivono in tendopoli nella parte più povera della regione o nei campi profughi dei Paesi vicini, soprattutto l’Algeria. Il Marocco è rientrato nel gennaio scorso nell’Unione Africana e c’è chi spera che questo possa rappresentare un’apertura verso il Fronte Polisario. Ma il viceministro degli Esteri marocchino ha detto recentemente che Rabat non riconoscerà mai l’indipendenza del Sahara Occidentale.

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Vescovo di Teramo: San Gabriele, esempio di speranza per i giovani

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Oggi la Chiesa ricorda San Gabriele dell'Addolorata, il "Santo del sorriso". Una vita semplice, ma con molte sofferenze che lo portarono alla morte alla giovane età di 24 anni. Il suo esempio di vita, straordinario nella sua ordinarietà e nel totale abbandono alla volontà del Padre, continua ad affascinare ed attirare i giovani di tutto il mondo che ogni anno si recano a venerare le sue spoglie mortali che sono conservate al Santuario di Isola del Gran Sasso, in Abbruzzo, dove il Santo visse negli ultimi anni della sua esistenza terrena. Il servizio di Marina Tomarro: 

Era la mattina del 27 febbraio del 1862 quando “al sorgere del sole” Gabriele, promettendo di ricordare tutti in paradiso, chiede perdono e preghiere. Poi muore confortato dalla visione della Madonna che invoca per l’ultima volta: “Maria, mamma mia, fa’ presto”. Termina così la vita terrena di San Gabriele dell’Addolorata e quel momento di transito è stato ripercorso questa mattina nel Santuario a lui dedicato, come ci racconta mons. Michele Seccia, vescovo di Teramo-Atri:

R. – Convergono pellegrini anche da parecchio lontano, soprattutto dalle regioni circostanti, dalle Marche, dall’Abbruzzo. San Gabriele dell’Addolorata è un Santo giovane, ma molto amato. Il grande Santuario questa mattina era pieno di gente. Mi ha veramente commosso vedere tutte queste persone e il modo in cui partecipano a questi momenti.

D. - Perché la figura di San Gabriele è così cara e attira ogni anno milioni di fedeli al Santuario?

R. - L’unica interpretazione che posso dare è questa: è un giovane che essendo nato ad Assisi, ha ripercorso, in qualche modo, lo stile di vita di San Francesco. Giovane, gli piaceva ballare, veniva da una bella famiglia, era molto bravo a scuola, ma molto serio dal punto vista della fede, dell’educazione morale che aveva ricevuto in famiglia. E solo a 18 anni Gabriele decise di intraprendere la via della consacrazione religiosa presso i passionisti, finendo qui, ad Isola del Gran Sasso.

E dopo la sua morte per i primi anni la sua figura sembrò quasi dimenticata, fino a quando nel 1892 i frati passionisti decisero di trasferire in un altro luogo il corpo del futuro Santo ma fu impossibile. Infatti, la gente si oppose a questa decisione, mentre  cominciarono ad accadere le prime prodigiose guarigioni. Da allora sono migliaia i miracoli avvenuti attraverso la sua intercessione. E San Gabriele è ricordato anche come il "Santo dei giovani", perché attraverso il suo esempio virtuoso di fede lascia un segno di speranza nelle nuove generazioni, come ci spiega ancora mons. Seccia

R. – Amare la vita amando Dio. Amare Dio per godere della vita, perché anche all’insegna della passione quando c’è il sacrificio, il sacrificio è la moderazione nella propria vita. Pensiamo ad oggi, quante libertà sfrenate ci sono ... San Gabriele, invece, ha dimostrato che si può essere felici anche nella malattia. È un messaggio attualissimo per la nostra gente, per la nostra regione perché, pur non avendo la grave e grande distruzione che gli eventi sismici hanno portato poco più a Nord, nella diocesi di Teramo abbiamo appena 180 chiese dichiarate inagibili e con le grande nevicate di una settimana, dal 15 al 22 gennaio scorsi, i danni sono notevolmente aumentati. Ora si è aggiunto anche un altro fenomeno: con le frane, si sta muovendo la terra in due o tre punti della diocesi. Ho dovuto raccomandare ai fedeli presenti di mettere questa intenzione, perché nessuno perda la speranza, si risvegli la solidarietà e soprattutto diventiamo tutti solidali in questo momento non facile per tutta la diocesi.

D. - E San Gabriele è stato, appunto, anche il "Santo della solidarietà". Ma a lei cosa rimane di questo Santo? Cosa la colpisce?

R. - Personalmente colpisce proprio come un giovane a 18 anni sia capace di fare delle scelte; come il Vangelo continua ad infervorare, a chiamare, ad essere veramente il Libro della vita, la Parola della vita per dare senso all’oggi e avventurarsi in un domani carico di speranza perché, se certe scelte si fanno per fede, la speranza è la conseguenza più immediata. Andare oltre l’evidenza, perché l’amore di Dio è più forte di qualunque ostacolo.

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Convegno nazionale in Veneto sul Patrimonio religioso culturale

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Istituire un dialogo interdisciplinare tra esperti del mondo ecclesiastico e laico per trovare i metodi più opportuni per conoscere, approfondire e valorizzare il  patrimonio religioso culturale nazionale, un bene da trasmettere alle generazioni future. Questo lo scopo del primo Convegno Nazionale sul tema "Il Patrimonio Religioso Culturale. Conoscere, conservare, valorizzare" che, promosso dall’Istituto Superiore Scienze Religiose (ISSR) di “S. Maria di Monte Berico” di Vicenza, collegato alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum, in partenariato con altre istituzioni, avrà luogo presso la Gran Guardia di Verona e l’ISSR di Vicenza, dal 9 all’11 marzo prossimi. 

Fondamentale la conoscenza della radici culturali del nostro patrimonio
Secondo gli organizzatori “conoscere le radici culturali del nostro patrimonio è fondamentale per poter meglio apprezzare il valore dell’eredità ricevuta e così indirizzare correttamente la sua conservazione ai fini della valorizzazione, in un momento storico in cui, sia a livello locale che a livello globale, sono ingenti i danni e le irreversibili perdite”.

Importanza del dialogo fede, liturgia e arte
Il  Convegno Nazionale intende rafforzare quegli insegnamenti del Concilio Vaticano II che sottolineano il valore del dialogo tra fede, liturgia, arte ed architettura quale fondamento culturale che abbraccia secoli di storia e di tradizioni religiose che si sono sviluppate tra Occidente ed Oriente.

Approccio interdisciplinare: tanti gli esperti coinvolti
L’assise chiama a raccolta esperti di vari settori in un approccio interdisciplinare per riflettere  sul valore storico, artistico e culturale dell’arte e dell’architettura sacra, nel rispetto dei suoi contenuti teologici, al fine di individuare la strada più opportuna per conoscere, conservare e valorizzare questo ingente patrimonio rilanciandone il ruolo di “diplomazia culturale”. Cinque le aree tematiche attorno a cui si snoda il convegno: Arte ed Architettura Sacra, Paesaggi e luoghi della fede, Valorizzazione del Patrimonio Religioso Culturale, Fenomenologia del pellegrinaggio, La salvaguardia del patrimonio religioso tra prevenzione ed emergenza.

Un’indagine a 360 gradi sul patrimonio religioso culturale
Stimolanti gli interventi in programma: dall’educazione alla bellezza sulla base del magistero degli ultimi pontefici, alla valorizzazione delle biblioteche ecclesiastiche, dal restauro inteso come momento conoscitivo delle opere d’arte al tema del pellegrinaggio, dal rilancio dell’arte sacra contemporanea al ruolo della Chiesa quale custode della bellezza, dal recupero degli edifici danneggiati in seguito a catastrofi naturali al valore delle edicole votive, dal legame arte-liturgia alla gestione del rischio sismico, dall’individuazione dei beni culturali religiosi a rischio al reimpiego dell’architettura religiosa in disuso. (A cura di Paolo Ondarza) 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 58

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.