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Sommario del 28/02/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: scegliere Dio che dona gioia, non le ricchezze che ci fanno tristi

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Seguire il Signore che ci dona tutto, non cercare le ricchezze. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Commentando il Vangelo odierno, il Papa ha messo l’accento sulla “pienezza” che ci dona Dio: una pienezza “annientata” che culmina nella Croce. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Non si possono servire due padroni”, o serviamo Dio o le ricchezze. Nella Messa a Santa Marta, alla vigilia del Mercoledì delle Ceneri, Francesco sottolinea che - in questi giorni prima della Quaresima - la Chiesa “ci fa riflettere sul rapporto fra Dio e le ricchezze”. Rammenta dunque l’incontro tra il “giovane ricco, che voleva seguire il Signore, ma alla fine era tanto ricco che ha scelto le ricchezze”.

Dio ci dona tutto se stesso in una misura traboccante
Il commento di Gesù, ha osservato il Papa, spaventa un po’ i discepoli: “Quanto difficile è che un ricco entri nel Regno dei Cieli. E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”. Oggi, ha osservato Francesco, il Vangelo di Marco ci mostra Pietro mentre chiede al Signore che ne sarà di loro che hanno lasciato tutto. Sembra quasi – commenta il Papa – che “Pietro gli passasse il conto al Signore”:

“Non sapeva cosa dire: ‘Sì, questo se ne è andato, ma noi?’. La risposta di Gesù è chiara: ‘Io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato tutto senza ricevere tutto’. ‘Ecco, noi abbiamo lasciato tutto’. ‘Riceverete tutto’, con quella misura traboccante con la quale Dio dà i suoi doni. ‘Riceverete tutto. Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madri o padri o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora in questo tempo cento volte tanto in case, fratelli, sorelle, madri, campi, e la vita eterna nel tempo che verrà’. Tutto. Il Signore non sa dare meno di tutto. Quando Lui dona qualcosa dona sé stesso, che è tutto”.

Tuttavia, ha soggiunto il Papa, “c’è una parola”, in questo passo del Vangelo, “che ci fa riflettere: riceve già ora in questo tempo cento volte in case, fratelli insieme a persecuzioni”.

Il dono di Dio è una pienezza annientata, lo stile del cristiano è la Croce
Questo, ha detto, è “entrare” in un “altro modo di pensare, in un altro modo di agire. Gesù dà se stesso tutto, perché la pienezza, la pienezza di Dio è una pienezza annientata in Croce”:

“Questo è il dono di Dio: la pienezza annientata. E questo è lo stile del cristiano: cercare la pienezza, ricevere la pienezza annientata e seguire per quella strada. Non è facile, non è facile questo. E qual è il segno, qual è il segnale che io vado avanti in questo dare tutto e ricevere tutto? L’abbiamo sentito nella Prima Lettura: ‘Glorifica il Signore con occhio contento. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, con gioia, consacra la tua decima. Da' all’Altissimo secondo il dono da Lui ricevuto e con occhio contento secondo la tua volontà’. Occhio contento, lieto il volto, gioia, occhio contento… Il segno che noi andiamo su questa strada del tutto e niente, della pienezza annientata, è la gioia”.

Sant'Alberto Hurtado esempio di gioia nel Signore tra le tribolazioni
Il giovane ricco invece, ha detto il Papa, “si fece scuro in volto e se ne andò rattristato”. “Non è stato capace di ricevere, di accogliere questa pienezza annientata – ha ammonito – i Santi, Pietro stesso, l’hanno accolta. E in mezzo alle prove, alle difficoltà avevano lieto il volto, l’occhio contento e la gioia del cuore”. Questo, ha evidenziato Francesco, “è il segno”. Ha così concluso l’omelia ricordando il Santo cileno Alberto Hurtado:

“Lavorava sempre, difficoltà dietro difficoltà, dietro difficoltà… Lavorava per i poveri… E’ stato davvero un uomo che ha fatto strada in quel Paese… La carità per l’assistenza ai poveri… Ma è stato perseguitato, tante sofferenze. Ma lui quando era proprio lì, annientato in croce, la frase era: ‘Contento, Señor, Contento’, ‘Felice, Signore, felice’. Che lui ci insegni ad andare su questa strada, ci dia la grazia di andare su questa strada un po’ difficile del tutto e niente, della pienezza annientata di Gesù Cristo e dire sempre, soprattutto nelle difficoltà: ‘Contento, Signore, contento’”.

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Francesco: imparare a mettersi nelle scarpe degli altri

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Gli ultimi, i poveri, i senzatetto, i migranti, l’elemosina e la prossima visita a Milano al centro dell’intervista rilasciata da Papa Francesco a Scarp de' tenis, la rivista di strada italiana non profit legata alla Caritas. Tanti gli aneddoti raccontati dal Santo Padre. I migranti che arrivano in Europa – è il pensiero del Santo Padre – scappano dalla guerra e hanno diritto ad essere accolti e integrati senza ghettizzazioni con la virtù cristiana della prudenza. Il servizio di Paolo Ondarza

Occorre imparare “la grandezza di mettersi nelle scarpe degli altri”. Giocando sul nome del giornale che lo intervista Francesco riconosce che “è molto faticoso mettersi nelle scarpe degli altri, perché spesso siamo schiavi dell’egoismo” e, di fronte a chi vive un dolore come un lutto, preferiamo dire solo parole.

Imparare a mettersi nelle scarpe degli altri
A volte  - ammette - un cristiano interpellato da chi cerca conforto, “ascolta, ma non capisce”. “Mettersi nelle scarpe degli altri significa servizio, umiltà, magnanimità”. In alcuni casi nelle baraccopoli c’è più solidarietà che nei quartieri del centro e forse nei rioni poveri la “droga si vede di più, ma solo perché negli altri quartieri è più coperta e si usa con i guanti bianchi”. 

Vedere i senza tetto come persone, non come cani
La prima cosa che il Papa dice quando incontra un senzatetto è “Buongiorno, come stai?”. Loro, racconta, “capiscono subito quando c’è vero interesse”. “Si può vedere un senzatetto e guardarlo come una persona, oppure come fosse un cane”. Francesco ricorda che a Buenos Aires non ha mai pensato di cacciare via una coppia di senza dimora che abitava  sul marciapiede dell’arcivescovado. In molti dicevano: “sporcano la curia”, ma in queste situazioni – commenta– occorre avere grande umanità perché la vera “sporcizia è dentro”, mentre queste persone hanno grande dignità. 

Fare l’elemosina toccando le mani e guardando negli occhi
Il Santo Padre si dice tra l’altro soddisfatto di come le parrocchie e le strutture ecclesiali italiane hanno accolto il suo recente appello ad aprire le porte ai poveri. Fare l’elemosina – spiega ancora – è sempre giusto. “Certo non è una buona cosa lanciare al povero solo degli spiccioli. È importante aiutare chi chiede guardandolo negli occhi e toccando le mani”. Se si teme di "donare dei soldi” a chi poi “li spende per bere un bicchiere di vino è bene chiedersi se quel bicchiere di vino sia l’unica felicità che gli è rimasta nella vita". 

Accogliere migranti in fuga da guerra e fame
Francesco torna ancora sul tema a lui caro dei migranti: “quelli che arrivano in Europa scappano dalla guerra o dalla fame. E noi siamo in qualche modo colpevoli perché sfruttiamo le loro terre ma non facciamo alcun tipo di investimento affinché loro possano trarre beneficio. Hanno il diritto di emigrare e hanno diritto ad  essere accolti e aiutati”. Ma l’accoglienza – è la sua raccomandazione – va fatta con la virtù cristiana della “prudenza”, ovvero accogliendo coloro che numericamente “si possono accogliere”, ma soprattutto integrandoli. “Se i migranti non si integrano, vengono ghettizzati”, aggiunge Francesco citando il caso degli attentatori di Zaventem in Belgio, migranti di seconda generazione relegati in un ghetto. Virtuoso secondo il Papa l’esempio di integrazione offerto dalla Svezia.

"Mi manca possibilità di uscire per strada”
Il Successore di Pietro racconta poi della sua famiglia di migranti, come quasi tutte in Argentina, Paese dove “il dialogo interreligioso è la norma”: “i miei nonni e mio papà avrebbero dovuto partire alla fine del 1928, avevano il biglietto per la nave Principessa Mafalda, nave che affondò al largo delle coste del Brasile. Ma non riuscirono a vendere in tempo quello che possedevano e così cambiarono il biglietto e si imbarcarono sulla Giulio Cesare il 1 febbraio del 1929. Per questo sono qui”. Quando il pensiero va a Buenos Aires Francesco confida: “Una cosa che mi manca tanto è la possibilità di uscire e andare per strada”. E a Milano, città pronta ad accoglierlo a fine marzo, dove è stato solo una volta di passaggio, il Papa spera di “trovare tanta gente”.

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Papa a Carpi il 2 aprile. Mons. Cavina: segno di speranza dopo sisma

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Papa Francesco si recherà in visita pastorale nella diocesi di Carpi, in Emilia Romagna, il prossimo 2 aprile. E' quanto rende noto la Sala Stampa della Santa Sede. In un comunicato, il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina, esprime la gioia per la visita di Francesco che, afferma, “viene ad incontrare una Chiesa che sta facendo un cammino significativo di fede e che vive un momento di speranza dopo le conseguenze del sisma del 2012”. “Tutta la comunità cristiana e civile", prosegue il presule, dopo la riapertura della propria Chiesa Cattedrale, il prossimo 25 marzo, "si stringerà con calore e affetto attorno alla persona del Santo Padre per ascoltare dalla Sua voce parole di incoraggiamento a proseguire, con fede e speranza, sulla strada che Egli ha tracciato per confermare sempre più in Cristo anche la Chiesa di Carpi”.

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Bregantini: a Quaresima impegnamoci a non lasciare nessuno alla porta

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Inizia domani la Quaresima, il tempo liturgico che ci conduce alla Pasqua di Risurrezione del Signore: alle 16.30 di domani, il Papa guiderà la liturgia stazionale a cui seguirà la processione penitenziale, dalla Chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino verso la Basilica di Santa Sabina, dove avrà poi luogo la celebrazione della Santa Messa con il rito di benedizione e imposizione delle Ceneri. Oltre ai cardinali e ai vescovi saranno presenti i monaci benedettini e i padri domenicani. Il servizio di Cecilia Seppia

La Chiesa, con il Mercoledì delle Ceneri, entra nel cammino quaresimale portando quest’anno nel cuore l’invito del Papa ad aprirsi all’altro, soprattutto a quel fratello bisognoso, malato, solo, che mendica amore sulla soglia di casa nostra. Nel messaggio per la Quaresima del 2017, dal titolo “La parola è un dono, l’altro è un dono”, Francesco ha infatti insistito sulla necessità di uscire dall’egoismo, dal narcisismo, che ci rendono schiavi, per guardare davvero l’altro e nel suo volto riconoscere Cristo. Uno sforzo umanamente difficile, ma possibile con l’aiuto di Dio, che ogni cristiano, ogni uomo o donna di buona volontà è chiamato a compiere nello scenario attuale, segnato da crisi e contraddizioni profonde. La riflessione di mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso – Bojano:

“Come diocesi abbiamo scelto la figura di Giona per aiutarci in questa Quaresima. E Giona è proprio l’icona di quello che il Papa ci ha detto nel suo messaggio quaresimale. Anche lui è combattuto tra due città: tra Ninive - l’impegno, la serietà, la fedeltà, il sacrificio - e Tarsis, che è il piacere la comodità, l’autoreferenzialità, la pigrizia… Direi che è estremamente necessario quello che il Papa ci ha chiesto: vivere l’appello di Dio per andare a convertire Ninive. E’ un mondo difficile, sono le periferie, le realtà drammatiche, gli ambienti presso le quali è necessario portare il Vangelo”.

Al centro della riflessione quaresimale di Francesco, la parabola dell’uomo ricco senza nome, e del povero Lazzaro che non solo ha un nome ma anche un volto, una storia, è amato da Dio e perciò non può che essere una ricchezza inestimabile, per quanto la gente continui a considerarlo un rifiuto umano. Il monito del Pontefice è allora tanto più forte verso quell’un per cento della popolazione mondiale, contro il restante 99, che ha in mano tutto il denaro, idolo tirannico che ostacola la pace e porta alla costruzione di muri difficili da abbattere. Ancora mons. Bregantini:

“Papa Francesco ci richiama a questa sobrietà di vita, a non lasciare nessuno alla porta. Anche se va detto che sempre più crescenti sono i poveri. Quindi sarà sempre più difficile gestire questo gesto. Per cui bisognerà ancor di più in questa Quaresima allenarsi a non lasciarsi travolgere dalla paura o dall’immensità del numero dei poveri. Il primo livello è il livello spirituale: sentire che il povero chiede ciò che anche a lui spetta e che quindi l’elemosina è restituzione e non beneficenza. La seconda cosa è quella di andare a monte delle concause e cause che creano la povertà, a non fermarsi all’elemosina ma a dare all’elemosina il sapore anche della riflessione di natura culturale, sociale, in modo che si riprenda l’appello di 50 anni fa, quello di dire: le realtà africane devono essere favorite e la reciprocità dell’aiuto che io do lì alla fine favorisce anche me. Se avessimo ascoltato Paolo VI non avremmo i barconi oggi. Per cui, l’Europa oggi piange gli errori egoistici di chiusura che abbiamo fatto a suo tempo. Sviluppare l’altro non é perdere ma è guadagnare due volte: lui cresce e anch’io cresco con lui”.

Per generare questo moto di cambiamento, fondamentale secondo il Papa è l’esperienza della Parola di Dio, perché chi non la vive e non la mette in pratica, di fatto non ama nemmeno Cristo e perciò disprezza il prossimo. In questo cammino di conversione tracciato dalla Quaresima, il Papa rinnova poi l’invito ad usare tutti quei “santi mezzi” che la Chiesa ci offre per purificarci: la preghiera, il digiuno, l’elemosina. La riflessione dell'arcivescovo Bregantini:

“La Parola è fondamentale. Per esempio riaprire sempre di più la Bibbia, portarla nelle case, dare alla Via Crucis un sapore incarnato. La Parola di Dio che diventa nei cenacoli del Vangelo, nelle cucine e non solo tra l’incenso delle cattedrali. Ecco, queste sono le cose che la Quaresima chiede a noi di fare. Ma il primo digiuno è togliere la violenza, la cattiveria, il dito puntato. Isaia 58 che leggiamo in questi giorni è eloquentissimo. Queste sono parole da rimeditare nel cuore perché tutti noi sentiamo che la violenza che c’è dentro di noi, se noi riusciamo a vincerla attraverso la mitezza e la misericordia, è possibile realmente dare speranza e luce anche a casi estremi, come è avvenuto in questi giorni in Svizzera… Quanto avremmo voluto Madre Teresa accanto a questo giovane quarantenne in Svizzera, forse sarebbe ancora vivo…"

Una celebrazione, quella delle Ceneri, che verrà vissuta nelle chiese e nelle parrocchie di tutto il mondo nel ricordo della fragile condizione umana, ma anche come momento culmine del pentimento e dell’impegno a percorrere una strada di luce e conversione, lungo la quale tendere la mano, per aiutare a rialzare chi è caduto, chi ha perso tutto.

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Oggi in Primo Piano



Iraq, migliaia in fuga da Mosul. Mons. Warda: aiutiamo i cristiani

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In Iraq, circa novemila persone hanno lasciato Mosul e dintorni, negli ultimi giorni, a seguito dell’offensiva governativa per liberare la parte Ovest della città dal sedicente Stato islamico. Il servizio di Francesca Sabatinelli

E’ il più alto numero di civili fuggiti dall’inizio della riconquista di Mosul, l’operazione militare per strappare la parte Ovest della città ai jihadisti dell’Is (Daesh) è partita il 19 febbraio scorso e, finora, ha portato alla ripresa dell’aeroporto, di una base militare, nonché di alcuni sobborghi. Chi fugge e arriva nelle località a sud di Mosul giunge esausto e disidratato, denuncia l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari, che prevede, nei prossimi giorni, la fuga di altre 250mila persone. Ci auguriamo che la ripresa di Mosul avvenga nel minor tempo possibile, dichiara l’arcivescovo cattolico caldeo iracheno di Erbil, mons Bashar Warda:

“We hope and we pray that the operation of capturing Mosul will end soon …
Speriamo e preghiamo che la presa di Mosul si concluda a breve, anche se prevediamo che ci saranno difficoltà, in particolare nel momento in cui si dovesse entrare nella città e le tensioni saranno maggiori. Immagino che l’esercito sia consapevole di questo. Speriamo che, una volta finita questa operazione, possa iniziare la fase della ricostruzione di tutti questi villaggi e delle cittadine, e che il processo di riconciliazione, anche politica, possa ricominciare, per iniziare una nuova vita dopo due anni e mezzo”.

La diocesi di Erbil ha accolto molti dei cristiani fuggiti da Mosul, depredati di tutto, senza neanche i documenti…

“ When you speak with families who fled from Mosul, they’d tell you that …
Le famiglie che sono fuggite da Mosul raccontano delle tre condizioni [poste da Daesh]: la conversione all’islam, il pagamento di una tassa, la jizah, o il partire senza nulla. E in molti sono fuggiti con il nulla, solo con i loro documenti di identità, che venivano poi sequestrati dai vari check point istituiti dall’Is, e con i documenti anche le auto; li lasciano veramente senza nulla”.

Mons. Warda, come più volte nel passato, esprime il timore che non si faccia abbastanza per convincere i cristiani a restare nel Paese, la sua critica non risparmia neanche le autorità governative:

“If we don’t really act in a way of not just convincing Christians but really providing …
Se non operiamo in modo da fornire ai cristiani le circostanze per rimanere, non limitandoci solo alle parole nel tentativo di convincerli, credo che ancora più persone lasceranno il Paese. Il problema è che lo stesso governo iracheno non agisce in maniera volta a convincere i cristiani a rimanere. E non possiamo ignorare il fatto che esiste una forma di emarginazione dei cristiani e degli Yazidi. Tutti sono impegnati a combattere Daesh, ma combattere Daesh non significa dimenticare tutte le altre necessità del tuo popolo! Il governo dell’Iraq, invece, si sta concentrando su un unico argomento: combattere Daesh e sconfiggerlo”.

La presenza cristiana in Iraq è fondamentale, ribadisce mons. Warda, deve essere tutelata e a chiederlo sono anche i musulmani:

“ Christians are trusted people even among Muslims, and this would help, this diversity …
I cristiani sono persone fidate, anche per i musulmani, e questa diversità potrà essere d’aiuto alla società per ritrovare l’unità. E perfino i musulmani ti diranno: 'Ci dispiace che i cristiani se ne vadano'. Nella stessa Mosul, tantissimi professionisti erano cristiani e avevano un ottimo impatto sulla società di Mosul. In molti ricordano l’età d’oro, quando studiavano nelle scuole cristiane. Ci sono moltissime richieste che vengono proprio da famiglie musulmane che vogliono mandare i propri figli nelle scuole cristiane … Penso che questa fiducia sia un dono di Dio che dobbiamo utilizzare per il bene dell’intera società”.

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Usa: dialogo e solidarietà in risposta all'antisemitismo

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Forte condanna della presidenza Trump contro le diverse profanazioni di cimiteri ebraici, che negli ultimi giorni hanno interessato il Missouri, il Colorado e la Pennsylvania. La polizia ha aperto un’inchiesta. Ma più forte dell’odio è stata la risposta popolare. Duemilacinquecento cittadini di diverse religioni si sono messi a lavoro per riparare i danni animando poi una veglia. Di lì a breve, è partita una raccolta fondi dal titolo “Muslim Unite”, che già ha superato tutte le previsioni. Sulla questione, Gabriella Ceraso ha chiesto un commento al direttore del Dipartimento di cultura ebraica di Roma, Claudio Procaccia

R. – Ovviamente, profanare un cimitero significa profanare un aspetto fondamentale della vita cultuale della comunità ebraica ma soprattutto dell’identità e negarla sia a livello individuale che collettivo. Questo ovviamente non vale solo per la collettività ebraica …

D. – Si dice che l’America faccia i conti con un antisemitismo crescente: secondo il suo punto di vista, è episodica la cosa?

R. – E’ difficile sapere che tipo di sviluppo possa avere. Posso dire una cosa: che esiste una relazione della Anti Defamation League, vecchia di oltre un anno, che denunciava in termini statistici l’aumento dell’antisemitismo negli Stati Uniti, e forse c’è un nesso tra quelle manifestazioni denunciate e gli episodi odierni. Ma l’antisemitismo è un fiume carsico, che ogni tanto emerge ma che esiste sempre. In genere, questo è l’inizio della fine di una società. Fortunatamente, non è l’unico elemento: ci sono anche elementi opposti …

D. – Infatti, in risposta a questi gesti ci sono state, in pochissime ore, migliaia di persone che si sono mobilitate, di tutte le religioni, con una raccolta fondi anche da parte dei musulmani, che hanno veramente risposto …

R. – Secondo me, questo elemento esiste ed è forte e attualmente è preponderante. Nella capacità di convivere è superiore alla volontà distruttiva ad esempio dei gruppi islamici radicali. Non possiamo però darla per scontata: bisogna essere molto aperti e difendere non gli ebrei, ma difendere la democrazia, difendere la capacità di uno Stato laico di accogliere tutte le diversità culturali, e creare i paletti affinché queste possano convivere e integrarsi nei limiti del possibile, anche con forti elementi di scambi culturali, che possono solo arricchire.

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Dj Fabo. Paglia: sconfitta per tutti, incapaci di rispondere al suo dolore

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Suscita dolorosi interrogativi la morte di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo. Era cieco e tetraplegico da tre anni a seguito di un incidente stradale. Ha scelto di porre fine alla sua vita in Svizzera attraverso il suicidio assistito all’età di 40 anni. Nelle sue ultime volontà, Fabo ha parlato di esistenza senza speranza e di sofferenza. Su questa vicenda, che ha innescato in Italia un dibattito sulla mancanza di una legge idonea, Giancarlo La Vella ha intervistato mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: 

R. – La vicenda di dj Fabo è molto triste ed è anche una grande sconfitta per lui, nel senso che, purtroppo, avrà sentito di non farcela, e una sconfitta per la società che non ha saputo rispondere. Nella profondità dell’animo di Fabo c’era come una grande domanda di amore, di senso della vita, se valga la pena vivere anche in situazioni difficili. Purtroppo la società intera non ha saputo rispondere. Ed è questo che deve suscitare in noi una riflessione urgente. Purtroppo la confusione che sta avvenendo ovunque tra eutanasia, accanimento terapeutico, suicido assistito, terapia del dolore, testamento biologico, rende necessario riprendere in mano le fila di tutti questi temi che sono enormi, ma non vanno confusi. Certamente c’è una domanda che viene rivolta a tutti: come riusciamo a vincere quella solitudine profonda che, quando si lega a situazioni dolorose, ci porta a dire che è meglio morire che vivere? C’è un individualismo pervasivo che lascia soli, soprattutto nei momenti più difficili. Perché solo ora c’è tutto questo marasma di interrogativi? Perché prima, di fatto, la società ha lasciato solo questo povero giovane che indubbiamente è passato da una condizione di esuberanza ad una condizione drammatica? L’amore, l’intelligenza appassionata deve arrivare prima che si giunga a giudizi così drammatici e a decisioni altrettanto drammatiche.

D. - A proposito di questo, c’è il rischio che si estendano addirittura i confini dell’eutanasia fino a comprendere vite che semplicemente si ritengano non degne di essere vissute?

R. - Ma non c’è dubbio! Quanti suicidi abbiamo nella nostra società, persino di ragazzi! E purtroppo, di fronte a questi esiti, non sappiamo trovare quelle ragioni che devono rendere capaci di cambiare la società, la sua cultura e il suo atteggiamento tra di noi. La solitudine porta al fatto che ciascuno sia lasciato solo con se stesso, non ci si sente corresponsabili, non ci si sente importanti gli uni per gli altri, non c’è un legame che scardina quell’indifferenza o quell’abbandono che porta – appunto – a  ritenere insopportabili determinate situazioni, che possono essere sia di dolore fisico che psicologico. In questo senso c’è bisogno di una rivoluzione culturale, di una rivoluzione del noi. L’"io" è un virus che ci sta distruggendo nella convivenza quotidiana e anche nei momenti difficili come quello della morte. Ed è oggi allora che avviene l’estensione dell’eutanasia anche a persone non malate, sane, ma che ritengono che sia chiuso il ciclo della loro esistenza sia possibile. Questa è un’aberrazione.

D. - Questa vicenda ha innescato nuovamente il dibattito su una possibile legge sul fine vita …

R. - L’accostamento tra questo fatto e il dibattito legislativo svela delle strumentalizzazioni ed è vergognoso che questo accada, anche perché qui si tratta di una persona che ha scelto di finire la sua vita e questo non ha nulla a che vedere con il dibattito legislativo circa le disposizioni di fine vita. Io credo che sia certamente possibile che ognuno di noi possa scrivere quello che crede sia importante al termine della sua vita, ma è importante che questo avvenga all’interno di un’alleanza affettuosa amorosa tra il paziente, il medico, i famigliari e gli amici. Questo è quello che la società deve provocare. Affidare il tutto a quattro righe di legge per risolvere situazioni l’una diversa dall’altra, diventa davvero rischioso. In questo senso un procedimento legislativo è utile, ma va scardinato da quelle battaglie ideologiche che rischiano di ridurre ad unum situazioni diversissime l’una dall’altra. Ecco perché io penso che c’è bisogno, magari anche di una legge, ma che prima di tutto è necessario che si instauri una solidarietà, una vicinanza per tutta la vita soprattutto nei momenti più difficili.

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Acnur: più rischioso per i migranti raggiungere l’Europa

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Sono sempre maggiori i rischi che rifugiati e migranti devono affrontare per raggiungere l’Europa e la chiusura di alcune rotte, come quella dei Balcani occidentali, ha avuto come principale conseguenza il fatto che un numero crescente di persone si affidi ai trafficanti di esseri umani. Questa la fotografia che del fenomeno migratorio attuale fa il Rapporto dell’Alto Commissariato per i Rifugiato dell’Onu, Acnur, appena pubblicato.

Forte impatto della chiusura della rotta balcanica e le restrizioni alle frontiere
I dati, infatti, mettono in luce come le maggiori restrizioni introdotte nel 2016 alle frontiere europee abbiano avuto un impatto fortemente negativo – letto come incremento del rischio e del conseguente numero di morti – sugli spostamenti di migranti e rifugiati alla volta dell’Europa. Tra le motivazioni, certamente la chiusura della rotta balcanica e l’accordo tra Ue e Turchia, che hanno notevolmente diminuito gli arrivi in Grecia dal Mediterraneo centrale, ma anche le migliaia di persone che sono state respinte dalle autorità di confine in Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria, Serbia, Spagna ed ex Repubblica Jugoslava di Macedonia – con diversi casi di violenze e abusi – con il chiaro obiettivo di scoraggiare ulteriori tentativi d’ingresso nei rispettivi Paesi.

Nel 2016 in Italia oltre 181mila arrivi
Per quanto riguarda l’Italia, secondo il Rapporto, sono 181.436 le persone che l’hanno raggiunta via mare nel 2016, circa il 90% a bordo di barconi salpati dalla Libia, tra i quali non mancavano neppure vittime della tratta e migranti in cerca di opportunità economiche. Le prime due nazionalità, infatti, sono quella nigeriana (21%) e quella eritrea (11%). Si registra, al tempo stesso, anche un numero crescente di minori non accompagnati: circa 25mila nel 2016, il 14% degli arrivi totali, con un incremento raddoppiato rispetto al 2015. Lo scorso anno ha anche il triste primato per il numero più alto di morti nel Mediterraneo mai registrato: oltre cinquemila, il 90% dei quali viaggiava lungo la rotta via mare diretta proprio in Italia. (R.B.)

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Giornata malattie rare: serve la ricerca per dare speranza

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“Con la ricerca le possibilità sono infinite”. E’ lo slogan che accompagna quest’anno la X odierna Giornata mondiale dedicata alle malattie rare. I pazienti sono oltre 600 mila in Italia, un vero e sproprio “esercito” secondo la Federazione italiana - UNIAMO - che, insieme all’Istituto superiore di Sanità, Farmindustria e Federsanità, ha organizzato una settimana di eventi ad ogni livello. L’obiettivo è sensibilizzare tutti e creare intorno ai malati una rete di supporto indispensabile. Il servizio di Gabriella Ceraso

Capire cosa sono le malattie rare e cosa comportano: è la prima consapevolezza che la Giornata persegue perchè i pazienti non siano invisibili, i loro bisogni siano chiari e si cerchino soluzioni adeguate. Rara è la malattia che dal punto di vista epidemiologico ha una prevalenza inferiore di 1 su 2000; ne esistono circa 7000 per l’Oms, l’80 per cento è di origine genetica e in Italia, le malattie rare riconosciute esenti ticket, sono poco più di 195 mila per ora secondo gli elenchi dell’Istituto superiore di sanità. “Croniche, congenite, complesse, a volte disabilitanti”, le malattie rare “cambiano il modo di pensare la medicina stessa”, afferma il dottor Giuseppe Zampino, responsabile Centro Malattie rare e Difetti congeniti del Policlinico Gemelli di Roma:

"Se è una condizione congenita, c’è bisogno di politiche socio-sanitarie per sostenere i pazienti e le loro famiglie. Poi, essendo malattie croniche, c’è bisogno di raccordare la medicina del bambino con la medicina dell’adulto e poi con quella dell’anziano; sono condizioni complesse che hanno bisogno di molti 'saperi' per poter arrivare ad una strategia, infine, essendo disabilitanti, c’è bisogno di una grande attenzione di tipo sociale e umano affinché il paziente si senta meno solo". 

Ad aggravare la situazione è che per una diagnosi possono servire anche tre anni e mezzo, in quanto c'è scarsa cultura del "sospetto in ambito di medicina generale", afferma il professor Zampino e perchè una malattia può manifestarsi pienamente anche dopo tempi molto lunghi. E le condizioni sono molto diverse:

"Esistono condizioni molto gravi con un’aspettativa di vita limitata e ci sono condizioni, invece, che non determinano nessuna limitazione, per cui un bambino con una sindrome di Noonan, che non ha cardiopatia, ha un’aspettativa di vita normale; se un soggetto è affetto da Sla la possibilità di vita è ovviamente ridotta in relazione alla sua condizione".

E sicuramente complessa è la malattia di Sophia che oggi ha 10 anni: si chiama Sindrome genetica cardio facio cutanea. La mamma di Sophia, Antonella, per seguirla ha dovuto lasciare tutto a partire dal lavoro:

"Questa malattia comporta problemi motori - quindi il bisogno di un ortopedico ed un fisiatra - problemi gastroenterologici, problemi di crisi epilettiche – quindi il bisogno di un neurologo – e poi il pediatra deve seguire il tutto. È necessario anche il nefrologo, perché ci sono problemi anche di smaltimento. Di certo la scuola mi ha salvato, perché anche se la portavamo solo per due ore al giorno, almeno usciva di casa, vedeva gli altri. Quest’anno, dopo sei anni di lista d’attesa, siamo riusciti ad avere l’assistenza domiciliare e, finalmente, sto iniziando a riprendere a lavorare".

Per i malati diventare "visibili", come vuole la Giornata di quest'anno, significa avere assistenza, accesso ai farmaci e servizi uguali per tutti, ma in Italia questa equità non c'è, anche se un rete nazionale di Centri di Cura, nata nel 2001, è in continuo aggiornamento. Il parere di Tommasina Iorno, presidente della Federazione UNIAMO:

"Quotidianamente abbiamo queste difficoltà. Quotidianamente lottiamo per far comprendere al meglio le nostre difficoltà e lavoriamo insieme per trovare la soluzioni che non è detto a volte debbano essere soluzioni in termini di risorse; basta semplicemente semplificare quello che già esiste in alcuni casi. In altri no. Sappiamo che il mondo delle malattie rare è complesso; ci sono delle malattie molto gravi che non hanno ancora risposta dalla ricerca scientifica, clinica e sociale".

Ma i primi ad incontrare la difficoltà, anche tra Municipi di una stessa città, sono i genitori, che nonostante tutto restano animati da una grande forza. Ancora Antonella, mamma di Sofia:

"Problemi enormi dal punto di vista organizzativo. Non c’è dialogo: non c’è dialogo tra le istituzioni, tra le Asl; non c’è dialogo. All’interno della stessa Asl mi devo interfacciare con sei uffici diversi. Sono dei compartimenti stagni. Da questo punto di vista l’associazionismo è importante perché, prima di tutto, non ci si sente soli e poi ci si scambiano informazioni quotidiane, ma anche informazioni sulla ricerca, perché quando si ha un bambino con patologie così gravi si pensa che non ci siano speranze. Invece, le speranze ci sono. Sofia è deliziosa. Quando cammina per strada afferra le mani delle persone, si fa fare le carezze … fa sciogliere tutte le persone che incontra. Abbiamo altri due figli più grandi. Uno dei due ha compiuto 17 anni l’altro ieri e mi ha detto: 'Mamma, ti rendi conto che bello è stato avere Sofia? Pensa che vita banale avremmo avuto senza di lei!'”.

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Il Ghana si prepara al 60.mo di indipendenza

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Con una Novena di preghiera, iniziata il 23 febbraio e che si concluderà il 3 marzo, il Ghana si prepara a celebrare il 60.mo anniversario dell’indipendenza dal Regno Britannico. L’evento sarà commemorato con una cerimonia ecumenica ed interreligiosa in programma il 4 marzo, durante la quale il Paese verrà consacrato al Sacro Cuore di Gesù. Anzi, verrà riconsacrato, poiché la prima volta avvenne il 3 marzo 1957, nel corso di una Messa celebrata nella cattedrale del Santo Spirito di Accra.

40 anni di rapporti diplomatici con la Santa Sede
Per l’occasione, è stato istituito un Comitato organizzatore delle celebrazioni, guidato dall’arcivescovo Charles Palmer-Buckle, vice-presidente della Conferenza episcopale locale. Da ricordare che, oltre al 60.mo anniversario dell’indipendenza, il Ghana si prepara a commemorare anche i 40 anni dall’avvio dei rapporti diplomatici con la Santa Sede. Per questo, Papa Francesco ha nominato il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, suo Inviato speciale alle celebrazioni, che si concluderanno il 6 marzo. (I.P.)

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Kenya: campagna di Quaresima dei vescovi dedicata a elezioni

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“Elezioni credibili e pacifiche…leader con integrità”. È questo il tema scelto dalla Conferenza episcopale keniana, KCCB, per la campagna di Quaresima 2017. La campagna, organizzata dalla Commissione episcopale della Giustizia e della Pace, è stata lanciata il 25 febbraio a Nairobi con due processioni e una Messa presieduta dall’arcivescovo della capitale, il card. John Njue, e concelebrata da mons. Cornelius Arap Korir, presidente della Commissione Giustizia e Pace, alla presenza di diverse autorità.

Essere cittadini responsabili per avere leader responsabili
La scelta del tema quest’anno è stata dettata dalla volontà dei vescovi keniani di sensibilizzare i fedeli sull’importanza di “eleggere buoni leader” alla guida del Paese alle prossime elezioni presidenziali e legislative dell’8 agosto. “Gli ultimi quattro anni - ricorda mons. Arap Korir nella prefazione al sussidio della Campagna - sono stati segnati dalla richiesta di una maggiore responsabilità alle persone alle quali sono state affidate posizioni di leadership. Ci sono stati diversi tentativi di impeachment, inchieste giudiziarie per malversazioni, peculato e la lista è ancora lunga. Ecco perché – sottolinea il presule - il tema della responsabilità è importante: dobbiamo essere cittadini responsabili per avere leader responsabili e moralmente integri”.

Imparare dall’esperienza del passato
L’esperienza del passato - prosegue il vescovo di Eldoret - insegna che dobbiamo votare leader “non per la loro appartenenza etnica o ricchezza”, quanto piuttosto per la loro integrità morale. Mons. Korir esorta quindi i cattolici a farsi guidare dalla Dottrina sociale della Chiesa che insegna ad evitare “il culto del denaro”, ad avere riguardo per il prossimo, in particolare per i più svantaggiati, e ad amare anche i nostri nemici.

Cinque settimane dedicate ognuna ad un tema
Durante le cinque settimane che precederanno la Pasqua, i fedeli keniani saranno invitati a riflettere ed approfondire altrettanti temi che interessano oggi la vita del Paese.  La prima settimana sarà dedicata alla sicurezza: da quella dei bambini non nati e dell’infanzia, a quella di tutti i cittadini nei vari ambiti della vita sociale. La seconda si concentrerà sui giovani e la società,  la terza sulla cura e la protezione del Creato, mentre la quarta sarà dedicata alle elezioni. In questa settimana si parlerà in particolare dell’esigenza di un voto responsabile, trasparente e pacifico. Infine, la quinta e ultima settimana di Quaresima sarà incentrata sulla piaga ancora diffusa in Kenya dell’“etnicità negativa”, dove il pluralismo etnico, invece di essere fattore di arricchimento per la società diventa motivo di divisione e conflitti. (A cura di Lisa Zengarini)

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A Vicenza la fiera biennale degli arredi sacri Koinè

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Dall’11 al 14 marzo tornerà a Vicenza Koinè, Rassegna biennale di arredi, oggetti liturgici e componenti per l’edilizia di culto a cura dell’Italian Exhibition Group, società che unisce Rimini Fiera e Vicenza Fiera. Giunto alla sua 17.ma edizione e con quasi 30 anni di storia alle spalle, cui hanno contribuito gli Uffici nazionali per i Beni culturali e per la Pastorale del turismo della Conferenza episcopale italiana (Cei), l’appuntamento da quest’anno ha anche il supporto del Pontificio Consiglio per la Cultura. La 17.ma edizione di Koinè è stata presentata oggi nella Sala Marconi della nostra emittente. Il servizio di Roberta Barbi: 

Non solo una fiera commerciale, ma anche un’occasione di ricerca e approfondimento culturale che può fregiarsi dell’aver spinto la produzione del settore degli arredi e oggetti sacri verso la bellezza e di aver stimolato la riflessione su tematiche importanti come la manutenzione delle chiese, tanto che quest’anno Koinè ha intenzione di farsi vicina alle Chiese locali provate dal terremoto non solo in termini di perdite di vite umane, ma anche di ingenti danni al patrimonio ecclesiastico, con iniziative di solidarietà che interesseranno le diocesi coinvolte. A spiegare cos’è questa rassegna vista da vicino è mons. Giancarlo Santi, presidente del Comitato scientifico di “Koinè Ricerca”:

Koinè è la più importante manifestazione fieristica sul tema specifico dell’oggettistica degli arredi ecclesiastici. Vive ormai da una trentina d’anni, è affermata, e oltre ad essere una grande istituzione ha alle spalle anche, in parallelo, un’esperienza di tipo scientifico di ricerca, di approfondimenti, sul medesimo argomento”.

Tra gli obiettivi di Koinè, anche quello di attuare gli orientamenti del Concilio Vaticano II, il primo che ha concentrato la riflessione anche sulla liturgia, sottolineando che riti e stile devono coincidere con la forma del Vangelo come anche che l’arte sacra, per sua natura in relazione con l’infinita bellezza divina, deve consentire la partecipazione attiva dei fedeli e indirizzare le menti degli uomini a Dio, opportunità cui tiene molto Koinè, come precisa don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio Nazionale dei Beni culturali ecclesiastici e dell’edilizia di culto della Cei:

“L’opportunità d’incontro, di confronto, l’opportunità anche di sottolineare quegli aspetti di devozione popolare, come Papa Francesco sta ricordando, che legano le persone non soltanto ad una produzione liturgica o quant’altro ma che possono essere veicoli di trasmissione proprio di questa sensibilità del Vaticano II, che si avvicina alle persone perché possono incontrare la Parola di Dio e possono celebrare un’attiva partecipazione attraverso il coinvolgimento organizzato e strutturato dell’intero popolo di Dio”.

L’edizione 2015 della fiera ha visto la partecipazione di oltre 13 mila visitatori; quest’anno si mira a replicare, con ben 300 espositori e il 30 per cento delle presenze provenienti dall’estero. Ma c’è anche un appuntamento non dedicato agli esperti, bensì alla gente comune: la mostra “Santini d’autore” che s’inserisce in quel solco di “nobile semplicità” che pervade tutta la rassegna, come sottolinea mons. Francesco Gasparini, responsabile dell’Ufficio Beni culturali della diocesi di Vicenza, che ospita l’evento:

“Li abbiamo chiamati ‘Santini d’autore’ nel senso di far andare anche questi aspetti legati a un culto importante nella fede cristiana, che è quello dei Santi, le immagini che siano immagini comprensibili, che però siano anche immagini contemporanee e anche di preghiere che siano in sintonia con queste immagini. Un San Francesco è bello quello che può essere fatto da Giotto, ma probabilmente un San Francesco realizzato da qualche artista contemporaneo dice molto di più al nostro tempo di quello realizzato da Giotto”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 59

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.