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Sommario del 16/01/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa in parrocchia a Guidonia: testimoniare Gesù, senza chiacchiere

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Dare “testimonianza di Gesù” con esempi di vita cristiana, azioni concrete e senza “chiacchiere”. Così il Papa, in visita questa domenica pomeriggio alla parrocchia di Santa Maria a Setteville, nel comune di Guidonia ma nella diocesi di Roma. Nella borgata, visitata dal Pontefice già nel 2014, Francesco ha così ripreso le visite alle parrocchie romane dopo la pausa dell’anno giubilare. E ha voluto farlo cominciando con l’incontro con il vice parroco, colpito da due anni da una grave forma di sclerosi laterale amiotrofica. Il servizio di Giada Aquilino

Non semplici parole ma azioni
Un incontro privato, mosso soprattutto dalla preghiera, quello con il vice parroco di Santa Maria a Setteville: don Giuseppe Berardino è malato di Sla, è impossibilitato a muoversi autonomamente. Ma il segno della sua testimonianza e il frutto della sua opera il Papa può toccarli con mano in parrocchia. Francesco incontra i ragazzi del post Cresima che hanno cominciato cinque anni fa il loro percorso proprio con don Giuseppe. Il Pontefice, accompagnato dal parroco, don Luigi Tedoldi, li sollecita a parlare, a porre domande, a testimoniare la loro presenza in parrocchia che è – dice – “una grazia del Signore”, di fronte a quei giovani che abbandonano la chiesa dopo la Cresima: per questo, osserva, è detta troppo frettolosamente il “Sacramento dell’addio”. Coi bambini si sofferma sul significato della testimonianza come “esempio di vita”:

“Io posso parlare del Signore, ma se io con la mia vita non parlo dando testimonianza, non serve! ‘Ma, Padre, io sono cristiano, e parlo del Signore’. ‘Sì, ma tu sei un cristiano-pappagallo; soltanto da qui: parole, parole, parole’. Ti ricordi quella canzone…? No, voi no, siete giovani … Sì? ‘Parole, parole, parole’… E niente di più. La testimonianza cristiana si fa con la parola, con il cuore e con le mani”.

I cristiani non fanno proselitismo
Ai parrocchiani - animati anche da otto comunità neocatecumenali - Francesco dice di ascoltare, andare incontro, chiedere perdono e perdonare, compiere opere di misericordia con malati, carcerati, poveri. E avere fede, vivendola e dimostrando coi fatti quanto sia importante:

“Non si deve spiegare. Sentite bene questo: se tu hai un amico, un’amica che non crede, tu non devi dire: ‘Ma, tu devi credere per questo, per questo, per questo’… e spiegargli tutte le cose. Questo non si deve fare! Questo si chiama proselitismo, e noi cristiani non dobbiamo fare proselitismo. Cosa si deve fare? Se io non posso spiegare, cosa devo fare? Vivere in tal modo che siano lui o lei a chiedermi: ‘Perché tu vivi così? Perché tu hai fatto questo’? E lì sì, spiegare”.

A volte la fede non si vede ma con l'aiuto del Signore si ritrova
Invita poi a parlare e a prendere esempio dai nonni, che “custodiscono la famiglia”: sono la nostra “memoria”, la nostra “saggezza”, sono anche “amici”, sottolinea. Nell’incontro con i collaboratori della pastorale, ricorda di quando a Buenos Aires faceva alcune catechesi “con un film”: ad esempio invitando a guardare un film giapponese, di Kurosawa, “Rapsodia in agosto”, per spiegare il dialogo fra nonni e nipoti. Ad una domanda di un parrocchiano, risponde poi di non aver visto film dedicati alla sua vita. Invece racconta di aver camminato, a volte, nel “buio” della fede: ci sono giorni in cui “non si vede”, spiega, ma poi con l’aiuto del Signore si ritrova. Ad esempio davanti a una calamità: Francesco riferisce dei 13 bambini nati dopo il sisma che ha colpito il Centro Italia e battezzati a Casa Santa Marta. Un padre ha raccontato al Papa di aver perso la moglie nel terremoto. Esorta quindi i presenti:

“Rispetta quel buio dell’anima. Poi sarà il Signore a risvegliare la fede. La fede è un dono del Signore. A noi, soltanto custodirlo… Non si studia per avere fede: la fede si riceve come un regalo”.

Gesù è vicino a tutti
Incontrando i malati, il Papa si sofferma - come già in passato aveva fatto - a riflettere sulle sofferenze anche quelle - osserva - dei “bambini con problemi”:

“Ci sono cose che non si possono spiegare, ma succedono: la vita è così; la vita è così. Gesù ha voluto essere vicino a noi anche con il suo dolore, con la sua passione, con le proprie sofferenze, e Gesù è vicino a tutti voi”.

Dare testimonianza di Cristo
Coi genitori dei 45 bambini battezzati in parrocchia nel corso dell’anno Francesco si sofferma a sottolineare la “gioia della vita che va avanti”, tipica dei piccoli. Quindi ripropone i consigli che spesso affida alle coppie: mai che i bambini vedano mamma e papà “litigare” e mai finire la giornata “senza fare la pace”. A seguire, dopo aver confessato quattro persone, nell’omelia della Messa Francesco torna a invitare a dare testimonianza di Cristo:

“Ci sono tanti cristiani che professano che Gesù è Dio; ci sono tanti preti che professano che Gesù è Dio, tanti vescovi… Ma tutti danno testimonianza di Gesù? O essere cristiano è come… un modo di vivere come un altro, come essere tifoso di una squadra? ‘Ma sì, sono cristiano…’. O come avere una filosofia: ‘Io osservo questi comandamenti, sono cristiano, devo fare questo…’. Essere cristiano, prima di tutto, è dare testimonianza di Gesù”.

In parrocchia niente chiacchiere
E una parrocchia, prosegue, è “incapace” di dare testimonianza se al proprio interno si insinuano le “chiacchiere”. Il Pontefice porta l’esempio degli Apostoli, che pure tradirono Gesù, ma mai - spiega - “parlavano male” l’uno dell’altro:

“Volete una parrocchia perfetta? Niente chiacchiere. Niente. Se tu hai qualcosa contro uno, vai a dirglielo in faccia, o dillo al parroco; ma non fra voi. Questo è il segno che lo Spirito Santo è in una parrocchia. Gli altri peccati, tutti li abbiamo. C’è una collezione di peccati: uno prende questo, uno prende quell’altro, ma tutti siamo peccatori. Ma quello che distrugge, come il tarlo, una comunità sono le chiacchiere, dietro le spalle”.

Setteville sia un quartiere di pace
Prima di lasciare Guidonia, Francesco saluta i fedeli che per ore lo hanno atteso fuori la chiesa. E lascia una consegna: che il loro sia un “quartiere di pace”.

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Mons. Forte: per dare testimonianza, essere e non apparire

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Essere cristiani significa anzitutto dare testimonianza di Gesù e non vivere il cristianesimo come se uno fosse “un tifoso di una squadra”. Questo il cuore del messaggio che Papa Francesco ha espresso ieri nella visita alla parrocchia di Santa Maria a Setteville, che appartiene alla diocesi di Roma, ma si trova nel comune di Guidonia . “Essere” e non apparire: così mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, "traduce" questo invito del Papa come sentiamo nell’intervista di Debora Donnini

R. – La ricerca della verità e il rifiuto dell’apparenza. Credo che questo sia un punto fondamentale del Magistero di Papa Francesco. Egli punta sempre al cuore, alla verità del cuore, ciò che siamo davanti a Dio e che dobbiamo poi cercare di essere nel nostro impegno verso gli altri. Tutto quello che è un semplice apparire, una maschera, non ha nulla di cristiano. Credo che questo sia profondamente conforme a quello che ci chiede Gesù nel Vangelo, quando ci domanda di piacere al Padre che vede nel segreto e non di preoccuparci di piacere agli uomini per l’impressione che possiamo dare, per quell’immagine di noi che vogliamo trasmettere.

D. - Recentemente in un’omelia a Casa Santa Marta, il Papa parlando dell’autorità di Gesù e d’altra parte dell’autorità dei farisei, dei dottori della legge, ha parlato della necessità di coerenza per i cristiani fra ciò che si dice e ciò che si fa. Questo si può riallacciare anche a quanto detto ieri, durante la visita alla parrocchia, quando il Papa ha sottolineato che la testimonianza cristiana si fa con la parola, con il cuore e con le mani?

R. - La testimonianza non è semplicemente qualcosa per cui basta parlare o semplicemente qualcosa che si svolge nell’interiorità della persona, ma è coniugare inseparabilmente la parola, il cuore e le mani in cui questo cuore traduce la sua volontà di impegnarsi per gli altri, per Dio.

D. - Tante volte Papa Francesco ha parlato della testimonianza dei piccoli gesti. Quindi c’è anche un richiamo all’impegno personale a fare dei piccoli gesti di conversione, di amore agli altri …

R. - Davanti a Dio quello che veramente conta è la verità di ciò che facciamo e che si esprime esattamente non in grandi parole, in grandi discorsi o in forme eclatanti, ma nella gestualità di un concreto atto di amore. Dunque il richiamo ai piccoli gesti è ancora una volta il richiamo all’essere davanti a Dio e a non apparire. E di questo tutti abbiamo bisogno. Ne ha bisogno ogni essere umano, ma ne ha bisogno anche la Chiesa, ne hanno bisogno i pastori… Papa Francesco non fa sconti a nessuno, a parte il fatto che lui stesso si presenta come un peccatore perdonato, ma lo chiede con chiarezza, come ha fatto ieri parlando di un’esigenza di conversione ai preti, ai vescovi, a chiunque si fa annunciatore del Vangelo.

D. - Il Papa rileva che leggendo il Vangelo non trova un certo tipo di peccato negli Apostoli: alcuni erano violenti, altri traditori, codardi, ma non erano chiacchieroni, non parlavano male degli altri. Il Papa sottolinea infatti che una comunità dove ci sono i chiacchieroni è incapace di dare testimonianza. Quindi chiede: niente chiacchiere. Se tu hai qualcosa contro qualcuno - dice - vai a dirglielo in faccia o dillo al parroco, ma non fra voi. Questo è un punto che Francesco ha ribadito più volte …

R. - Sì, perché che cosa sono le chiacchiere se non una forma di depistaggio rispetto alla verità di una conversione del cuore? Papa Francesco fa la netta contrapposizione tra un cristianesimo delle chiacchiere e un cristianesimo dei gesti, del cuore. A volte è più comodo sparlare di un altro che non parlare, perché se tu sparli in fondo non ti impegni a cambiare; se tu vai dal fratello e gli dici quello che non va, per dirglielo devi essere tu credibile, devi metterti in gioco ed esporti alla possibile risposta: “E tu, che cosa fai su questo punto?”. Francesco ci richiama sempre allo stesso punto, che è esattamente questa conversione del cuore alla novità di Dio, alla verità di essere e non di apparire come alle volte è per noi più comodo.

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Migranti e pace nell'udienza del Papa al presidente della Guinea

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Lo sviluppo integrale della persona, la preservazione dell’ambiente, la lotta all’ingiustizia sociale e alla povertà, nonché lo sviluppo di politiche adeguate per affrontare il problema migratorio. Queste alcune delle “questioni di comune interesse” affrontate nei colloqui stamani tra Papa Francesco e il presidente della Repubblica di Guinea, Alpha Condé, che si è successivamente incontrato con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. Nel corso degli incontri, riferisce una nota della Sala Stampa vaticana, sono state evidenziate le “buone relazioni” esistenti fra la Santa Sede e la Guinea. Non si è mancato di valorizzare il “ruolo” e l’“importante contributo” offerto al Paese dalle istituzioni cattoliche, particolarmente nell’ambito educativo e sanitario, come pure nella promozione del dialogo interreligioso con la comunità musulmana. Ci si è soffermati anche sulla situazione politica e sociale della Regione, con speciale riferimento all’“impegno concreto” della Repubblica di Guinea per contribuire “alla sua pacificazione”.

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Telegramma del Pontefice per la sciagura aerea in Kirghizistan

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Papa Francesco si è detto profondamente addolorato per il tragico incidente aereo avvenuto stamani in Kirghizistan: un cargo si è schiantato su un villaggio nei pressi dell'aeroporto di Bishkek, con un bilancio di 32 vittime, tra cui 13 bambini. In un telegramma a firma del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, il Pontefice invia le proprie condoglianze a quanti hanno perso i loro cari, in particolare nella zona dello scalo di Manas, e affida le anime dei defunti alla misericordia di Dio. Francesco prega inoltre per i soccorritori, invocando la benedizione divina di forza e consolazione per la nazione.

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Le udienze di Papa Francesco

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Per le altre udienze odierne del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Feroci: senzatetto nel cuore del Papa, non si può morire di freddo a Roma

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Morire di freddo a Roma: è il tragico destino che ha già fatto tre vittime tra i senzatetto in questo inverno. L’ultimo, due giorni fa, un clochard trovato morto per gli stenti e il freddo in un parcheggio della capitale. Una situazione drammatica, tante volte denunciata da Papa Francesco, che vede l’impegno di numerosi volontari per fronteggiare l’emergenza. Alessandro Gisotti ne ha parlato con mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma: 

R. – La prima considerazione che faccio è questa: in tutta Italia ci sono stati sei morti; tre solo a Roma. Questo ha un significato molto alto e, soprattutto, erano anni che non si verificano questi decessi. Quindi non si può piangere dopo, ma bisogna pensarci prima. Questo è quello che cerchiamo di dire continuamente: non si può affrontare il freddo sempre come un’emergenza correndo dietro a quello che si potrebbe o si deve fare. Bisogna assolutamente mettere in atto un piano preventivo per evitare che succedano queste cose; con il freddo di quest’anno, in questo momento, bisogna pensare al freddo che ci sarà a dicembre 2017, a gennaio e febbraio 2018 e organizzarci, perché se non c’è un’organizzazione che prevede la possibilità di dare la risposta a tante persone - proprio perché la povertà sta aumentando e rimangono in mezzo alla strada - credo che la nostra civiltà sia regredita tantissimo.

D. - Il Vescovo di Roma è particolarmente vicino a questa gente, forse la sente proprio come la gente più vicina. Che cosa rappresenta questo anche per la Caritas della diocesi di Papa Francesco?

R. - Papa Francesco, il nostro Vescovo, ci sottolinea continuamente questo, e noi lo ringraziamo per lo stimolo che ci dà. Mi permetto di dire anche che la sua Chiesa, quindi la Chiesa di Roma, in tutte le sue sfaccettature – Caritas, parrocchie, Comunità di Sant’Egidio e tutte le altre associazioni cristiane cattoliche che lavorano – stanno rispondendo in maniera egregia a quanto il Papa ci dice e credo che proprio le organizzazioni che vanno in giro la notte – e sono tante, tantissime – hanno evitato che invece di tre diventassero molti di più.

D. - Si coglie che il Papa è informato: informato sia sulla situazione di emergenza che su quelli che aiutano chi è nel bisogno. Un Papa dunque molto presente con questa situazione …

R. - Direi che Papa Francesco forse la mattina, quando si sveglia, la prima preghiera che fa è proprio per i poveri e anche per coloro che stanno vicino a questo mondo. È come si dicesse: “Il Signore è lì”, come ci diceva Gesù nel Vangelo: non andava a cercarlo nel Tempio, ma nel povero che ha bisogno. Papa Francesco ci sta dicendo dove bisogna incontrare il Signore lì, dove c’è l’uomo che soffre. Questo ce lo dice continuamente e credo che sia anche lo stimolo, la spinta, la bellezza di quello che ci sta dicendo e sta facendo per noi.

D. - Lei parlava appunto della programmazione già da adesso per l’inverno che addirittura verrà il prossimo anno. Nello stretto adesso, concretamente, che cosa le istituzioni, soprattutto locali, possono fare per aiutare e sostenere quelli che già volontari, la Caritas e tante denominazioni cattoliche stanno cercando di far fronte a questa emergenza?

R. - Una risposta a questa domanda è difficile, perché non si può con un problema così grande improntare un piano in 24 ore. Significa che lo sforzo deve essere ancora maggiore e che ci deve essere veramente una volontà forte e tenace. Io chiederei proprio questa creatività, che è una volontà molto profonda, mettendoci veramente la testa perché se nei prossimi giorni la temperatura ancora cala e diventa insopportabile, poi non possiamo piangere! Allora rimbocchiamoci le maniche, diamoci da fare perché finora non abbiamo fatto a sufficienza. Avremmo dovuto fare molto, molto di più.

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Oggi in Primo Piano



Parigi rilancia colloqui israelo palestinesi e punta ad avere due Stati

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Obiettivo raggiunto a Parigi nella Conferenza convocata dalla Francia per sostenere la ripresa del processo di pace israelo-palestinese: quello di impegnarsi per una soluzione a due Stati. Ma l’assenza dei due contendenti tra i Paesi partecipanti all’assise lascia in campo tutte le incognite per un’intesa, che appare ancora tanto lontana, sul piano diplomatico ed operativo. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“Una mano tesa”ad israeliani e palestinesi – secondo il capo degli Esteri francese Ayrault – quella dei 75 Stati presenti a Parigi, perché il più antico dei conflitti in Medio oriente, ha ricordato il Presidente francese Hollande, torni al centro della scena internazionale, a pochi giorni dall’arrivo alla Casa Bianca del neoeletto Presidente degli Stati Uniti, Trump, che potrebbe trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendole di fatto il ruolo di capitale, una provocazione per molti Paesi arabi, che avrebbero voluto una censura netta a questa ipotesi nel documento finale di Parigi, dove si è invece puntato a rilanciare l’impegno per una soluzione a due Stati, cercando di aggirare l’avversione del premier israeliano Netanyahu, che non ha voluto partecipare ritenendo questa conferenza di Parigi un passo indietro inutile, che – aveva denunciato - potrebbe allontanare negoziati diretti tra le parti senza precondizioni. Lo stesso Netanyahu avrebbe poi apprezzato i toni 'addolciti' nella dichiarazione finale di Parigi, specie rispetto all’ultima risoluzione Onu del dicembre scorso, di condanna sulle colonie ebraiche in Cisgiordania. Più aperto a raccogliere i frutti di Parigi sarebbe il Presidente palestinese Mahmud Abbas - noto come Abu Mazen - ricevuto in Vaticano dal Papa sabato scorso, e che è stato presente a Parigi, pur non sedendo al tavolo della Conferenza.

Ma perché questo Summit senza i protagonisti? Abbiamo girato la domanda al prof.  Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste e direttore della Scuola di competizione internazionale di Venezia. 

R. – E’ evidente che la Francia non rinuncia al suo ruolo diplomatico internazionale ed ha un duplice obiettivo: ricucire le relazioni nel Mediterraneo della Francia futura e fare delle proposte all’amministrazione Trump. E poiché il Presidente americano eletto non ha assolutamente parlato del problema di Palestina e di Israele, la Francia tende evidentemente a riempire intanto questo vuoto. Ma non soltanto: crea un legame per il futuro con i Paesi arabi e quindi si ripropone come mediatore internazionale sulla scena del nuovo ordine dopo l’elezione di Trump.

D. – Il Presidente Trump ha, però, lanciato l’idea di spostare la sede dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme:  quindi sarebbe come un riconoscimento di fatto del ruolo di capitale…

R. – Certamente è ancora difficile intercettare quelle che saranno le linee diplomatiche della nuova amministrazione americana. Va però riconosciuto che la Francia è, in questo momento, l’unico Paese europeo che si è mosso, cercando di tracciare un minimo di linea europea – e quindi di rappresentarla – nei confronti dell’amministrazione americana. Infatti si dà per scontato che la Gran Bretagna - le cui riserve sono apparse evidenti - sarà un alleato strettissimo dell’amministrazione Trump e a questo punto in Europa rimane, in questo momento, soltanto la voce dei francesi, considerando che l’Italia, la Germania e gli altri Paesi sono assolutamente silenti.

D. – Quindi una conferenza che è più servita ai Paesi che sono interessati a questo conflitto che ai protagonisti del conflitto?

R. – Questa è esattamente l’evidenza di questa conferenza: quindi una conferenza monca, una conferenza in cui mancano le parti in causa. Però dei segnali da parte di Israele sono arrivati, anche se assolutamente sotto traccia. Vi sono sicuramente stati dei contatti forti con la nuova amministrazione americana, che prenderà il comando tra pochi giorni. Quindi diciamo che con questa mossa - piena non solo di luci ma anche di molte ombre – i francesi si stanno candidando, secondo il loro stile e la loro tradizione, a ricoprire un ruolo molto forte, tentando di far capire che la Gran Bretagna sarà un semplice ‘alleato degli Stati Uniti’ e che quindi il ruolo dell’Europa, in questo momento, dovrebbe essere preso soprattutto dai francesi e poi da coloro che eventualmente seguiranno. In più – come dicevo prima – vi è un chiarissimo ponte verso i Paesi arabi, che in questo momento ricoprono soltanto i francesi, visto l’impasse sulla Libia dell’Italia e vista l’assoluta assenza della Germania dalla scena internazionale.

D. – E’ comunque un bene che il mondo torni a ricordarsi di quello che è il più antico dei conflitti in Medio Oriente…

R. – Certamente! Molte cose, tantissime, sono nate da lì. Vi sono state poi delle evoluzioni, vi sono stati dei grandissimi cambiamenti… Ad un certo momento sembrava che la questione non interessasse più, se non coloro che ne erano direttamente coinvolti. Ma quel nodo resta uno dei più grandi e non solo delle vicende del Mediterraneo, ma di tutte le vicende diplomatiche internazionali.

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Trump: critiche alla Nato e all'Unione Europea

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Fanno discutere le affermazioni del Presidente americano eletto, Donald Trump, su Nato e Unione Europea. In una serie di interviste a testate tedesche e britanniche il neo capo della Casa Bianca ha detto che l’Alleanza Atlantica, che non si occupa di terrorismo, è ormai obsoleta e che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è solo la prima di altre defezioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI): 

R. – La Nato si occupa di terrorismo fin dall’attacco alle Torri Gemelle, ha partecipato largamente alla guerra in Afghanistan ed è stata coinvolta in tutta una serie di altre operazioni. Per cui dire semplicemente che la Nato non si occupa di terrorismo è banale e devo dire anche che non vero. Io credo che Trump stia cercando di fare un po’ di rumore per vedere poi cosa fare. Probabilmente la Nato, ma in particolare l’Europa, avranno bisogno di una discussione seria con Trump, se Trump la vorrà fare, perché il problema è quale rapporto avere, non tanto con il terrorismo, che tutti stanno combattendo, quanto con la Russia, la Cina e in genere con la situazione in Medio Oriente.

D.  – Comunque l’organizzazione atlantica secondo lei ha bisogno di una riforma?

R. – Certamente l’organizzazione atlantica deve adeguarsi al mutare della situazione, però questo restyling va pensato. Io credo che Trump stesse soprattutto reagendo alla decisione di Obama di dare appoggio alla Polonia e alle Repubbliche baltiche in questi ultimi giorni e quindi volesse in qualche maniera prendere le distanze da Obama. Ma queste sono ancora polemiche di politica interna americana.

D. – Certo è una Nato in cui gli Stati Uniti continuano a sostenere i costi maggiori…

R. – Sì, gli Stati Uniti sostengono quasi il 70-75% dei costi della Nato. Certamente c’è un problema di rapporto con l’Europa da questo punto di vista, però è anche evidente che se fai pagare di più agli alleati, gli alleati contano di più.

D. – Parole critiche di Trump anche nei confronti dell’Europa: secondo il presidente eletto la Brexit sarebbe solo la prima delle uscite dall’UE…

R.  – Evidentemente è possibile. Ma finora, di fatto, non abbiamo avuto neanche la Brexit, anzi non è neanche cominciata: la Gran Bretagna non ha ancora depositato la sua domanda di uscita dall’Unione, quindi non sono ancora stati avviati i negoziati. Per cui finora parliamo in astratto. Vedremo all’atto pratico cosa succederà e se altri Paesi vorranno seguire questo esempio. Credo che Trump pensasse soprattutto all’Ungheria.

D. – E’ un’Europa che rischia di spaccarsi sul problema immigrazione e sul fatto che economicamente va a due velocità?

R. -  Sì, certamente. C’è il problema del rapporto tra nord e sud. Questo è una grossa questione che però ha poco a che fare con questo tipo di polemiche e ha molto invece a che fare con il funzionamento effettivo dell’Unione. Certo, se l’Unione non riuscirà a funzionare dal punto di vista economico-finanziario e direi anche dal punto di vista politico è possibile che inizi una grossa crisi. Ma io devo dire che mi sembra che la maggior parte dei Paesi europei sia molto più attenta oggi di quanto non fosse ieri alle conseguenze di determinati gesti sull’insieme dell’Unione. Vedremo… Io credo che Trump tenti di dividere gli europei per avere poi una serie di negoziati bilaterali – che sono le cose poi che ha detto fin dalla sua campagna elettorale – però dovrebbe anche ricordarsi che ci sono competenze, specialmente in campo commerciale ed economico, che non sono più nazionali, ma sono dell’Unione. Io credo che Trump dovrà imparare a fare politica estera.

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Venezuela: vescovi denunciano grave carenza di cibo e farmaci

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I presuli del Venezuela tornano a esprimere profonda preoccupazione per la grave situazione nel Paese e sottolineano che «il 2016 è finito in malo modo, con grande disperazione. L’attuale realtà venezuelana è estremamente critica. Una grande oscurità copre il nostro Paese. Stiamo vivendo situazioni drammatiche». Nell’esortazione pastorale intitolata «Gesù Cristo luce e cammino per il Venezuela» - rende noto l’Osservatore Romano - la Conferenza episcopale riunita nei giorni scorsi a Caracas, in occasione della 107.ma Assemblea plenaria ordinaria, sottolinea la «grave carenza di cibo e di medicine. Mai prima d’ora abbiamo visto tanti nostri fratelli rovistare nella spazzatura per cercare cibo!».

Si aggrava la piaga della denutrizione
Uno studio dell’Università centrale del Venezuela stima che nel 2017 il tasso di denutrizione dei bambini in età scolare aumenterà del 3% rispetto al 2016, e raggiungerà tra i 350.000 e i 380.000 minori. Inoltre, si prevede che la mancanza di generi alimentari si aggraverà, a causa della semina insufficiente del 2016 e della mancanza di risorse per importare cibo. «Il deterioramento della salute pubblica, l’alta malnutrizione nei bambini, l’ideologizzazione dell’istruzione, l’alto tasso di inflazione e la conseguente perdita del potere di acquisto, la corruzione diffusa e l’impunità — sottolineano i vescovi venezuelani — dipingono un quadro a tinte fosche che peggiora ogni giorno che passa».

I bambini tra le prime vittime della crisi
Attualmente, nel Paese vivono 3.200.000 bambini al di sotto dei cinque anni. Tra questi, il 12% soffrirà di denutrizione acuta grave nel 2017 se non si interverrà al più presto. La mancanza di cibo e di medicine, inoltre, colpirà anche le donne incinte, le persone anziane, i malati psichiatrici e i detenuti. C’è il rischio che possa registrarsi una maggiore propensione alle malattie perché il sistema immunitario non avrà difese. La grave crisi economica che affligge il Venezuela è caratterizzata da livelli di inflazione altissimi, da una forte caduta del prodotto interno lordo, oltre che dalla gravissima emergenza alimentare in genere legata alla penuria di prodotti di prima necessità. Il Paese, infatti, produce solo il 30% degli alimenti necessari e per importare quanto manca servirebbero 900 milioni di dollari al mese solo per quest’anno.

Paese sempre più scosso da criminalità e insicurezza
L’episcopato esprime profonda preoccupazione anche per «l’odio e la violenza politica, gli alti tassi di criminalità e di insicurezza, con conseguenze oppressive e distruttive» che «generano una cultura della morte». Durante i lavori della conferenza, il presidente, vescovo di Cumaná, mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, ha ricordato «i 29.000 decessi per morte violenta» e gli oltre 120 prigionieri politici detenuti. Il presule ha citato alcuni fatti accaduti nelle ultime settimane: «il massacro di Barlovento, commesso da gruppi paramilitari, saccheggi e atti di vandalismo a Cumaná, Ciudad Bolívar e altre città, l’aggressione al monastero trappista di Mérida».

Si garantisca lo stato di diritto
​I vescovi, nella lettera, hanno ricordato il tentativo della Santa Sede di favorire il dialogo tra le parti, rammaricandosi del fatto che al momento non sono arrivati i risultati di questo sforzo. Di qui, l’appello affinché tutte le parti in causa intervengano per «intraprendere azioni che portino al superamento della crisi nel Paese», per «riattivare l’apparato produttivo, garantendo lo stato di diritto e la ricostruzione del tessuto sociale», per «promuovere onestà e responsabilità nella vita pubblica e promuovere la riconciliazione tra le persone». (A.L.)

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Eritrea: in migliaia in fuga da crisi alimentare e persecuzioni

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In Eritrea quasi due milioni di persone vivono nell’insicurezza alimentare: oltre la metà sono bambini. L’allarme è lanciato dall’Unicef che riferisce di scarsi raccolti e avverse condizioni meteo dovute al El Nino. Una crisi umanitaria e sociale acuita dalla chiusura del regime eritreo e dalla fuga di migliaia di giovani che cercano di raggiungere l’Europa. Il servizio di Marco Guerra

La siccità e i conseguenti scarsi raccolti hanno portato due milioni di eritrei all’insicurezza alimentare. Di questi, il 60% sono minori. In pratica, nel Paese del Corno d’Africa su una popolazione di sei milioni e mezzo di persone quasi un cittadino su tre ha difficolta di accesso a una nutrizione adeguata. Non è facile tuttavia avere contezza di questo dramma poiché Asmara nega qualsiasi problema, limitando il movimento delle associazioni umanitarie. Sentiamo Franca Travaglino, fondatrice della Ong ‘HEWO’ (Hansenians’ Ethiopian Welfare Organization), che riferisce di un rapporto inviato dai collaboratori in Eritrea:

R. - Abbiamo dei riscontri che ci presentano veramente una situazione disastrosa! Una nostra collaboratrice sul posto ci dice: “Qui manca tutto! C’è fame, c’è miseria, c’è mancanza degli alimenti necessari. Mancano la luce, il petrolio, il carbone. Il costo della vita galoppa in modo impressionante ed inaccettabile! Quello che trovi, è a un prezzo molto alto e molte persone non hanno la possibilità di comprarlo”.

D. – Quali sono i problemi che si riscontrano ogni giorno?

R. – Sono soprattutto di carattere alimentare e sono proprio quotidiani. Faccio qualche esempio: un tempo i pomodori costavano 10-15 nacfa (la moneta locale), invece ora costano 80 nacfa al kg; e così anche le patate… Per lunghi periodi manca del tutto l’energia elettrica. La situazione economica e sociale è molto critica. E' indescrivibile.

La  situazione è aggravata da una crisi migratoria senza precedenti che solo negli ultimi due anni ha visto 60 mila giovani lasciare il Paese alla volta dell’Europa. Uno dei più ingenti gruppi di profughi dopo i siriani. Una fuga da fame e miseria ma anche dal regime di Isaias Afewerki. Ascoltiamo ancora il commento della Travaglino:

"E’ da tenere presente che ci sono delle carestie climatiche cicliche. E poi al momento l’Eritrea è purtroppo una nazione chiusa: non ha rapporti con le altre nazioni. Come si può pensare ad uno sviluppo economico in un Paese dove scappano i giovani, dove le forze lavoro non ci sono più? Non c’è possibilità di sviluppo. Non possono parlare, non possono studiare liberalmente. E’ una prigione a cielo aperto"!

E in Eritrea preoccupa anche la recrudescenza della persecuzione anti-cristiana. Secondo il Rapporto 2017 dell'organizzazione internazionale "Porte Aperte", fondata nel 1955 dal missionario olandese "fratello Andrea", l’Eritrea è tra i 10 Paesi dove i cristiani sono maggiormente oppressi:

"Fino agli anni Settanta-Ottanta non c’era differenza tra cristiani e islamici: era un Paese veramente libero dal punto di vista religioso. Ora, invece, il regime eritreo è sostenuto dagli arabi. Dopo l’indipendenza, l’Eritrea si è trovata per forza a fare una scelta, perché è stata abbandonata. E quelli che l'hanno maggiormente sostenuta e la sostengono sono i Paesi arabi. Questo pericolo di una arabizzazione dell’Eritrea è anche un tentativo da parte degli islamici di penetrare in Etiopia, che rimane ancora spiritualmente cristiana".

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Davos. Oxfam: troppe diseguaglianze, serve economia centrata sull'uomo

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Vigilia dell’annuale Forum Economico Mondiale di Davos in Svizzera che avrà al centro  il futuro della finanza, dell' energia, dell' innovazione, ma anche grandi tematiche internazionali, dal crisi in Medio Oriente, allo sviluppo dell’Africa e dell’America Latina. Forte l’appello che arriva dall’Oxfam,Ong britannica che denuncia le crescenti diseguaglianze sociali con 8 persone che sul pianeta posseggono quanto 3,6 miliardi di poveri.Tema del Forum quest’anno è la “Leadership responsabile”? Ad oggi cosa significa ed è possibile realizzarla? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Elisa Bacciotti, direttrice Campagne Oxfam Italia: 

R. – Per Oxfam dovrebbe significare cambiare questo modello economico che sta producendo una diseguaglianza estrema; significa avere dei governi che tornino ad avere un ruolo regolatore in maniera da evitare elusione fiscale che porta grandi ricchi e grandi corporation a non contribuire come potrebbero alle casse dei nostri Stati e quindi a non poter più garantire servizi pubblici e di qualità per i loro cittadini; significherebbe anche garantire ai cittadini un salario dignitoso e non solo un salario minimo che di fatto poi porta una persona su dieci a vivere sotto la soglia di povertà e, in molti casi, ad essere un povero che lavora.

D. - Le tematiche di Davos saranno tante: si parlerà soprattutto di futuro, finanza, energia, innovazione, politica monetaria, e poi ci saranno dei focus internazionali. Il richiamo all'uomo, che il Papa fa sempre: ecco, si può costruire ad oggi un futuro basato sull’uomo?

R. - Non solo si può, ma si deve costruire un’economia che lavori per il 100% di noi, un'economia fondata sul rispetto della sostenibilità ambientale perché questo modello economico non serve l’uomo, ma di fatto lo sfrutta sfruttando anche l’ambiente; non sarà più possibile nel breve e nel medio periodo costruire un futuro dignitoso per la vita di tutti noi.

D. - La lista dei presenti e degli assenti di solito a Davos, spiega meglio di tante analisi cosa accade negli equilibri mondiali. Quest’anno è la prima volta della Cina, che spinge per una globalizzazione che sia inclusiva. Qual è il significato di questa presenza?

R. - È importante che Davos come appuntamento, seppur informale dell’élite politica ed economica del nostro pianeta, possa ospitare più voci e voci come quelle delle Cina cioè di un Paese che è una potenza economica globale che ha compiuto passi importanti anche per la riduzione della povertà e che ultimamente ha anche preso impegni molto ambiziosi rispetto al tema del cambiamento climatico. Ci auguriamo che come collettivo di leader politici ed economici, sappiano costruire una globalizzazione  che davvero non lasci indietro la grandissima maggioranza di noi.

D. – Sono otto le persone più ricche del pianeta a possedere quanto 3,6 miliardi di poveri, lo avete scritto nel rapporto Oxfam. Di queste persone molte sono proprio di quell’America che ora diventa l’America di Trump. Fa paura o no alle Ong, questa figura, che per l’altro non sarà presente a Davos, ma manderà degli emissari, per un miglior funzionamento del pianeta?

R. - Quello che possiamo dire è che il tema della diseguaglianza economica, di ricchezza e di reddito, è stato uno dei temi all’origine del successo della Campagna elettorale di Trump. Quindi il tema ha influenzato anche le opinioni di molti elettori negli Stati Uniti. Di fatto però, la risposta che noi vorremmo vedere, anche dal prossimo Presidente eletto, perché no, è una risposta che disegni un modello economico non divisivo perché di fronte a queste sfide dobbiamo essere in grado di cooperare tutti. Ci auguriamo appunto che le leadership mondiali, compresa quella statunitense, facciano questo.

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Vescovi a cristiani di Betlemme: pregate per nostre società occidentali

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“Tutto il Medio Oriente ha sete di misericordia, israeliani, palestinesi, cristiani, musulmani, ebrei. Abbiamo tutti bisogno di pace. Aiutateci!”. È stato l’appello che il parroco della parrocchia latina della “Annunciazione” a Beit Jala, padre Faysal Hijazeen, ha lanciato al Coordinamento dei vescovi per la Terra Santa (Hlc) che ieri, in delegazione, hanno partecipato alla Messa della comunità. 

Le cause dell'esodo dei cristiani di Terra Santa
Mancanza di lavoro, occupazione militare israeliana e instabilità politica sono tra le cause dell’emigrazione dei cristiani, problema molto sentito dalla Chiesa locale che vede ridursi “lentamente e inesorabilmente” i propri fedeli. “Solo la garanzia di un futuro migliore potrà trattenerli”, ha affermato il sacerdote. Pronta la risposta di mons. Declan Lang, moderatore dell’Hlc, che, nell’omelia, rivolgendosi ai tanti fedeli che affollavano la chiesa, ha detto: “Siamo qui per pregare per voi. Ci impegniamo, una volta tornati a casa, a fare il possibile perché possiate essere più liberi”. 

Ringraziamento dei vescovi per la fede che viene testimoniata in Terra Santa
Anche mons. Peter Burcher, vescovo di Reijkavik e rappresentante della Conferenza episcopale dei Paesi nordici, ha ribadito l’impegno: “Siamo venuti a Betlemme non come magi ma come pastori. Una volta ritornati racconteremo ciò che abbiamo visto e udito. Grazie per la fede che testimoniate”. “Pregate per le nostre società occidentali – hanno a loro volta chiesto i due vescovi ai fedeli – che devono affrontare sfide molto difficili. La vostra fede ci è di sostegno”. (R.P.)

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Cresce la rabbia nelle zone terremotate per la ricostruzione

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Prosegue l’ondata di freddo sull’Italia, difficoltà si registrano in particolare sulle zone del Lazio, delle Marche, dell’Umbria colpite dal sisma dei mesi scorsi. Non mancano poi le proteste di alcuni piccoli comuni intorno ad Accumuoli dove lo sgombero delle macerie procede a rilento. Ieri una manifestazione, contestata però dalle istituzioni locali. Ci riferisce Benedetta Capelli: 

Risveglio sotto la neve per Norcia e la Valnerina ma fortunatamente non si segnalano criticità anche se i disagi più forti riguardano gli allevatori che non sono riusciti a mettere nelle stalle il loro bestiame e che spesso dormono nei camper per non lasciare gli animali. Una situazione che si vive anche nelle Marche. A Pieve Torina, nel maceratese, sono state puntellate le tensostrutture del dormitorio e della mensa viste le abbondanti precipitazioni. A Camerino preoccupa il peso della neve sugli edifici pericolanti e già evacuati. Con il maltempo crescono anche le proteste: ieri a Grisciano, frazione di Accumuoli, circa 400 persone di tutti i piccoli comuni della zona sono scese in strada perché si sentono “sfollati di serie B”. Lamentano l’immobilismo nello sgombero delle macerie e temono che il paese possa morire visto l’allungarsi dei tempi per la ricostruzione. Luigi Rendina, presidente del comitato “Ricostruiamo Grisciano”.

R. – Da tre giorni stanno rimuovendo le macerie nelle vie principali ma, fatalità, sono state spostate in una frazione limitrofa, di tutta corsa, dove non avevano ultimato i lavori, perché ieri venivano le telecamere per la manifestazione. La cosa più grave è che manca una comunicazione con le istituzioni locali. Infatti quello che ci rattrista più di tutto è che ieri alla manifestazione avevamo invitato anche il sindaco ma non si è presentato, anzi ha ribadito subito su altre emittenti radio e televisive che la manifestazione era politica ed era strumentale... Ma strumentale di che? Si tratta di povera gente che cerca aiuto, che cerca di tornare a casa! Il discorso è che finita l’emergenza e smontate le tendopoli ci sono stati cinque mesi di deserto totale.

D. – Quali sono le richieste che voi fate alle istituzioni?

R. – Alle istituzioni chiediamo di avere un dialogo il prima possibile - e spero lo avremo! - e che si snelliscano le procedure quanto prima per partire con una ricostruzione veloce. I ragazzi giovani che abitavano a Grisciano hanno rinunciato alle case provvisorie. Se la ricostruzione avverrà fra 5, 6 anni, ormai vivranno in altri posti… Non penso che ritornerà più nessuno. Quindi dobbiamo muoverci, dobbiamo far tornare le persone il più velocemente possibile. Dobbiamo snellire tutto, lavorare giorno e notte per far sì che questi paesi, questi posti incantati, non spariscono.

Di tutt’altro avviso il sindaco di Accumoli Stefano Petrucci per il quale la manifestazione di ieri nella frazione di Grisciano non ha rispecchiato il sentir comune. Si sta lavorando – afferma – con tutto l’impegno possibile e non si tratta di 5 mesi di immobilismo.

R. – Noi il 30 ottobre abbiamo subito una scossa più devastante rispetto a quella del 24 di agosto. Prima di tutto stiamo parlando di due mesi e mezzo fa e in questi due mesi e mezzo gli uffici comunali si sono spostati due volte. Stiamo operando con tutta la neve, le intemperie, oggi abbiamo 30 cm di neve, fino a 10 giorni fa le temperature erano scese fino a meno 18… Nonostante questo i Vigili del Fuoco, l’Esercito, hanno provveduto allo sgombero delle macerie, anche il giorno del Natale, della vigilia e del primo dell’anno. Quindi non mi sembra che ci sia immobilismo e burocrazia… Purtroppo i tempi che occorrono per fare questo tipo di attività sono lunghi. Non è che noi oggi dopo la manifestazione siamo venuti qui con uno spirito diverso: lo spirito di lavorare e di volere il bene delle nostre comunità lo abbiamo già dal 24 di agosto perché comunque noi questo territorio lo abitiamo. Io credo che insieme, con l’unione, facciamo la forza. Penso che andare così sparpagliati, fare proteste non si sa neanche contro chi, non sia un monito da dare alla popolazione perché la popolazione è  frastornata ancora da tutti gli eventi che sono intercorsi. Dobbiamo essere vicino sia ai nostri anziani che ai nostri bambini per dare loro un po’ di serenità.

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Caritas: bene i lavori socialmente utili per richiedenti asilo

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Saranno presentate mercoledì al Parlamento, dal ministro dell’interno Minniti, le nuove misure in materia di immigrazione. Tra le novità, la proposta di prevedere l’impiego dei richiedenti asilo in lavori socialmente utili nel periodo di attesa della risposta alla loro istanza. Obiettivo di fondo del pacchetto una distinzione più netta tra profughi e immigrati irregolari per i quali si intendono incentivare i rimpatri anche con accordi con i Paesi di provenienza. Tra gli altri provvedimenti l’apertura  di nuovi Cie, Centri di identificazione ed espulsione, con 100 posti ciascuno al massimo, lontani dai Centri, preferibilmente vicino agli aeroporti. Assicurata, sembra, la presenza all’interno della struttura, di un garante per verificare che siano rispettati i diritti degli immigrati. 

Decisamente contraria alla proposta del lavoro ai richiedenti asilo la Lega secondo cui ci troviamo di fronte ad una farsa e di una “genialata” del governo Pd e dei centristi. Adriana Masotti ha sentito Oliviero Forti, referente per l’immigrazione della Caritas italiana: 

R. – Noi ci siamo sempre espressi favorevolmente rispetto alla possibilità di rendere attive delle persone che spesso – purtroppo visti i lunghi tempi delle procedure – sono invece in una situazione di inattività, che non fa certo bene a nessuno… Già nel passato avevamo sottolineato l’importanza della Circolare che il Ministero dell’Interno nel 2014 aveva emanato proprio per attività di volontariato all’interno dei Centri in cui vengono ospitate queste persone. Oggi noi pensiamo addirittura un' attività che sia proprio di collaborazione nella gestione dei Centri, come avviene anche in altri Paesi. Si parla di lavori socialmente utili nella proposta del governo: anche questi avrebbero sicuramente un esito positivo per loro e per chi li accoglie.

D. – Al di là dell’occupare la giornata, questo lavoro socialmente utile sarà pagato? Che cosa avete capito voi?

R. – Rispetto a questo non abbiamo ancora elementi. Diciamo che se passiamo dal volontariato puro al lavoro socialmente utile, noi crediamo che debba essere remunerato. Trovare il giusto equilibrio tra un contributo attraverso i lavori socialmente utili e un’attività remunerata: crediamo che questa sia la via migliore. Ci rendiamo anche noi disponibili a discuterne per trovare una formula che sia accettabile e che sia soprattutto accettata da tutti.

D. – Assolutamente contraria a questa idea di far lavorare – dice – i clandestini è la Lega, che ha appunto commentato: “Siamo alla farsa! Dare lavoro ai clandestini, invece di pensare agli italiani…”.

R. – Noi rigettiamo il linguaggio che viene ormai sovente utilizzato da questi partiti ideologicamente orientati, perché non si tratta di clandestini: sono richiedenti asilo e quindi persone che hanno il diritto di fare una domanda di protezione internazionale, al netto del fatto che verrà accolta o meno. Quindi ci troviamo di fronte a delle persone! Affermazioni di questo tipo chiaramente non hanno alcun altro intento se non quello di alzare ulteriormente le preoccupazioni, che già serpeggiano diffuse in tanti contesti territoriali. Per cui crediamo che una situazione così complessa e un tema anche così difficile debba essere sempre affrontata con grande equilibrio ed onestà intellettuale.

D. – Sembra che l’Italia si avvii a segnare, sempre di più, una differenza tra profughi e irregolari e che per questi ultimi si vogliano incentivare le procedure di rimpatrio, anche con accordi con i Paesi di provenienza. Come vede lei quest’orientamento?

R. – Ci sono due piani che vanno considerati. Il primo è la normativa vigente, che evidentemente di fronte ad un rifiuto della domanda di protezione internazionale fa sì che la persona cada in una condizione di irregolarità e quindi debba essere rimpatriata: poi nei fatti questo non avviene, perché non ci sono gli accordi; quelli che ci sono, sono molto deboli e quindi l’effetto è quello di avere tante persone in condizione di irregolarità che – ci tengo a sottolinearlo – non fa mai equazione con criminalità. Questo è quello che oggi noi abbiamo ed è purtroppo uno dei grandi temi che andranno affrontati urgentemente. Il secondo piano: diciamo anche che c’è una normativa a livello internazionale che andrebbe completamente rivista, perché questa distinzione tra chi fugge dalla guerra e chi fugge dalla fame non è più accettabile. Noi continuiamo a dirci, guardando i volti di queste persone, perché un cittadino che proviene dal Mali e fugge da una condizione di grande precarietà esistenziale, perché non ha veramente di come mettere insieme il pranzo con la cena, debba essere considerato soggetto di serie B rispetto a chi fugge dalla guerra in Siria. Se non si fa una seria e profonda riflessione su questi temi - ovvero sulle cause – chiaramente ci troveremo sempre a ragionare su questa dicotomia che vale da un punto di vista giuridico ma che nei fatti non trova alcuno spazio.

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Chiesa Ecuador: appello per indios Shuar cacciati per fare posto a una miniera

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Un nuovo appello a favore del popolo indigeno Shuar dell’Ecuador arriva dalla Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica, che – riferisce l’agenzia Sir – ha diffuso un articolato comunicato stampa per manifestare la propria “preoccupazione e ferma denuncia per i fatti recenti che hanno coinvolto il popolo Shuar dell’Ecuador, nella provincia di Morona Santiago e in particolare la cacciata di indigeni e agricoltori della comunità Nankints, per fare posto agli interessi dell’impresa estrattiva cinese Ecuacorrientes S.A”.

No alla politica di super sfruttamento dei beni naturali imposto nella regione amazzonica
Secondo la Repam quanto sta accadendo è in relazione “alla politica di super sfruttamento dei beni naturali che è stato imposto nella regione amazzonica, concedendo vantaggi a gruppi privati e danneggiando gravemente i diritti umani e la protezione dell’ecosistema”. Il comunicato prosegue: “Comprendiamo la vocazione per lo sviluppo sociale delle donne e degli uomini dell’Ecuador, però la soluzione non può limitarsi alla prosecuzione dell’estrazione di risorse naturali in spazi tanto fragili e vulnerabili, poiché la povertà che si vuole combattere momentaneamente, tornerà ugualmente in modo più drammatico per questi territori”.

Le parole del Papa per il rispetto dei diritti delle popolazioni 
​Da qui, anche in riferimento alla parole pronunciate da Papa Francesco nella sua visita in Ecuador, la richiesta del rispetto dei diritti delle popolazioni e in particolare della consultazione previa e libera, del dialogo e di non ripetere atti di forza e violenti. (A.D.C.)

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 16

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.