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Sommario del 04/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Pentecoste: per Francesco la Chiesa nasce dal perdono, unita nella diversità

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Lo Spirito Santo è il primo dono di Gesù risorto e viene dato per perdonare i peccati: il perdono è il dono più grande, che ci tiene uniti nonostante tutto, nonostante le diversità. Così, in sintesi, Papa Francesco nell’omelia pronunciata stamane in Piazza San Pietro, dove ha presieduto la Messa nella Solennità della Pentecoste. Oltre 60 mila le persone presenti al rito, allietato dai canti del Coro e dell'Orchestra dei ragazzi di Carpi. Il servizio di Sergio Centofanti

Piazza San Pietro è colma di fedeli, in particolare ci sono i gruppi del Rinnovamento carismatico cattolico, che festeggiano i 50 anni della loro nascita, insieme ai rappresentanti di altre confessioni cristiane che hanno partecipato ieri alla Veglia di Pentecoste al Circo Massimo. Papa Francesco, nell'omelia, ricorda che lo Spirito Santo fa proprio questo: "crea la diversità e l’unità", "plasma un popolo nuovo, variegato e unito: la Chiesa universale. Dapprima, con fantasia e imprevedibilità, crea la diversità; in ogni epoca fa infatti fiorire carismi nuovi e vari. Poi lo stesso Spirito realizza l’unità: collega, raduna, ricompone l’armonia". L’unità vera, "quella secondo Dio" - afferma il Papa - "non è uniformità, ma unità nella differenza". L'invito è a evitare "due tentazioni ricorrenti. La prima è quella di cercare la diversità senza l’unità":

“Succede quando ci si vuole distinguere, quando si formano schieramenti e partiti, quando ci si irrigidisce su posizioni escludenti, quando ci si chiude nei propri particolarismi, magari ritenendosi i migliori o quelli che hanno sempre ragione. Sono i cosiddetti custodi della verità. Allora si sceglie la parte, non il tutto, l’appartenere a questo o a quello prima che alla Chiesa; si diventa ‘tifosi’ di parte anziché fratelli e sorelle nello stesso Spirito; cristiani ‘di destra o di sinistra’ prima che di Gesù; custodi inflessibili del passato o avanguardisti del futuro prima che figli umili e grati della Chiesa”.

La tentazione opposta "è quella di cercare l’unità senza la diversità":

“In questo modo, però, l’unità diventa uniformità, obbligo di fare tutto insieme e tutto uguale, di pensare tutti sempre allo stesso modo. Così l’unità finisce per essere omologazione e non c’è più libertà. Ma, dice San Paolo, «dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2 Cor 3,17)”.

Francesco invita a chiedere allo Spirito Santo "la grazia di accogliere la sua unità, uno sguardo che abbraccia e ama, al di là delle preferenze personali, la sua Chiesa, la nostra Chiesa; di farci carico dell’unità tra tutti, di azzerare le chiacchiere che seminano zizzania e le invidie che avvelenano, perché essere uomini e donne di Chiesa significa essere uomini e donne di comunione; è chiedere anche un cuore che senta la Chiesa nostra madre e nostra casa: la casa accogliente e aperta, dove si condivide la gioia pluriforme dello Spirito Santo".

Lo Spirito, dunque, fa dei discepoli un popolo nuovo e poi crea nei discepoli un cuore nuovo. Gesù Risorto, infatti, apparendo per la prima volta ai suoi, dice: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,22-23). "Gesù non condanna i suoi, che lo avevano abbandonato e rinnegato durante la Passione, ma dona loro lo Spirito del perdono":

“Lo Spirito è il primo dono del Risorto e viene dato anzitutto per perdonare i peccati. Ecco l’inizio della Chiesa, ecco il collante che ci tiene insieme, il cemento che unisce i mattoni della casa: il perdono. Perché il perdono è il dono all’ennesima potenza, è l’amore più grande, quello che tiene uniti nonostante tutto, che impedisce di crollare, che rinforza e rinsalda. Il perdono libera il cuore e permette di ricominciare: il perdono dà speranza, senza perdono non si edifica la Chiesa”.

Lo Spirito del perdono - spiega il Papa - "ci spinge a rifiutare altre vie: quelle sbrigative di chi giudica, quelle senza uscita di chi chiude ogni porta, quelle a senso unico di chi critica gli altri. Lo Spirito ci esorta invece a percorrere la via a doppio senso del perdono ricevuto e del perdono donato, della misericordia divina che si fa amore al prossimo, della carità come «unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato» (Isacco della Stella, Discorso 31). Chiediamo la grazia di rendere sempre più bello il volto della nostra Madre Chiesa rinnovandoci con il perdono e correggendo noi stessi: solo allora potremo correggere gli altri nella carità".

Il Papa infine eleva questa preghiera: “Spirito di Dio, Signore che sei nel mio cuore e nel cuore della Chiesa, tu che porti avanti la Chiesa, plasmandola nella diversità, vieni. Per vivere abbiamo bisogno di Te come dell’acqua: scendi ancora su di noi e insegnaci l’unità, rinnova i nostri cuori e insegnaci ad amare come Tu ci ami, a perdonare come Tu ci perdoni. Amen”.

Al termine della Messa il Papa ha ringraziato il coro e l’orchestra dei ragazzi di Carpi, che hanno eseguito alcuni canti insieme alla Cappella Sistina.

Grande gioia in Piazza San Pietro, per i 60 mila fedeli presenti alla la Messa nella Solennità della Pentecoste. Ascoltiamo i loro commenti  raccolti da Marina Tomarro

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Attacchi a Londra. Il Papa: lo Spirito doni pace al mondo

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Al Regina Caeli, dopo la Messa di Pentecoste, Papa Francesco ha chiesto preghiere per le vittime degli attentati terroristici avvenuti ieri a Londra. Ascoltiamo le parole del Pontefice nel servizio di Giancarlo La Vella

“Lo Spirito doni pace al mondo intero; guarisca le piaghe della guerra e del terrorismo, che anche questa notte, a Londra, ha colpito civili innocenti: preghiamo per le vittime e i familiari”.

All’indomani dei nuovi atti terroristici, che hanno colpito il Regno Unito, il Papa esprime la sua partecipazione e la speranza in un mondo di pace. E anche la comunità internazionale all’unanimità ha espresso condanna per questi incomprensibili atti di violenza. Due gli attacchi di ieri sera nella capitale britannica: sul London Bridge un pullmino si è lanciato contro i pedoni. Dal mezzo sono usciti tre aggressori che hanno accoltellato i passanti. Lo stesso commando ha poi messo a segno un’altra azione nella zona di Borough Market. I tre terroristi, che indossavano finte cinture esplosive, sono stati poi uccisi dalle forze dell'ordine.

Intanto Scotland Yard ha fornito un nuovo bilancio delle vittime: 7 i morti e 48 feriti. Sul significato di questo nuovo raid terroristico, abbiamo raccolto il parere di Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Cesi):

R. – Ci troviamo di fronte oramai da molti anni ad una minaccia costante, frutto di  lunghissime disattenzioni da parte del mondo occidentale verso alcune aree del mondo, ed è una minaccia molto europea: quasi tutti i jihadisti che hanno insanguinato l’Europa in questi ultimi anni sono cittadini europei.

D. – Su questo aspetto: siamo soliti legare questi attentati in Europa al sedicente Stato islamico, come se ci fosse una precisa regia al di là del Mediterraneo; invece, chiaramente, bisogna prendere delle contromisure guardando all’interno dei nostri Paesi?

R. – Che esista un mandato da parte di gruppi jihadisti, non soltanto nello Stato islamico, affinché chi si sente parte di quel mondo agisca come può, dove può e con i mezzi che ha a disposizione, questo è oggettivamente un dato di fatto. Però dobbiamo rimarcare – ed è questo il problema importante – che continuiamo a discutere di polizia europea, servizi segreti europei, maggiore integrazione, quando in realtà l’Europa perde i pezzi, quando l’Europa alza dei muri e non esiste una politica estera comune . Basti vedere le politiche diverse che fanno, ad esempio, Gran Bretagna e Francia rispetto all’Italia nel caso della Libia … Finché noi continueremo a giocare con i nostri destini, pensando di vivere nel mondo degli antichi villaggi rurali, senza renderci conto che viviamo ormai in un mondo integrato, saremo sempre vulnerabili.

E, a pochi giorni dalle elezioni dell’8 giugno prossimo, conservatori e laburisti hanno interrotto la campagna elettorale, ma nel Paese rimane ferma la volontà di dire no al terrorismo. A Manchester, dove il 22 maggio scorso un altro attentato suicida ha causato 24 morti durante uno spettacolo musicale, è stato confermato il concerto di questa sera in memoria delle vittime.

E anche a Torino ieri si è rischiata la tragedia a causa della psicosi terrorismo. Momenti di paura a Piazza San Carlo. Almeno 30 mila persone stavano assistendo sui maxischermi alla finale di Champions League, Juventus-Real Madrid, quando forse lo scoppio di un petardo ha fatto pensare a un attentato. Circa mille persone sono rimaste ferite nella calca in fuga. Almeno sette feriti sono gravissimi.

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Papa alla Veglia di Pentecoste: la pace è possibile nel nome di Gesù

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“Oggi è più urgente che mai l’unità dei cristiani, uniti per opera dello Spirito Santo, nella preghiera e nell’azione per i più deboli”. Così Papa Francesco nella sua meditazione alla Veglia di preghiera di Pentecoste, ieri pomeriggio al Circo Massimo. Circa 50mila i presenti. L’occasione è il “Giubileo d’Oro” del Rinnovamento Carismatico cattolico, a 50 anni dalla sua nascita. Vi hanno preso parte carismatici provenienti da tutto il mondo e, per esplicita volontà del Papa, anche esponenti del mondo evangelico e pentecostale. Al termine della Veglia, la Preghiera di perdono per i peccati di divisione e, poi, quella per il Battesimo nello Spirito Santo. Il servizio di Debora Donnini

Jesus is Lord, “Gesù è il Signore”: è la scritta che campeggia sul palco allestito al Circo Massimo che si è trasformato in un Cenacolo a cielo aperto. Una distesa di preghiera e gioia espressa da migliaia di persone provenienti da diverse parti del mondo. Una Veglia dal forte sapore ecumenico, preceduta da canti e toccanti testimonianze in diverse lingue, nel segno della condivisione. Dopo l’arrivo del Papa, salgono con lui sul palco esponenti di altre Chiese cristiane.

Nella sua meditazione Papa Francesco ricorda la Pentecoste. L’unità è per la missione, per proclamare che Gesù è il Signore, sottolinea il Papa, per annunciare la Buona Novella a tutti i popoli, per dimostrare che la pace è possibile, anche se non è facile dimostrarlo al mondo di oggi, ma in nome di Gesù si può fare. Abbiamo differenze, prosegue, ma desideriamo essere “una diversità riconciliata”. Quindi si sofferma sull’ecumenismo del sangue:

“Oggi abbiamo scelto di riunirci qui, in questo luogo – lo ha detto il pastore Traettino – perché qui, durante le persecuzioni vennero martirizzati dei cristiani, per il divertimento di quelli che stavano a guardare. Oggi ci sono più martiri di ieri! Oggi ci sono più martiri. Cristiani. Quelli che uccidono i cristiani, prima di ucciderli non domandano loro: ‘Ma tu sei ortodosso? Tu sei cattolico? Tu sei evangelico? Tu sei luterano? Tu sei calvinista?’. No! ‘Tu sei cristiano?’, sgozzato, subito. Oggi ci sono più martiri dei primi tempi”.

Amarci e camminare insieme sono i binari indicati da Francesco. Senza cammino, infatti, non ci metteremo mai d’accordo, sottolinea. Poi il pensiero va al Rinnovamento Carismatico Cattolico, invitando anche a leggere le opere del cardinale Suenens:

“50 anni di Rinnovamento Carismatico Cattolico. Una corrente di grazia dello Spirito! E perché corrente di grazia? Perché non ha né fondatore, né statuti, né organi di governo. Chiaramente in questa corrente sono nate molteplici espressioni che, certo, sono opere umane ispirate dallo Spirito, con vari carismi, e tutte al servizio della Chiesa. Ma alla corrente non si possono porre dighe, né si può rinchiudere lo Spirito Santo in una gabbia!”.

Lo Spirito Santo è Colui che fa la Chiesa, dice Papa Francesco: la sposa dell’Apocalisse, un’unica sposa, “una sposa ha il Signore”. Quindi ricorda l’importanza della lode. “La Chiesa conta su di voi” dice ringraziando il Rinnovamento Carismatico cattolico e lasciandogli un mandato:

“Condividere con tutti nella Chiesa il Battesimo nello Spirito Santo, lodare il Signore senza sosta, camminare insieme con i cristiani di diverse Chiese e comunità cristiane nella preghiera e nell’azione per i più bisognosi. Servire i più poveri e gli infermi, questo si attendono la Chiesa e il Papa da voi, Rinnovamento Carismatico Cattolico, ma da voi tutti: tutti, tutti che siete entrati in questa corrente di grazia! Grazie”.

Il Signore ci chiama ad attuare una conversione “da noi stessi a Dio, dalla piccola unità che è la nostra parrocchia, il nostro movimento, la nostra stessa Chiesa, alla grande unità che è quella dell’intero corpo di Cristo, anzi dell’intera umanità”, ha sottolineato prima, nella sua meditazione, padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, evidenziando che questo “è il passo ardito che Papa Francesco sta spingendo noi cattolici a fare e che i rappresentanti di altre Chiese qui convenuti mostrano di volere condividere”. In particolare nel campo ecumenico bisogna imboccare la via della carità:

“La cosa straordinaria, circa questa via ecumenica basata sull'amore, e che essa è possibile subito, è tutta aperta davanti a noi. Non possiamo ‘bruciare le tappe’ circa la dottrina, perché le differenze ci sono e vanno risolte con pazienza, nelle sedi appropriate. Possiamo però bruciare le tappe nella carità, ed essere uniti, fin d'ora”.

Dio ha desiderato di estendere alla sua creatura il suo movimento d’amore interno, la comunione, ha detto poi dal palco il pastore Giovanni Traettino della Chiesa pentecostale della Riconciliazione a Caserta e amico del Papa fin dai tempi di Buenos Aires.

La Veglia è stata preceduta dai saluti di apertura di Michelle Moran e Gilberto Barbosa, presidenti rispettivamente dell’ICCRS (International Catholic Charismatic Renewal Services) e dalla Catholic Fraternity, che hanno organizzato l’incontro. Sotto il palco, un gruppo di poveri accompagnati dall’Elemosiniere del Papa.

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Il Papa: la Chiesa è missionaria, il mondo ha bisogno del Vangelo

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“Il mondo ha bisogno del Vangelo di Gesù”. E’ quanto afferma il Papa nel Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale che sarà celebrata il prossimo 22 ottobre. Francesco, nel testo pubblicato oggi, ricorda il potere trasformante del Vangelo ed esorta a far crescere “un cuore missionario”. "Lo Spirito Santo - è stata la sua preghiera al Regina Caeli - sostenga la missione della Chiesa nel mondo intero e dia forza a tutti i missionari e le missionarie del Vangelo". Ce ne parla Benedetta Capelli

Una Giornata per riflettere sulla missione al cuore della fede cristiana. E’ l’invito del Papa nel messaggio per la prossima Giornata Missionaria Mondiale, in calendario il 22 ottobre, perché – scrive Francesco – “la Chiesa è missionaria per natura” e "se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre". E’ necessario però chiedersi, in “un mondo confuso da tante illusioni, ferito da grandi frustrazioni e lacerato da numerose guerre fratricide che ingiustamente colpiscono specialmente gli innocenti”, qual è il fondamento della missione.

La missione e il potere trasformante del Vangelo
Il Pontefice ricorda che il Vangelo è la Buona notizia che porta ad una “gioia contagiosa”, “una vita nuova”  in Cristo che è via, verità e vita. Nella via che seguiamo con fiducia e coraggio sperimentiamo la verità - sottolinea il Papa - e riceviamo la sua vita che “ci rende liberi da ogni forma di egoismo ed è fonte di creatività nell’amore”. Così l’annuncio diventa “parola viva” in Gesù che si fa carne in ogni situazione umana.

La missione e il mondo
La Chiesa è Gesù che continua ad evangelizzare e agire, è il kairos “il tempo propizio della salvezza nella storia”. La missione della Chiesa quindi non è la diffusione di “una ideologia religiosa e nemmeno la proposta di un’etica sublime”, è l’incontro con una Persona che “diventa sempre nuovamente nostro contemporaneo”, l’incontro con la forza trasformante dello Spirito che “feconda l’umano e il creato come fa la pioggia con la terra”. Il Vangelo con il Battesimo è “fonte di vita nuova”, “mediante la Cresima, diventa unzione fortificante” e mediante l’Eucaristia “cibo dell’uomo nuovo, medicina di immortalità”. “Il mondo - sottolinea il Pontefice - ha essenzialmente bisogno del Vangelo di Gesù Cristo” che, “attraverso la Chiesa, continua la sua missione di Buon Samaritano, curando le ferite sanguinanti dell’umanità, e di Buon Pastore, cercando senza sosta chi si è smarrito per sentieri contorti e senza meta”. Il Papa cita diversi esempi e testimonianze come una celebrazione di “grande consolazione” nel Nord Uganda, sconvolto dai conflitti, quando un missionario fece ripetere il grido di Gesù sulla Croce. “Il Vangelo - sottolinea Francesco - aiuta a superare le chiusure, i conflitti, il razzismo, il tribalismo, promuovendo dovunque e tra tutti la riconciliazione, la fraternità e la condivisione”.

La missione, spiritualità di continuo esodo
La Chiesa è chiamata ad uscire dai suoi recinti e questo “stimola un atteggiamento di continuo pellegrinaggio attraverso i vari deserti della vita, attraverso le varie esperienze di fame e sete di verità e di giustizia”, con il cuore proteso verso il cielo. E’ questa la missione di una Chiesa non autoreferenziale ma della Chiesa di Cristo, “suo corpo crocifisso e glorioso”.

I giovani, speranza della missione
Papa Francesco sottolinea la bellezza dei giovani “viandanti di fede”, “felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra”. I giovani sono la speranza della missione e il prossimo Sinodo del 2018 sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” è un’occasione “per coinvolgere i giovani nella comune responsabilità missionaria che ha bisogno della loro ricca immaginazione e creatività”.

Il servizio delle Pontificie Opere Missionarie
Alle Pontificie Opere Missionarie, il Papa riconosce il contributo prezioso nel suscitare “in ogni comunità cristiana il desiderio di uscire dai propri confini e dalle proprie sicurezze e prendere il largo per annunciare il Vangelo a tutti”, per far crescere “un cuore missionario” “con la preghiera e  con la testimonianza di vita e con la comunione dei beni per rispondere alle gravi e vaste necessità dell’evangelizzazione”. Infine l’invito ad ispirarsi a Maria, “Madre dell’evangelizzazione” perché “ci aiuti a dire il nostro sì nell’urgenza di far risuonare la Buona Notizia di Gesù nel nostro tempo”, perché con Lei “possiamo acquistare la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della salvezza”.

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Francesco riceve segretario del China Culture Industrial Investment Fund

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Nell’ambito del dialogo tra i Musei Vaticani e il China Culture Industrial Investment Fund, aperto con l’intento di creare forme di collaborazione culturale, nella mattinata del 31 maggio scorso Papa Francesco ha ricevuto Zhu Jiancheng, Segretario Generale del China Culture Industrial Investment Fund, e i rappresentanti dei Musei Vaticani.

Le due Istituzioni condivideranno le proprie competenze in materia di studio, ricerca e restauro, per valorizzare la Collezione Cinese dei Musei Vaticani. Per l’occasione Zhu Jiancheng ha donato due quadri del maestro Zhang Yan ai Musei Vaticani. Si tratta di due opere realizzate con pittura ad olio: la prima  risale al 1993 e si intitola “Iron Staff Lama”; la seconda, del 2013, si intitola  “The Cradling Arm”.

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Giovagnoli: visita Papa a Milani e Mazzolari, segno per la Chiesa

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Cresce l’attesa per la visita in forma privata che Papa Francesco compirà il 20 giugno alle tombe di Don Milani e Don Mazzolari. Due figure “scomode”, due pastori con l’odore delle pecore, che Papa Francesco considera vicini alla sua visione di una Chiesa protesa verso gli "ultimi", compagna di cammino di tutti, soprattutto dei “lontani”. Sul significato di questa visita, in particolare per la Chiesa italiana, Alessandro Gisotti ha chiesto un commento al prof. Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea alla “Cattolica” di Milano: 

R. – Indubbiamente, due sacerdoti scomodi - e italiani! - cioè, profondamente significativi per la storia recente della Chiesa in Italia e molto discussi, perché certamente hanno indicato vie che non erano quelle seguite dalla maggior parte del cattolicesimo italiano ai loro tempi. Sia don Milani, che pur a suo modo obbediente, è stata però una figura che ha profondamente messo in discussione le modalità dell’azione pastorale della Chiesa dei suoi tempi, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i poveri. Tema, questo dei poveri, che lo unisce anche a don Mazzolari, anch’egli “obbedientissimo in Cristo”, come si definiva, che nella piccola realtà di Bozzolo è stato anche capace di esprimere una visione di grande respiro per esempio anche sul tema della pace nel mondo.

D. – Anche per chi ha una conoscenza superficiale di queste due figure, ci si accorge subito che c’è una consonanza con l’azione pastorale di Francesco oggi come di Bergoglio in tanti anni a Buenos Aires …

R. – Sì, certamente c’è una profonda consonanza, tra l’approccio di Papa Bergoglio, quella conversione pastorale di cui Papa Francesco ha parlato tante volte, e le scelte compiute – sia pure molto diverse, per altro, tra di loro – da don Milani e don Mazzolari. Andando a visitare i luoghi dove è conservata la memoria di queste due figure sacerdotali, certamente Papa Francesco sottolinea questa consonanza e dunque in qualche modo, anche se privata, questa visita è un messaggio: è un messaggio per la Chiesa italiana. E’ un messaggio di quella scelta per i poveri che è così fondamentale per Papa Francesco, ma forse direi di più: è un messaggio nel senso della grande transizione che la Chiesa tutta ha incominciato, già prima del Concilio, e che poi dopo il Vaticano II è diventata in effetti la strada, sia pure faticosamente, che tutta la Chiesa ha assunto come propria. E direi che il Pontificato di Papa Francesco, appunto, ha questa fortissima impronta conciliare che egli oggi trasmette anche attraverso queste visite.

D. – Una visita, questa a Bozzolo e a Barbiana, che avviene peraltro a poche settimane dalla nomina del cardinale Bassetti a presidente della Cei: il cardinale Bassetti sicuramente si può definire un “pastore con l’odore delle pecore” … Anche questa sottolineatura di questa dimensione fortemente pastorale, in mezzo alla gente, che sicuramente era propria di don Milani e don Mazzolari …

R. – Il cardinal Bassetti è figura che Francesco ha individuato fin dai primi tempi dopo la sua elezione come un esempio, appunto, di figura pastorale nella prospettiva da lui indicata. Tra l’altro, il cardinale Bassetti ha una forte formazione fiorentina: qui ha avuto le sue origini ma soprattutto qui ha avuto la sua formazione, in quell’atmosfera così particolare della Firenze degli anni Cinquanta, degli anni Sessanta in cui la figura di don Milani – insieme ad altre importanti di quel mondo, naturalmente, in particolare quella di Divo Barsotti, è stata sicuramente una figura che ha fatto riflettere il giovane don Bassetti il quale a sua volta guardava pure a don Mazzolari come modello da seguire. Dunque, in qualche modo c’è una saldatura anche con colui che oggi è alla guida della Cei e che immaginiamo darà appunto questo tipo di impronta alla Chiesa italiana.

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Oggi in Primo Piano



Furto della reliquia di Don Bosco: la Chiesa torinese in preghiera

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Non si attenua lo sconcerto e la preoccupazione per il furto di un'importante reliquia di San Giovanni Bosco, avvenuto venerdì sera nella Basilica di Colle Don Bosco, a Castelnuovo nell'astigiano. Gli inquirenti lavorano nel massimo riserbo e non si esclude nessuna pista, mentre nelle celebrazioni odierne per la Solennità di Pentecoste, tutti i sacerdoti della Diocesi di Torino ricordano nella preghiera la comunità salesiana. Il servizio di Marco Guerra

Tutta la Chiesa piemontese oggi si è stretta con la preghiera attorno alla comunità salesiana di Castelnuovo. L’invito è arrivato dall’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che ieri ha esortato quanti hanno rubato la reliquia “a restituirla subito, senza condizioni, perché si possa chiudere questa pagina dolorosa e continuare degnamente a poter onorare la memoria di don Bosco nel suo luogo natale”. Il cervello di San Giovanni Bosco è stato trafugato la sera di venerdì dal retro della parete absidale della Basilica Inferiore di Castelnuovo, in frazione Morialdo, dove Giovanni Bosco nacque nel 1815. Sull'importanza di questa reliquia e di questo luogo, meta di continui pellegrinaggi, sentiamo il responsabile della comunicazione dei salesiani del Piemonte e della Valle D'Aosta, don Moreno Filipetto:

R. – Di fatti, è importante tutto il sito, tutto il plesso del Colle don Bosco. Il Colle don Bosco è la casa di don Bosco: lo stesso Papa Giovanni Paolo II ci aveva invitato a far diventare questi luoghi un po’ la Assisi salesiana, l’Assisi dei giovani. Qua don Bosco è nato, qua don Bosco è vissuto, qua don Bosco ha fatto il sogno che ha indirizzato la sua vita, il sogno dei nove anni in cui con la mansuetudine e con una maestra, che è Maria, poter educare i giovani e trasformarli in agnellini che possono camminare verso il bene, correre verso il bene, verso la felicità, verso le beatitudini che sono poi il Paradiso, cristianamente. E questo luogo diventa così un luogo fondamentale: ci portava i giovani, qui, nelle passeggiate autunnali e ancora adesso è pieno di pellegrini che vengono, affascinati da quel Santo – il Santo dei giovani – che ancora oggi tocca i cuori e che li trasforma per farli diventare collaboratori della sua missione. Questo è quello che si vede tutti i giorni al Colle don Bosco.

Intanto, i Carabinieri e la Procura di Asti sono al lavoro. All'esterno della basilica ci sono telecamere e dall'esame dei filmati si attendono indicazioni utili. Gli specialisti hanno gia' fatto tutti i rilevamenti del caso e  per ora nessuna pista è esclusa, dall’estorsione in piena regola all’azione di uno squilibrato. E anche oggi i pellegrini sono tornati ad affollare la Basilica eretta nel luogo dove il fondatore dei Salesiani nacque. Ascoltiamo ancora don Filipetto: 

Una considerazione, che credo vada fatta e sia doverosa e che il Rettore della Basilica ci ricorda, è che si può portare via una reliquia di don Bosco, ma dal Colle don Bosco, come da tutto il mondo, non si può portare via don Bosco. Non lo si può portare via alla famiglia salesiana, non lo si può portare via a quei fedeli che credono, come don Bosco, che l’educazione dei giovani sia la strada importante che la Chiesa deve compiere.

D. – La fede si alimenta anche con segni tangibili: d’altra parte Dio si è fatto carne. Le reliquie di don Bosco cosa rappresentano per la comunità salesiana?

R. – Rappresentano il segno della sua presenza, un segno che è certificato da una cosa: il fatto che don Bosco è santo, ossia si trova nella comunione dei Santo, insomma è vivo. La sua vita ha avuto successo: è una vita in cui il cronos, il tempo che si vive è diventato kairos, è diventato Paradiso, è diventato una vita per sé. Questo segno della presenza lo si può realizzare grazie ai luoghi in cui don Bosco è vissuto, lo si può realizzare grazie alle reliquie che portano il suo nome e che ci ricordano della sua presenza. Ma soprattutto credo che lo si realizzi con la presenza di tanti salesiani e di tanti amici di don Bosco, che ancora oggi continuano a fare una cosa: a essere don Bosco, vivo, oggi per gli altri.

D. – Don Bosco è vivo, appunto, e forse questa azione così inspiegabile, però ha amplificato il grande amore che c’è per il Santo …

R. – Questo di sicuro. Ma è un amore che non è mai sopito. L’abbiamo respirato ancora pochi anni fa con almeno due eventi: la peregrinazione dell’urna di don Bosco in tutto il mondo e poi con il bicententenario, che si è concluso il 15 agosto 2015. Quindi, un compleanno: 200 anni di don Bosco, ma non li dimostra questi 200 anni; è sempre una figura molto fresca. Lo testimonia una cosa: che in 132 Paesi nel mondo c’è qualcuno che prova a interpretare e a vivere il suo carisma e a renderlo attuale oggi.

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Oms vara piano globale per le demenze: un nuovo malato ogni 3 secondi

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Un Piano globale di azione per fronteggiare la demenza, che colpisce una persona ogni 3 secondi. Ad approvarlo è stata l’Assemblea mondiale della Sanità, riunita in questi giorni a Ginevra, invitando i governi ad agire subito per sviluppare cure, finanziare ricerche e sostenere i familiari delle persone colpite da questa malattia, da ritenere una priorità nella salute pubblica. Ma cosa s’intende per demenza? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Mario Possenti, segretario generale della Federazione italiana Alzheimer, che ha partecipato ai lavori per l’approvazione del testo: 

R. – La demenza si manifesta con una serie di sintomi, collegati a varie malattie. L’alzheimer rappresenta circa il 60 per cento di tutte le demenze, che possono avere moltissime cause. Si calcola che in tutto il mondo ci siano circa 47milioni di persone con una demenza. In Italia le ultime stime parlano di un milione 200 mila persone.

D. - Ad oggi solo 29 su 194 Paesi membri dell’Oms hanno un Piano nazionale di azione sulla demenza, che è stata dunque sottovalutata fino ad oggi …

R. - Assolutamente. 29 nazioni hanno iniziato il percorso per avere il Piano nazionale demenza e l’Italia è una di queste. Tuttavia nel nostro Paese il Piano non è finanziato, quindi per ora si tratta di un bellissimo pezzo di carta.

D. - Il Piano dell’Oms sottolinea che la demenza non è l’inevitabile conseguenza dell’invecchiamento. Forse è stata proprio questa convinzione a ritardare una presa d’atto responsabile da parte dei Paesi?

R. - Assolutamente. La comune concezione che una persona anziana ad un certo punto della propria vita “possa perdere qualche colpo”, dimenticarsi delle cose, non è per forza segno dell’invecchiamento, ma si tratta di una malattia fisica. Le cellule del cervello muoiono; si tratta veramente di una patologia, che questo Piano sottolinea e per questo pone in atto alcune strategia per affrontarla.

D. - Il Piano raccomanda anche di sviluppare la ricerca su questa malattia …

R. - È vero. Se noi pensiamo al quantitativo di denaro impiegato per la ricerca sul cancro e sulla demenza, vediamo che ci sono delle differenze enormi. Tuttavia i numeri della demenza stanno davvero esplodendo. Si parla veramente di un’emergenza. Quindi è necessario un investimento anche sulla ricerca.

D. - Quindi la malattia è in aumento non solo perché cresce l’età media della popolazione mondiale …

R. - Ovviamente l’età media della popolazione è sicuramente un fattore di rischio.

D. - C’è un dato, che troviamo nella nota diffusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dove si dice che nel 2018 la demenza diventerà una malattia da mille miliardi di dollari. Che cosa vuol dire?

R. - Questa stima si riferisce alla spesa pubblica e privata necessaria per affrontare questo tipo di patologia; dalla spesa che hanno le singole famiglie per la casa di riposo, a quelle per le medicine, alle spese dello Stato che si occupa di passare i medicinali, quei pochi che ci sono per la demenza. Quindi sono costi davvero insostenibili. Se non si riuscirà a trovare un farmaco o qualcosa di simile che possa rendere la demenza una malattia in qualche modo curabile, ci saranno davvero dei grandi problemi economici per tutti i sistemi sanitari nazionali.

D. - La demenza pone problemi enormi, materiali  ma anche psicologici, a tutti i familiari della persona che si ammala …

R. - Questo Piano prevede appunto che ci sia una maggiore consapevolezza nel combattere lo stigma che questa malattia comporta e soprattutto un supporto alle persone con demenza ma anche ai loro familiari. Quindi è importante davvero creare una rete di supporto a queste persone. La Federazione Alzheimer Italia si occupa proprio di creare le ‘comunità amiche’ delle persone con demenza. Queste comunità possono essere un villaggio, un paese, un quartiere; si occupano - appunto - di essere formate a supportare le persone con demenza e i loro familiari. È davvero qualcosa di importante, perché la comunità è ancora un valore presente in Italia ed è un valore che va sfruttato a sostegno di queste persone.

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Riconoscimento al Pontificio Collegio Portoghese: nascose ebrei e antifascisti

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Nel suo libro “La lista di padre Carreira”, titolo che riecheggia la vicenda della Schindler’s list, il giornalista portoghese Antonio Marujo ha ricostruito la storia degli ebrei e oppositori del nazifascismo nascosti nel Pontificio Collegio Portoghese di Roma, fra il ’43 e il ’44, grazie all’opera dell’allora rettore, mons. Joaquim Carreira. Sulla base di questa ricerca il Collegio ha ricevuto nei giorni scorsi il titolo di “Casa della vita” dalla Fondazione Raoul Wallenberg. Il servizio di Fabio Colagrande

L’idea nasce da una conversazione fra l’autore del libro e suor Grazia Loparco, religiosa salesiana che ha approfondito l’opera di ospitalità delle istituzioni cattoliche nei confronti degli ebrei durante la seconda guerra mondale. Antonio Marujo decide di indagare il ruolo del Pontificio Collegio portoghese in quei drammatici anni:

“Ho visto questa notizia e ho pensato che forse anche nel Collegio Portoghese ci fosse stata qualche storia simile. Ho chiesto a un vescovo, mons. Carlos Azevedo, che adesso lavora qui a Roma al Pontificio Consiglio della Cultura, e lui mi ha detto: ‘Sì… c’è qualcosa … ne ho già sentito parlare …’, e allora ho deciso di fare una ricerca documentale qui, al Pontificio Collegio”.

Ed è proprio un rapporto di mons. Carreira, rinvenuto negli archivi del collegio, relativo al periodo fra l’ottobre 1943 e il giugno 1944, a permettere ad Antonio Marujo di ricostruire la vicenda di circa quaranta persone salvate dal prete lusitano:

“Il primo documento che ho trovato nell’archivio era il rapporto del Collegio che va da settembre ’43 fino a giugno ’44, che coincide con il periodo dell’occupazione nazista di Roma. In questo rapporto, che padre Carreira scrisse nel luglio del 1944, il rettore aveva registrato i nomi di 39 persone che si erano rifugiate nel Collegio. Disse di averlo fatto avendo coscienza che fosse un rischio anche per la sua vita e per la vita degli studenti, ma che era un imperativo del Vangelo”.

«Ho dato ospitalità – scrive padre Carreira nel documento – a persone perseguitate sulla base di leggi ingiuste e inumane». Come ricostruito da Marujo, nell’edificio di via Banco di Santo Spirito tra l’ottobre ‘43 e la liberazione della Capitale, vissero almeno 40 rifugiati, molti dei quali portavano nomi illustri:

“C’erano due medici molto importanti, molto noti a Roma, in quel periodo; uno, ad esempio, era il medico di Mussolini, di Toscanini e del leader del partito comunista. L’altro aveva una clinica dove aveva già dato rifugio a molte persone perseguitate e anche lui è stato proclamato ‘Giusto tra le nazioni’, come padre Carreira”.

Nel 2015 mons. Carreira riceve a titolo postumo la medaglia di ‘Giusto tra le nazioni’, titolo già assegnatogli dallo Yad Vashem nel 2010. Una testimonianza esemplare, la sua, di quello spirito di solidarietà e fraternità che resta attualissimo nell’Europa di oggi:

“E’ una storia veramente ricca dal punto di vista umano, di preoccupazione evangelica, di accoglienza dell’altro che bisognava fare, senza pensare a chi fossero i perseguitati: ebrei, comunisti, socialisti, fascisti … a padre Carreira non importava; quello che importava era: ‘Se è in pericolo, lo accogliamo e gli diamo rifugio’. Un po’ come Papa Francesco chiede nella questione dei rifugiati che oggi arrivano in Europa”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 155

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