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Sommario del 06/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: ipocrisia uccide le comunità, linguaggio cristiano sia veritiero

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“L’ipocrisia non è il linguaggio di Gesù”, né deve esserlo dei cristiani giacché “l’ipocrita è capace di uccidere una comunità”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ribadito che, seguendo l’esempio di Gesù, il linguaggio dei cristiani deve essere veritiero ed ha messo in guardia dalle tentazioni dell’ipocrisia e dell’adulazione. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Ipocriti”. Papa Francesco ha messo l’accento nell’omelia a Santa Marta su questa parola che Gesù usa tante volte per qualificare i dottori della legge. Sono ipocriti, ha osservato, perché “fanno vedere una cosa ma ne pensano un’altra, come la stessa etimologia della parola dice”.

L’ipocrisia non è il linguaggio di Gesù, non è il linguaggio dei cristiani
Questi dottori della legge “parlano, giudicano”, ma pensano un’altra cosa. Questa è l’ipocrisia.

“E l’ipocrisia non è il linguaggio di Gesù. L’ipocrisia non è il linguaggio dei cristiani. Un cristiano non può essere ipocrita e un ipocrita non è cristiano. Questo è così chiaro. Questo è l’aggettivo che Gesù usa di più con questa gente: ipocrita. Vediamo come procedono questi. L’ipocrita sempre è un adulatore o in tono maggiore o in tono minore ma è un adulatore”.

Costoro, infatti, cercano di adulare Gesù. “Gli ipocriti – è stato il suo commento – sempre incominciano con l’adulazione”. L’adulazione, ha proseguito Francesco, è anche “non dire una verità, è esagerare, è far crescere la vanità”. Ha così rammentato il caso di un prete, “conosciuto tanto tempo fa”, che si beveva “tutte le adulazioni che gli facevano, era la sua debolezza”.

Gesù ci fa vedere la realtà che è il contrario dell’ipocrisia e dell’ideologia
L’adulazione, ha detto ancora, incomincia “con cattiva intenzione”. E’ il caso proprio dei dottori della legge, come narra il passo del Vangelo odierno, che mettono alla prova Gesù, cominciando con l’adulazione e ponendo poi una domanda per farlo cadere in fallo: “E’ giusto pagare a Cesare, è giusto?”:

“L’ipocrita ha questa doppia faccia. Ma Gesù conoscendo la loro ipocrisia, dice chiaramente: ‘Perché volete mettermi alla prova, portatemi un denaro, voglio vederlo’. Sempre Gesù agli ipocriti e agli ideologici risponde con la realtà. La realtà è così, tutto l’altro è o ipocrisia o ideologia. Ma questa è la realtà: portatemi un denaro. E fa vedere come è la realtà, risponde con quella saggezza del Signore: ‘Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare - la realtà era che il denaro aveva l’immagine del Cesare - e quello che è di Dio a Dio’”.

Il terzo aspetto, ha soggiunto il Papa, “è che il linguaggio dell’ipocrisia è il linguaggio dell’inganno, è lo stesso linguaggio del serpente a Eva, è lo stesso”. Comincia con l’adulazione per poi distruggere le persone, persino “strappa la personalità e l’anima di una persona. Uccide le comunità”. “Quando ci sono ipocriti in una comunità – ha ammonito – c’è un pericolo grande lì, c’è un pericolo molto brutto”. Il Signore Gesù ci ha detto: “Sia il vostro parlare: sì, sì, no, no. Il superfluo procede dal maligno”.

L’ipocrisia uccide le comunità, fa tanto male alla Chiesa
“Quanto male fa alla Chiesa l’ipocrisia”, ha detto con amarezza il Pontefice. E ha messo in guardia da “quei cristiani che cadono in questo atteggiamento peccaminoso che uccide”:

L’ipocrita è capace di uccidere una comunità. Sta parlando dolcemente, sta giudicando bruttamente una persona. L’ipocrita è un uccisore. Ricordiamo questo: incomincia con l’adulazione, soltanto si risponde con la realtà. Non mi vengano con queste storie, la realtà è questa, come con l’ideologia, questa è la realtà. E alla fine è lo stesso linguaggio del diavolo che semina quella lingua bifida nelle comunità per distruggerle. Chiediamo al Signore che ci custodisca per non cadere in questo vizio dell’ipocrisia, del truccarci l’atteggiamento ma con cattive intenzioni. Che il Signore ci dia questa grazia: ‘Signore, che io mai sia ipocrita, che sappia dire la verità e se non posso dirla, stare zitto, ma mai, mai, un’ipocrisia’”.

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Il Papa incontra i vescovi del Venezuela su situazione Paese

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La situazione del Venezuela sarà al centro dell’incontro tra Papa Francesco e il Consiglio di presidenza della Conferenza episcopale del Venezuela giovedì 8 giugno, in Vaticano. L’udienza, ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana Greg Burke, è stata chiesta dalla medesima Conferenza episcopale. Francesca Sabatinelli

Cessazione della violenza, fine della repressione del popolo nelle manifestazioni, rispetto dei diritti umani, riconciliazione e pace. Sono le richieste dei vescovi venezuelani indicate qualche giorno fa dall’arcivescovo di Caracas, il cardinale Urosa Savino, che aveva anche sollecitato le forze armate e la polizia ad essere fautori e garanti del rispetto della Costituzione, della pace e della convivenza del popolo venezuelano.

Siamo fiduciosi che la Santa Sede voglia una soluzione alla crisi: aveva detto la settimana scorsa il presidente del parlamento venezuelano Borges, incontrando in Vaticano il cardinale segretario di Stato Parolin. Quest’ultimo, lo scorso anno, aveva chiesto al governo di adempiere agli impegni necessari all’avvio del dialogo con l’opposizione: restituzione dei poteri costituzionali al Parlamento, creazione di un canale umanitario per viveri e medicine, liberazione dei prigionieri politici e definizione di un calendario elettorale democratico. Dal primo aprile, da quando cioè sono iniziate le manifestazioni per chiedere l’uscita del presidente Maduro, si sono registrati 65 morti e migliaia di feriti. Oltre tremila gli arresti. La crisi economica e politica ha messo in ginocchio il Paese che manca ormai di tutto, dall’acqua, al cibo, ai medicinali.

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Card. Urosa: no a regime totalitario in Venezuela

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I vescovi del Venezuela incontreranno il Papa giovedì 8 giugno, in un momento di grave crisi umanitaria, economica e politica del Paese degenerata dal 29 marzo scorso quando la Corte suprema ha tentato di privare il Parlamento del potere giudiziario. Ne sono scaturite proteste che hanno già provocato 65 morti, mille feriti, 2mila arresti. La Chiesa venezuelana appoggia le legittime richieste del popolo e si è espressa contro la possibilità di cambiare la Costituzione. Alina Tufani ha intervistato il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas

R. - Noi vogliamo incontrare il Santo Padre che ha mostrato un grande interesse, una grande preoccupazione, un grande amore per il Venezuela in questa situazione difficile, di crisi umanitaria, economica, sociale e politica, come anche il Santo Padre ha detto. E ascoltare pure i suoi consigli per un lavoro ecclesiale molto più efficace in mezzo a questa terribile situazione che stiamo vivendo.

D. – Voi avete parlato di strumentalizzazione delle parole del Santo Padre e anche dei vescovi da parte delle autorità: qual è la situazione veramente in questo momento, in questo rapporto tra Chiesa e Stato?

R. – Il governo vuole presentare il Papa come un amico del governo e invece presentare noi come avversari del governo. Al contrario, noi stiamo nel popolo venezuelano che sta soffrendo molto, siamo molto uniti al Santo Padre e vogliamo respingere questa manipolazione che il governo ha voluto fare.

D. – Che succede in Venezuela, come uscirne?

R. – Il governo ha perso l’appoggio popolare e il governo deve desistere da questa volontà di impiantare un sistema totalitario, comunista, materialista e militarista per il Venezuela. Questo non lo vuole il popolo venezuelano: è un sistema contrario agli interessi di tutti, ma specialmente dei più poveri.

D. – La proposta che si fa è proprio quella di arrivare a una negoziazione che porti a delle elezioni, a ricevere aiuti umanitari, alla liberazione dei prigionieri politici. È questo quello che chiede l’opposizione e questo è anche quello che chiede la Chiesa…

R. – Queste proposte sono state fatte dal cardinale segretario di Stato Parolin in una sua lettera del 2 dicembre 2016, e sono le vie di uscita da questa situazione politica. Il governo deve capire che queste sono le cose che si devono fare per risolvere la crisi politica che abbiamo in questo momento.

D. – La comunità internazionale che potrebbe fare? Quale potrebbe essere l’appoggio della comunità internazionale, aldilà di quello che potrebbe fare la Santa Sede?

R. – La comunità internazionale deve capire, vedere la situazione: è una situazione che ogni giorno diventa più critica, più violenta, dove la gente muore di fame. E deve far capire al governo che deve risolvere questi problemi e che altrimenti il governo deve dimettersi e indire delle elezioni per avere un nuovo presidente.

D. – In quanto agli aiuti umanitari, sui quali la Chiesa ha premuto tanto per farli passare – alimenti, medicine… – pensa che in questo incontro con il Santo Padre si possa arrivare a convincere il governo ad accettarli?

R. – Speriamo bene! Speriamo che il governo capisca che si deve risolvere questo problema. C’è gente che mangia rifiuti nelle strade, gente che muore, bambini denutriti, non ci sono medicine negli ospedali. Tutta questa situazione richiede una risposta immediata e questo è quello che il governo deve capire e che deve fare.

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Francesco contro la leggenda nera su Pio XII: salvò molti ebrei

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Papa Francesco è intervenuto nuovamente contro la “leggenda nera” dei presunti silenzi di Pio XII. Lo ha fatto ieri nell’omelia pronunciata a Casa Santa Marta. Ma già altre volte ha parlato in difesa di Papa Pacelli. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale era unanime la gratitudine delle comunità ebraiche per gli interventi di Pio XII in loro favore durante il nazismo. Cambiò tutto con l’uscita, nel 1963, dell’opera teatrale del drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, intitolata Il Vicario, promossa dalla propaganda sovietica per denigrare la figura del Pontefice, scomparso nel 1958, e la Chiesa cattolica in un delicato momento storico. La leggenda nera del silenzio di Papa Pacelli è nata in quell’anno.

Secondo le ultime ricostruzioni si stima che quasi due terzi dei diecimila ebrei presenti a Roma durante l’occupazione nazista della città siano stati aiutati direttamente o indirettamente da Papa Pio XII. In oltre 4mila vennero nascosti nei conventi della capitale, 160 in Vaticano e nelle sedi extraterritoriali. Nel pomeriggio del 16 ottobre 1943, giorno del tragico rastrellamento al Portico d’Ottavia in cui furono deportate mille e settecento persone, 245 ebrei furono liberati dopo un decisivo intervento di Papa Pacelli. Durante l’omelia di ieri a Santa Marta, Francesco ha ricordato che quella fu un’opera di misericordia che coinvolse tutta la Chiesa e che questo significò rischiare di persona. Riascoltiamo le sue parole:

“Ma tante volte si rischia. Pensiamo qui, a Roma. In piena guerra: quanti hanno rischiato, incominciando da Pio XII, per nascondere gli ebrei, perché non fossero uccisi, perché non fossero deportati! Rischiavano la pelle! Ma era un opera di misericordia salvare la vita di quella gente! Rischiare”.

Nel giugno del 2014, in un’intervista al giornale spagnolo “La Vanguardia”, Francesco si era detto molto rammaricato per la campagna denigratoria contro Pio XII. Queste la sua riflessione:

“Al povero Pio XII è stato buttato addosso di tutto. Ma bisogna ricordare che prima era visto come il grande difensore degli ebrei. Ne nascose molti nei conventi di Roma e di altre città italiane, e anche nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Lì, nella stanza del Papa, sul suo stesso letto, nacquero 42 bambini, figli di ebrei e di altri perseguitati rifugiatisi lì. Non voglio dire che Pio XII non abbia commesso errori – anche io ne commetto molti – ma il suo ruolo va letto nel contesto dell’epoca. Era meglio, per esempio, che non parlasse perché non uccidessero più ebrei o che lo facesse? Voglio anche dire che a volte mi viene un po’ di orticaria esistenziale quando vedo che tutti se la prendono con la Chiesa e con Pio XII e si dimenticano delle grandi potenze. Lo sa che conoscevano perfettamente la rete ferroviaria dei nazisti per portare gli ebrei ai campi di concentramento? Avevano le foto. Ma non bombardarono quei binari. Perché? Sarebbe bene che parlassimo un po’ di tutto”.

Per Papa Eugenio Pacelli è in corso la Causa di Beatificazione, aperta da Paolo VI, mentre Benedetto XVI nel 2009 ne ha riconosciuto l’eroicità delle virtù, proclamandolo quindi Venerabile Servo di Dio.

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Oggi in Primo Piano



Londra: è italo marocchino il terzo killer. Giovedì il voto

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In Gran Bretagna dopo la strage di sabato notte riprende con toni accesi la campagna elettorale a due giorni dal voto, con i laburisti in rimonta che chiedono le dimissioni della premier per motivi di scarsa tutela della sicurezza nazionale. Intanto le indagini fanno chiarezza sull’identità del terzo terrorista entrato in azione nel cuore di Londra e le perquisizioni portano a nuovi arresti tra i fiancheggiatori. Il servizio di Gabriella Ceraso:

La polizia britannica conferma l'identità del terzo killer di Londra. E' il 22enne Youssef Zaghba di origini marocchine ma di nazionalità italiana perché la mamma vive a Bologna dove l’uomo, non conosciuto all'intelligence, era andato spesso. Youssef viveva nell'East London come gli altri due terroristi, Shazad Butt, veterano all’islamismo britannico, e Rachid Redouane, neofita e giovane nordafricano. Nel loro quartiere stamani l’arresto di un fiancheggiatore mentre sono state liberate le persone sospette fermate domenica scorsa. E sul tema delle capacità della polizia impoverita dai tagli ingenti della May quando era ministro dell’Interno, si concentrano le critiche e la campagna elettorale ripresa con toni più che mai accesi. Il voto assume dunque tutt’altra direzione, come sottolinea Lorenzo Colantoni ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali: 

R. – La particolarità è che queste elezioni sono nate come elezioni Brexit e finiranno per essere poco o nulla a proposito della Brexit. Il problema della May è che lei aveva bisogno di una legittimazione consolidata in Parlamento e in generale per poter riprendere tutto quello che i conservatori avevano perso; sono invece arrivati a questo perché i numerosi attentati hanno fatto vedere che sì, l’Unione Europea, la discussione Brexit, è un tema importante ma non è forse centrale. E l’altro punto è che lentamente la discussione è diventata sempre di più su chi fosse più adatto a governare e in questo la May ha perso: si è presentata con un programma che era poco chiaro e in cui questo concetto di leadership forte e stabile veniva concentrato soprattutto sul tema della Brexit. Quando è stato affrontato il tema della sicurezza oppure del sistema sanitario nazionale di cui i conservatori sono stati colpevoli di grandissimi tagli e grandi probelmi al momento, questa specie di castello di carte della Brexit è andato crollando, lasciando spazio a chi invece aveva in un certo senso studiato da leader, come Jeremy Corbyn.

D. – Quindi questa clamorosa rimonta dei laburisti non è legata solo alla questione-tagli alla polizia?

R. – Non solo. Il punto è che nell’elettorato del Regno Unito, al momento, c’è un forte bisogno di una politica differente; di un personaggio che vada contro quello che i tories hanno difeso e portato avanti negli ultimi anni. Ecco, la Brexit ne è un esempio; ci sono tanti elettori britannici che hanno una grande maturità a livello politico ed economico, soprattutto dopo questa presa di coscienza della Brexit. Tutti questi elementi concorrono alla ricerca di una soluzione alternativa che è ancora più sentita nel momento in cui quello che propone la May appare inconsistente.

D. – Di fronte alla paura di questi attacchi, tutti e due hanno reagito dicendo: “Basta. E’ troppo. Bisogna fare di più”. Cosa dobbiamo aspettarci da entrambi, se vincono?

R. – May da tempo propone misure restrittive di controllo, addirittura parlava di controllare i social network: quindi lei punterebbe sul controllo. Jeremy Corbyn punta invece a una posizione sociale, ad aumentare il numero di persone nell’ambito della polizia. Bisogna fare considerazioni diverse: che la mossa della May potrebbe essere inquinata da decisioni personali o legate al proprio partito; dall’altro, però, la grande paura dell’elettorato britannico nei confronti di Corbyn è quella delle spese: in tanti hanno paura di altre tasse … In questo senso, quindi, le elezioni britanniche potrebbero essere influenzate da queste due soluzioni differenti al problema sicurezza che in realtà, poi, avrà il suo impatto anche sulla Brexit stessa, perché tutti quanti sanno che per migliorare le condizioni c’è bisogno di collaborazione, soprattutto e in particolare con gli altri Paesi europei. E questo potrebbe rappresentare un problema nel momento in cui le negoziazioni per la Brexit sono ancora molto calde e un accordo di qualsiasi tipo lontano dall’essere raggiunto.

D. – Quindi l’ago della bilancia in questo 8 giugno – cosa che prima sembrava chiaro – quale sarà ora?

R. – Forse i tre elementi per importanza potrebbero essere: il primo, l’economia e lo stato sociale, il secondo, la sicurezza e poi, il terzo, la Brexit. In generale, quello che determinerà veramente, forse, al momento, è la persona che riuscirà ad offrire sia una leadership convincente ma soprattutto una ricetta politica che soddisfi questa insoddisfazione dilagante, ormai dal ceto più basso a quello più alto del popolo britannico.

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Sanzioni arabe al Qatar: corsa ai generi di prima necessità

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E’ ormai rottura tra Paesi arabi e Qatar, accusato di appoggiare il fondamentalismo islamico con i suoi risvolti terroristici. Sono già scattate sanzioni nei confronti di Doha da parte di Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain e Yemen, mentre Iran, Kuwait e Algeria esortano al dialogo per ricomporre la frattura, che appare sempre più un confronto tra le varie anime musulmane. In Qatar la popolazione civile è in subbuglio. Sono sempre di più coloro che cercano di assicurarsi generi di prima necessità di fronte al blocco dei contatti commerciali. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Camille Eid, esperto del mondo islamico del quotidiano 'Avvenire': 

R. - Il Qatar e l'Arabia Saudita si sono scontrati negli ultimi anni sulla gestione della carta islamista, nel senso che il Qatar aveva appoggiato fin dal 2011 le rivoluzioni della primavera araba e aveva scommesso sulla carta dei Fratelli musulmani, appoggiando questa fazione in Egitto, in Libia, in Siria. Mentre l’Arabia Saudita è più vicina alla corrente salafita e wahabita. Quindi adesso si sono trovati in concorrenza e soprattutto il Qatar ha iniziato a dialogare con l’Iran per motivi economici, strategici. Questo chiaramente ha irritato molto Riyad, che vede l’Iran come il fumo negli occhi.

D. - Quindi all’interno dello storico confronto tra sunniti e sciiti si innestano altri tipi di situazioni?

R. - Sì e questo è un po’ strano, perché il Consiglio di cooperazione del Golfo sembrava più compatto rispetto ad altre realtà regionali nel mondo arabo. Pensiamo al Maghreb, al Levante, ai rapporti tra Egitto e Sudan…

R. - L’isolamento del Qatar potrebbe provocare una destabilizzazione nell’area?

R. - Purtroppo sì. Qualcuno prevede addirittura una specie di invasione del Qatar da parte degli altri Stati del Golfo e quindi, se la crisi dovesse avere risvolti negativi, chiaramente, si potrebbe arrivare anche allo scontro. Oppure, qualcuno potrebbe cercare di sollevare la famiglia Althani, che governa il Qatar, attraverso un colpo di Stato o muovendo delle pedine interne. Questo in caso di un deterioramento della situazione. Il compromesso, che è stato proposto dagli Emirati, potrebbe passare attraverso la televisione satellitare Al Jazeera. Doha potrebbe essere costretta a chiudere questo canale panarabo, che è sempre più la voce del Qatar, e quindi bisognerà vedere se il governo qatariota accetterà un prezzo così alto da pagare o se non troverà un sostegno da fuori.

D. - Guardando alle accuse che vengono fatte al Qatar, è pensabile che uno Stato così piccolo possa da solo sostenere gruppi fondamentalisti come Al Qaeda, sedicente Stato islamico, Fratelli musulmani e altro?

R. - Questa è una cosa senza fondamento. Chiaramente ci saranno dei clan, delle famiglie, dei poteri in Qatar che lo hanno fatto in passato, ma è una cosa che non regge molto. Chiaramente il Qatar continua a sostenere la Fratellanza musulmana, ma, rispetto ai movimenti salafiti e wahabiti, la Fratellanza musulmana appare una fazione molto più moderata, anche se appartiene all’islam politico.

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Yemen. Mons. Hinder: situazione disastrosa nel Paese

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La situazione in alcune parti dello Yemen è “disastrosa”, anche se al momento non è possibile tracciare un quadro completo della realtà perché “è difficile entrare e avere informazioni credibili”, basate sulla realtà e non filtrate dalla propaganda. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), commentando la gravissima emergenza umanitaria in atto nel Paese arabo, sconvolto da quasi 30 mesi di guerra sanguinosa.

Nazione dimenticata, popolazione abbandonata
“È una nazione dimenticata - aggiunge il presule - al cospetto di altri conflitti che sembrano più interessanti” a livello mediatico e che ha bisogno “di maggiore attenzione”. Nessuna delle parti coinvolte nella guerra, prosegue mons. Hinder, può dirsi “innocente”, perché ci sono “violazioni” su entrambi i fronti. E a pagarne le spese è la popolazione civile, spesso dimenticata e abbandonata a se stessa e che deve affrontare “anche l’emergenza colera”.

Due anni di conflitto interno
Dal gennaio 2015 la nazione del Golfo è teatro di un sanguinoso conflitto interno che vede opposte la leadership sunnita dell’ex presidente Abedrabbo Mansour Hadi, sostenuta da Riyadh, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran e agli Hezbollah libanesi. Nel marzo 2015 una coalizione araba a guida saudita ha promosso raid contro i ribelli, finiti nel mirino delle Nazioni Unite per le vittime civili provocate, tra cui anche bambini.

Migliaia di morti e milioni di sfollati
Ad oggi sono morte oltre 8mila persone, più di 44mila i feriti e tre milioni gli sfollati. Quasi 19 milioni (su 24 in totale) le persone bisognose di assistenza umanitaria a vario titolo. Il conflitto ha ridotto sull’orlo della fame quasi sette milioni di persone. Ogni 10 minuti muore un bambino sotto i cinque anni e oltre il 55% delle strutture mediche e sanitarie del Paese sono inutilizzabili.

In atto epidemia di colera
Ad acuire le sofferenze vi è anche l’epidemia di colera in atto da alcune settimane, che ormai si è trasformata in una vera e propria emergenza. Secondo fonti dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) dai primi di aprile si sono registrati quasi 74mila casi sospetti, le vittime sono almeno 605, il 40% delle quali bambini. Se non vi saranno interventi urgenti, avvertono gli esperti, i contagi potrebbero quadruplicare entro il mese prossimo e raggiungere quota 300mila, con la metà dei casi che coinvolgono i bambini e gli ospedali incapaci di rispondere ai bisogni.

Preghiere per l’intera comunità
“Per lo Yemen - afferma mons. Hinder - provo una sofferenza silenziosa, che abbraccia sia i musulmani, che sono il 99% della popolazione, come i cristiani, quasi tutti stranieri”. “Io continuo a pregare per la gente - aggiunge il presule - Preghiere che non sono solo a titolo personale, ma che abbracciano anche l’intera comunità: di recente, durante una visita ad una parrocchia di Abu Dhabi, ho chiesto ai fedeli di pregare per la pace in Yemen, condividendo la mia intenzione”.

L’aiuto silenzioso della Chiesa
Vi sono persone o enti, prosegue il vicario apostolico, che “offrono aiuti finanziari e materiali, ma resta problematica la distribuzione”. “Siamo pronti ad aiutare – aggiunge - ma il clima è difficile e bisogna muoversi con attenzione”. La Chiesa continua “il suo aiuto silenzioso attraverso la preghiera - conclude mons. Hinder - l’importante è non dimenticare, mantenendo viva l’attenzione, e proseguire la nostra missione spirituale di memoria attraverso la preghiera”.

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Bangladesh: cresce la paura tra le minoranze religiose

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“Il sentimento che accomuna la vita delle minoranze religiose in Bangladesh è la paura”: è quanto si legge in una nota della delegazione della Conferenza cristiana dell’Asia. Dal 2014 sono stati assaltati numerosi villaggi abitati dalle minoranze religiose: un fenomeno particolarmente diffuso è il 'land grabbing', l’esproprio di terra e di abitazioni ai danni di famiglie non musulmane. Giorgio Saracino ne ha parlato con padre Bernardo Cervellera, direttore di 'Asia News': 

R. – La situazione religiosa in Bangladesh è che più dell’80% della popolazione è musulmana; poi c’è una minoranza discreta di indù e una piccolissima minoranza di cristiani cattolici (lo 0,4% su 150 milioni). Questa popolazione musulmana è stata spesso tranquillamente in convivenza con le altre religioni, come era un po’ la tradizione all’interno del subcontinente indiano. Ma da diversi anni - tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 - c’è sempre stato un incremento di radicalismo islamico. Questo è dovuto anche al fatto che ci sono stati spesso aiuti alla povertà del Bangladesh dati da Paesi del Golfo - in particolare l’Arabia Saudita - che oltre a dare aiuti per la povertà dà anche aiuti per costruire moschee e scuole coraniche, dove ci mettono predicatori radicali.

D.  - Come si possono tutelare quindi le minoranze religiose?

R. - Le minoranze religiose si possono tutelare se c’è il rispetto della legge, perché di per sé la legge garantisce la libertà religiosa in Bangladesh e garantisce anche il percorso della giustizia. Il problema è che la situazione che c’è in Bangladesh è anche una situazione di corruzione, una situazione di povertà estrema per cui chi è povero e subisce soprusi non è che abbia la possibilità di farsi rivalere e di chiedere giustizia. La corruzione è tale che si può fare tutto quello che si vuole.

D. - Che ruolo che può assumere la politica per attenuare questi conflitti interni?

R. - Io penso che il problema più grosso nel Bangladesh sia quello della povertà. Ci sono adesso tantissime industrie, tantissime compagnie che investono in Bangladesh perché il prezzo della manodopera del Bangladesh è una delle più basse nel mondo. Queste compagnie che vanno ad investire in Bangladesh dovrebbero avere il compito di spingere il governo a una maggiore giustizia e una maggiore equità nel trattare la popolazione e nel trattare le varie minoranze, altrimenti si rischia di distruggere la convivenza e quindi di distruggere anche questa rinascita economica che il Paese sta avendo.

D. - Negli ultimi due anni tra giornalisti, blogger e attivisti per i diritti umani sono stati uccisi perché promotori della libertà di pensiero e di religione. Come si può intervenire a sostegno di queste persone che tentano di cambiare e modificare qualcosa?

R. - Il problema più grosso per cui avvengono tutti questi soprusi, queste violenze, per cui ci si appoggia ai radicali islamici, è anzitutto un problema di povertà e un problema anche di potere politico. Bisogna affrontare questi due elementi: il problema della povertà attraverso degli investimenti che non abbiano come condizione il far maturare le scuole coraniche sullo stile dell’Arabia Saudita e, dall’altra parte, anche denunciare però, se non c’è una forza effettiva nel Paese, diventa molto difficile.

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Vescovi Usa: libertà religiosa è sancita dalla Costituzione

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“Libertà per la missione”: questo il tema scelto per la prossima “Fortnight for Freedom”, la campagna per la libertà religiosa promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb). Giunta alla sua sesta edizione, l’iniziativa ha avuto origine nel 2012 e si svolge ogni anno dal 21 giugno, festa di San Tommaso Moro, patrono dei politici e San John Fisher, fino al 4 luglio, Festa dell’indipendenza.

Chiarire i fraintendimenti
“In questo tempo in cui cresce la polarizzazione culturale – si legge sul sito della Conferenza episcopale degli Usa – possiamo contribuire ad una migliore comprensione della libertà religiosa in modo che rispetti tutte le persone”. Di qui, l’invito dei presuli a tutti i cristiani affinché parlino con “amici e vicini del tema della libertà religiosa e lavorino a chiarire i fraintendimenti al riguardo”.

Pregare, riflettere, agire
“Pregare, riflettere, agire – è l’esortazione della Chiesa Usa – perché tutti siamo chiamati a seguire Cristo come discepoli missionari, cercando la verità, ponendoci al servizio degli altri e vivendo la nostra fede in tutto ciò che facciamo”.

Libertà religiosa sancita dalla Costituzione
Dal 21 giugno al 4 luglio, dunque, le comunità cristiane del Paese sono invitate a “prendersi un momento, ogni giorno, per pregare, riflettere ed agire in favore della libertà religiosa”, principio fondamentale sancito dal Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. (I.P.)

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Ddl fine vita al Senato: infermiera canadese racconta l'eutanasia

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“C’è sempre il rischio di dimenticare una parte della verità”: partendo da questo spunto si è tenuta questa mattina, presso la sede della Stampa estera a Roma, la conferenza sulla legge sul fine vita in discussione al Senato. L’iniziativa organizzata da ProVita Onlus e moderata dal segretario della Stampa estera, Christopher Warde Jones, ha ospitato la drammatica testimonianza di Kristina Hodgetts, infermiera canadese che per circa 20 anni ha applicato le disposizioni dei pazienti, sospendendo idratazione e nutrizione. Il servizio di Marco Guerra

In Senato prosegue la discussione sul Ddl sul fine vita, già approvato alla Camera. I punti più controversi le cosiddette Dat, disposizioni di trattamento anticipato, che prevedono la possibilità sospendere idratazione e alimentazione anche per i pazienti non terminali. Su questo aspetto si è concentrato il confronto di oggi alla sede della Stampa Estera e l’intervento Kristina Hodgetts, infermiera canadese che ha praticato l’etanausia per diversi anni:

"Nella mia esperienza presso il pronto soccorso e l'unità di terapia intensiva, il nostro obiettivo era salvare vite a tutti i costi. Non avevamo tempo di preoccuparci degli ordini di 'Non Rianimare'. I tempi ora sono cambiati. l'obiettivo è ancora di salvare vite, ma il personale medico di emergenza deve prendere in considerazione le direttive anticipate del paziente prima di rianimarlo oppure no. Ci sono molti procedimenti amministrativi".

Drammatico il racconto dei pazienti che ha seguito fino all’ultimo respiro, come quello di un'anziana signora alla quale furono sospese alimentazione e idratazione:

"Ci sono voluti 9 giorni senza acqua e 9 giorni senza cibo per far morire la donna. Non una morte serena. Basta pensare che quando un corpo non ha acqua, tutte le membrane si asciugano: la bocca, il naso e i polmoni. Una terribile agoniaDurante il procedimento di valutazione presso la mia struttura infermieristica, dovevamo esaminare gli ordini di fine vita e io ero in commissione. Alla fine della procedura i risultati plausibili erano essenzialmente due: o non rianimare oppure la morte per disidratazione".

Il punto di vista di Kristina Hodgetts è radicalmente cambiato dopo aver avuto un ictus dal quale si è poi ripresa:

"Passo dopo passo, rischiamo di andare oltre i limiti, facendoci complici di atti che avremmo precedentemente considerato indicibili. Non si può approvare una legge che consenta agli operatori sanitari, con o senza il consenso del fiduciario, di sospendere l'idratazione di un paziente non terminale".

In vista dell’arrivo in aula, Alessandro Fiore di ProVita ha poi elencato le criticità della legge, dall’mancato diritto all’obiezione di coscienza per la struttura sanitaria alla scrittura privata di disposizioni fatte “ora per allora”:

"Una persona potrebbe redigere questo documento persino anni prima per dire che, nell’eventualità in cui cadesse in coma o perdesse la coscienza, i medici devono sospendere ogni trattamento salva-vita, inclusi alimentazione e idratazione. E questo dà vita a situazioni difficilissime per il medico, per cui anche quando si ricorre al giudice tutelare, nel frattempo si rischia che il medico non possa neanche applicare i trattamenti immediatamente necessari e urgenti.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 157

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.