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Sommario del 08/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa riceve in udienza vescovi del Venezuela

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in Vaticano i membri della presidenza della Conferenza episcopale del Venezuela. Un incontro che avviene in un momento di grave crisi umanitaria, politica ed economica per il Paese latinoamericano. Il servizio di Debora Donnini

I vescovi del Venezuela incontrano il Papa in un momento difficile per il Paese. Nelle proteste scaturite da inizio aprile contro il presidente Nicolas Maduro sono già morte oltre 65 persone. L’ultima vittima, ieri, è un ragazzo di 17 anni, ucciso a Caracas nelle manifestazioni scoppiate dopo che il Consiglio nazionale elettorale ha indetto per il 30 luglio le elezioni per l'Assemblea costituente. “Noi vogliamo incontrare il Santo Padre che ha mostrato un grande interesse, una grande preoccupazione, un grande amore per il Venezuela in questa situazione difficile”, aveva detto qualche giorno fa il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas.

Un incontro quello di Papa Francesco con i vescovi del Venezuela che arriva in un momento davvero delicato per il Paese ma che accende la speranza della Chiesa locale e di tante ong e onlus che lavorano per la popolazione, prima vittima della crisi economica, politica e umanitaria in atto. Una di queste è l’associazione “Latino Americana – Italia”. Cecilia Seppia ha sentito la consigliera Assunta Maria Vi Tino:

R. – Questo è un incontro importantissimo, perché il momento che sta vivendo il Venezuela è un momento drammatico e la Chiesa non ha mai abbandonato i suoi fratelli venezuelani. Il mondo della Chiesa in Venezuela è molto preoccupato, perché le situazioni stanno giorno per giorno precipitando. 

D. – Cerchiamo di capire quali sono le problematiche più urgenti…

R. – Le problematiche del Venezuela sono tantissime. Partiamo dalla gravissima emergenza umanitaria che sta vivendo il Paese: i venezuelani stanno manifestando da quasi due mesi e in questi 60 giorni sono morte più di 60 persone. Il cibo è un altro dei problemi gravissimi del Venezuela: non c’è il cibo sufficiente per poter sfamare un popolo. Anche la mancanza di libertà di espressione è uno dei problemi più gravi. Le informazioni che noi riusciamo ad avere sono grazie ai collegamenti internet, Facebook, Twitter, mentre i telegiornali parlano di tutt’altra cosa, passano le telenovele… E’ come se non esistessimo, come se vivessimo in un modo parallelo.

D. – La Caritas ha diffuso dei dati in cui si fa riferimento anche all’aumento sproporzionato delle richieste di asilo…

R. – In considerazione di questa gravissima crisi economica, derivata da una crisi politica di anni di fallimenti, ormai non c’è più la capacità per i giovani di potersi creare un futuro in Venezuela. Pertanto c’è chi in un modo o nell’altro tenta di uscire dal Venezuela, in cerca di asilo politico e aiuti umanitari.

D. – La Chiesa continua a fare appelli per fermare la violenza, per costruire ponti, per risolvere la crisi. Lei è del parere che soltanto le elezioni potrebbero cominciare ad aprire uno spiraglio nello scenario complicato del Venezuela?

R. – Sì, potrebbe essere una speranza anche se la speranza che hanno i venezuelani è che, definitivamente, il presidente Maduro riesca a rendersi conto che ormai per strada non ci sono solo i borghesi, per strada c’è la gente che muore di fame, perché bene o male la gente di classe media riesce, anche attraverso il mercato nero degli alimenti, a comprare il necessario per poter vivere. La gente povera questo non lo può fare e quella gente povera, che un giorno ha creduto nella rivoluzione di Chavez, in un cambiamento negli anni '90, ora non appoggia più questo governo di Maduro. Non lo vuole più…

D. – Quello che dice la Chiesa è che c’è bisogno che si dia compimento alla Costituzione in vigore...

R. – Non è necessaria una Costituzione nuova. Quello che è necessario è la tutela dei diritti, dei diritti che in questo momento non sono tutelati, certamente non li sta tutelando il governo attuale. La Chiesa sta facendo grandi cose. Ogni chiesa, ogni parrocchia organizza quello che può: si organizza nella distribuzione dei farmaci, quei pochi che può avere e raccogliere; si organizza nel fare giornate a favore dell'alimentazione.

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Udienza del Papa ad una delegazione di Ahiara, in Nigeria

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza una delegazione della diocesi di Ahiara, in Nigeria, accompagnata dall’arcivescovo di Abuja e amministratore apostolico di Ahiara, il cardinale John Onaiyekan, dall’arcivescovo metropolita di Owerri, mons. Anthony Obinna, dall’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, mons. Ignatius Kaigama, e dal vescovo di Ahiara, mons. Peter Okpaleke. Lo rende noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.

La delegazione ha compiuto un pellegrinaggio ad Limina Apostolorum. Nei giorni precedenti, ha avuto incontri con il cardinale segretario di Stato, il prefetto e i superiori della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli con i quali è stata esaminata largamente la penosa situazione della Chiesa in Ahiara.

Nell’udienza di oggi, il Santo Padre, dopo attenta valutazione, ha parlato della “non accettabilità della situazione in Ahiara e si è riservato di prendere gli opportuni provvedimenti”, si legge sulla nota. Francesco affida inoltre alla materna cura di Maria la diocesi di Ahiara.

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Papa Francesco a inaugurazione "Scholas Occurrentes" a Roma

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La Sala Stampa della Santa Sede rende noto che Papa Francesco sarà domani pomeriggio, alle ore 17, a Palazzo San Calisto a Roma per l’inaugurazione della nuova sede romana di “Scholas Occurrentes”. L’organismo educativo fu fondato a Buenos Aires dall’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio.

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Le udienze e le nomine di Papa Francesco

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Per le udienze e le nomine odierne di Papa Francesco, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Tweet del Papa: umiltà e tenerezza, virtù dei forti

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“L’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti”. È il tweet del Papa lanciato dall’account @Pontifex

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Card. Turkson: urgente accordo su protezione oceani

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Per molti anni la salute degli oceani e dei mari non è stata adeguatamente considerata. Abbiamo privilegiato il nostro diritto e libertà a goderne senza considerare le responsabilità, personali e nazionali verso beni tanto preziosi. Così il card. Peter Turkson, capo delegazione della Santa Sede alla Conferenza Onu in corso fino al 9 giugno a New York sulla tutela e l’utilizzo di oceani, mari e risorse marine per lo sviluppo sostenibile, in concomitanza con l’odierna Giornata mondiale degli oceani indetta dalle Nazioni Unite.

Occorre un accordo globale per la protezione degli oceani
Il presidente del Pontificio Consiglio per il servizio dello sviluppo umano integrale rimarca come ad oggi non esista alcun accordo globale o tantomeno un ente istituzionale che affronti nello specifico la cura e la protezione delle risorse degli oceani. Mancano adeguati quadri giuridici e spesso le leggi esistenti non vengono attuate. Eppure, è la considerazione del porporato, un tale accordo si fa sempre più urgente guardando al massiccio utilizzo di tali risorse.

Valore insostituibile degli oceani
Il valore degli oceani infatti va ben oltre quello della pesca e della navigazione: essi - evidenzia il cardinale Turkson - sono una grande fonte di energia rinnovabile e una ricchezza a livello biologico e minerale: forniscono cibo e materie prime, offrono insostituibili benefici all’ambiente come la purificazione dell’aria ed hanno un ruolo significativo nella stabilità climatica, nel ciclo dei rifiuti e nel mantenimento di habitat critici per la vita sulla terra.

Appello ad una conversione ecologica: pensare alle generazioni future
L’approccio dunque non può essere egoistico: il capo delegazione della Santa Sede esorta a pensare alle generazioni future che riceveranno in eredità i frutti del nostro comportamento: “in molte tradizioni religiose - osserva - l’acqua è simbolo di pulizia, rinascita e rinnovamento”. L’invito è quindi ad una conversione ecologica come auspicato da Papa Francesco: “la cura per la nostra casa comune è e sarà sempre un imperativo morale”.

Impegno della Santa Sede per sviluppo sostenibile
A riguardo è fermo l’impegno della Santa Sede a favorire il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile nell’interesse di tutti, “perché la gravità delle questioni che affrontano i nostri oceani coinvolge l'esistenza stessa dell'umanità”. Il card. Turkson quindi rinnova l’invito di Francesco nell’Enciclica Laudato Si’ a modificare stili di vita dannosi per la tutela del Creato. L’uso sconsiderato delle risorse del pianeta infatti deve essere affrontato a tutti i livelli: dal comportamento individuale alle politiche nazionali, fino agli accordi internazionali multilaterali.

Preoccuparsi dell’ambiente vuol dire proteggere i più vulnerabili
Deterioramento ambientale e degrado etico ed umano - spiega il porporato - sono strettamente legati, l’ambiente non può essere considerato come separato da noi stessi o semplicemente come lo spazio in cui viviamo. L’approccio deve dunque essere etico e non esclusivamente fondato su una logica di profitto, ma integrare tutela del creato e lotta alla povertà e all’esclusione sociale: solo così potrà esserci un godimento collettivo del bene comune e una solidarietà intergenerazionale. “Preoccuparsi dell’ambiente vuol dire proteggere i più vulnerabili”. (A cura di Paolo Ondarza) 

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In Vaticano, dibattito su capacità delle donne di guardare all'altro

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Donna “educatrice alla fraternità universale” al centro della Plenaria del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso in corso in Vaticano. Diverse le prospettive di osservazione: dalla dimensione biblica a quella del diritto internazionale, fino a quella socio economica. Di quest’ultimo aspetto ha parlato suor Raffaella Petrini, docente di Dottrina sociale della Chiesa all’Angelicum di Roma, evidenziando come le qualità femminili possano contrastare quello che il Papa definisce il “paradigma tecnocratico” della società moderna. Sentiamo la professoressa al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Il paradigma tecnocratico non vuole essere la negazione di tutti gli aspetti positivi della tecnologia oggi nel mondo e dei grandi vantaggi che ha portato, anzi è anche espressione della capacità intellettuale dell’uomo. Ma allo stesso momento vuole evidenziare i limiti di una mentalità che porta a vedere gli altri, le cose e le persone come oggetti da poter modificare e trasformare secondo le proprie preferenze, secondo i propri obiettivi. Quindi questo è un aspetto su cui Papa Francesco è molto forte nel dire: è una logica quasi epistemologica che viene applicata alle relazioni dimenticando anche i limiti che sono intrinseci ad entrambi.

D. - Di fronte a ciò, la donna che ruolo ha?

R. – Io ho cercato di guardare alle qualità legate alla capacità di maternità della donna che Giovanni Paolo II diceva essere un po’ l’espressione piena della femminilità. Ci sono delle capacità che la donna ha: ad esempio, l’essere fisicamente strutturata per portare la vita, per curare questa vita vulnerabile fin dall’inizio. La madre è pronta e capace di guardare l’altro prima, i bisogni dell’altro prima, con questa capacità di dare, questa capacità di cura per chi è più debole e anche di accettazione dei limiti dello stato delle cose delle persone, che il paradigma tecnocratico invece minaccia.

D. - Nel confronto che si sta avendo con voi c’è una cosa nuova che sta emergendo…

R. – Intanto ho visto due aspetti che mi hanno colpito. C’è una grande apertura, una grande ricettività su temi che sono molto discussi, difficili da affrontare in certi contesti: ho visto prontezza nel cercare di portare avanti anche le obiezioni più ovvie, pure per la necessità di capire come affrontare questi problemi che sono così reali. Inoltre, mi è piaciuto molto il fatto che si sta cercando di guardare ad un tema così grande da punti di vista molto diversi: sicuramente è una fonte di ricchezza.

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Un minuto per la pace: preghiera interreligiosa in tutto il mondo

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“Un minuto per la pace” è l'odierna iniziativa di preghiera interreligiosa per ricordare il terzo anniversario dello storico incontro tra Papa Francesco e i presidenti di Israele, allora era Shimon Peres, e di Palestina, Mahmoud Abbas, tenutosi in Vaticano l’8 giugno 2014. Per rilanciare il messaggio di quella giornata e tornare a invocare il dono della pace, il Forum internazionale di Azione Cattolica (Fiac) ha invitato tutti a fermarsi per un minuto - è successo alle ore 13 - ognuno secondo la propria tradizione religiosa, pregando per la pace, purtroppo ancora spezzata o minacciata in diverse regioni del mondo. L'appuntamento è stato ricordato ieri anche dal Papa all'udienza generale. Federico Piana ha intervistato Michele Tridente, vicepresidente di Azione Cattolica italiana: 

R. – Il Forum internazionale dell’Azione Cattolica, unitamente all’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, l’Umofc, all’Azione Cattolica italiana e all’Azione Cattolica argentina, ha promosso questa iniziativa molto semplice: un minuto per fermarsi - tutti gli uomini di buona volontà: cristiani, ebrei, musulmani - per pregare per questo grande bisogno di pace che il nostro tempo e il nostro mondo hanno. L’occasione è l’anniversario dell’incontro di Papa Francesco con i presidenti israeliano e palestinese, che si tenne in Vaticano l’8 giugno di tre anni fa. Vogliamo dunque ricordare che la pace è cosa di tutti, che per la pace ci dobbiamo impegnare tutti, facendo sì che questa preghiera diventi anche un impegno concreto per il dialogo e nella testimonianza, per essere davvero operatori e uomini di pace.

D. –  Mi pare che il senso di questa iniziativa sia dunque far capire che la preghiera è essenziale…

R. – Pregare gli uni per gli altri al di là della propria fede, domandando a Dio, che è il Dio della pace, questo dono che davvero e pienamente solo Lui può dare, al di là del nostro impegno e del nostro operare che comunque ci deve essere. 

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Bregantini: don Milani e don Mazzolari, “alimento” per Francesco

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Mancano meno di due settimane alla visita di Francesco a Bozzolo e Barbiana per rendere omaggio a Don Primo Mazzolari e Don Lorenzo Milani, due figure profetiche e scomode che oggi trovano nuovo vigore nell’azione pastorale del Papa gesuita. La vicinanza ai poveri, il dialogo con “i lontani”, la visione di una Chiesa “ospedale da campo”, l’impegno per la pace e i diritti dei più deboli sono tra i punti di convergenza tra Milani, Mazzolari e Bergoglio. Sul significato di questa visita, Alessandro Gisotti ha chiesto un commento a mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, che ha avuto nella testimonianza dei due sacerdoti un punto di riferimento fondamentale nella sua vita di cristiano: 

R. – È una riscoperta e insieme una “riparazione”. Entrambi sono stati “feriti” dalla Chiesa ufficiale; entrambi ora sono riabilitati, rinnovati, ripresi, rilanciati. Ma soprattutto è lo stile di papa Francesco che dà loro quella forza di testimonianza che già hanno, ma che viene rilanciata. Nello stesso tempo, è come se don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani dessero alimento al carisma di Papa Francesco: è un reciproco gioco di rinascita, riscoperta e insieme di rilancio.

D. – Lei è sempre stato molto attento al tema dell’educazione. Su questo don Milani è un testimone oltre che un maestro sempre attuale. Forse oggi ancora di più si coglie la profezia di quello che diceva e scriveva…

R. – È talmente evidente questo che persino il ministro dell’Istruzione ha consegnato alla scuola italiana le opere di don Lorenzo! Quello che è importante – io aggiungerei – è un’esperienza diretta: è grande don Milani quando dice: “Molti mi chiedono come dovrei fare per fare scuola, per essere maestro”; lui rispondeva: “Non mi chiedete cosa deve fare, chiedetemi cosa deve essere un maestro”. Cioè lui sposta l’accento dal fare all’essere; dall’avere doti all’essere testimone credibile di questo. E dagli ultimi lui ha imparato ad immergersi tra i poveri: l’esperienza diretta dei bambini e dei ragazzi che lui ha ascoltato, dai quali ha imparato ad essere maestro, e con i quali ha insegnato all’Italia ad essere e a fare scuola.

D. – Gli ultimi erano nel cuore anche di don Mazzolari, testimone di una Chiesa di periferia, Chiesa “in uscita” come direbbe oggi Papa Francesco…

R. – Don Primo ha lanciato - “come tromba dello Spirito Santo in terra padana”, come lo ha definito Papa Giovanni - un grido di riflessione tramite il suo quindicinale “Adesso”. Mentre don Lorenzo, da quelle montagne di periferia, ha lanciato un grido alla scuola italiana, alla politica e anche alla Chiesa. Don Primo parla moltissimo ai sacerdoti; don Lorenzo parla moltissimo ai maestri. Ma entrambi sono figli di una Chiesa “Mater et Magistra”; entrambi sono in fondo due realtà: educare come preti ed educare come maestro sono due realtà entrambe amate da tutti e due. Questo è il punto fondativo: entrambi sono legati dallo spazio vitale dell’educare.

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Oggi in Primo Piano



Gran Bretagna al voto: severe misure di sicurezza in tutto il Paese

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Riflettori accesi sulle elezioni anticipate di oggi in Gran Bretagna. I sondaggi danno sempre in testa i conservatori della premier Theresa May, ma con  i laburisti di Jeremy Corbyn in forte recupero. Oltre alla Brexit, la campagna elettorale negli ultimi giorni è stata caratterizzata dal tema del terrorismo dopo gli attentati di Londra e Manchester. Per queste consultazioni, misure di sicurezza ai massimi livelli in tutto il Paese. Urne aperte sino alle 23, ora italiana. Il servizio di Giancarlo La Vella

Era il 23 giugno 2016 quando i cittadini del Regno Unito, sovvertendo tutti i pronostici, votarono sì all’uscita dall’Unione Europea. Un esito che, almeno nelle coscienze di chi vedeva l’Europa come orma qualcosa di riformabile, ma graniticamente stabile, provocò una forte destabilizzazione e decisivi interrogativi sul futuro dell’Europa stessa e della Gran Bretagna, che, comunque, aveva aderito all’Unione non adottando per esempio la moneta unica. Il risultato della consultazione popolare significò la fine dell’epoca Cameron a Downing Street e l’avvento alla guida del governo britannico di Theresa May, col compito di gestire proprio il processo della Brexit. Questo il significato delle elezioni anticipate convocate proprio dalla leader dei conservatori, alla quale si oppone un Jeremy Corbyn che, grazie anche alla destabilizzazione causata dai recenti attentati, sta portando i laburisti ad un inatteso faccia a faccia con la May. Ne abbiamo parlato con Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali all’Università di Torino:

R. – Dobbiamo caprie bene quello che sta succedendo; la politica, i sistemi politici, le elezioni, non sono più oggetto di prevedibilità. Questo ci fa vedere come il mondo sia in una fase di movimento, di turbolenza. Andiamo in Inghilterra, dove abbiamo veramente la prova di questo principio, nel senso che la May credeva di fare una cosa e ne sta facendo un’altra. Addirittura sta rischiando di perdere il posto. Probabilmente finirà col vincere, suppongo, ma con un distacco talmente risicato che in questo modo lei rilancia il partito laburista che era in profondissima crisi.

D. - Quali saranno le sfide del prossimo governo britannico?

R. - È chiaro che il problema fondamentale della Gran Bretagna è la Brexit, su cui, se si rivotasse oggi, l’esito sarebbe molto verosimilmente il contrario. Ho letto che incominciano a vedersi gli effetti economici negativi della decisione dell’anno scorso. Il problema dell’Inghilterra sarà certamente quello del riaggiustamento dei rapporti economici con il resto d’Europa e certamente ci rimetterà qualcosa.

D. - Come l’emergenza terrorismo, che sta colpendo in particolare, oltre alla Francia, la Gran Bretagna, potrà essere affrontata dal prossimo esecutivo?

R. - Non c’è nessun dubbio che la repressione non risolve il problema del terrorismo. Il progetto deve passare attraverso un mutamento di atteggiamento culturale da parte di tutti noi.

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Iraq: tensioni per il referendum sulla secessione del Kurdistan

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Tensione in Iraq dopo la decisione del presidente della provincia autonoma del Kurdistan, Mas'ud Barzani, di indire un referendum per l'indipendenza il prossimo 25 settembre. Politicamente, oltre che in Iraq, i curdi sono distribuiti in Turchia, Iran, Siria ed in misura minore in Armenia. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia: 

R.  – Questa idea di dividere l’Iraq in tre era già il progetto americano, ai tempi della guerra: fare uno Stato curdo, uno sunnita e uno sciita. E io mi chiedo: dietro questo potrebbe esserci un disegno di divisione che scatena le rivalse di tanti e, quando c’è divisione, è più facile controllare il territorio.

D. – La parte del Kurdistan è rifugio per tanti profughi nella lotta contro lo Stato islamico; cosa potrebbe succedere alle minoranze?

R.  – Sicuramente il Kurdistan iracheno valorizzerà il fatto che grazie a loro, nel loro territorio, sono state protette le minoranze contro il sedicente Stato islamico. Credo che questo diventerà un cavallo di battaglia per il referendum. Ciò da una parte è vero; dall’altra però le minoranze cosa dovranno fare? Inchinarsi al governo curdo. Ma l’Iraq è pieno di minoranze, di espressioni etniche religiose… Il bello dell’Iraq è il sapere che tu puoi incontrare l’imam, lo yazida, il caldeo…. Perché non scommettere, non impegnarci come comunità internazionale a difendere questo mosaico piuttosto che valorizzare la divisione? Ho un po’ di paura e un po’ di preoccupazione che si vada verso una divisione, un rilancio delle autonomie… Cosa succederà in quell’area già martoriata?

D. – Rimangono aperti poi interrogativi importanti come quello della città di Kirkuk?

R. – Kirkuk fa troppo gola, è un luogo con tanti pozzi petroliferi. Avere Kirkuk vuol dire avere tante ricchezze. Io ci sono stato, c’erano già le frontiere curde che dividevano uno Stato che non esisteva, che era il Kurdistan; quindi adesso ancora di più. Il rischio è che la comunità internazionale sposi già questa  linea prima ancora del referendum. E poi però restano le domande: e Mosul che fine farà? E il resto del territorio? E tutta la Piana di Ninive verrà annessa? E, come dicevo, le minoranze come sono?

D. – Si rischia un effetto domino in Turchia, Siria, Iran e in misura minore in Armenia, cioè nei territori dove sono presenti i curdi?

R. – Potrebbe esserci un effetto domino. Non so le conseguenze. Io ho davanti i Balcani: non possiamo “balcanizzare” il Medio Oriente perché sta peggio. Ma se il disegno politico è questo, sicuramente rischia di riaccendere un mucchio di focolai e anche qualcosa di più che non va nella direzione della pace.

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20 giugno: Giornata mondiale del Rifugiato. Unhcr presenta gli eventi

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Si celebra in tutto il mondo, il 20 giugno, la Giornata Mondiale del Rifugiato 2017, appuntamento annuale voluto dall’Assemblea generale dell’Onu, il cui obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di rifugiati e richiedenti asilo. Oggi a Roma, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, Unhcr,  ha presentato gli eventi in programma. Francesca Sabatinelli 

Una partita amichevole tra una squadra di stelle del calcio e dello spettacolo e una composta da richiedenti asilo e rifugiati, la Liberi Nantes, allo Stadio Tre Fontane di Roma; il Refugee Food Festival in quattro città italiane, Milano, Bari, Roma e Firenze; un’installazione presso il MAXXI e una mostra fotografica alla galleria Alberto Sordi a Roma e poi giornate di “porte aperte” nei centri di accoglienza “per promuovere occasioni d’incontro e di scambio tra i rifugiati e i richiedenti asilo e le comunità che li ospitano”. Sono questi alcuni degli eventi programmati in occasione della prossima Giornata Mondiale del Rifugiato.  A presentare oggi il calendario degli appuntamenti, alcuni dei quali anticipano il 20 giugno, altri invece che arriveranno a fine mese, è stata l’Agenzia Onu per i rifugiati, l’Unhcr, Carlotta Sami è la portavoce:

R. – A livello planetario, la situazione continua ad essere drammatica perché fondamentalmente ancora non si è trovata la capacità, essenziale, di risolvere i conflitti. I conflitti non si risolvono, si aggravano e il numero di persone costrette a fuggire aumenta. Quello che noi vediamo in Europa è un riflesso molto parziale di quello che si vive altrove, perché sono sicuramente più di 65 milioni queste persone ormai, e sono persone che però vivono per quasi il 90 percento in Paesi poveri. Quelli che arrivano qua quindi sono pochi, i rifugiati che vivono nell’Unione europea sono circa due milioni, sono pochi. Però è una difficoltà che vive comunque anche la società dei Paesi europei, perché questo afflusso è qualcosa di nuovo, che effettivamente l’Europa non era pronta a gestire. Ci troviamo quindi in Italia a capire quanto in realtà, con difficoltà, però si stia facendo di positivo per l’integrazione. Ed è questa Italia che vogliamo far vedere con questa Giornata. E non è un’impressione, ma è una realtà: centinaia di migliaia di italiani che nell’accoglienza e nell’integrazione lavorano, e lavorano anche bene. E lavorano anche in modi che non ci si aspetta: cioè imprenditori, che lavorano in piccole o grandi aziende, musei come il MAXXI, che espone opere di rifugiati o opere che parlano di rifugiati, ed è un museo contemporaneo. Quindi per noi ha senso: vivere la contemporaneità guardando anche un po’ più in là e mettendo insieme tutti quegli italiani che ogni giorno lavorano, perché hanno capito che questa realtà va trasformata in un modo che sia positivo per tutti, rifugiati e italiani.

D. – Sembrerebbe una stagione nera per i diritti umani e quindi per i diritti dei rifugiati…

R. – Noi non possiamo mai arrenderci di fronte a qualsiasi difficoltà. Sappiamo che anche laddove ci sono delle difficoltà si trovano degli spiragli. È incessante il nostro lavoro anche nel far comprendere che questa situazione deve innanzitutto essere gestita, per non travolgere le popolazioni che poi dopo eventualmente dovrebbero accogliere. In questo senso per noi è fondamentale che i Paesi che hanno più possibilità, finanziarie, di conoscenza, di preparazione ed esperienza, aprano le “vie legali”. L’esperienza dei corridoi umanitari è qualcosa che in realtà esiste da tempo, ma che deve enormemente essere aumentata per ridurre proprio i movimenti irregolari, ma soprattutto per dare un colpo, assestato in maniera decisiva, al traffico di esseri umani. Questa situazione ha visto anche il proliferare di reti di contrabbandieri che purtroppo aumentano le sofferenze e aumentano enormemente l’illegalità. Papa Francesco è per noi un grande alleato. Il nostro Alto Commissario ha incontrato il Papa e per lui è stato un momento molto importante. Papa Francesco non risparmia mai un pensiero per i rifugiati e i migranti, ha ben chiara qual è la situazione e qual è la necessità proprio di rinforzare questi canali legali, di sicurezza e di legalità, per far arrivare le persone ad una protezione senza dover passare attraverso le reti criminali.

A che punto è l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo in Italia? Daniela Capua, Direttrice Rete Sprar:

R. – Nonostante tutte le criticità oggettive che ci sono ancora, gli ultimi anni hanno comunque visto l’Italia avanzare moltissimo rispetto al proprio ruolo nella presa in carico dei richiedenti asilo che arrivano in Italia e che, attraverso l’Italia, vorrebbero poi in realtà distribuirsi tra tanti Stati membri europei. Per cui il sistema di accoglienza si è molto ampliato. Ciò detto, è vero però che il sistema di accoglienza complessivo è fatto in Italia ancora da più sistemi, per cui la maggior parte dei posti di accoglienza che sono – finalmente devo dire – distribuiti un po’ in tutta Italia mentre prima incombevano esclusivamente sulle Regioni del Sud, sono di tipo straordinario, sono i cosiddetti “centri governativi”, o Cas che dir si voglia e, quindi, sono centri temporanei, hanno degli standard minimi più bassi di quelli che sarebbero necessari per un effettivo percorso di integrazione per coloro che poi si fermeranno in Italia. Hanno anche in realtà standard disomogenei a seconda poi di chi li gestisce, o di come sono organizzate le strutture. E hanno comunque un carattere – appunto – di temporaneità. Per contro, c’è lo Sprar, che è invece un sistema ordinario e strutturato, ne sono titolari e responsabili esclusivamente i Comuni, che su base volontaria chiedono al ministero dell’Interno di poter aderire allo Sprar con un progetto di accoglienza e di integrazione. Gli standard minimi sono medio-alti, perché comportano l’obbligo di fornire alle persone tutta una serie di servizi, che vanno dall’accoglienza in senso stretto ai processi di integrazione.

D. - E per quanto riguarda i costi? La questione ha suscitato non poche polemiche ...

R. - Vorrei ribadire, per l’ennesima volta in questi anni, che il cosiddetto “costo medio” dei 35 euro pro capite non è un fondo, un finanziamento, che va alla persona: è il costo dell’accoglienza. Sono i costi degli stipendi degli operatori che gestiscono il progetto, le spese che vengono fatte nei supermercati, nelle cartolerie, nelle farmacie di quel luogo, di quel Comune, di quel territorio. Sono le spese per affittare gli appartamenti dove vengono alloggiate le persone. Quindi, sono soldi che vanno al territorio. I soldi che effettivamente vanno nelle mani, fisiche, dei beneficiari dell’accoglienza sono il famoso “pocket money” di due euro e mezzo circa al giorno. Sono fondi ordinari, non sono soldi o finanziamenti che vengono tolti a qualche altro ambito per cui i cittadini italiani potrebbero dire che vengono penalizzati da questa situazione: non è così. 

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Telefono Azzurro 30 anni dalla parte dei bambini. Caffo: politiche arretrate

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Trent'anni fa nasceva in Italia Telefono Azzurro, l’associazione per i diritti dell’infanzia, nota in tutto il mondo per il suo impegno operativo in aiuto dei minori, in collaborazione con le Forze dell’Ordine per le emergenze e con gli enti preposti sul territorio per una risposta ad ampio raggio. Roberta Gisotti ha intervistato il suo fondatore e presidente, il neuropsichiatra infantile Ernesto Caffo

Otto sedi, oggi, in diverse città d’Italia, dove vengono raccolte e smistate attraverso la linea 1.96.96, attiva 24 ore su 24 per 365 giorni, tutte le segnalazioni e richieste d’aiuto su casi di abusi, maltrattamenti e violenze sui minori. A comporre il numero sono gli stessi bambini o ragazzi o gli adulti testimoni o informati sui fatti delittuosi. Prof. Caffo avete quantificato in questi 30 anni il vostro lavoro, quante chiamate, quanti casi risolti?

R. – Noi abbiamo ricevuto centinaia di migliaia di telefonate. Abbiamo gestito 68mila casi. Devo dire che negli ultimi anni i casi sono aumentati, anche perché abbiamo gestito non solo linee di consulenza telefonica ma anche linee di emergenza: il 114, il 116.000 per i bambini scomparsi. Questo ha portato ad un aumento progressivo delle segnalazioni che avvengono oggi, non solo attraverso il telefono ma anche attraverso le chat e i social. È ancora una punta emergente di un grande ‘iceberg’ che resta ancora molto nascosto.

D. - Professore, proprio Internet vi ha - come dire - costretto ad ampliare il vostro raggio di azione. Ci sono molte problematiche che 30 anni fa non esistevano …

R. - Internet che oggi rappresenta per i bambini e per gli adolescenti una parte importante della loro vita quotidiana fonte di scambi, di contatti, di relazioni, di immagini, che ha aumentato i rischi per i ragazzi. D’altra parte però, la parte positiva è che i ragazzi hanno più facilità nel chiedere aiuto. Questo ci permette di trovare risposte nuove. La rete, permette sia da parte delle istituzioni che delle grandi aziende e anche servizi come il nostro, di costruire una cultura preventiva che permetta ai ragazzi di essere più attenti alle loro immagini e anche a segnalare situazioni che li vedono coinvolti.

D. – Ripensando alla sua intuizione e determinazione nel fondare Telefono Azzurro nel 1987, quali sono gli elementi di soddisfazione e quali elementi anche di frustrazione, di cose che potevano essere fatte e ancora non vengono fatte?

R. – Sicuramente la soddisfazione è quella di aver visto crescere la consapevolezza che l’infanzia e l’adolescenza vanno tutelate, vanno ascoltate, vanno protette. La frustrazione è nella parte più operativa. Le risorse nel Paese per l’infanzia non sono cresciute, molte forme di abuso e di violenza restano senza risposte adeguate. Ci sono fenomeni nuovi come quello della tratta di minori, che non hanno ancora né da parte delle diverse realtà sociali, sanitarie e anche giudiziarie le necessarie competenze per essere affrontati. Quindi c’è da fare ancora un grande lavoro. Vediamo nel Parlamento una sensibilità relativa su questi temi, come se la politica non vedesse i bambini come soggetto di diritto. Diciamo che nel nostro Paese purtroppo l’attenzione non è cresciuta come sarebbe stato necessario.

D. - Celebrando questo anniversario, ha un appello da rivolgere a qualcuno in particolare per fare di più, da subito?

R. - L’appello da fare è indirizzato un po’ a tutti gli adulti, che hanno un ruolo importante. Anzitutto ai genitori che devono investire di più nell’ascolto ai bambini e passare più tempo con loro, non solo nei primi anni di vita ma anche in un’età delicatissima come quella dell’adolescenza; poi agli insegnanti di fare molto di più perché possano essere non solo maestri nella didattica ma maestri di vita; e in generale a tutti di far sì che i bambini siano al centro delle nostre relazioni, perché l’infanzia è un patrimonio insostituibile.

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Confcommercio: no a un aumento delle tasse, aiutare le famiglie

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Un possibile aumento dell’Iva andrebbe a pesare su tutte le famiglie, soprattutto le più povere. Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli delinea questo scenario durante l’assemblea dell’organizzazione. Ma il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, assicura che non ci sarà un aumento delle tasse. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Un paese che ancora viaggia a due velocità. Al Sud dove permangono forti sacche di povertà Pil e consumi rimangono indietro, anche se il Mezzogiorno si conferma un’area dalle potenzialità inespresse. Il Prodotto interno Lordo sta risalendo, eppure, dice il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, “senza i gravi difetti strutturali che frenano il sistema produttivo, oggi si potrebbe sperare in un traguardo al 2% del Pil per l'anno in corso". Ecco perché le tasse non devono aumentare, sottolinea Sangalli:

“Convinti come siamo che con l’aumento dell’Iva scenderebbe il grande inverno dei consumi su tutto il Paese. Convinti come siamo che aumentare l’Iva significherebbe far crescere il già insostenibile peso fiscale su famiglie e imprese”.

Nel suo messaggio il presidente della Repubblica, Mattarella dice come "la fiducia di famiglie e imprese deve essere sostenuta, in un quadro di appropriate politiche europee da adeguati investimenti" e anche dal "perseguimento delle riforme, a partire da quella fiscale”. L’Europa non può essere abbandonata, sottolinea Sangalli:

“Oggi è una scelta di senso, in un mondo connesso e pure contraddittorio. Scegliere l’Europa oggi significa scegliere la pace in un contesto di ‘guerra a pezzi’, come dice Papa Francesco”.

Sangalli poi chiede una legge elettorale che garantisca governabilità e in qualche modo un nuovo patto sociale per rilanciare il Paese:

“Chiamare in causa i corpi sociali; lavorare insieme significa attivare la loro funzione generativa, cioè andare oltre la propria esperienza personale e professionale per privilegiare le scelte orientate al futuro collettivo”.

Dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda arriva un netto no all’aumento dell’Iva, ma anche a ogni forma di assistenzialismo:

“Il ruolo sociale dell’impresa è quello di creare sviluppo e occupazione e non esiste nei Paesi di mercato un’alternativa diversa. Non esiste quando sentiamo parlare dell’idea che si possa inventare un reddito che è attribuito indipendentemente da lavoro, e che creerebbe ulteriori carichi fiscali per le imprese. Non esiste quando si pensa che ogni azienda che va in crisi in Italia debba essere nazionalizzata. Perché la nazionalizzazione vuol dire, molto banalmente, il fatto che voi, io e anche i pensionati, i lavoratori stessi, pagano una disefficienza del mercato”.

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Mons. Leuzzi agli studenti: ricordate che Cristo ci ama

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“Se ti diranno che sei ateo, ricordati di Giustino: ha donato la sua vita per annunciare che il Risorto ti ama! È lo scandalo della croce”: così mons. Lorenzo Leuzzi, delegato per la Pastorale universitaria, si è rivolto in una lettera agli studenti universitari di Roma in occasione dell’interruzione della didattica per la pausa estiva. Facendo riferimento alla biografia di San Giustino, mons. Leuzzi ha invitato i giovani a non avere paura. Giorgio Saracino ne ha parlato con Ciro Sarno, studente di Teologia a Roma: 

R. – Il vescovo si fa sempre presente a noi studenti ogni mese con le sue lettere. Questa missiva è molto bella, perché ci riporta alla memoria un Santo, Giustino martire, che si festeggia il primo giugno: difendeva la fede all'inizio del II secolo. Ci porta, quindi, il suo esempio: Giustino era stato definito ateo e per questo motivo fu ucciso. In realtà Giustino non era ateo perché si era convertito al cristianesimo. Il vescovo mette in risalto questo aspetto del “Giustino ateo condannato”, perché ateo secondo le idee di allora. Un altro aspetto è la dipendenza dalla società e dalla religiosità: molte volte anche noi oggi siamo dipendenti dalla rete, dai social. Ma siamo dipendenti il più delle volte da Dio, perché il Dio nostro, il Dio salvatore, è un Dio che ci ama infinitamente, tanto da morire per noi sulla Croce. E Giustino annunciava questo: questo Gesù che muore in Croce, che ci ama liberamente e che non cerca dipendenza, ma che cerca la nostra salvezza.

D. - Una domanda che si è posto mons. Leuzzi è questa: “Farsi amare o amare”?

R. - Amare o farsi amare è il richiamo a quando Gesù incontra Pietro e dice: “Tu mi ami?”. È difficile rispondere. Dio non vuole farsi amare, ma vuole solo amare. Quindi dobbiamo lasciarci amare da Cristo, ma allo stesso tempo amare Lui sapendo che in Lui c’è la salvezza.

D. - In questa modernità sempre più veloce, quanto è importante per i giovani avere il punto di riferimento della fede?

R. - La fede per noi giovani è importante perché ci permette di vivere saldi a terra; di vivere, non di “vivacchiare”. Quindi la fede ci porta a saper vivere e a non vivere la giornata - così allo sbando, alle dipendenze - ma vivere una giornata piena, che ci possa far crescere e portare frutto alla nostra vita per donare all’altro.

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Giornata degli oceani: l'inquinamento nemico del nostro futuro

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L'odierna Giornata mondiale degli oceani è dedicata alla salvaguardia degli ecosistemi marini e alla lotta contro l’inquinamento globale. Istituito dall’Onu nel 1992, in occasione del vertice sull’ambiente di Rio de Janeiro, l'appuntamento punta a evidenziare l’importanza dei nostri oceani per la vita dell’intero pianeta: si parla di specie marine a rischio di estinzione, di quantità preoccupanti di plastica nei nostri mari e di conseguenze devastanti del riscaldamento globale. Giulia Bedini ha intervistato Marco Faimali, responsabile della sezione dell'Istituto di scienze marine (Ismar) di Genova: 

R. – Per noi tutti i giorni sono “giornate del mare”. Però, in questa occasione è importante mettere al corrente i cittadini, di qualsiasi età, dell’importanza del mare, come noi lo influenziamo e come influenzerà, influenza ed ha influenzato la nostra vita nel passato. E’ un momento importante anche per comunicare la ricerca: come Istituto di scienze marine abbiamo organizzato diversi eventi che si svolgeranno fino all’11 giugno.

D. - Quali sono oggi le maggiori minacce per i nostri oceani e quali possono essere le conseguenze per tutta la fauna marina e per la salute dell’uomo stesso?

R. - Ultimamente stiamo studiando, e ci siamo accorti, che ci sono degli inquinanti emergenti, come ad esempio le microplastiche e la plastica, che stanno raggiungendo livelli abbastanza preoccupanti. Questo è un nuovo tipo di inquinamento: non è una sostanza disciolta, ma si tratta di piccoli materiali che da macroplastiche si trasformano in microplastiche e nanoplastiche, diventando sempre più piccoli. Gli ultimi dati, su cui stiamo lavorando anche noi come Istituto di scienze marine, sono preoccupanti perché se ne registra una grandissima quantità. Ancora non sappiamo quali saranno le conseguenze sull’ecosistema marino e quindi le conseguenza sull’alimentazione umana. Per adesso il problema non è preoccupante, ma è una delle ricerche che stiamo portando avanti con attenzione.

D. - Trovare nuovi ed efficaci sistemi di riciclo e riutilizzo, soprattutto della plastica, può avere un impatto significativo sul nostro ecosistema?

R. - Assolutamente sì: il problema non è la plastica, il problema è l’uso che la nostra specie ne sta facendo. Dobbiamo imparare soprattutto ad usarla in maniera consapevole. Poi occorre rimuovere le macroplastiche e le microplastiche dal mare, soprattutto nella filiera della produzione. Dobbiamo quindi cambiare il nostro atteggiamento: abbiamo bisogno del mare.

D. - Un altro dato preoccupante riguarda il crescente riscaldamento globale: come si ripercuote sulla vita dei nostri ecosistemi?

R. – Il cambiamento climatico si ripercuote a 360 gradi. La temperatura e le sue variazioni influenzano il ciclo vitale degli organismi e, di conseguenza, possono provocare la sparizioni di specie, la comparsa di nuove, la tropicalizzazione del mare. A volte possono essere estremante nocive: quindi anche tale aspetto deve esser ovviamente studiato e deve essere tenuto sotto controllo.

D. - Qual è l’appello che l’Istituto delle scienze marine vuole lanciare?

R. - Il messaggio è il seguente: il mare è importante e dobbiamo capire quali sono le relazioni con la nostra vita quotidiana; ovviamente, capire che è importante anche sostenere e investire nella ricerca marina, perché questo ci permette di capire tutte le sfaccettature di questo complesso sistema. Essere consapevoli che il nostro territorio non si ferma sulla terraferma e che anche il mare è fondamentale per la nostra sopravvivenza. Amiamo il mare e cerchiamo di studiarlo in maniera consapevole.

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Nella Chiesa e nel mondo



Austria: Sinodo sui giovani al centro dell’Assemblea dei vescovi

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La preparazione per il Sinodo dei vescovi, del 2018, sui giovani. E’ questo il tema principale della prossima Assemblea generale della Conferenza episcopale austriaca (Öbk) che si terrà dal 12 al 14 giugno prossimi, presso il santuario mariano nazionale di Mariazell. Presiederà l’incontro il cardinale Christoph Schönborn, presidente della Öbk e arcivescovo di Vienna.

I vescovi affideranno la nazione a Maria
I vescovi - rende noto l’agenzia Sir - dedicheranno un pomeriggio di studio alla questione della sicurezza sociale. La sicurezza nelle chiese sarà un ulteriore tema al centro della riflessione. L’assemblea estiva avrà una forte connotazione mariana e di preghiera, anche per il contemporaneo centesimo anniversario, da poco celebrato, delle apparizioni della Vergine Maria a Fatima. I presuli affideranno, ancora una volta, il popolo austriaco e la nazione alla Madre di Dio.  

L’Assemblea si aprirà con una preghiera comune
L’Assemblea generale avrà inizio il 12 giugno alle 15 con una preghiera comune presso l’altare della grazia della basilica di Mariazell. Il 13 giugno il nunzio apostolico in Austria, l’arcivescovo Peter Stephan Zurbriggenalle, presiederà una celebrazione eucaristica. La riunione terminerà, il pomeriggio di mercoledì 14 giugno, con la presentazione delle deliberazioni dei vescovi.

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Ghana: collaborazione tra Stato e Chiesa in ambito educativo

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"Educare la popolazione di un Paese è un dovere immenso che lo Stato non può fare da solo": così mons. John Bonaventure Kwofie, vescovo di Sekondi-Takoradi e responsabile della Commissione dell'educazione della Conferenza episcopale del Ghana, ha lodato l'intenzione del governo nazionale di riconsegnare alle istituzioni religiose la gestione delle scuole missionarie. “Abbiamo accolto questa notizia con grande gioia - ha detto il presule - era nostro desiderio, da tempo, che ciò avvenisse”.

Collaborazione tra Stato e Chiesa
Ribadendo la collaborazione tra Stato e Chiesa nel settore educativo, il presule ha sottolineato alcune difficoltà nel momento in cui le istituzioni religiose sono state “relegate sullo sfondo, a causa della mancanza di accordi o politiche chiare” con le autorità civili. Quindi, il riconsegnare le scuole missionarie ai loro gestori originari significa “riconoscere il contributo dei corpi religiosi e le finalità per le quali sono state fondate le istituzioni missionarie”.

Migliorare qualità dell’istruzione nazionale
“Gli enti religiosi - ha detto il presule - sono in grado di essere partner del governo per una migliore qualità dell’istruzione del Paese”. Dal suo canto, il direttore generale dell’Unità per l’istruzione cattolica, la sig.ra Doris Ashun, ha esortato i coordinatori e i direttori delle scuole a vigilare affinché venga rispettata la disciplina religiosa della Chiesa. (I.P.)

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India: atti di vandalismo contro chiese

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In India ignoti criminali hanno vandalizzato e saccheggiato la chiesa di San Luca a Dayabari Mission Gate di Ranaghat, a circa 70 km da Calcutta, in West Bengal. L’incidente è avvenuto all’alba del 6 giugno. A scoprire la devastazione dei paramenti, la profanazione del tabernacolo e il furto di denaro è stato un dipendente della chiesa, intorno alle 4.30 di mattina.

Atto deplorevole
Ad AsiaNews mons. Thomas D’Souza, arcivescovo di Calcutta, afferma: “Siamo addolorati per questo deplorevole atto di vandalismo e furto. La Chiesa di San Luca è un luogo sacro, un luogo di venerazione. Tutti i luoghi di culto devono essere rispettati”. “Le Chiese, di qualsiasi denominazione esse siano - ribadisce il presule - devono essere rispettate. Questo atto di saccheggio e vandalismo è allarmante e penoso. Chiedo a tutti di pregare e invito il nostro popolo a mantenere la calma e uno spirito di preghiera e di pace”.

Il dolore del parroco
Dal suo canto, padre Kishor Mondal, parroco della Chiesa, spiega che i vandali “hanno fatto a pezzi la Santa Eucaristia. Poi hanno danneggiato altri oggetti religiosi, come il calice e le candele bronzee”.

Non è un caso isolato
Da sottolineare che la devastazione della chiesa di San Luca non è un caso isolato: solo poche settimane fa, in Telangana, un’altra chiesa, quella della Madonna di Fatima, è stata presa di mira dagli estremisti indù locali, che hanno dissacrato il Crocifisso e la statua della Vergine Maria.

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Canada: appello interreligioso per crisi africane e nello Yemen

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Con un appello nazionale, lanciato il 7 giugno, mons. Douglas Crosby, vescovo di Hamilton e presidente della Conferenza episcopale canadese (Cccb), insieme ad altri leader di fede cristiana, ebraica, musulmana, sikh e bahá'í, richiama l’attenzione del Canada perché si attivi di fronte alle carestie in Sud Sudan, in Yemen, nella Nigeria nordorientale e in Somalia. Ciascuna delle comunità religiose che partecipano all’appello si stanno mobilitando in risposta ad "una delle più grandi crisi umanitarie del mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale: la triste realtà di molteplici carestie che si verificano contemporaneamente in quattro distinti Paesi".

La crisi supera la disponibilità delle risorse
Nel febbraio 2017, le Nazioni Unite hanno dichiarato che, in quei Paesi, 20 milioni di persone, inclusi 1,4 milioni di bambini indifesi, rischiano di morire nei prossimi mesi. La crisi è il risultato dei conflitti armati in corso, delle gravi siccità, e delle centinaia di migliaia di persone sfollate dalle loro case e dalle loro terre. E, sempre secondo l’Onu, la crisi supera di gran lunga l'attuale disponibilità di risorse e l'importo dei finanziamenti stanziati finora dalla comunità internazionale. Il "grido unificato dal cuore" dei leader religiosi richiede un triplice intervento ai propri fedeli: pregare; dare; informare.

Pregare
Ricordare il popolo del Sud Sudan, della Somalia, della Nigeria e dello Yemen nella preghiera personale e comunitaria, pregando anche per la pace, per i leader di governo e per gli operatori umanitari della regione.

Dare
Contribuire finanziariamente ad uno o a più progetti degli organismi umanitari canadesi che lavorano per ridurre la crisi. Per ciascuna offerta fatta tra il 17 marzo e il 30 giugno 2017 il governo canadese, come annunciato di recente, verserà la stessa somma al "Famine Relief Fund".

Informare
Prendersi del tempo per essere maggiormente informati sulla crisi nei quattro Paesi; parlarne con la famiglia, gli amici e i vicini; discuterne con i gruppi comunitari locali; contattare i membri del Parlamento.

La violenza causa principale della crisi umanitaria
I leader religiosi individuano in maniera inequivocabile nella violenza prolungata in Sud Sudan, Somalia, Nigeria e Yemen la causa principale della crisi umanitaria. "Il nostro governo federale - scrivono - rende nota la sua intenzione di partecipare più attivamente al Consiglio di sicurezza dell’Onu nei prossimi anni” e sottolineano che è arrivato il tempo in cui si deve parlare chiaro per porre fine alle violenze in questi quattro Paesi. “La voce del Canada - concludono - deve essere ascoltata in questo momento terribile, specialmente ora in cui si celebrano i 150 anni della Confederazione”. (A cura di Anna Poce) 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 159

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.