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Sommario del 14/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa all'udienza: Dio ci ama per primo in maniera incondizionata

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Udienza generale del mercoledì in due posti diversi oggi a causa del gran caldo: è lo stesso Papa Francesco ad annunciarlo in Piazza san Pietro alle 10 dopo esser passato nell’Aula Paolo VI per un saluto speciale agli ammalati lì convocati. A collegare l’Aula e la piazza un maxischermo, ma dice il Papa, soprattutto “lo Spirito Santo che è quello che fa unità”. Al centro della catechesi il bisogno di amore che c’è in ogni essere umano e la certezza dell’amore incondizionato di Dio per ciascuno. Adriana Masotti

Nessuno di noi può vivere senza amore, ma è una brutta schiavitù quella di ritenere che l’amore vada meritato. Comincia con questa riflessione la catechesi del Papa di questa mattina. Per Francesco una parte dell’angoscia dell’uomo contemporaneo deriva forse da questo: credere che se non siamo forti e belli, allora nessuno si occuperà di noi:

"Tante persone oggi cercano una visibilità solo per colmare un vuoto interiore: come se fossimo persone eternamente bisognose di conferme. Però, ve lo immaginate un mondo dove tutti mendicano motivi per suscitare l’attenzione altrui, e nessuno invece è disposto a voler bene gratuitamente a un’altra persona? Immaginate un mondo così … un mondo senza la gratuità del voler bene … Sembra un mondo umano, ma in realtà è un inferno".

A volte dietro a comportamenti apparentemente inspiegabili, prosegue il Papa, si cela una domanda: possibile che io non meriti di essere amato? E quando a non sentirsi amato è un adolescente, allora può nascere la violenza. Non esistono persone del tutto cattive, esistono persone infelici. Ed è proprio l’amore la cura per l’infelicità: lo scambio di sguardi. E tra noi e Dio è lui che ci guarda per primo:

"Dio ama per primo. Dio non ci ama perché in noi c’è qualche ragione che suscita amore. Dio ci ama perché Egli stesso è amore, e l’amore tende per sua natura a diffondersi, a donarsi. Dio non lega neppure la sua benevolenza alla nostra conversione: semmai questa è una conseguenza dell’amore di Dio".

Un amore incondizionato, il suo. Dio ci ha voluto bene anche quando eravamo sbagliati. Chi di noi ama in questa maniera, se non chi è padre o madre?

"Ma io ricordo tante mamme, facendo la fila per entrare in carcere, nella mia diocesi di prima: tante mamme. E non si vergognavano. Il figlio era in carcere, ma era il loro figlio".

Dio fa la stessa cosa con noi: siamo i suoi figli amati!

"Ma può essere che Dio abbia alcuni figli che non ami? No. Tutti siamo figlia amati di Dio. Non c’è alcuna maledizione sulla nostra vita, ma solo una benevola parola di Dio, che ha tratto la nostra esistenza dal nulla. La verità di tutto è quella relazione di amore che lega il Padre con il Figlio mediante lo Spirito Santo, relazione in cui noi siamo accolti per grazia. In Lui, in Cristo Gesù, noi siamo stati voluti, amati, desiderati. C’è Qualcuno che ha impresso in noi una bellezza primordiale, che nessun peccato, nessuna scelta sbagliata potrà mai cancellare del tutto".

Concludendo la catechesi il Papa ritorna a chiedere ai fedeli: qual è la medicina per cambiare il cuore di una persona che non è felice? L’amore e  come si fa sentire alla persona che uno l’ama? Prima di tutto bisogna abbracciarla:

"Farle sentire che è desiderata, che è importante, e smetterà di essere triste. Amore chiama amore, in modo più forte di quanto l’odio chiami la morte. Gesù non è morto e risorto per sé stesso, ma per noi, perché i nostri peccati siano perdonati. È dunque tempo di risurrezione per tutti: tempo di risollevare i poveri dallo scoraggiamento, soprattutto coloro che giacciono nel sepolcro da un tempo ben più lungo di tre giorni".

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Papa Francesco aprirà i lavori del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma

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Sarà Papa Francesco ad aprire i lavori del Convegno ecclesiale diocesano il prossimo 19 giugno, presso la basilica di San Giovanni in Laterano. Il tema di quest’anno è: “Non lasciamoli soli! Accompagnare i genitori nell’educazione dei figli adolescenti”. Dopo l’intervento introduttivo del Papa saranno presentati i temi dei sei laboratori che si svolgeranno il giorno successivo nelle 36 Prefetture della diocesi. Chiuderà la serata del 19, l’intervento del cardinale vicario della Diocesi di Roma, Agostino Vallini, che terminerà il suo mandato nove giorni dopo.

Presente l’arcivescovo Angelo De Donatis
Saranno presenti al Convegno anche l’arcivescovo Angelo De Donatis, nominato il 26 maggio dal Santo Padre nuovo vicario generale per la diocesi di Roma; il vicegerente, i vescovi ausiliari, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e centinaia di laici provenienti dalle varie realtà ecclesiali della diocesi di Roma.

La sfida dei sei laboratori
I sei laboratori che si terranno martedì 20 lavoreranno sui temi: “La casa e la vita in famiglia”, “La scuola e lo studio”, “Interagire con la solitudine dei social network”, “La relazione tra le generazioni”, “La precarietà della vita: povertà, sofferenza, morte”, “Superare l’isolamento delle famiglie”. I partecipanti all’incontro di lunedì 19 riceveranno il sussidio che conterrà tracce utili per il confronto, con una prima parte introduttiva - e ampi riferimenti all’Amoris Laetitia - e una seconda di domande, con l’obiettivo di non allontanarsi dalla concretezza della vita e della realtà pastorale e di arrivare alla formulazione di proposte.

Il 18 settembre gli orientamenti per il nuovo anno
Il Convegno diocesano, come consuetudine, concluderà l’anno pastorale ma avrà il suo epilogo lunedì 18 settembre quando, sempre nella Basilica di San Giovanni in Laterano, i vescovi ausiliari riferiranno i risultati dei laboratori svolti nelle prefetture dei propri settori e l’arcivescovo vicario Angelo De Donatis esporrà gli orientamenti pastorali per il nuovo anno.

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Briefing sulle conclusioni dei lavori del Consiglio di Cardinali

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Al termine del Consiglio di Cardinali riunitosi con Papa Francesco, per tre giorni da lunedì 12 giugno, a cui non ha potuto partecipare il card. Sean O’Malley di Boston, oggi l’incontro del direttore della sala stampa vaticana Greg Burke, con i giornalisti.

Le sessioni di lavoro del Consiglio, ha informato Burke, si sono svolte al mattino e nel pomeriggio e sono state dedicate ad approfondire i modi nei quali la Curia Romana può servire meglio le Chiese locali. Per esempio, una consulta più ampia, costituita anche da membri della vita consacrata e dei laici, per i candidati proposti per la nomina a vescovo.

Fra le altre proposte, la possibilità di trasferire alcune facoltà dai Dicasteri romani ai Vescovi locali o alle Conferenze Episcopali, in uno spirito di sana decentralizzazione. I Cardinali hanno fatto ulteriori considerazioni su diversi Dicasteri della Curia, in  particolare sulla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

Il card. George Pell ha fornito un aggiornamento sul lavoro della Segreteria per l’Economia, da lui presieduta. Particolare attenzione è stata data ai passi fatti nel processo di pianificazione delle risorse economiche e nel monitoraggio dei piani finanziari per il primo trimestre del 2017 che sostanzialmente hanno confermato, con poche eccezioni, i dati di budget. A breve si inizierà il processo di budget per l'anno 2018 e quello di monitoraggio per il secondo trimestre del 2017.

Infine, il Prefetto della Segreteria per la Comunicazione, Mons. Dario Edoardo Viganò, ha presentato un rapporto sullo stato della riforma del sistema comunicativo della Santa Sede: ha illustrato l’andamento economico e gestionale della SPC, esponendone i positivi risultati e i progetti in fase di realizzazione del nuovo sistema comunicativo.

La prossima riunione del Consiglio di Cardinali, ha annunciato il direttore della sala stampa vaticana, avrà luogo nei giorni 11, 12 e 13 settembre prossimo.

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Ministro canadese McKenna: Francesco leader nella difesa dell’ambiente

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Difesa dell’ambiente, lotta al cambiamento climatico, accoglienza dei migranti. Sono i temi che il ministro canadese per l’Ambiente, Catherine McKenna, ha affrontato in questi giorni in Vaticano, incontrando l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi e padre Michael Czerny e intervenendo alla Caritas Internationalis proprio sul tema dei migranti e dei rifugiati. Prima di partecipare stamani all’udienza generale con Papa Francesco, il ministro Catherine McKenna ha concesso un’intervista in esclusiva alla nostra emittente, al microfono di Alessandro Gisotti

R. – It’s been really incredible to see the Vatican and the Pope’s leadership on …
E’ per me un’esperienza incredibile vedere la guida del Papa e del Vaticano su temi importanti per i canadesi come l’ambiente e il cambiamento climatico, ma anche su argomenti legati ai migranti e ai rifugiati e agli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Penso che il risultato di questa mia visita sarà l’opportunità per noi di lavorare in maniera più stretta con il Vaticano in ambiti che per il nostro governo sono molto importanti.

D.- Il governo del premier canadese Trudeau è molto impegnato sui temi dell’ambiente. Quanto è importante l’impegno della Chiesa e di Papa Francesco, secondo lei, in favore dell’ambiente e sul tema del cambiamento climatico?

R. – Well, I think the leadership of the Pope has been extraordinary on the …
Penso che la guida del Papa sia straordinaria per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e il cambiamento climatico. Credo che questo sia molto importante: infatti, noi abbiamo parlato con il maggior numero di persone possibile sulle sfide che stiamo affrontando. Abbiamo un unico pianeta ed è necessario che lavoriamo insieme. E credo che il Papa abbia l’opportunità unica di coinvolgere i cattolici nel mondo perché agiscano su questo. Sono convinta del fatto che ogni singolo gesto compiuto anche dal singolo abbia un impatto sul pianeta: e su questo dobbiamo riflettere approfonditamente. Un altro impegno dev’essere quello del sostegno ai poveri: i poveri che vivono nei Paesi meno sviluppati già subiscono gli effetti del cambiamento climatico …

D.- Papa Francesco ha proprio più volte affermato che curare l’ambiente vuol dire anche prendersi cura dei poveri. C’è, per il Papa, un legame tra degrado ambientale e povertà. Cosa ne pensa?

R. – I can’t agree more … it’s actually really and unfortunately the people that are …
Non potrei essere più d’accordo … purtroppo sono proprio le persone meno capaci di tutelarsi quelle maggiormente colpite dall’impatto di alluvioni, incendi boschivi, siccità e anche dallo scioglimento dell’Artico, per quanto riguarda il Canada: sono spesso persone che vivono in povertà. Abbiamo visto in Canada in che misura il cambiamento climatico impatti sulle nostre popolazioni indigene, soprattutto al Nord. Va ricordato anche che l’azione per il cambiamento climatico implica anche una buona politica sociale perché è necessario aiutare le persone in modo che possano meglio affrontare le conseguenze del cambiamento climatico.

D. – Pochi giorni fa lei era a Bologna per il G7 sull’ambiente. Dopo l’annuncio del presidente americano Trump di uscire dall’accordo di Parigi quali sono ora le prospettive sull’impegno per affrontare il cambiamento climatico?

R. – In spite of the position of the US Administration, which was extraordinarily …
Nonostante la posizione dell’amministrazione statunitense, che è stata straordinariamente inopportuna, tutti gli altri sono impegnati; mi sono molto rincuorata quando ho visto non solo gli altri Paesi membri del G7 impegnati nell’azione per contrastare il cambiamento climatico, ma anche che ci sono Stati degli Stati Uniti, città e imprese e persone nel mondo che affermano che questa sia la nostra unica occasione. Io ho tre figli e la domanda è: che futuro vogliamo per loro?

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Oggi in Primo Piano



Londra: nell'incendio alla Grenfell Tower morti e feriti

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Terrore a Londra dove dall’una di questa notte brucia un grattacielo di 27 piani. Almeno 6 vittime, 74 feriti, mentre ci sarebbero ancora persone intrappolate tra le fiamme. Al vaglio tutte le ipotesi, ma per ora sembra prevalere quella dell’incidente. Il sindaco della capitale si dice sconvolto e parla di un rogo senza precedenti, ma già montano le polemiche sulla sicurezza. Cecilia Seppia 

Sono passati sei minuti in tutto dal momento in cui è divampato il primo focolaio per il malfunzionamento di un frigorifero al quarto piano della Grenfell Tower di Londra, a quando l'intero grattacielo si è ritrovato avvolto dalle fiamme. Una gigantesca torcia che ha cominciato a bruciare all’una di notte, ora locale, nel quartiere di North Kensigton il cui spegnimento ha richiesto il lavoro incessante di oltre 200 vigili del Fuoco, supportati da 45 mezzi e autoscale e 14 unità di salvataggio. 74 i feriti, di cui 64 trasportati in ospedale, mentre i morti finora accertati dalla polizia sono 6, ma il loro numero è destinato a salire. Si teme, infatti, per le persone rimaste intrappolate in questo “inferno di cristallo”. Il sindaco, Sadiq Khan, parla di incidente grave, senza precedenti ma esclude la pista terroristica e momentaneamente anche il dolo. Polemiche però cominciano ad emergere sul mancato funzionamento dell’allarme anti-incendio e sui lavori di ristrutturazione, compresa la pericolosità di molti rivestimenti plastici che hanno interessato l’edificio, costruito nel 1974. Il portavoce dei pompieri di Londra assicura che la stabilità dell’edificio è monitorata costantemente e che il grattacielo, non è  a rischio imminente di crollo dunque le operazioni di soccorso possono continuare. Drammatiche intanto arrivano le testimonianze dei sopravvissuti. Madri e padri parlano di bambini lanciati nel vuoto dal decimo piano pur di sottrarli alle fiamme, e presi al volo dai pompieri; grida di terrore, fuga disperata per le scale e forti esplosioni mentre dalla torre cadevano detriti incandescenti. L’incendio di fatto ha riportato paura e morte nella capitale britannica, sconvolta appena dieci giorni fa dall’ennesimo attentato terroristico. Tanti i messaggi di cordoglio. L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha lanciato un appello ai londinesi affinché donino cibo, vestiti e generi di prima necessità agli scampati del rogo della Grenfell Tower. Sul fronte politico si segnala il rinvio dell’accordo di governo tra i Conservatori e gli unionisti nordirlandesi del Dup, previsto per oggi.

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Save the Children: in 5 anni triplicati minori migranti soli

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Sono oltre 60mila i piccoli migranti non accompagnati sbarcati in Italia tra il 2011 e il 2016, una cifra cresciuta di sei volte nell’arco del tempo. Tra loro gli under 14 sono triplicati e il numero delle ragazze è quadruplicato. E’ quanto evidenzia il primo Atlante dei minori stranieri non accompagnati in Italia diffuso oggi da Save the Children in vista della Giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno. La situazione rende ancora più urgente l’applicazione della nuova legge in materia, approvata dal Parlamento e scritta proprio dalle Ong. Il servizio di Gabriella Ceraso

Attraversano il Mediterraneo partendo per lo più da Eritrea, Egitto, Gambia, Somalia, Nigeria e Siria: le loro storie con dati, mappe e soprattutto sogni, sono racchiusi nell’Atlante, disponibile anche on line, per rendere più comprensibile un fenomeno ormai strutturale e non più emergenziale. Le tendenze che emergono e che non possono essere più ignorate, riguardano la loro sempre più giovane età e la loro maggiore vulnerabilità. Un minore su sei che arriva in Italia, ha meno di 14 anni. Da 698 nel 2012 sono 2050 nel 2016, e sono poco più che bambini. Inoltre tra loro il numero delle ragazze e' quadruplicato con diverse problematiche come spiega Raffaela Milano direttore Programmi Italia Save the Children:

“La gran parte dei minori stranieri non accompagnati sono maschi, sono ragazzi ma c’è una componente, che si è ampliata, di minorenni, di ragazze adolescenti che provengono in questo momento, in particolare, soprattutto dall’Eritrea e dalla Nigeria e che vivono un percorso migratorio ancora più duro, con numerosi casi di violenze e per quanto riguarda in particolare le minorenni nigeriane, spesso, anche con trafficanti che sin dalla partenza rendono queste ragazze vittime di tratta"

Le situazioni da cui scappano questi minori sono varie: malnutrizione, obbligo della leva e mancanza di libertà civili nel corno d’Africa; crisi economica in Egitto; povertà ed epidemie in Guinea e in Nigeria. I piccoli lasciano spesso aree rurali povere o lavori mai trovati in città. Rischiano rapimenti, arruolamenti forzati, torture, percosse e poi, per restituire il denaro del viaggio, non hanno scampo:

“Spesso questo debito di viaggio poi si è accresciuto durante il viaggio, nelle tappe in Libia, dove i ragazzi sono stati sequestrati, sono stati chiesti dei riscatti alle famiglie per liberarli… Quindi di fatto questo debito è un vero fardello sulle loro spalle ed è facilissimo fare in modo che accettino delle proposte anche di assoluto sfruttamento, con paghe irrisorie, senza nessuna sicurezza sul lavoro, e talvolta finiscono anche con l'alimentare circuiti di microcriminalità”.

In Italia i ragazzi eritrei, siriani e afghani, per lo più non voglio restare, mirano all’Europa e per questo rischiano ancora di più: oltre 6000 sono del tutto scomparsi, nel solo 2016. Ancora Raffaela Milano:

Con le regole europee è molto difficile e la stessa relocation, della quale si è parlato tanto, purtroppo per i minori stranieri si è attivata in pochissimi casi: si contano sulle dita di una mano. Quindi la gran parte di questi ragazzi di fatto si rende invisibile alle istituzioni per cercare di attraversare il confine e spesso viene respinta al confine, e deve in ogni caso affidarsi a nuove reti di trafficanti”.

Quelli che invece in Italia vogliono restare, come i minori egiziani per esempio, afferma ancora Raffaela Milano, incontrano un sistema di accoglienza, scolarizzazione e inserimento lavorativo, pieno di falle e di problemi. Per questo sempre più necessaria è l’entrata in vigore della legge già approvata dal Parlamento e prima in Europa nel suo genere, prevede un sistema nazionale strutturato ed efficace con garanzie precise su identificazione e ricongiungimenti familiari innanzitutto, come sottolinea Antonella Inverno responsabile area legale Save the Children:

“Tutto l’impianto della legge tende a evitare le fughe. Ci siamo resi conto, infatti, che mancava tra il ragazzo e il sistema di protezione la fiducia per tutti per problemi che l’Atlante delinea: un’accoglienza troppo prolungata nei centri che sono dedicati solo all’identificazione, la mancanza di un tutore certo e che segua individualmente il minore… Per cui pensiamo che garantire delle procedure uniformi su tutto il territorio nazionale con tempi certi e soprattutto riattivare una cittadinanza attiva, potrà riattivare un rapporto di fiducia tra chi arriva in Italia da minorenne da solo e le istituzioni che se ne devono occupare”

Tra le buone pratiche di cui questa legge fa tesoro è il ruolo dei tutori: non servono qualità particolari, ma solo buona volontà:

“Quello che ci ha colpito molto nel passato è stato scoprire che le persone italiane che conoscevano erano tutti operatori sociali. Ecco, quello che noi abbiamo voluto favorire, con questa legge, è un’integrazione reale, che passa attraverso un contatto e una relazione non professionale”.

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Centrafrica: cresce il rischio di violenze e massacri

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In Repubblica Centrafricana proseguono le violenze tra gruppi locali, che sempre più spesso coinvolgono la popolazione civile. Dopo i recenti massacri, che hanno causato la fuga di migliaia di sfollati, ora anche nella città di Bambari cresce la paura per possibili massacri. In questa situazione da anni opera l’organizzazione Medici Senza Frontiere, che nei suoi centri cura i feriti e cerca di fronteggiare i numerosi casi di malaria, diarrea e malnutrizione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Federica Nogarotto, direttore supporto alle operazioni di Medici Senza Frontiere: 

R. – Negli ultimi nove mesi, le cose andavano molto meglio; i conflitti e le incomprensioni – chiamiamole così – soprattutto nelle grandi città, sembravano essersi placate quindi c’era di nuovo una convivenza della popolazione che ci faceva sperare nel meglio. Dall’inizio di giugno, invece, tutto ciò è crollato un’altra volta, facendoci veramente temere di tornare a ciò che è successo un paio d’anni fa, dove ci sono state uccisioni a tappeto. E quindi di nuovo abbiamo paura che ci siano gli stessi massacri che sono successi nel 2013 e nel 2014.

D. – Perché sta crescendo la paura, in particolare nella città di Bambari?

R. – Bambari è la seconda città più grande del Centrafrica dove, dopo i massacri del 2013-2014, la popolazione si è sentita sicura e si è rifugiata e dove c’è una convivenza direi abbastanza civile. A Nord di Bambari, ad Alindao, ci sono stati invece dei massacri l’8 maggio e da lì una parte della popolazione è scappata e si è mossa verso Bambari. Ecco che quindi Bambari è una città molto grande, ma essendoci stati questi massacri attorno si teme che arrivino anche fino a Bambari.

D. – Medici senza frontiere sta intervenendo in supporto della popolazione, immagino per i feriti causati dalle violenze ma anche per il rischio epidemie …

R. – Ciclicamente ci sono casi di malaria, di colera; ci sono casi di diarrea, malnutrizione acuta … Quello che stiamo vedendo nelle ultime settimane è un aumento di questi casi, oltre al fatto che riceviamo parecchi feriti: sono feriti da guerra, per scontri, e da violenze con arma bianca, ma anche feriti da arma da fuoco.

D. – Invece, per quanto riguarda la malnutrizione, è importante che si muova la comunità internazionale con programmi organizzati …

R. – Noi, avendo un ospedale, chiaramente riceviamo anche casi di malnutrizione. E infatti, abbiamo avuto e sono aumentati, casi di malnutrizione acuta: sono i famosi casi che devono rimanere in ospedale per settimane perché vanno curati dal punto di vista medico, oltre che dal punto di vista nutrizionale. E’ chiaro che a questa, che è la fase acuta di un intervento nel caso di malnutrizione, si deve accompagnare tutta la fase di prevenzione e di assistenza alimentare – a questo punto non solo nutrizionale – alla popolazione.

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Roma: chiudere i campi rom, ma vagliare alternative possibili

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Una moratoria sui nuovi arrivi nella Capitale a causa della «forte presenza migratoria e il continuo flusso di cittadini stranieri. Questo il contenuto di una lettera firmata dalla sindaca Virginia Raggi e inviata al Prefetto di Roma. Intanto il Movimento 5 Stelle sul blog di Grillo, commentando il piano Raggi per fronteggiare l’emergenza dei campi rom, ha evidenziato l’imminente chiusura di questi spazi come un ritorno alla legalità. E già alcuni giorni fa la sindaca aveva annunciato la progressiva fine di due insediamenti: quello della Monachina e quello della Barbuta. Ascoltiamo il commento di Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, che si occupa dei diritti dei più deboli, raccolto da Marina Tomarro

R. – Il piano presentato dalla sindaca Raggi il 31 maggio lo abbiamo definito un “fake plan” perché è un contenitore vuoto, ancora da riempire. L’unica azione concreta è il superamento, o meglio come lo chiamano gli amministratori capitolini, lo smantellamento dei due insediamenti, Barbuta e Monachina, attraverso dei fondi europei, di 3.8 milioni di euro. Questo però è un processo che durerà diversi anni e che riguarderà solamente alcune persone e non tutte quante le 700 persone presenti e quindi noi guardiamo con profonda preoccupazione a quello che sarà il futuro. Un futuro che fino ad oggi ci ha portato a sgomberi forzati. Nei prossimi giorni si chiuderà forzatamente un insediamento, quello di Camping River, quindi 420 persone si troveranno per strada. Tutto questo fa preoccupare.

D. – Se chiudono questi campi rom dove potranno andare queste persone, quali dovrebbero essere le alternative?

R.  – In diversi casi abbiamo illustrato alla stessa sindaca Raggi ciò che dice l’Europa, ciò che dice la strategia nazionale di inclusione rom che parla di un ventaglio di soluzioni. Oggi noi dobbiamo considerare che i rom che vivono nella capitale corrispondono un po’ a quelli che erano i baraccati degli anni ’60 e ’70 che vivevano nelle nostre periferie ma con numeri estremamente maggiori. Se negli anni ’50, ’60 a Roma c’erano 100 mila baraccati oggi non sono più di 6mila, 7mila i rom che vivono nelle baraccopoli della capitale. Quindi è un problema assolutamente risolvibile dando risposte sul fronte casa. Esiste un patrimonio immobiliare abbandonato da parte delle istituzioni, ci son famiglie che sono parzialmente incapaci di sostenere un affitto. C’è lo sblocco delle case popolari da operare, quindi ecco i fronti sono tanti, sono tanti gli interventi che potrebbero essere fatti per riconsegnare il diritto alla casa, non solo alle comunità rom che vivono un disagio abitativo ma a quanti di fatto, anche non rom, si trovano a vivere oggi senza una casa nella capitale.

D. - Quali sono le condizioni dei campi rom, come vivono?

R.  – Oggi sono assolutamente drammatiche. Dopo mafia capitale, di fatto è stato smantellato tutto il sistema buono e cattivo che c’era attorno ai campi rom e quindi anche tutto il sistema di sostegno legale, di sostegno sociale, di sostegno scolastico. Oggi i campi sono vere e proprie favelas abbandonate, terra di nessuno, terra del più forte dove molte famiglie subiscono prepotenze, dove la criminalità e la microcriminalità è particolarmente radicata. Si tratta quindi di territori dove è difficile realmente intervenire ma per un abbandono istituzionale. Non dimentichiamo che a Roma ci sono 11 insediamenti formali, cioè realizzati e progettati, gestiti dalle istituzioni ma che di fatto sono nel completo abbandono e dei quali invece le istituzioni hanno precise responsabilità.

D. – Oltre ai campi rom la sindaca Raggi ha chiesto una moratoria sui nuovi arrivi nella capitale, cosa ne pensa?

R. – A Roma c’è il grande problema dei transitanti, ovvero le persone che passano per Roma, persone sbarcate da pochi giorni e che compiono questo viaggio per tutta quanta le penisola. Si tratta nel periodo invernale di un piccolo gruppo di persone, 70-80 persone che nel periodo estivo aumentano a 200-300 unità, un numero assolutamente esiguo di persone che vivono sulla strada. Purtroppo queste dichiarazioni ci sembrano legate a una precisa propaganda politica per rispondere alla pancia delle persone ma di fatto non danno risposte ai problemi della città e alle persone che la vivono e a quanti passano per questa città per cercare una vita, cercare una speranza.

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Mons. Viganò: Chiesa e comunicazione, dal Concilio ad oggi

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Dal Concilio Vaticano II ad oggi, l’approccio della Chiesa alla comunicazione è cambiato così come è profondamente cambiato il contesto comunicativo. A fotografare le tappe di questo percorso è l’intervento di mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, oggi pomeriggio alla IX edizione della Summer School, organizzata dal Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa per il Movimento Cristiano Lavoratori e in corso da oggi al 17 giugno presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Chiesa e comunicazione. Dall’Inter Mirifica a Papa Francesco”: il tema della relazione di mons. Viganò. Il servizio è di Debora Donnini

Quella che si è compiuta negli anni è una vera e propria rivoluzione della comunicazione: dai media separati, uno schermo, una radio, un giornale, a quelli che sono ormai ambienti di vita e relazione. La rivoluzione della comunicazione nell’era digitale su cui si interroga quest’anno la Summer School offre l’occasione a mons. Dario Edoardo Viganò di riflettere su come la Chiesa abbia cambiato anch’essa il suo approccio.

Si parte dal Concilio Vaticano II. L'interesse dei media cresce via via sempre di più: si moltiplicano i servizi, le inchieste, le trasmissioni. Ed è proprio il decreto del Concilio Inter Mirifica a segnare per la prima volta in maniera ufficiale la presa in carico delle comunicazioni di massa da parte della Chiesa cattolica. Una tessera fondamentale, dunque, nel mosaico che mons. Viganò propone per ricostruire questo tratto di storia. E la pietra miliare fu proprio che la Chiesa iniziò a “utilizzare gli strumenti di comunicazione di massa, pur se concependoli ancora come un megafono mediante il quale annunciare il Vangelo, con la convinzione sottostante che maggiore fosse stata la quantità dei mezzi di comunicazione, più ampia sarebbe risultata l’efficacia della comunicazione stessa”. Rimarcato anche il ruolo centrale della Chiesa nello sviluppo dell’industria culturale del Paese. Basti pensare che negli anni ’60, la metà delle 12mila sale cinematografiche sono cinema parrocchiali. Tappe di questa ricca storia sono, poi, la nascita del Centro Televisivo Vaticano nel 1983,  e la Chiesa italiana che nel 1998 progetta Sat2000, oggi Tv2000.

Alle soglie degli anni Duemila con i media digitali, si inizia quindi a delineare quella condizione postmediale in cui non si può stabilire cosa sia mediale e cosa non lo sia: non si è più dentro o fuori i media, ma i media siamo noi, diceva Ruggero Eugeni. Una storia che arriva fino a noi. La Chiesa sta, infatti, oggi vivendo una nuova tappa voluta da Papa Francesco con la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio con la quale ha istituito la stessa Segreteria per la Comunicazione guidata da mons. Viganò. Le strade da percorrere per annunciare il Vangelo sono ormai anche digitali, affollate di umanità. Una sfida colta da Francesco che “ha chiesto un grande sforzo a tutti i media vaticani affinché si mettano in gioco in un processo di ripensamento e di riqualificazione”. Non solo.

Papa Francesco è lui stesso “social” cioè, dice mons. Viganò, “accetta di entrare nei selfie, twitta” e la sua stessa comunicazione è contraddistinta, in primo luogo, dalla “gentilezza”, ricorre a messaggi semplici, contrasta l’autoreferenzialità, la sua voce arriva a tutti ancorandosi alla vita quotidiana con il suo stile narrativo. La parola d’ordine è prossimità. Ma soprattutto la sua narrazione non è opponente ma inclusiva: nessuno viene tagliato fuori dall’annuncio del Vangelo. “Sa perfettamente – rileva mons. Viganò - che il problema di comunicazione della Chiesa non è un problema esclusivamente di tecnologie”. “Non si tratta quindi - spiega ancora il prefetto della Segreteria per la Comunicazione - di trasferire i medesimi contenuti dei bollettini parrocchiali dalla carta stampata al portale, bensì di operare una convergenza digitale, ossia di elaborare contenuti multimediali, immagini, videonews e podcast, sfruttando tutto il potenziale della Rete per collegare popoli e culture”.

La questione supera dunque la pur necessaria competenza mediale su linguaggi, formati e strumenti e invita a “rinascere dall’alto” perché la nostra vita e la nostra comunicazione siano opera dello Spirito.

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L'Avis celebra la Giornata mondiale del donatore di sangue

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Ricorre oggi la Giornata Mondiale del donatore di sangue, istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2004. Gli obiettivi degli odierni festeggiamenti sono quelli di incoraggiare i cittadini ad una donazione periodica e consapevole, coinvolgendo anche le istituzioni nazionali ed internazionali nella battaglia contro le situazioni di emergenza quotidiane. L’Associazione Volontari Italiani del Sangue, Avis, è impegnata attivamente da anni, a livello nazionale, in tal senso. Giulia Bedini ne ha parlato con Claudia Firenze, responsabile della comunicazione di Avis nazionale: 

R. – Il 14 giugno è la data di nascita di  Karl Landsteiner, il biologo austriaco che scoprì i gruppi sanguigni: è questa una ricorrenza di importanza epocale non solo nel mondo della scienza ma anche in quello della donazione del sangue. È, inoltre, un modo per ringraziare i 112 milioni di donatori nel mondo e un’occasione per fare il punto su quelle che sono le sfide odierne e future. Per questo, si sta svolgendo oggi un’iniziativa al Ministero della salute, qui a Roma, alla presenza del ministro Lorenzin. Lo slogan della Giornata mondiale di quest’anno è: “Dona sangue, dona ora, dona spesso”, un invito ad imprimere ancora di più l’idea del donatore non occasionale, ma capace di seguire una programmazione ben precisa. Un donatore che ci mette tanto cuore, ma che ci mette anche la testa.

D. – Perché, quindi, è importante un donazione nei momenti di emergenza e una donazione periodica?

R. - È un modo soprattutto per sconfiggere i momenti di necessità e i momenti di carenza specifici. Proprio per questo, l’idea è quella di avere un donatore che sia consapevole, un donatore che vada a donare quando serve quanto serve, per evitare che ci siano momenti di carenza o, all’opposto, che ci siano momenti di esubero. Il discorso diventa molto articolato: questo lo possiamo fare proprio perché abbiamo un rapporto con i nostri donari che è continuo.

D. - Che cosa si può e si deve ancora fare a livello istituzionale ed internazionale?

R. - A livello istituzionale è importante fare rete: abbiamo sia a livello italiano che europeo tanti soggetti che si occupano di sanità, di donazione di sangue. Tutto questo si lega anche ad un’idea di cittadinanza attiva, di cultura della solidarietà e gli aspetti chiamati in causa divengono molteplici. Sicuramente è importante parlare di donazione di sangue con tutti: con i più e con i meno giovani, con le donne e con i nuovi cittadini. Più l’apporto è plurale, anche in termini di donazioni, più il sistema ne trae beneficio. È facile riuscire a trovare la motivazione giusta: il donatore è una persona che ha la fortuna e il privilegio di essere un buona salute e di essere utile agli altri.

D. - Ricorrono quest'anno i 90 anni di Avis. Qual è l’appello che Avis vuole lanciare anche per ringraziare i numerosi donatori che ogni anni aiutano l’associazione?

R. – In tale occasione abbiamo lanciato un hashtag - #90AVIS - per raccontare i nostri 90 anni di storia e i nostri valori che sono ancora attuali oggi, dopo appunto 90 anni. Abbiamo voluto ringraziare quelle persone che 90 anni fa a Milano risposero all’appello di Vittorio Formentano, un medico trasfusionista che decise di fondare l’Avis, un’associazione di persone volontarie che donassero sangue in maniera gratuita. 17 persone risposero al suo appello, e ora dopo 90 anni, i volontari dell’Avis sono oltre un milione e 300mila! Abbiamo cercato anche di guardare al futuro, provando a ringraziare le persone che in questi anni sono stati con noi e quelle che ci saranno in futuro.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 165

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