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Sommario del 16/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Santa Marta: la potenza di Dio salva da debolezze e peccati

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Prendiamo “coscienza” di essere deboli, vulnerabili e peccatori: solo la potenza di Dio salva e guarisce. Questa l’esortazione di Papa Francesco nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Giada Aquilino

Nessuno di noi “può salvare se stesso”: abbiamo bisogno “della potenza di Dio” per essere salvati. Papa Francesco riflette sulla seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi - in cui l’apostolo parla del mistero di Cristo, dicendo “abbiamo un tesoro in vasi di creta” - ed esorta tutti a prendere “coscienza” di essere appunto “creta, deboli, peccatori”: senza la potenza di Dio, ricorda, non possiamo “andare avanti”. Questo tesoro di Cristo - spiega il Pontefice - lo abbiamo “nella nostra fragilità: noi siamo creta”. Perché è “la potenza di Dio, la forza di Dio che salva, che guarisce, che mette in piedi”. Ciò in fondo è “la realtà della nostra vulnerabilità”:

“Tutti noi siamo vulnerabili, fragili, deboli, e abbiamo bisogno di essere guariti. E lui lo dice: siamo tribolati, siamo sconvolti, siamo perseguitati, colpiti come manifestazione della nostra debolezza, della debolezza di Paolo, manifestazione della creta. E questa è la nostra vulnerabilità. E una delle cose più difficili nella vita è riconoscere la propria vulnerabilità. Alle volte, cerchiamo di coprire la vulnerabilità, che non si veda; o truccarla, perché non si veda; o dissimulare … Lo stesso Paolo, all’inizio di questo capitolo dice: ‘Quando sono caduto nelle dissimulazioni vergognose’. Le dissimulazioni sono vergognose, sempre. Sono ipocrite”.

Oltre all’“ipocrisia verso gli altri”, prosegue Francesco, c’è anche quella del “confronto con noi stessi”, cioè quando crediamo di “essere un’altra cosa”, pensando “di non avere bisogno di guarigione” e “sostegno”. Quando insomma diciamo: “non sono fatto di creta”, ho “un tesoro mio”.

“Questo è il cammino, è la strada verso la vanità, la superbia, l’autoreferenzialità di quelli che non sentendosi creta, cercano la salvezza, la pienezza da se stessi. Ma la potenza di Dio è quella che ci salva, perché la nostra vulnerabilità Paolo la riconosce: ‘Siamo tribolati, ma non schiacciati’. Non schiacciati, perché la potenza di Dio ci salva. ‘Siamo sconvolti’ – riconosce – ‘ma non disperati’. C’è qualcosa di Dio che ci dà speranza. Siamo perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi. Sempre c’è questo rapporto tra la creta e la potenza, la creta e il tesoro. Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta. Ma la tentazione è sempre la stessa: coprire, dissimulare, non credere che siamo creta. Quella ipocrisia nei confronti dei noi stessi”.

L’apostolo Paolo, sottolinea il Papa, con questo modo “di pensare, di ragionare, di predicare la Parola di Dio” ci porta dunque a un dialogo “tra il tesoro e la creta”. Un dialogo che continuamente dobbiamo fare, “per essere onesti”. Francesco fa l’esempio della confessione, quando “diciamo i peccati - racconta - come se fossero una lista di prezzi al mercato”, pensando di “imbiancare un po’ la creta” per essere più forti. Invece dobbiamo accettare debolezza e vulnerabilità, anche se risulta “difficile” farlo: è qui che entra in gioco “la vergogna”:

“E’ la vergogna, quella che allarga il cuore perché entri la potenza di Dio, la forza di Dio. La vergogna di essere creta e non essere un vaso d’argento o d’oro. Di essere creta. E se noi arriviamo a questo punto, saremo felici. Saremo molti felici. Il dialogo fra la potenza di Dio e la creta: pensiamo alla lavanda dei piedi, quando Gesù si avvicina a Pietro e Pietro dice: ‘No, a me no, Signore, ma per favore! Cosa fai?’. Non aveva capito, Pietro, che era creta, che aveva bisogno della potenza del Signore per essere salvato”.

Sta quindi nella “generosità” il riconoscere “di essere vulnerabili, fragili, deboli, peccatori”. Soltanto se noi accettiamo di essere creta, conclude il Pontefice, la “straordinaria potenza di Dio verrà a noi e ci darà la pienezza, la salvezza, la felicità, la gioia di essere salvati”, ricevendo così il “tesoro” del Signore.

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Vescovo Cremona: Francesco e Don Mazzolari si integrano perfettamente

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“Pregustiamo l’incontro del 20 giugno” con Papa Francesco, “preparandoci nella preghiera” e “nella rilettura degli scritti” di Don Primo Mazzolari. E’ quanto scrive il vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, ai sacerdoti e ai fedeli della sua diocesi in attesa della visita del Papa a Bozzolo per rendere omaggio alla figura di Don Mazzolari. Sulle attese per questo evento che, pur avendo una dimensione privata, ha un grande significato per tutta la Chiesa italiana, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza proprio di mons. Antonio Napolioni

R. -  Lo attendiamo come una verifica del nostro cammino che è stato arricchito nella storia da figure profetiche come don Primo Mazzolari, ma talvolta anche rallentato dalle resistenze che uomini come lui, e oggi uomini come Papa Francesco, incontrano quando il Vangelo si fa troppo schietto e troppo esigente. È quindi un momento di conversione spirituale, pastorale, ecclesiale oltre che di gratitudine e di commozione.

D. - Don Mazzolari parlava della parrocchia “come ambulanza che deve soccorrere chi cade sul cammino”. Francesco, lo sappiamo, parla di “una Chiesa ospedale da campo”. Anche soltanto pensando a queste due immagini, si coglie una particolare comunanza, una sintonia tra Mazzolari e Bergoglio, vero?

R. - Certamente, si integrano perfettamente sullo sfondo, prima di tutto della tradizione cristiana, non solo della carità nei confronti dei poveri e delle fragilità umane, anche di quella carità del Vangelo che deve raggiungere ogni cuore, quindi ogni ricerca ansiosa problematica incerta. Per cui non esistono “i lontani”; esistono semmai coloro che noi lasciamo lontani dal Vangelo perché il comando missionario di Gesù, Andate e predicate il Vangelo a tutte le genti fino agli estremi confini della Terra, non viene attuato sufficientemente. Quando noi ci illudiamo di vivere in una società cristiana, coltiviamo posizioni acquisite nel tempo, che invece non resistono all’urto con la storia.

D. - Negli anni ci sono stati tentativi di politicizzazione della figura di don Primo. Questa visita sottolinea in un modo fortissimo anche l’autentica dimensione della testimonianza di Mazzolari, quella di un sacerdote in mezzo alla sua gente …

R. - I tentativi di politicizzazione non fanno giustizia neppure nel percorso storico di don Primo che è stato accusato di essere belligerante, vicino quindi agli interventisti, poi antifascista, poi anticomunista, tirato per la tonaca da una parte o dall’altra, a seconda di chi si sentiva più ferito e messo in discussione dalla sua predicazione evangelica che era esigente per la Chiesa stessa! Quindi tutte le semplificazioni politiche o ideologiche, dall’interno e dall’esterno della Chiesa, ci impediscono di ascoltare nel profondo il messaggio che chiama tutti a radicalità nell’impegno per il bene comune.

D. – “Profetico” è uno degli aggettivi che più frequentemente accompagnano don Mazzolari. Da ultimo lo ha così definito il cardinale Bassetti, presidente della Cei. Qual è secondo lei il messaggio profetico – appunto – più forte che vibra ancora oggi nella vita, nelle opere di don Mazzolari?

R. - Profeta non è colui che predice il futuro, ma colui che ascolta talmente la voce di Dio da saper andare all’essenziale dei problemi e diventare dunque capace di discernimento dei segni dei tempi e delle strade verso il futuro. Quindi la prima profezia sempre attuale è quella di chi si lascia talmente penetrare dal rapporto con Cristo da impegnarsi con Cristo nella storia. Quindi nel messaggio di don Primo, per quanto lui attinge al Vangelo, vediamo soprattutto l’Incarnazione, questa logica di Incarnazione di Dio nell’uomo e della Chiesa nella storia che non può esser mai data per acquisita una volta per tutte perché ogni tempo, ogni società, ogni modernità, può essere luogo di Dio. Quindi c’è una fiducia straordinaria, non in qualcosa di esteriore o di superficiale, ma nella forza che Dio ha impresso all’interno della storia umana facendone storia di salvezza.

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Don Ciotti: denunciare la corruzione è un impegno evangelico

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“Denunciare i danni della corruzione e intraprendere una lotta per sradicarla è un impegno della Chiesa, al fianco della quale servono leggi e una profonda rivoluzione culturale”. Questa in sintesi la riflessione di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, Associazione contro le mafie, al termine del “Dibattito sulla corruzione” svoltosi ieri in Vaticano. Forte l’appello del sacerdote, ad una cittadinanza che sia attiva: ma sentiamo le parole di don Ciotti nell’intervista di Fabio Colagrande

R. - È anche un impegno evangelico, anche un impegno della Chiesa, alzare la voce quando in molti seguono un prudente silenzio. Un gruppo di noi ha lavorato in questi mesi e in questo momento il nostro lavoro è un po’ allargato a  livello internazionale. Si va nella direzione di ricerca degli strumenti per fare la nostra parte come Chiesa. Una Chiesa che ci invita a guardare verso il cielo, ma a non distrarci dalle responsabilità che abbiamo verso la terra. La mafie, la corruzione, le forme di illegalità, le ingiustizie, le diseguaglianze, le povertà devono porci dei problemi, devono graffiare le nostre coscienze. Ci sono tre livelli. Il primo è certamente quello educativo, perché la responsabilità dell’educare e educare alla responsabilità mi sembra molto importante. Il secondo livello è l’impegno culturale, perché è la cultura che dà segno alle coscienze. Abbiamo bisogno di conoscenze perché la conoscenza è la via maestra del cambiamento. Quindi questo è anche un momento di scambio, di conoscenza, confronto e ascolto reciproco. E, infine, un altro grande impegno è quello di allargare la partecipazione, la presenza e l’impegno dei cittadini. Il cambiamento, infatti, ha bisogno certamente delle istituzioni, ma anche bisogno - dal basso e soprattutto da dentro – di una rivoluzione culturale etica e sociale. Oggi serve un movimento che ci coinvolga di più tutti per rendere protagonisti e partecipi i cittadini. Allora non bastano le sole leggi: sono importanti, ma serve un risveglio delle coscienze.

D. - E Papa Francesco quale contributo particolare sta portando su questo aspetto?

R. – Ha indicato la strada, ci invita umilmente a lavorare, chiede a tutti noi di portare, ognuno dal proprio territorio – qui c’è un mondo presente – la propria sensibilità, le proprie esperienze e anche le pratiche. A me sta a cuore sottolineare che non dobbiamo crearci idoli. Ad esempio, in Italia c’è il rischio che la legalità diventi un idolo. Una parola astratta, che diventa educativa nelle scuole ma non è poi una parola di vita che si traduce concretamente. Legalità, per non essere una cosa astratta, deve voler dire lavoro, scuola, sostegno alle famiglie, contrasto al gioco d’azzardo e a tutte quelle forme subdole che c’impoveriscono un po’ tutti.

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Mons. Nosiglia: gioia per il ritrovamento della reliqua di don Bosco

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Grande sollievo per il ritrovamento della reliquia di don Bosco, rubata lo scorso 2 giugno nella Basilica di Castelnuovo dedicata al Santo, nell’Astigiano. L’autore del furto, convinto di poter lucrare con la vendita del reliquiario, è stato arrestato. L’ampolla contenente la reliquia è stata ritrovata nella casa dell’uomo, un pregiudicato, nascosta all’interno di una teiera di rame e fortunatamente integra. Luca Collodi ha intervistato mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino: 

R. - Siamo veramente molto contenti, abbiamo pregato tanto. È stata una preghiera corale in tutta la diocesi e in tutto il mondo perché don Bosco è un santo amato da tutti i giovani, e non solo, di tantissimi Paesi. Tutto questo ha avuto un risultato positivo. Avevo detto più volte che a mio avviso la reliquia sarebbe stata ritrovata, perché la popolarità del santo è tale che chi ha fatto questo gesto si sarebbe sentito molto isolato, molto criticato, non avrebbe potuto trovare sbocchi se magari avesse avuto l’intenzione di venderla per ricavarne dei soldi. Quindi ad un certo punto si sarebbe arrivati a riprenderla. Di fatto è accaduto questo e la cosa mi rende molto contento. Mi auguro, come ho detto nel mio comunicato, che questa persona si penta del male che ha fatto. Don Bosco sicuramente lo perdonerà e anche la Chiesa ha bisogno che questa persona faccia la sua parte e quindi collabori con la magistratura, con le forze dell’ordine per capire fino in fondo come è andata la faccenda.

D. - Mons. Nosiglia, un furto che ha unito nella tradizione religiosa popolare un’intera comunità …

R. - Sì, è stata anche nel male – diciamo così – un segno bello, importante, perché c’è stata una partecipazione corale da parte delle comunità religiose, delle parrocchie della nostra diocesi che si è sentita veramente depauperata di una reliquia così cara al cuore di tutti i torinesi. Tanto più che due anni fa è venuto Papa Francesco che è andato alla Basilica Maria Ausiliatrice, ha pregato sulla tomba di don Bosco. Avevano fatto anche un pellegrinaggio molto grande con i giovani  in occasione del centesimo anniversario durante l’estate cui hanno partecipato una marea di giovani. Questo è per noi un momento di grande gioia. Ringraziamo veramente il Signore che è stata ritrovata, che si possa riavere con noi anche questo segno. Don Bosco ci sarebbe sempre stato anche senza la reliquia, però è un segno popolare amato da tutti.

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Papa nomina p. Duffé segretrario dicastero Sviluppo Umano

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Papa Francesco ha nominato segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale il sacerdote francese Bruno Marie Duffé, del clero dell'Arcidiocesi di Lione, Cofondatore e Direttore dell'Istituto dei Diritti Umani dell'Università Cattolica di Lione, professore di Etica Sociale e Sanitaria presso il Centro Regionale di Lotta contro il Cancro Léon Bérard di Lione.

Autore di pubblicazioni sul tema dei diritti umani, padre Duffé ha partecipato, in qualità di esperto a diverse missioni internazionali con il mandato degli Alti Commissariati delle Nazioni Unite per i Diritti dell'Uomo ‑ HCDH e per i Rifugiati ‑ HCR, in collaborazione con varie ONG, fra le quali: Caritas, Terre des Hommes, Medici senza Frontiere.

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TWEET Papa 16 giugno

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Tweet oggi di Papa Francesco: "L’amore chiede una risposta creativa, concreta. Non bastano buoni propositi, gli altri non sono numeri, ma fratelli di cui prendersi cura".

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Oggi in Primo Piano



Russiagate: Trump indagato per ostruzione alla giustizia

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Doccia gelata per Donald Trump, indagato per ostruzione alla giustizia, nell’ambito del cosiddetto “Russiagate”, ovvero sul ruolo che Mosca ha avuto nella sua campagna elettorale. ''Stiamo assistendo alla singola caccia alle streghe piu' grande della storia politica americana'', il commento di Trump. Un reato grave quello per cui è indagato il presidente degli Stati Uniti, che rischia di farlo mettere sotto cosiddetto impeachment, ma che tuttavia conta di poter giocare la partita del suo potere politico, come spiega, al microfono di Paola Simonetti, Ferdinando Fasce, docente di storia Americana all’università di Genova:  

R. – Il reato consiste, appunto, in quello che si è detto, cioè in una azione che cerca in qualsiasi modo – attraverso pressioni, attraverso vari interventi da parte di un soggetto – di impedire alla giustizia di seguire il suo corso. In questo caso, nello specifico, i motivi sono dati dal fatto che il presidente avrebbe chiesto all’ex-direttore dell’Fbi di non indagare sul suo ex-consigliere, Flynn, e sui suoi rapporti con Mosca, e in secondo luogo avrebbe licenziato lo stesso – a questo punto, dopo il licenziamento “ex-direttore” dell’Fbi - perché non aveva accettato di seguire le sue indicazioni. Quindi, questo è il meccanismo. Si tratta di aggiungere, però, che dal punto di vista strettamente giuridico l’operazione poi di messa sotto inchiesta del presidente è riservata – secondo la procedura – alla Camera: quella è poi un’operazione di natura politica …

D. – A suo tempo Nixon, nel 1972, si dimise prima che l’impeachment fosse approvato. Secondo lei, Trump potrebbe essere capace di una mossa simile?

R. – Prima di tutto, in quel caso siamo al secondo mandato di Nixon, all’interno del secondo mandato. Qui siamo al primo mandato, dopo pochi mesi: quindi, c’è una bella differenza. Secondo: Nixon aveva contro tutto il Congresso, perché il Congresso era democratico. Questa è la seconda differenza. Terzo: quando Nixon si dimette, è perché il meccanismo di indagine è già partito. Allora, pur di evitare la valutazione – prima della Camera e poi del Senato – Nixon decide di farsi da parte. Qui, invece, siamo all’inizio della presidenza, cioè abbiamo un presidente che ha dalla sua tutto il Congresso repubblicano; per cui, si tratta di vedere … E’ da pensare che Trump pensi di potersela giocare, perché qui poi entra in campo il fatto che cosa è più dannoso per i Repubblicani del Congresso: difendere il presidente o no, in vista delle elezioni di metà mandato di novembre 2018? Questo sarà il grande terreno di negoziazione tra il presidente medesimo, il suo partito e il Congresso, che è controllato per ora dal suo partito.

D. – Trump, in realtà, nelle ultime ore ha già annunciato le prossime mosse politiche: blocco del flusso di denaro ai militari e ai servizi di sicurezza di Cuba e l’invio di altri 4 mila soldati in Afghanistan. Lui è sempre imprevedibile e anche repentino, molto disinvolto, nel mettere mano a questioni delicate, soprattutto estere. Possiamo definirle mosse un po’ muscolari, anche un po’ dimostrative?

R. – Sono mosse diversive. C’è tutta una storia di tradizioni di presidenti che giocano la carta estera che richiama sempre le emozioni, l’idea della sicurezza nazionale, “sto facendo qualcosa in quanto presidente, cruciale per la sicurezza nazionale”, che è un po’ come dire: “Lasciatemi lavorare, non infastidite, non date fastidio al manovratore che è impegnato a difendere la sicurezza nazionale e i destini internazionali del Paese”.

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Almeno 100 morti nel rogo di Londra. La polizia apre indagine

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Potrebbero essere oltre cento i morti nel rogo della Grenfell Tower, il grattacielo popolare di North Kensington a Londra, andato in fiamme per un corto circuito ad un frigorifero del quarto piano. Il bilancio ufficiale si ferma per ora a 17 vittime, e decine di feriti ma non c’è ormai speranza di ritrovare in vita i dispersi, al momento 76, tra i quali i due giovani architetti italiani Gloria Trevisan e Marco Gottardi. A 48 ore dall'incendio rimane la rabbia della gente del quartiere, che oggi protesta davanti a Westminster anche contro il premier britannico Teresa May. La polizia nel frattempo ha aperto un’indagine penale ma molti interrogativi restano da chiarire. Il commento di Gianfranco Neri, direttore del dipartimento di ingegneria all’Università Mediterranea al microfono di Cecilia Seppia: 

R. – Perché questo sia potuto accadere verrà valutato meglio dai periti, dagli esperti che dovranno esaminare e capire le ragioni intrinseche e strutturali. E’ evidente che c’è qualcosa negli impianti, nell’uso dei materiali, nella disposizione delle barriere antifuoco, delle porte antifuoco, qualcosa che non ha funzionato o magari più di una cosa che poi ha innescato una reazione a catena assolutamente incontrollabile e devastante.

D. – La colpa innanzitutto dei materiali scadenti, ma anche di una mancata cultura dell’abitare e del costruire a misura d’uomo…

R. – Direi proprio di sì. I materiali in sé non hanno colpa, la colpa è di chi  criminalmente li produce, li allestisce, li compone. Io credo che molto probabilmente una parte importante delle responsabilità sia da attribuire alla produzione, tutta improntata al profitto; a chi ha installato questi pannelli, agli imprenditori che si sono fatti carico del lavoro, agli architetti… Ecco, in questo senso, sì, a una cultura che sta dimostrando oltre che delle insufficienze, degli atteggiamenti criminogeni veramente preoccupanti per tutti quanti. E’ chiaro che se questo succede a Londra, succede in una delle città più importanti, in una delle metropoli più importanti e all’avanguardia del mondo, possiamo soltanto immaginare cosa potrebbe essere possibile in altre parti del mondo compresa l’Italia.

D. - Ecco, infatti, sarebbe potuto accadere in Italia, secondo il suo parere?

R. – Credo proprio di sì, anche perché questo edificio di Londra oltretutto era stato recentemente ristrutturato, mentre in Italia noi abbiamo edifici costruiti, dal dopo guerra ad oggi, secondo normative che già al tempo non erano assolutamente sufficienti e che non sono stati poi ripristinati o messi in condizione di sicurezza maggiore.

D. – Questa tragedia è avvenuta in un quartiere popolare, in un quartiere operaio. Nella Grenfell Tower c’erano prevalentemente immigrati, anche due italiani che mancano ancora all’appello… Gente che era lì e pagava anche degli affitti piuttosto alti pur di avere un tetto. Quindi si riapre la questione del diritto alla casa, ad  una casa sicura, dal raggiungimento del quale siamo ancora lontani tanto in Inghilterra quanto in Italia…

R. – Il problema della casa come diritto è stato al centro della discussione politica e sindacale della cultura italiana degli anni '50-'60 che attraverso degli scontri, a volte molto seri, è riuscita ad arrivare ad una sintesi che sono poi le case costruite dall’ente INA-casa e che hanno creato gli ambienti su cui poi le città si sono conformate e che costituiscono delle parti di città dove si riesce a vivere una vita decente e serena. Oggi tutto questo è più difficile perché mancano gli interlocutori o perlomeno gli interlocutori non sono più in grado di trasformare questi argomenti in dibattito, in cultura.

D. - Tragedie che lasciano sgomenti e che potevano essere evitate ma anche tragedie che ci richiamano al grido del Papa a proteggere la casa comune e proteggere la casa comune vuol dire anche costruire a misura d’uomo…

R. – Certo, lei ovviamente fa riferimento all’Enciclica "Laudato sì" e dovrebbe essere secondo me il vademecum di tutti coloro che si occupano dei problemi e si fanno carico dei problemi dell’architettura, della città, dell’ambiente. Dovrebbe essere un libro di testo obbligatorio da dare ai costruttori, agli architetti, alle persone che vanno ad abitare le periferie. Credo che attualmente sia la sintesi e il punto più avanzato cui possa tendere il dibattito sulla città e sull’architettura oggi.

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Siria: ad Aleppo riprende la vita nonostante la distruzione

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Sta avendo sempre maggiori conferme la notizia diffusa da Mosca, secondo la quale il leader del sedicente Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, potrebbe essere stato ucciso in un raid russo in Siria contro postazioni ribelli e del Califfato. A dirlo è il ministero della difesa russo. Intanto anche nel resto del Paese si continua a combattere, ma non mancano segni di speranza. E’ quanto riferisce il giornalista francese Antoine Marie Izoard, capo redattore di Famille Chretienne, appena rientrato da Aleppo, una città parzialmente distrutta, ma dove i civili cercano di tornare alla normalità. L’intervista è di Hélène Destombes

R. – Aleppo è una città parzialmente distrutta ed è impressionante stare lì. Vedere questi palazzi crollati è un’emozione incredibile, però la società ricomincia a vivere, la gente ricomincia a vivere. Io ero lì durante il Ramadan e la sera il clima era abbastanza disteso. Si vede che la vita riprende. Ovviamente la società ha perso l’equilibrio che aveva prima, nel senso che gli uomini in età di lavoro hanno lasciato il Paese e sono andati a lavorare o all’estero o in altre zone della Siria. Quindi la società soffre la mancanza di uomini in età lavorativa e allora si trovano solo persone anziane, bambini, donne e questo crea una situazione un po’ difficile. Poi manca il lavoro, manca il commercio, mancano cibi, manca anche l’elettricità. E’  bene sapere che ad Aleppo, anche se l’acqua è tornata, l’energia elettrica non c’è o c’è solo due ore al giorno, per dire la verità due ore a notte e non si sa nemmeno quando arriva e quando viene tolta.

D. –  La principale sfida oggi è ricostruire la società: come i cristiani partecipano a questa ricostruzione?

R.  – Per ricostruire la società bisogna ricostruire le case, ma bisogna anche ricostruire gli uomini, i cuori. Io ho avuto l’opportunità di visitare la parrocchia latina di Aleppo, dei padri francescani, in particolare Ibrahim Alsabagh, che ha con lui quasi un’armata di giovani volontari pronti ad aiutare la gente e con questo gruppo cerca di procurare i soldi per i lavori di costruzione: si ricostruiscono le case, si aiuta a rimettere un balcone che è saltato con un missile, con una bomba, le finestre, i vetri che si erano pure rotti con le esplosioni durante la guerra… Siamo andati in zone interamente distrutte, con edifici che non si potevano più abitare. La parrocchia dà dei soldi, aiuta e segue, non dà solo i soldi, segue proprio i lavori per la ricostruzione delle case. Poi, una volta che tornano le famiglie – è questo il segno positivo – a questo punto, padre Ibrahim e la parrocchia aiutano anche a trovare lavoro, a cominciare un lavoro nuovo o a rimettere in piedi l’attività che si svolgeva prima. Io ho incontrato un autista, un tassista, un coiffeur, un uomo che faceva il ghiaccio per gli alberghi e i ristoranti e padre Ibrahim e la parrocchia li hanno aiutati con i “piccoli progetti possibili”, questo è anche il nome dell’iniziativa che sta funzionando in modo incredibile, a ricominciare un’attività. Questo permette a loro di essere autonomi e quindi di ricominciare a sperare.

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Abu Dhabi, moschea dedicata a Maria. Hinder: gesto di tolleranza

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Un gesto importante di “tolleranza” e un passo di “avvicinamento positivo” della leadership musulmana verso i cristiani, che mostra “apertura e interesse al dialogo”. È quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), commentando la decisione dei vertici degli Emirati di rinominare una moschea di Abu Dhabi, dedicandola alla Madonna. La moschea, aggiunge il presule, “sorge nei pressi della cattedrale di San Giuseppe” e questo gesto indica, almeno idealmente, la volontà di riunire “la sacra famiglia” coinvolgendo entrambe le religioni.

Consolidare i legami di umanità
Il 14 giugno scorso Sheikh Mohammad Bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario e ministro della Difesa di Abu Dhabi, ha deciso di rinominare una moschea del distretto di Al Mushrif. Dedicata in origine a Sheikh Mohammad Bin Zayed, oggi la moschea si chiama “Mariam, Umm Eisa”, il nome arabo di “Maria, madre di Gesù”. Dietro la scelta, la volontà della leadership degli Emirati di “consolidare i legami di umanità” fra “fedeli di religione diversa” in un periodo di tensioni e violenze, anche a sfondo confessionale, che hanno ormai superato i confini della regione mediorientale.

Dialogo su due fronti
Il gesto della leadership musulmana ha incontrato il plauso dei rappresentanti dell’intera comunità cristiana, cattolica e protestante, a conferma dell’esempio di apertura e tolleranza mostrato dagli Eau in un contesto regionale di caos e violenze confessionali. Una apertura corrisposta dai cristiani, come testimoniato dalla decisione presa nei giorni scorsi da una parrocchia di Al Ain, che ha aperto le proprie porte per la preghiera di ṣalāt al-maghrib, la quarta della giornata che si recita subito dopo il tramonto. Il luogo di culto cristiano ha ospitato fino a 200 musulmani, in maggioranza lavoratori immigrati.

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Filippine: 500 anni di Vangelo, preparativi per il 2021

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E’ in pieno svolgimento nelle FIlippine la preparazione per il 500.mo anniversario dell’arrivo del Vangelo nel Paese (era il 1521): “Per prepararsi adeguatamente a questo importante appuntamento, la Chiesa nelle Filippine ha disposto un ciclo di nove anni (dal 2013 al 2021) che culmineranno con l’Anno Santo dell’anniversario, il 2021”, spiega all'Agenzia Fides mons. Socrates C. Mesiona, vicario apostolico di Puerto Princesa, sull’isola filippina di Palawan. “Furono i missionari spagnoli a portare la fede cristiana nelle Filippine 500 anni fa e oggi il Paese con la popolazione cattolica più ampia in Asia (e quarto nel mondo) ha 86 diocesi”, ricorda il vescovo. 

Cristiani filippini, l’ora della missione
L'evento sarà l'occasione per rilanciare il carattere missionario della Chiesa filippina: “Abbiamo ricevuto il dono della fede cristiana attraverso i missionari che sono venuti nella nostra terra; ora i battezzati delle Filippine sono chiamati a donarla agli altri”, spiega il presule, che è tuttora direttore nazionale delle Pontificie opere missionarie nelle Filippine e segretario esecutivo della Commissione episcopale per le missioni.

Sparsi nel mondo
È interessante notare – ricorda il Vescovo – che “migliaia di sacerdoti, religiosi e laici cattolici filippini sono già adesso missionari in tutto il mondo. Tra le congregazioni che inviano continuamente missionari all'estero vi sono la Società missionaria delle Filippine (Missionary Society of the Philippines), i Laici missionari delle Filippine (Lay Missionaries of the Philippines), e centinaia di altri istituti e ordini religiosi (maschili e femminili) nati localmente, impegnati in quelle aree dove la predicazione del Vangelo è una grande sfida a causa dei delicati contesti sociopolitici”.

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Myanmar, dramma dei minori Rohingya. L'Onu: siano protetti

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Aumento delle spose bambine, minorenni chiusi in carcere e più in generale una situazione di dramma, quella dell’etnia Rohingya e dello Stato birmano di Rakhine che la ospita, dove la gente di questa minoranza è oggetto sistematico di violenze. C’è questo e altro nella denuncia fatta al Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra, dal relatore speciale per i diritti umani in Myanmar, Yanghee Lee.

Minori in carcere
Tra i primi a essere menzionato è il caso di 13 bambini detenuti dalla polizia di Rakhine: la Lee ha chiesto l’avvio di un'indagine immediata da parte del governo del Myanmar sulla morte di uno dei ragazzini, per chiarirne le circostanze e capire soprattutto perché non sia stata segnalata per quattro mesi. Tenere dei minori in cella, ha detto la Lee, dovrebbe essere considerata "rigorosamente come ultima risorsa".

Il governo tuteli i più giovani
Nel suo rapporto a Ginevra, il relatore speciale per i diritti umani in Myanmar ha notato che la situazione generale nello Stato di Rakhine rimane tesa, con notizie di stupri, torture, rapimenti. "Invito il governo a fare di più per proteggere tutti i bambini, inclusi quelli che sono costretti a lavorare, dall'abuso e dall'abbandono", ha detto la Lee, oltre a "intraprendere maggiori sforzi concordati e sistematici per frenare il linguaggio dell'odio e la violenza incoraggiata dai gruppi nazionalisti".

Myanmar, bene indice di sviluppo umano
Nonostante il quadro a tinte fosche dipinto da queste situazioni, Yanghee Lee si è voluta congratulata con il Myanmar per aver raggiunto una posizione media nella classifica relativa all'Indice di sviluppo umano, graduatoria che tiene conto dei diversi tassi di aspettativa di vita, istruzione e reddito nazionale lordo pro-capite dei Paesi del mondo. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Colf e badanti, in Italia sono 900 mila ma troppo lavoro nero

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Sono circa 67 milioni i lavoratori domestici nel mondo, di cui l’83% donne, e 11,5 milioni sono i migranti impegnati. Il lavoro di cura di colf e badanti è spesso fondamentale per tante famiglie, ma non di rado i diritti di queste persone non sono rispettati. E’ questo uno dei temi dell’odierna giornata internazionale del lavoro domestico. Alessandro Guarasci: 

Oramai colf e badanti sono parte integrante di tante famiglie. I rapporti di lavoro iscritti all’Inps nel settore domestico sono 886 mila. Di questi l’87,5% sono donne, mentre il 76% sono di origine straniera, circa 692 mila. Dal 2015 l’Europa dell’Est è stata l’area geografica da dove provengono quasi la metà dei lavoratori stranieri. In aumento sono le lavoratrici e lavoratori italiani che raggiungono ora quota 213 mila con un sostanziale incremento nel 2015: +13,0%. Le altre lavoratrici/ori provengono principalmente dalle Filippine o dall’America del Sud.

Il lavoro nero però è un male ancora difficile da estirpare. Raffaella Maioni, responsabile Acli Colf:

Tante persone non regolarizzano o regolarizzano per meno ore rispetto a quelle che prevederebbe il contratto. Quindi si stima che ci siano all’incirca oltre un milione e mezzo di lavoratori domestici, cioè colf e assistenti familiari. Ad esempio, dalla ricerca che abbiamo fatto noi 'Viaggio nel lavoro di cura', si evince come il 33 per cento delle assistenti intervistate svolgono addirittura mansioni infermieristiche, quindi parainfermieristiche, che tra l’altro non si potrebbero fare, e non hanno un contratto di lavoro in regola. Quindi, questo pone sicuramente delle questioni anche rispetto alla sicurezza per le lavoratrici, ma anche per le persone che sono assistite”.

Tra l’altro molte colf e badanti a fine età lavorativa avranno una pensione da fame, 200-300 euro. Eppure oramai da anni il loro apporto alla nostra società è fondamentale. Lorenzo Gasperini presidente di Cassa Colf:

"Queste persone sono uno dei motori dell’economia italiana, perché comunque il giro economico realizzato dalle famiglie italiane intorno al lavoro domestico è di 15 miliardi di euro, di cui sette solo sono in regola, emergono, tra retribuzioni e contributi. Mentre nel Nord Europa le istituzioni sono vicine alle famiglie, in Italia il welfare si basa molto sulla famiglia: cioè, il welfare dell’anziano spesso è in testa alla famiglia".

Dunque, serve rivedere la normativa per agevolare le famiglie ad assumere e dare più diritti a questi lavoratori, a cominciare dalla pensione per arrivare alla malattia e alla maternità. Ancora Maioni:

Una contribuzione dev’essere fatta sulla retribuzione percepita in modo tale che la contribuzione del lavoratore aumenti, in modo tale da poter garantire prestazioni previdenziali, quindi aumenti la malattia e la maternità. Questa cosa non deve gravare sulle famiglie, perché dall’altra parte abbiamo comunque famiglie che a volte sono deboli e non hanno la possibilità economica di sostenere una contribuzione di un certo tipo. Serve che una famiglia, un datore di lavoro sia incentivato a regolarizzare, portando in detrazione i costi del lavoro”.

 In affanno economico le famiglie spesso per pagare il lavoro di cura, sono costrette a tagliare le spese per la cura, la salute, l’alimentazione.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 167

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