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Sommario del 20/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco a Barbiana: la fedeltà di Don Milani al Vangelo

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Pellegrino “sulle orme di due parroci che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto scomoda, nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio”. E’ la definizione che Papa Francesco ha dato di se stesso, oggi, nel giorno della sua visita alla tomba di Don Primo Mazzolari, a Bozzolo, e poi a Barbiana su quella di Don Lorenzo Milani, colui che difese e promosse la dignità dei poveri dando loro la parola. Da Barbiana, il nostro inviato Luca Collodi

“Ridare la parola ai poveri perché senza parola non c’è dignità. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società mediante il lavoro e la piena appartenenza alla Chiesa con una fede consapevole”. Così Papa Francesco ha reso omaggio stamani alla memoria di Don Lorenzo Milani nel 50.mo della scomparsa. Un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone. “Il gesto che oggi ho compiuto - ha detto ancora Papa Francesco - risponde a quella richiesta più volte fatta da Don Lorenzo al suo vescovo e cioè che fosse riconosciuto o compreso nella sua fedeltà al Vangelo". Gli arcivescovi di Firenze lo hanno fatto più volte, oggi lo fa il vescovo di Roma. La scuola per Don Milani non era un discorso diverso dalla missione di prete ma il modo concreto di svolgere quella missione: dare la parola ai poveri vale anche oggi ai nostri tempi in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso.

“Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia. Di quella umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità”. 

Da Barbiana, ha ringraziato anche tutti gli educatori che crescono le nuove generazioni: è una missione difficile ma piena di amore perché non si può insegnare senza amare. Il Papa si è poi rivolto ai sacerdoti presenti, alcuni dei quali, i più anziani, hanno condiviso gli anni di seminario con Don Milani. Tutto in Don Lorenzo nasce dall’essere prete che ha radice nella sua fede. Aveva sete di assoluto -  ha sottolineato Papa Francesco - e "Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa", "con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni ma mai fratture, abbandoni”.

“Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: 'Mi preme - diceva -  soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio'”.

Congedandosi e prima di fare rientro in Vaticano, Papa Francesco ha ringraziato e benedetto i presenti, chiedendo preghiere affinché lui stesso possa prendere esempio dal "bravo prete", Don Lorenzo Milani. 

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Papa: Don Mazzolari ci esorta a essere Chiesa dei poveri, in cerca dei lontani

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Oggi il pellegrinaggio di Papa Francesco prima alla tomba di Don Primo Mazzolari, a Bozzolo, e poi di Don Lorenzo Milani, a Barbiana. La Chiesa non ignori più pastori come Don Primo Mazzolari, sacerdote “scomodo” perché vicino ai poveri e sempre alla ricerca dei “lontani”, ha affermato Francesco a Bozzolo, nella chiesa parrocchiale di San Pietro di cui fu parroco Don Mazzolari, e dove il Papa ha sostato in preghiera sulla tomba del sacerdote cremonese. Oggi, ha detto il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, sentiamo qui lo “stesso profumo di Vangelo”, che si respirava con Don Mazzolari. Quindi, il presule ha annunciato l’avvio del processo di Beatificazione di Don Primo, il prossimo 18 settembre. Da Bozzolo, il servizio del nostro inviato Alessandro Gisotti

“Anche io voglio bene al Papa”. E’ lo striscione che campeggia sull’edificio che ospita l’oratorio di Bozzolo. Una frase tratta dal titolo di un’opera di Don Primo Mazzolari, parole che riassumono il significato di questa visita di Papa Francesco tanto breve quanto intensa e che consegna un messaggio vibrante a tutta la Chiesa italiana. La visita che doveva essere “privata”, diventa una “festa di popolo”, il popolo di Don Mazzolari. Tantissimi i giovani che hanno accolto il Papa che, arrivato alla parrocchia di Bozzolo, si è lungamente soffermato con loro. Cori e applausi, sventolio di bandiere vaticane hanno accompagnato dunque l’ingresso del Papa nella chiesa di San Pietro dove, dopo aver reso omaggio alla statua della Madonna, si è recato alla tomba di Don Mazzolari dove si è soffermato in preghiera. Un gesto semplice e al tempo stesso fortissimo perché ha rappresentato l’abbraccio del Successore di Pietro ad un sacerdote “scomodo”, a volte incompreso, perché profetico.

Papa Francesco ha dunque pronunciato un appassionato discorso su Don Primo Mazzolari, più volte interrotto dagli applausi. Il Pontefice ha subito riconosciuto che la traccia lasciata da sacerdoti come Don Mazzolari è “luminosa”, “per quanto scomoda” ed ha ribadito che “i parroci”, quando “sono i volti di un clero non clericale”, sono “la forza della Chiesa in Italia”. Don Primo, ha detto, è stato definito il “parroco d’Italia” ed ha così rammentato le parole di Paolo VI che ammise come era difficile "tener dietro" a un profeta come il parroco di Bozzolo. Quindi, ha declinato l’attualità del suo messaggio, muovendo da tre “scenari che ogni giorno riempivano” gli occhi e il cuore di Don Mazzolari: “il fiume, la cascina e la pianura”.

“La sua parola, predicata o scritta – ha detto – attingeva chiarezza di pensiero e forza persuasiva alla fonte della Parola del Dio vivo, nel Vangelo” celebrato “in gesti sacramentali mai ridotti a puro rito”. Don Mazzolari, ha soggiunto il Papa, “non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente”.

Don Mazzolari  ha cercato di cambiare il mondo senza rimpianti per il passato
La sua profezia, ha ripreso, consisteva “nel legarsi alla vita delle persone che incontrava, nel cogliere ogni possibilità di annunciare la misericordia di Dio”:

“Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata. Nel suo scritto "La parrocchia", egli propone un esame di coscienza sui metodi dell’apostolato, convinto che le mancanze della parrocchia del suo tempo fossero dovute a un difetto di incarnazione”.

Il Papa ha quindi indicato tre strade che sviano dalla direzione evangelica: innanzitutto il “lasciar fare”, il “non sporcarsi le mani” guardando il mondo dalla finestra. “Questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano”. Il secondo metodo sbagliato, ha osservato, è quello dell’“attivismo separatista”. “Ci si impegna a creare istituzioni cattoliche” come banche e cooperative, ma si rischia di ritrovarsi con “una comunità cristiana elitaria” che favorisce “interessi e clientele con un’etichetta cattolica”. Il terzo errore, ha detto ancora, è il “soprannaturalismo disumanizzante”, la tentazione dello spiritualismo che preferisce le devozioni all’apostolato.  

Don Mazzolari è stato il “parroco dei lontani” perché li ha sempre cercati con amore
Ha così rivolto il pensiero alla cascina che, ha detto, era al tempo di don Primo, una “famiglia di famiglie. “La cascina, la casa – ha commentato il Papa – ci dicono l’idea di Chiesa che guidava don Mazzolari”. Anche lui, ha affermato Francesco, “pensava a una Chiesa in uscita”, quando diceva ai sacerdoti che “bisogna uscire di casa e di Chiesa, se il popolo di Dio non ci viene più”:

“Don Mazzolari è stato un parroco convinto che "i destini del mondo si maturano in periferia", e ha fatto della propria umanità uno strumento della misericordia di Dio, alla maniera del padre della parabola evangelica, così ben descritta nel libro La più bella avventura. Egli è stato giustamente definito il “parroco dei lontani”, perché li ha sempre amati e cercati, si è preoccupato non di definire a tavolino un metodo di apostolato valido per tutti e per sempre, ma di proporre il discernimento come via per interpretare l’animo di ogni uomo”. 

Di qui lo sguardo misericordioso del parroco di Bozzolo nel chiedere di non massacrare “le spalle della povera gente”. Un appello che ha ripetuto con forza, a braccio, offrendolo come esortazione per i sacerdoti italiani e di tutto il mondo. “E se, per queste aperture, veniva richiamato all’obbedienza – ha rilevato – la viveva in piedi, da adulto, e contemporaneamente in ginocchio, baciando la mano del suo Vescovo, che non smetteva di amare”. 

La Chiesa diventi povera senza temere di attraversare zone d’ombra
Il terzo scenario, ha detto, “è quello della vostra grande pianura”, dove bisogna inoltrarsi senza paura, perché è in mezzo alla gente che si “incarna la misericordia di Dio”:

“Vi incoraggio, fratelli sacerdoti, ad ascoltare il mondo, chi vive e opera in esso, per farvi carico di ogni domanda di senso e di speranza, senza temere di attraversare deserti e zone d’ombra. Così possiamo diventare Chiesa povera per e con i poveri, la Chiesa di Gesù. Quella dei poveri è definita da don Primo un’“esistenza scomodante”, e la Chiesa ha bisogno di convertirsi al riconoscimento della loro vita per amarli così come sono”.

Francesco ha messo dunque l’accento sulla testimonianza di Don Mazzolari che ha vissuto “da prete povero, non da povero prete”. Ed ha evidenziato che “la credibilità dell’annuncio passa attraverso la semplicità e la povertà della Chiesa”. Solo così si potrà riportare “la povera gente” nella loro Casa e non facendo proselitismo, atteggiamento che “non è cristiano”:

Fare tesoro della lezione di Don Mazzolari, non ignorare più pastori così
“Siate orgogliosi – ha dunque detto rivolgendosi direttamente alla comunità di Bozzolo – di aver generato ‘preti così’, e non stancatevi di diventare anche voi ‘preti e cristiani così, anche se ciò chiede di lottare con sé stessi, chiamando per nome le tentazioni che ci insidiano, lasciandoci guarire dalla tenerezza di Dio”:

“Se doveste riconoscere di non aver raccolto la lezione di don Mazzolari, vi invito oggi a farne tesoro. Il Signore, che ha sempre suscitato nella santa Madre Chiesa pastori e profeti secondo il suo cuore, ci aiuti oggi a non ignorarli ancora. Perché essi hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni”. 

Francesco ha dunque concluso il suo discorso riprendendo una preghiera di Don Mazzolari sulla misericordia di Dio: “Nessuno è fuori della salvezza, o Signore, perché nessuno è fuori del tuo amore, che non si sgomenta né si raccorcia per le nostre opposizioni o i nostri rifiuti”. Dopo il suo lungo e appassionato discorso, Francesco ha visitato la sagrestia della parrocchia, l’umile studio di Don Mazzolari, dove gli sono stati mostrati alcuni ricordi e opere di Don Primo. Quindi, prima di lasciare Bozzolo per Barbiana, ha voluto salutare e benedire i tanti fedeli presenti nella piazza davanti la parrocchia di Don Primo e oggi anche di Papa Francesco.

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Card. Betori: la fede di Don Milani come donazione totale di se stesso

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Per un primo bilancio della visita a Barbiana, ascoltiamo il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze al microfono del nostro inviato, Luca Collodi

R. – Una bellissima giornata per la Chiesa di Firenze e per tutti coloro che amano Don Milani. E anche un modo per ricollocare Don Milani in una sua giusta luce: quel radicamento di fede a cui il Papa ha rimandato tutto il senso dell’esperienza di Don Milani. Credo che la sua figura debba riemergere con forza, oltre le letture spesso interessate che ne sono state date, soprattutto negli anni della contestazione – diciamo così – alla fine degli anni Sessanta, negli anni Settanta, quando è stato strapazzato di qua e di là: contro la scuola, contro tutto. E lui, invece, era un uomo “per”, non era un uomo “contro” e anche nella scuola non era certo un assertore di certe ideologie che andavano di moda in quel tempo. Quindi un uomo che deve essere ricondotto alla sua identità, che è l’identità della fede come donazione totale di sé a Dio e, donandosi a Dio, ai fratelli, soprattutto agli ultimi. Questo è il nocciolo di tutto.

D. – Don Milani è stato un prete che ha capito i cambiamenti del tempo, che potevano danneggiare la sua gente …

R. – Sì ma direi soprattutto che lui è stato un difensore della gente umile in un momento di passaggio della società italiana, che era appunto la fine della società agricola e l’inizio della società industriale, in cui molti valori saltavanoe nessuno se ne stava accorgendo. Anche perché i poveri, che ne dovevano essere i difensori, non avevano le "armi" – cioè la parola – per poterli difendere. Lui ha capito questo e si è schierato dalla parte degli ultimi per appunto, dar loro le "armi" per difendere la verità dell’uomo, la dignità dell’uomo e attraverso questo anche quindi la possibilità di creare situazioni di maggiore giustizia in questa società.

D. – In autunno ci sarà un grande convegno della Chiesa fiorentina proprio sulla pastorale, e qui rientra anche la pastorale di Don Milani …

R.- Sì, faremo un convegno proprio sull’esperienza pastorale di Don Milani, e questo sarà un convegno per ripensare la nostra pastorale alla luce di quello che l’esperienza pastorale ci dice non tanto nelle cose da fare – quelle sono legate a quei luoghi e a quei tempi - quanto alla capacità che occorre avere per leggere i nostri tempi, come Don Milani fece per i suoi tempi, e di trovare la chiavi per affrontare i problemi di oggi.

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Don Nistri: la personalità di Don Milani si avvertiva

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Ad ascoltare il Papa a Barbiana erano presenti ex-alunni e sacerdoti che hanno conosciuto Don Milani. Ascoltiamo al microfono del nostro inviato Luca Collodi uno di loro, don Silvano Nistri, storico della Chiesa fiorentina, che con Don Milani ha condiviso un anno di studi in teologia: 

R. – Io sono stato un anno in seminario con lui, non l’ho mai perso di vista.

D. – Che cosa le raccontava quando vi sentivate?

R. – Io sapevo un po’ tutta la sua storia. Forse ci siamo nascosti anche un po’, però l’ho seguito. Avevo amici comuni: don Cesare Mazzoni, il sacerdote che gli è stato più vicino, veniva da me…Quindi un po’ le notizie le sapevo.

D. – Lei si aspettava che dopo 50 anni un Papa venisse a Barbiana?

R. – No, non l’avevo previsto, però abbiamo sentito tutti che era una personalità. Magari non è stato capito fino in fondo il messaggio, ma – insomma –  la personalità c’era e si sentiva, si avvertiva. Era un uomo scomodo. Il confronto era scomodo.

D. – Don Nistri, lei cosa ricorda di don Milani? Qual è una cosa che ancora oggi la colpisce a distanza di tanti anni?

R. – Lui era un uomo che si metteva a disposizione. Io avevo soltanto una lettera di Don Milani che ho perso. Gli avevo detto che avevo visto “Ladri di biciclette” di De Sica, e allora mi ricordo che mi scrisse una lettera in cui era tutto entusiasta di questo film! Era un uomo che su tutte le cose aveva una sua lettura. Questa cultura – questo “logos” – questa parola, è veramente il messaggio più grande: tirare fuori da ogni uomo il “logos”, la parola che lui ha dentro, dargli i mezzi per poterla esprimere: questo è un po’ il suo apostolato e il suo messaggio.

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Vescovo Cremona: Papa da Don Mazzolari, giornata storica per Chiesa italiana

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Grande gioia di tutta la comunità di Bozzolo e della diocesi di Cremona per la visita di Papa Francesco in onore di Don Primo Mazzolari. Un evento che avrà un valore per tutta la Chiesa italiana. Ne è convinto il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, al microfono di Alessandro Gisotti, subito dopo la fine della visita papale: 

R. – Mi auguro che sia una giornata storica anche per la Chiesa italiana e per quella universale, perché prendiamo coscienza di quali profeti nascondiamo nel nostro passato, nella fatica di rispondere alle sfide della storia. Don Mazzolari ha prefigurato sfide e strade alle quali noi ora siamo davanti, come ha detto il Papa nel suo discorso. E quindi non può rimanere una memoria privata, di una parrocchia, e neppure di una diocesi, ma un richiamo alla ricerca di ulteriori profeti e messaggi. Non nascondiamoci la convergenza costante di tanti aspetti tra il Magistero di Papa Francesco e la vita e le parole di questo parroco di 70 anni fa. Questo ci dice che qualcosa ci impediva di accoglierlo allora. Prendiamo allora coscienza di che cosa ci può impedire di accogliere oggi profeti che Dio ci manda per essere vivi.

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Postulatore Causa Mazzolari: Papa ha lanciato forte messaggio ai preti di oggi

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La gioia per la visita del Papa si è arricchita anche dell’annuncio dell’avvio del processo di Beatificazione di Don Mazzolari, il prossimo 18 settembre. Il nostro inviato a Bozzolo, Alessandro Gisotti, ha intervistato don Bruno Bignami, postulatore della Causa e presidente della Fondazione Don Mazzolari: 

R. – Un forte messaggio ai preti e alla Chiesa di oggi di essere all’altezza del messaggio di Don Primo Mazzolari. Questo significa in primo luogo conoscerlo e farlo proprio e in secondo luogo cercare di attualizzarlo e di viverlo dentro il nostro contesto: una Chiesa che è diversa, che vive un secolo dopo ma che si trova ad affrontare anche tante sfide che Don Primo ha affrontato dentro la sua vita.

D. – Un discorso pieno di citazioni di scritti di don Mazzolari…

R. – Non solo, ma le citazioni che lui ha fatto di Don Primo sono citazioni che potrebbero essere prese da alcuni discorsi di Papa Francesco in questi ultimi anni. Questo dice la grande attualità del messaggio mazzolariano e dice la grande consonanza tra i due.

D. – Per lei che è il postulatore che cosa rappresenta questa Beatificazione?

R. – Significa sicuramente portare avanti e avere la consapevolezza che quello che stiamo facendo è veramente un messaggio ricco e straordinario. Per i tempi vedremo. Però il fatto che sia stato oggi annunciato, anche questo è significativo perché vuol dire anche avere affidato al Papa quel percorso e in qualche modo la benedizione sull’intero corso del processo di Beatificazione.

D. – C’è stato un momento privato ma non per questo meno importante: la visita in Sagrestia nell’umile ufficio di Don Mazzolari…

R. – Papa Francesco si è mostrato molto curioso di vedere i luoghi di Don Primo e anche di capire alcuni particolari della sua vita che gli abbiamo raccontato perchè, secondo me, venendo qui nei luoghi di Don Primo, è riuscito a entrare nel suo mondo. Ci ha fatto piacere per esempio il fatto che abbia ascoltato con grande attenzione quello che gli abbiamo raccontato rispetto ai documenti che gli abbiamo fatto vedere e che noi custodiamo in fondazione. Ci ha detto e ci ha esplicitamente esortato a continuare l’opera che stiamo facendo e quindi direi che più di così non potevamo pretendere.

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Il Papa al convegno della diocesi di Roma: l'adolescenza non è una patologia

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Una cultura sradicata, una famiglia sradicata è una famiglia senza storia, senza memoria, senza radici”. Il Papa lo ha detto stasera al convegno della diocesi di Roma. Poi un invito a stare accanto agli adolescenti, ricordando che questa fase della vita è un “tempo difficile”,  ma “non è una patologia”.

La preghiera in romanesco
Il convegno diocesano quest’anno è dedicato al tema: accompagnare i genitori, nell’educazione dei figli adolescenti. E il Papa dice che “la complessità della capitale non ammette sintesi riduttive”, la vita delle famiglie e l’educazione degli adolescenti non può essere presa “alla leggera”, e rivolgendosi alle famiglie afferma: “Voi vivete le tensioni di questa grande città”: il lavoro, la distanza dagli affetti, il tempo sempre limitato, i soldi che non bastano mai. Perciò, per semplicità, “la riflessione, la preghiera, fatela ‘in romanesco’, con volti di famiglie ben concreti e pensando come aiutarvi tra voi a formare i vostri figli all’interno di questa realtà”.

Attenzione alla società sradicata
La città di Roma rischia lo sradicamento. Francesco parla del fenomeno "crescente della società sradicata". Le “famiglie” “a poco a poco vanno perdendo i loro legami, quel tessuto vitale così importante per sentirci parte gli uni degli altri, partecipi con gli altri di un progetto comune. E’ l’esperienza di sapere che ‘apparteniamo’ ad altri (nel senso più nobile del termine). E’ importante tenere conto di questo clima di sradicamento, perché a poco a poco passa nei nostri sguardi e specialmente nella vita dei nostri figli. Una cultura sradicata, una famiglia sradicata è una famiglia senza storia, senza memoria, senza radici, appunto”.

E così, dice Francesco, “tante volte esigiamo dai nostri figli un’eccessiva formazione in alcuni campi che consideriamo importanti per il loro futuro. Li facciamo studiare una quantità di cose perché diano il ‘massimo’. Ma non diamo altrettanta importanza al fatto che conoscano la loro terra, le loro radici”. Un invito poi a non emarginare i nonni.

Adolescenza, fase di crescita per i giovani
Il Papa definisce l’adolescenza “un tempo prezioso nella vita dei vostri figli. Un tempo difficile, sì. Un tempo di cambiamenti e di instabilità, sì. Una fase che presenta grandi rischi, senza dubbio. Ma, soprattutto, è un tempo di crescita per loro e per tutta la famiglia. L’adolescenza non è una patologia e non possiamo affrontarla come se lo fosse”.

Dunque, “un figlio che vive la sua adolescenza (per quanto possa essere difficile per i genitori) è un figlio con futuro e speranza. Mi preoccupa tante volte la tendenza attuale a ‘medicalizzare’ precocemente i nostri ragazzi. Sembra che tutto si risolva medicalizzando, o controllando tutto con lo slogan ‘sfruttare al massimo il tempo’, e così risulta che l’agenda dei ragazzi è peggio di quella di un alto dirigente”.

Pertanto, “l’adolescenza non è una patologia che dobbiamo combattere. Fa parte della crescita normale, naturale della vita dei nostri ragazzi”. Così, i nostri ragazzi cercano di essere e vogliono sentirsi – logicamente – protagonisti”, “loro cercano in molti modi la ‘vertigine’ che li faccia sentire vivi. Dunque, diamogliela! Stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti…. Proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete”.

No alla frammentazione sociale
Ecco perché serve educare con attenzione. “Urge creare luoghi dove la frammentazione sociale non sia lo schema dominante – dice il Papa -  A tale scopo occorre insegnare a pensare ciò che si sente e si fa, a sentire ciò che si pensa e si fa, a fare ciò che si pensa e si sente. Un dinamismo di capacità posto al servizio della persona e della società. Questo aiuterà a far sì che i nostri ragazzi si sentano attivi e protagonisti nei loro processi di crescita e li porterà anche a sentirsi chiamati a partecipare alla costruzione della comunità”.

Attenzione all’eterna giovinezza e al consumismo
Per il Papa i nostri ragazzi oggi trovano molta competizione e poche persone con cui confrontarsi. Il mondo adulto ha accolto come paradigma e modello di successo l’“eterna giovinezza”. Sembra che crescere, invecchiare, “stagionarsi” sia un male. E’ sinonimo di vita frustrata o esaurita. Oggi sembra che tutto vada mascherato e dissimulato. Come se il fatto stesso di vivere non avesse senso”.

Dunque, sottolinea il pontefice “com’è triste che qualcuno voglia fare il ‘lifting’ al cuore! Com’è doloroso che qualcuno voglia cancellare le ‘rughe’ di tanti incontri, di tante gioie e tristezze!”.

L’altro pericolo è il consumismo, ne consegue che “educare all’austerità è una ricchezza incomparabile. Risveglia l’ingegno e la creatività, genera possibilità per l’immaginazione e specialmente apre al lavoro in équipe, in solidarietà. Apre agli altri”.

Grazie al card. Vallini
Francesco poi ha ringraziato il cardinale Agostino Vallini, che dal 29 prossimo il card. Vallini lascia l'incarico di vicario a mons. Angelo De Donatis. In questi anni, ha detto, il card. Vallini "mi ha tenuto con i piedi per terra".

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Il Papa in Cile e Perù a gennaio 2018

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Accogliendo l’invito dei rispettivi Capi di Stato e Vescovi, Sua Santità Papa Francesco compirà un Viaggio Apostolico in Cile dal 15 al 18 gennaio 2018, visitando le città di Santiago, Temuco e Iquique, e in Perú dal 18 al 21 gennaio 2018 visitando le città di Lima, Puerto Maldonado e Trujillo. Il programma del viaggio sarà pubblicato a suo tempo. Lo comunica la sala stampa vaticana.

"Una notizia molto bella che ci riempie di gioia", ha affermato il nunzio apostolico in Cile, mons. Ivo Scapolo, mentre mons. Santiago Silva, presidente della Conferenza episcopale cilena, ha commentato: "Il Papa ci viene a confermare nella nostra fede, in quello che stiamo vivendo come Chiesa, nell'impegno a formare una società molto più accogliente". Per l'arcivescovo di Santiago, il cardinale Ricardo Ezzati, "è una gioia molto grande che il Papa venga a farci una visita in Cile", e in particolare nella capitale, "dove una parte significativa della popolazione del Cile vive, lavora, sta costruendo la pace, la giustizia".

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Morto il card. Ivan Dias. Papa: un pastore saggio e gentile

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All’età di 81 anni si è spento a Roma il cardinale Ivan Dias, prefetto emerito della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, incarico preceduto da decenni di lavoro diplomatico a servizio della Santa Sede. Papa Francesco, in un telegramma di cordoglio, ricorda il pastore “saggio e gentile” e il suo “contributo alla ricostruzione spirituale e fisica della Chiesa sofferente in Albania e lo zelo missionario dimostrato nel suo lavoro come Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli”. Le esequie del porporato saranno celebrate domani alle ore 15 dal cardinale Angelo Sodano e al termine il Papa presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. Il ricordo del cardinale Dias in questo servizio di Alessandro De Carolis:

Mezzo secolo, poco meno, di servizio alla Santa Sede, il mondo come casa prima di approdare definitivamente a Roma. Dal 1964, quando entra in Segreteria di Stato, al 2006 quando Benedetto XVI lo chiama a dirigere il dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli, il cardinale Ivan Dias, originario di Mumbai, dove nasce il 14 aprile 1936, si occupa del servizio diplomatico in nazioni di quasi tutti i continenti.

Ministero internazionale
Tra il ‘65 e il ‘73 è segretario presso le Nunziature in Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Finlandia, Indonesia, Madagascar, Isola della Riunione, Isole Comore, Mauritius. Poi, fino all’82, è capo sezione presso la Segreteria di Stato per l'Unione Sovietica, gli Stati Baltici, Bielorussia, Ucraina, Polonia, Bulgaria. Si occupa – e sarà negli anni uno dei suoi impegni più minuziosi – dei rapporti con la Cina, e anche con il Viet Nâm, il Laos e la Cambogia. Poi il suo orizzonte si allarga all’Africa, in particolare ai contatti con Sudafrica, Namibia, Lesotho, Swaziland, Zimbabwe, Etiopia, Rwanda, Burundi, Uganda, Zambia, Kenya, Tanzania. Il 1982 è anche l’anno della sua consacrazione episcopale, che lo vede pro-nunzio apostolico in Ghana, Togo e Benin.

L’Albania post-dittatura
Dall’Africa all’Asia (’87-’91) nelle vesti di pro-nunzio apostolico nella Corea del Sud, quindi il ritorno in Europa, in quelle di pro-nunzio in Albania (’91-’97). Per il Paese delle aquile è un momento cruciale, l’anno zero dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il momento per la gente di trovare una nuova strada e per la “Chiesa soffrente” – come scrive Papa Francesco nel suo telegramma – l’ora della “ricostruzione spirituale e fisica”. In quel frangente, l’allora mons. Dias si fa voce della Chiesa albanese e di tanta parte della popolazione soprattutto in quel 25 aprile 1993, quando nella Cattedrale di Scutari, a Giovanni Paolo II venuto a ordinare quattro vescovi e quindi a ricostituire la gerarchia ecclesiastica dopo la fine del regime comunista, offre con commozione questo benvenuto: “Santo Padre, l'Albania la accoglie con profonda riconoscenza per la premurosa amicizia che Ella ha sempre dimostrato verso di lei e per esserle stato sempre vicino con la preghiera durante la lunga notte delle sue tribolazioni e vicissitudini”.

Ritorno in India, di nuovo a Roma
Nel 1996 arriva l’ora di rientrare in patria come arcivescovo di Bombay. Dieci anni di ministero pastorale, durante il quale riceve nel 2001 la porpora cardinalizia da Papa Wojtyla, quindi il ritorno a Roma su richiesta di Benedetto XVI, che lo nomina prefetto di Propaganda Fide, incarico che il cardinale Dias mantiene fino al maggio 2011. Negli ultimi anni, a Roma, la lotta serrata e discreta contro i mali che lo affliggono con quello stile “mariano” col quale lo ha voluto ricordare ad AsiaNews il suo successore alla guida della Chiesa di Mumbai, il cardinale Oswald Gracias.

Con il decesso del cardinale Dias, il Collegio cardinalizio risulta così composto: 220 cardinali in totale, 116 elettori e 104 non elettori.

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Card. Sandri: carità non è solo giustizia sociale ma seguire Cristo

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“Compiere la carità, progettare la solidarietà tra le Chiese, non è soltanto un atto di giustizia sociale, ma è un seguire le orme di Cristo, un continuare a rispondere alla sua chiamata, rimanendo suoi discepoli, e imparando a spezzare il pane della Parola e dei Sacramenti, a dividere il mantello che dona una vita dignitosa”. Così il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, questa mattina durante la Messa per l’apertura della 90.ma Sessione Plenaria della Roaco, la riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali. Il porporato in preghiera ha invocato l’intercessione di Maria e quella di “tutti i nuovi martiri che nelle terre d’Oriente hanno di recente versato il loro sangue confessando il nome di Cristo”.

Uniti ai tanti fratelli chiamati ad una testimonianza eroica del Vangelo
Il pensiero è andato quindi ai tanti “fratelli” in Siria, Iraq, Egitto, “chiamati ad una testimonianza eroica del Vangelo”. I novant’anni della Roaco, secondo il card. Sandri, sono un’occasione per riflettere, per un serio esame di coscienza. “Provvidenziale” il brano della Lettera ai Corinzi offerto alla meditazione dall’odierna Liturgia: l’apostolo delle genti sprona i cristiani di Corinto, in maggioranza provenienti dal paganesimo, a dare di più nella colletta organizzata per i loro fratelli di Gerusalemme, nella quasi totalità giudeo-cristiani, seguendo l’esempio generoso della più povera comunità di Macedonia.

I cristiani, diversi nella comunione per rendere presente la bellezza della sposa di Cristo
“Il gesto di solidarietà – ha spiegato il porporato – manifesta in modo concreto la profondità dell’esigenza della comunione: siamo diversi, a volte discutiamo su come custodire il Vangelo rispettando le diverse tradizioni attraverso le quali lo abbiamo conosciuto, ma componiamo insieme l’unica Chiesa di Cristo”. “L’assistenza e l’aiuto alle Chiese Orientali Cattoliche, da parte di tutti noi che nella quasi totalità apparteniamo alla Chiesa Latina - ha aggiunto – continua nel presente quanto Paolo ha chiesto ai suoi. Lavorare per la comunione, per rendere presente la bellezza dell’unica sposa di Cristo”.“Il servizio alla comunione”, secondo il cardinale Sandri, “vale anche e sempre in maggior misura nei paesi di emigrazione: la prima carità è fare in modo che le comunità latine, a partire dai Pastori, siano aiutate nella loro ammirevole opere di accoglienza, senza però dimenticare il rispetto delle tradizioni ecclesiali di ciascuno”.

Il ricordo del card. Usar e di mons. Lemmens
Introducendo i lavori della 90.ma Plenaria della Roaco, il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha ricordato il vescovo ausiliare di Malines-Brussels, mons. Leo Lemmens, già officiale e segretario Roaco, e l’arcivescovo maggiore emerito della Chiesa greco-cattolica Ucraina, card. Lubomyr Usar, tornati di recente alla casa del Padre. I lavori della plenaria si concluderanno giovedì 22 giugno con l’udienza con il Papa. L’Assemblea della Roaco si inserisce nel programma del centenario della Congregazione per le Chiese Orientali, voluta nel 1917 da Benedetto XV, che culminerà con la Sessione Plenaria dei Membri del Dicastero e la Messa che Francesco presiederà il prossimo 12 ottobre. (A cura di Paolo Ondarza)

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Oggi in Primo Piano



Giornata Mondiale Rifugiato: oltre 65 milioni di persone in fuga

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Persecuzioni, conflitti e violenze hanno provocato, a fine 2016, la fuga di 65,6 milioni di persone in tutto il mondo, 300mila in più rispetto all'anno precedente. A renderlo noto è l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, in occasione dell’odierna Giornata mondiale del Rifugiato. I bambini costituiscono la metà dei rifugiati del mondo, 20 persone al minuto sono costrette a scappare. Ce ne parla Benedetta Capelli

Un numero enorme di persone necessitano di protezione. Le stime rese note nella Giornata mondiale del Rifugiato raccontano di gente in fuga da un mondo in preda alle violenze e alla guerra, con i bambini che rappresentano la metà dei rifugiati e con la Siria, la Colombia e il Sud Sudan ad essere ancora i luoghi più 'caldi' della terra. Tre le componenti che hanno fatto lievitare la stima: il numero di rifugiati a livello mondiale – 22,5 milioni – è il più alto mai registrato; gli sfollati all’interno del proprio Paese sono saliti a 40,3 milioni; il numero di richiedenti asilo a livello mondiale è stato di 2,8 milioni. Privi di nazionalità o apolidi circa 10 milioni di individui. Come spiegare questo incremento? Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rrifugiati:

R. – Pesa il fatto che i conflitti si protraggono troppo a lungo, che si è persa la capacità di portare stabilità, di risolvere le guerre. Quindi i conflitti, invece che risolversi, si aggravano, si moltiplicano; quando sembra che una Regione sia pacificata, in realtà poi ci sono nuovi focolai di violenza che risorgono e che provocano delle crisi umanitarie veramente drammatiche. Lo vediamo in queste ore, in questi giorni in Sud Sudan, la crisi che in questo momento ci preoccupa in assoluto di più perché ha un livello di crescita spaventoso, a livello di gravità. Sono già oltre 3 milioni e 800mila le persone scappate e sono per la maggior parte donne e bambini che vengono da zone rurali, quindi persone che veramente non hanno nulla.

D. – Qual è l’appello che l’Unhcr vuole rilanciare?

R. – Noi la celebriamo, la Giornata, da un lato per celebrare la forza, la determinazione dei rifugiati; dall’altro però anche per celebrare il coraggio e la determinazione di quanti li accolgono. La maggior parte dei Paesi che accolgono i rifugiati sono Paesi poveri, e quindi in questo senso il nostro appello è alla parte ricca del mondo, affinché sostenga efficacemente questi Paesi, e di fare ogni sforzo per portare pace nel Paesi che sono in guerra.

D. – Quali sono, questi Paesi profondamente generosi?

R. – Il Libano, in cui c’è una proporzione enorme di rifugiati rispetto alla popolazione; anche la stessa Turchia, che è il Paese che in questo momento ospita più rifugiati in assoluto al mondo: oltre 3 milioni! Ma per andare sul continente africano, pensiamo all’Uganda, un Paese che ospita ormai oltre un milione di rifugiati. Tante volte, nelle interviste, mi viene detto: “L’anno scorso in Italia sono arrivate addirittura 180 mila persone!”. Bene, questo è il dato di coloro che sono entrati in Uganda nel solo mese di luglio 2016 …

L’Italia è un Paese di accoglienza che, secondo Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, va sostenuto nella sua azione nei confronti di chi soffre:

R. – L’Italia ha un patrimonio di credibilità nei confronti dei Paesi di origine e di transito delle rotte migratorie acquisito attraverso la sua azione umanitaria in questi anni, i salvataggi in mare e le politiche di accoglienza. E quindi siamo un partner particolarmente importante per i Paesi africani da cui vengono rifugiati e migranti. Ed è proprio il concetto di partenariato che noi abbiamo portato avanti in questi ultimi anni; quindi un’inclusività dei Paesi di origine e di transito per disegnare politiche di cooperazione e di sostegno, anche economico, gli investimenti, in modo da gestire lo sviluppo di questi Paesi in maniera confacente alle politiche migratorie. Una politica che può essere di successo a patto che l’Italia non venga lasciata sola. L’impegno, anche finanziario, è tale che senza l’Europa e l’intera comunità internazionale, l’Italia non può da sola a sostenere il peso dell’aiuto a questi Paesi. Per fortuna ci sono dei partner importanti, come la Germania, la Francia, la Commissione europea, che insieme all’Italia stanno cooperando per gestire il fenomeno con i Paesi africani.

D. – In questa Giornata Mondiale del Rifugiato, qual è il messaggio che si può lanciare?

R. – I rifugiati vanno protetti. È importante proteggerli quando viaggiano, nei Paesi di transito, perché se c’è una battaglia per lo sviluppo da giocare nei Paesi di origine, c’è una battaglia per la protezione dei migranti e soprattutto dei rifugiati durante la loro rotta migratoria. E su questa battaglia noi vogliamo impegnarci. I rifugiati sono migranti che non hanno scelto personalmente di lasciare il loro Paese ma sono stati costretti.  

Secondo l’Unhcr è necessario creare un ”global compact” come approccio al problema dei rifugiati: una visione più ampia con un dialogo tra i Paesi di origine, di transito e di accoglienza di chi scappa. Stephane Jaquemet, delegato Unhcr per il Sud Europa:

R. – Il problema dei rifugiati è principalmente un problema politico e quando vediamo un conflitto come quello siriano… per trovare una soluzione al problema dei rifugiati si deve trovare una soluzione al conflitto siriano che è politico.

D. - Qual è l’allarme che intende lanciare in questa giornata mondiale del rifugiato?

R. – Se prendiamo il Sud dell’Europa possiamo vedere che un Paese come l’Italia è il primo Paese per gli arrivi in Europa. Dobbiamo avere un sistema di solidarietà a livello europeo e a livello mondiale. Non può essere solamente responsabilità dell’Italia o della Spagna o della Grecia. Ci sono certi Stati membri dell’Unione europea, che non vogliono collaborare in un sistema di ripartizione dei rifugiati e dunque il dialogo non è molto positivo.

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Dal Covolo: 20 giovani rifugiati accolti nell'Ateneo del Papa

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La Pontificia Università Lateranense risponde all’appello di Papa Francesco ed apre le porte a venti ragazzi rifugiati. Per il secondo anno, infatti, è stato rinnovato il protocollo d’intesa con il Viminale, che consentirà a questi giovani provenienti dalle aree più critiche del pianeta, di studiare presso l’Ateneo Pontificio. Il progetto vuole promuovere i diritti di coloro che dai Paesi poveri giungono in Occidente in cerca di pace e sicurezza. Ascoltiamo il vescovo Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, al microfono di Davide Dionisi

R. – L'Università del Papa apre la porta ai rifugiati, e diciamo che ci apriamo in maniera più evidente, in maniera più palese, a quell’istanza di dialogo interreligioso e interculturale, che è caratteristico di questa Università: è una tradizione della Lateranense ma l’iniziativa ha una sua novità e un suo rilievo sia sul versante della Santa Sede sia sul versante della Repubblica italiana.

D. – Come verranno selezionati i 20 rifugiati?

R. – Esiste una Commissione mista in cui ci sono rappresentanti sia del Ministero, sia della nostra Università. La Commissione deve valutare ovviamente l’idoneità. Infatti, molte volte questi giovani non sono in possesso dei titoli cartacei perché sono dovuti fuggire di gran fretta. Allora è necessario provvedere in maniera un po’ flessibile, che però dall’altra parte garantisca comunque il livello di preparazione per poterli inserire e integrare nel modo migliore.

D. – Sappiamo che anche i mezzi di comunicazione propri della Pontificia Università Lateranense si stanno occupando da tempo degli immigrati, di quelle periferie tanto care al Papa, anche attraverso le pubblicazioni e attraverso la “Lateran Tv” …

R. – Certo! Questi temi di cui stiamo parlando sono certamente al centro della nostra comunicazione, perché noi riteniamo che la missione dell’Università sia proprio quella di corrispondere – sul versante accademico, che è il nostro – alle richieste e alle istanze del Santo Padre.

D. – La Pontificia Università Lateranense anche il prossimo anno, dopo questa esperienza, secondo lei, può esportare questo progetto e diventare modello anche per quanto riguarda gli Atenei statali, ovviamente laici?

R. – Noi ci auguriamo davvero che sia così. E in effetti, qualche esperienza presso Atenei statali mi risulta che esista. Invece, per quanto riguarda le Università Pontificie, faremo oggetto di riflessione questo tema e questa iniziativa, nella prossima riunione che avremo nella Conferenza dei rettori delle Università Pontificie romane.

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Sant'Egidio per il Centrafrica: possibile un futuro di pace

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Sono passati due anni dalla visita del Papa nella Repubblica Centrafricana e numerosi finora sono stati i suoi appelli alla fine della guerra civile tra gruppi ribelli e governo. L’ultimo, domenica scorsa all’Angelus, quando Francesco ha salutato le rappresentanze centrafricane giunte a Roma per cercare una soluzione alla crisi. Grazie alla mediazione della Comunità di Sant' Egidio oggi l’accordo c’è e prevede un immediato cessate il fuoco, sotto egida Onu, e poi un cammino di riconciliazione. Del volto del nuovo Centrafrica parla, al microfono di Gabriella Ceraso, il responsabile Esteri della Comunità Mauro Garofalo, che ha seguito le trattative: 

R.  – E’ un volto nuovo fatto di riassorbimento, di trasformazione di questi gruppi politico-militari, come si descrivono loro stessi. Questi gruppi devono - speriamo di avere contribuito a questo - avere la coscienza di un diritto e di un dovere, quello di fare parte di coloro che ricostruiscono il Paese e non che continuano sulle solite logiche di sfruttamento della popolazione, delle risorse e di violenza.

D. – Questo significa che diventeranno parte attiva della macchina statale, penso per esempio agli ambiti di difesa, quale responsabilità più grande?

R.  – Sì, c’è una definizione dell’accordo che parla di “corps habillés”, cioè gendarmi, esercito, polizia… Non possiamo immaginare che lo Stato centrafricano possa sostenere, vista anche la crisi che attraversa, un esercito di 200 mila persone, ma tutti devono avere una via di uscita. Quindi si è pensato di mettere anche una serie di misure socioeconomiche, dei kit per ricominciare i lavori, le attività, etc.  E’ una "reinserzione" in senso più ampio.

D. - E’ troppo dire che diventeranno forze politiche o è giusto dirlo?

R. – Non tutti lo desiderano. Per essere un partito a livello nazionale bisogna essere rappresentati a livello nazionale, ma comunque chi esprimerà questa volontà, rispettando la Costituzione, trasformandosi e obbedendo alle leggi, sì, sarà incoraggiato.

D. – Che cosa secondo lei ha rappresentato la chiave di volta determinante anche rispetto a quanto accade altrove nel mondo?

R. – C’è voluto un lavoro confidenziale di mesi, che ha contribuito a costruire la fiducia. Nessuno ne ha parlato ma questa fiducia è quella che veramente ha portato poi alla firma dell’accordo.

D. - Il Papa chiede sempre di parlare, di costruire ponti anche con chi non la pensa come noi. E’ andata così?

R. – Assolutamente sì, sono stati costruiti dei ponti fra gruppi armati che combattono pensando di avere degli scopi. Ma è stato costruito anche un ponte verso una coscienza che non c’è futuro con le armi. Mi permetto di dire che l’appello all’Angelus del Papa, in cui lui stesso diceva che pregava per la buona riuscita dei negoziati, ha avuto un effetto fortissimo su tutti i delegati.

D. - C'è ora anche un Paese anche da ricostruire umanamente, come tessuto; e c’è un capitolo importante nell'accordo, che riguarda il rientro di tanti che sono scappati. Dunque dal punto di vista della gente questo accordo cosa significherà e chi garantirà?

R. – Per quanto riguarda la gente c’è la necessità di fare una spiegazione pubblica, anche con la società civile, di quello che è successo qui a Roma. La gente lo attende, il presidente ce lo ha chiesto. Per la gente ci sarà un significativo calo della violenza e questo permetterà di tornare nei campi. E’ quasi il periodo della semina, quindi si potrà tornare a fare le proprie attività e in qualche modo lasciare quelle dinamiche di violenza fra comunità etniche, tra comunità religiose che fino adesso si sono verificate. Per quanto riguarda, invece, l’applicazione dell’accordo, ci sono dei meccanismi dentro il testo che prevedono la costruzione di un “comité de suivi”, di commissioni congiunte, però l’unica vera garanzia - e questo lo hanno detto tutti durante i lavori - è il senso di responsabilità comune, questo senso di fatica per la troppa violenza e anche questo senso di appartenenza all’unica famiglia centrafricana. Ed è stato significativo, per esempio, che tutti, gruppi armati e governo, abbiano voluto concludere ieri la cerimonia cantando l’inno nazionale, la Renaissance: c’è da parte loro questo grande attaccamento e anche la coscienza che il Paese, oltre a essere bello, è anche ricco, quindi che è possibile un futuro diverso. Questo è forse il valore più condiviso.

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Alla Pontificia Università Lateranense, il XIV Simposio dei docenti universitari

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“La Terza missione delle Università, dei Centri di Ricerca e delle Istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica in Europa. Per uno sviluppo umano e globale”. È questo il tema del XIV Simposio internazionale dei docenti universitari, che si svolgerà da giovedì 22 a sabato 24 giugno in occasione del 60.mo anniversario dei Trattati di Roma. Promosso dall’Ufficio per la Pastorale universitaria della diocesi di Roma in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, l’incontro vedrà la partecipazione di quasi 300 relatori provenienti da tutta Europa, ci saranno 29 sessioni di lavoro, che toccheranno differenti tematiche, una tavola rotonda che raggrupperà oltre 50 rettori giunti da vari Paesi, e quattro forum. I lavori si apriranno giovedì 22 giugno alle 15.30 nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense alla presenza tra gli altri del vescovo ausiliare Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria della diocesi di Roma, Valeria Fedeli, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e  Fabiola Gianotti, direttrice generale del CERN.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 171

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.