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Sommario del 22/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Roaco: siate ponte tra Oriente e Occidente, in tempi di insensate violenze

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Riconoscenza e incoraggiamento, il Papa ha espresso stamane ai partecipanti alla Plenaria della Roaco, che riunisce le Opere di aiuto per le Chiese orientali. Il vostro operato sia “un ponte  tra Occidente e Oriente”, in tempi di “insensate violenze” in alcuni dei vostri Paesi, ha raccomandato Francesco. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Si chiudono oggi i lavori della 90ma Plenaria della Roaco, istituita nel 1968, ha ricordato Francesco, per affiancare con opere di carità e solidarietà la Congregazione per le Chiese orientali, nelle “attività pastorali, educative e assistenziali”, nei territori di competenza, venendo pure incontro alle loro “urgenti necessità”. “Le Chiese orientali – ha rievocato il Papa - sono state spesso investite da terribili ondate di persecuzioni e di travagli, sia nell’Est europeo come nel Medio Oriente”. E, “forti emigrazioni ne hanno indebolito la presenza nei territori in cui erano fiorite da secoli”.

“Ora, grazie a Dio, alcune di esse sono ritornate alla libertà dopo il doloroso periodo dei regimi totalitari, ma altre, specialmente in Siria, Iraq ed Egitto, vedono i loro figli soffrire a causa del perdurare della guerra e le insensate violenze perpetrate dal terrorismo fondamentalista.

“Vicende – ha sottolineato Francesco – che ci hanno fatto attraversare l’esperienza della Croce di Gesù”, “causa di turbamento e sofferenza, ma al tempo stesso” “fonte di salvezza”. E da qui la bontà di riflettere – ha sottolineato Francesco - “sulla realtà importante della formazione inziale dei seminaristi e permanente dei sacerdoti”, “consapevoli” – ha spiegato - della scelta di radicalità espressa da molti di loro e della eroicità della testimonianza di dedizione a fianco delle loro comunità spesso molto provate.”
“Ma siamo pure coscienti delle tentazioni che si possono incontrare, come la ricerca di uno status sociale riconosciuto al consacrato in alcune aree geografiche, o un modo di esercitare il ruolo di guida secondo criteri di affermazione umana o secondo schemi della cultura e dell’ambiente.

Occorre quindi ha sollecitato il Papa continuare a “sostenere” “progetti” e “iniziative” “che edificano in modo autentico l’essere Chiesa”. “È fondamentale – ha raccomandato - alimentare sempre lo stile di prossimità evangelica.”
“Sentiamoci sempre pietre vive strette a Cristo, che è la pietra angolare!”

E, ancora un monito:
“non dimentichiamo che in Oriente, anche ai giorni nostri, i cristiani – non importa se cattolici, ortodossi o protestanti – versano il loro sangue come sigillo della loro testimonianza”.

Poi un richiamo ai tanti fedeli orientali che sono “costretti ad emigrare” perché “possano essere accolti nei luoghi dove giungono, e possano continuare a vivere secondo la tradizione ecclesiale loro propria”.
“In questo modo il vostro operato, cari rappresentanti delle Agenzie, sarà un ponte tra Occidente e Oriente, sia nei Paesi di origine, sia in quelli da cui voi stessi provenite”.

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Papa: “I care”, come Don Milani curiamoci degli altri ma senza buonismi

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Un pastore deve essere appassionato, deve saper discernere e deve anche saper denunciare il male. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta dove si è soffermato sulla figura dell’Apostolo Paolo per poi rivolgere il pensiero all’esempio offerto da Don Milani. Come il parroco di Barbiana, ha detto il Pontefice, bisogna prendersi cura del prossimo, ma senza buonismi ingenui. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Il Buon Pastore dà la sua vita per le sue pecore”. Papa Francesco ha preso spunto nella sua omelia dalla Prima Lettura – tratta dalla Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi – per soffermarsi sulle caratteristiche che dovrebbe avere un pastore. Il Pontefice ha trovato proprio in San Paolo la figura del “pastore vero”, che non abbandona le sue pecore come farebbe invece “un mercenario”. La prima qualità, ha dunque indicato, è di essere “appassionato”. Appassionato “fino al punto di dire alla sua gente, al suo popolo: ‘Io provo per voi una specie di gelosia divina’”. E’ “divinamente geloso”, ha commentato il Papa.

Il vero pastore sa discernere, si guarda dalla seduzione del male
Un passione dunque che diventa quasi “pazzia”, “stoltezza” per il suo popolo. “E questo – ha soggiunto – è quel tratto che noi chiamiamo lo zelo apostolico: non si può essere un vero pastore senza questo fuoco dentro”. Una seconda caratteristica, ha proseguito, il pastore deve essere “un uomo che sa discernere”:

“Sa che c’è nella vita la seduzione. Il padre della menzogna è un seduttore. Il pastore, no. Il pastore ama. Ama. Invece il serpente, il padre della menzogna, l’invidioso è un seduttore. E’ un seduttore che cerca di allontanare dalla fedeltà, perché quella gelosia divina di Paolo era per portare il popolo a un unico sposo, per mantenere il popolo nella fedeltà al suo sposo. Nella storia della salvezza, nella Scrittura tante volte troviamo l’allontanamento da Dio, le infedeltà al Signore, l’idolatria come se fossero una infedeltà matrimoniale”.

Bisogna sapere denunciare il male, non essere ingenui
Prima caratteristica del pastore, dunque, “che sia appassionato, che abbia lo zelo, che sia zelante”. Seconda caratteristica, “che sappia discernere: discernere dove ci sono i pericoli, dove ci sono le grazie … dove è la vera strada”. Questo, ha sottolineato, “significa che accompagna le pecore sempre: nei momenti belli e anche nei momenti brutti, anche nei momenti della seduzione, con la pazienza li porta all’ovile”. E la terza caratteristica: “la capacità di denunciare”:

Un apostolo non può essere un ingenuo: ‘Ah, è tutto bello, andiamo avanti, eh?, è tutto bello … Facciamo una festa, tutti … tutto si può …’. Perché c’è la fedeltà all’unico sposo, a Gesù Cristo, da difendere. E lui sa condannare: quella concretezza, dire ‘questo no’, come i genitori dicono al bambino quando incomincia a gattonare e va alla presa elettrica a mettere le dita: ‘No, questo no! E’ pericoloso!’. Ma, mi viene in mente tante volte quel ‘tuca nen’ (non toccare nulla ndr), che i miei genitori e nonni mi dicevano in quel momenti dove c’era un pericolo”.

Prendersi cura degli altri senza buonismi, come faceva Don Milani
“Il Buon Pastore – ha detto ancora – sa denunciare, con nome e cognome” come appunto faceva San Paolo. Francesco è dunque tornato alla sua visita a Bozzolo e Barbiana, nei posti, ha commentato, “di quei due bravi pastori italiani”. E parlando di Don Milani, si è riferito a quello che era il suo “motto” quando “insegnava ai suoi ragazzi”:

I care. Ma cosa significa? Mi hanno spiegato: con questo lui voleva dire ‘mi importa’. Insegnava che le cose si dovevano prendere sul serio, contro il motto di moda in quel tempo che era ‘non mi importa’, ma detto in altro linguaggio, che io non oso dirlo qui. E così insegnava ai ragazzi ad andare avanti. Prendi cura: prenditi cura della tua vita, e ‘questo no!’”

Saper dunque denunciare anche “quello che va contro la tua vita”. E tante volte, ha detto, “perdiamo questa capacità di condanna e vogliamo portare avanti le pecore un po’ con quel buonismo che non solo è ingenuo” ma “fa male”. Quel “buonismo dei compromessi”, per "attirarsi l’ammirazione o l’amore dei fedeli lasciando fare”.

“Paolo l’Apostolo, lo zelo apostolico di Paolo, appassionato, zelante: prima caratteristica. Uomo – ha ripreso Francesco – che sa discernere perché conosce la seduzione e sa che il diavolo seduce – seconda caratteristica. E un uomo con capacità di condanna delle cose che faranno male alle sue pecore: terza caratteristica”. Il Papa ha quindi concluso con una preghiera “per tutti i pastori della Chiesa, perché San Paolo interceda davanti al Signore, perché tutti noi pastori possiamo avere queste tre tracce per servire il Signore”.

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Papa riceve reali Paesi Bassi: migranti e ambiente, temi dell’incontro

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza il Re Willem-Alexander dei Paesi Bassi, accompagnato dalla consorte, la Regina Máxima. Durante il colloquio, informa la Sala Stampa Vaticana, si è parlato della “tutela dell’ambiente e la lotta alla povertà, nonché circa lo specifico contributo della Santa Sede e della Chiesa Cattolica in detti campi”. Particolare attenzione, prosegue il comunicato, “è stata rivolta al fenomeno migratorio, sottolineando l’importanza della pacifica convivenza tra culture differenti, e all’impegno comune per promuovere la pace e la sicurezza globale, con speciale riferimento ad alcune aree di conflitto”. Infine, “non è mancata una riflessione congiunta circa le prospettive del progetto europeo”.

In occasione dell’udienza in Vaticano è stato consegnato al Re del Bastone di Comandamento attribuito a Guglielmo d’Orange. I cattolici spagnoli si appropriarono di questo bastone dopo la loro vittoria sui rivoltosi olandesi protestanti nella battaglia del Mookerheide (1574). Questo bastone, che porta lo stemma di Guglielmo d’Orange, viene offerto in comodato d’uso dal convento dei gesuiti catalano Sant Cugat e consegnato dal Superiore Generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal. Il bastone sarà in mostra al museo nazionale militare olandese a Soesterberg dal mese di aprile fino a ottobre 2018, nell’ambito di una mostra su Guglielmo d’Orange. 

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Youssef Absi nuovo Patriarca greco-melkita, la gioia di Francesco

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Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Greco-Melkita, riunitosi ad Ain Traz, in Libano, ha eletto nuovo Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti mons. Joseph Absi, della Società dei Missionari di S. Paolo, finora arcivescovo titolare di Tarso dei Greco-Melkiti presso la Curia patriarcale di Damasco. Sua Beatitudine ha assunto il nome di Youssef Absi. Il Santo Padre ha concesso la “Ecclesiastica Communio” a Sua Beatitudine Youssef Absi. In una lettera, Papa Francesco esprime la sua gioia per questa elezione e assicura la sua vicinanza e la sua preghiera al nuovo Patriarca. “L’elezione di Sua Beatitudine – si legge nella lettera – avviene in una situazione delicata per la venerabile Chiesa greco-melkita e in un momento in cui le comunità cristiane del Medio Oriente sono chiamate a testimoniare in modo speciale la loro fede in Cristo morto e risuscitato”. “In questi tempi particolarmente difficili – si legge ancora – i pastori sono chiamati a manifestare comunione, unità, prossimità, solidarietà e trasparenza davanti al popolo di Dio che soffre”. Il Papa ribadisce dunque l’importanza dell’armonia fraterna tra i padri del Sinodo della Chiesa greco-melkita.

Nato a Damasco il 20 giugno 1946, è entrato nella Società dei Missionari di S. Paolo dove è stato ordinato sacerdote il 6 maggio 1973. Dopo aver concluso gli studi di filosofia e teologia al Seminario Maggiore di S. Paolo a Harissa (Libano), ha conseguito la licenza in filosofia presso l’Università Libanese, la licenza in teologia presso l’Istituto S. Paolo di Harissa e il Dottorato in Scienze musicali e Innografia bizantina presso l’Università “St. Esprit” di Kaslik (Libano). È stato professore di filosofia all’Istituto S. Paolo, di greco e di musicologia all’Università “St. Esprit” di Kaslik. Ha anche ricoperto l’ufficio di Superiore Generale del suo Istituto Religioso di provenienza. Dal 15 luglio 2001 è Arcivescovo titolare di Tarso dei Greco-Melkiti, presso la Curia Patriarcale di Damasco.

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Papa messaggio ai docenti universitari: dialogo favorisce incontro tra culture

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“Riflettere sul fondamentale ruolo della istituzione accademica nell’educazione umana e culturale delle giovani generazioni, in un ambito sociale profondamente trasformato”. Con queste parole Papa Francesco attraverso un telegramma ha voluto salutare i numerosi partecipanti al XIV Simposio internazionale dei docenti universitari, promosso dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria della diocesi di Roma, che si apre oggi pomeriggio e prosegue fino a sabato, alla Pontificia Università Lateranense, e che avrà come filo conduttore il tema “La Terza missione delle Università, dei Centri di Ricerca e delle Istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica in Europa. Per uno sviluppo umano e globale”. Il Papa partendo proprio dalla presenza di rappresentati di differenti culture e tradizioni, ha auspicato che possa essere favorito, durante questo incontro un confronto costruttivo riguardo il fondamentale apporto di quei “valori cristiani che – scrive il Santo Padre – hanno forgiato il pensiero e l’arte nelle varie nazioni, promuovendo incessantemente solidarietà, rispetto della dignità umana, e privilegiando il dialogo come forma di incontro”.

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Santa Sede: cessare il fuoco nella Rdc e tutelare i civili

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Cessare il fuoco, tutelare i civili, promuovere la pace, stabilire processi democratici, permettere il ritorno dei rifugiati: questi i cinque passi che la Santa Sede auspica vengano intrapresi immediatamente dal governo della Repubblica democratica del Congo, per sanare la drammatica situazione del Paese. Ad illustrarli, ieri, è stato l’Osservatore Permanente presso l’Onu di Ginevra, l'arcivescovo Ivan Jurkovič, nel corso della 35.ma Sessione del Consiglio dei Diritti Umani.

Deterioramento drammatico della situazione umanitaria
Nel Paese africano – ha sottolineato mons. Jurkovič – si registra “un drammatico e continuo deterioramento della situazione umanitaria e dei diritti umani” della popolazione ed “attacchi gravi, diffusi ed apparentemente pianificati contro i civili, le istituzioni religiose e le organizzazioni basate sulla fede, in particolare nella regione di Kasai”. Una situazione per la quale “la Santa Sede esprime profonda preoccupazione”, sottolineando come si tratti di “tragiche conseguenze di tensioni che non sono state mai affrontate adeguatamente, nonostante le iniziative di riconciliazione”.

Promuovere pace, riconciliazione e dialogo
Di qui, l’appello dell’Osservatore permanente al governo congolese affinché, “in stretta consultazione collaborazione” con l’Onu, metta in atto il cessate-il-fuoco “garantendo la fine delle violenze e prevenendo il traffico di armi”. Al contempo, l’esecutivo del Paese africano viene esortato a compiere “il proprio dovere di tutela e rispetto dei civili e del personale umanitario”, insieme alla “promozione di sforzi efficaci e trasparenti per la riconciliazione, il dialogo e la pace”.

Democrazia includa tutta la popolazione
Un ulteriore appello mons. Jurkovič lo lancia perché, grazie ad “una mediazione imparziale del conflitto”, si possano “stabilire processi democratici” inclusivi di “tutti i settori della popolazione” e si costruiscano le condizioni che “permettano il ritorno sicuro dei rifugiati a Kasai”.

No all’uso dei bambini-soldato
Infine, l’Osservatore permanente ricorda l’importanza di “preservare e difendere i diritti umani” della popolazione congolese e dei suoi "molti bambini strappati dalle loro famiglie e scuole per essere utilizzati come soldati". Una tragedia che, come detto già da Papa Francesco, rappresenta un richiamo alla "coscienza e alla responsabilità delle autorità nazionali e della comunità internazionale”.

Le ragioni del conflitto
La Provincia del Kasai, nella Repubblica democratica del Congo, è da tempo al centro di violenti scontri tra l’esercito nazionale ed un gruppo armato fedele a Kamuina Nsapu, un capo tradizionale locale ucciso in uno scontro con la polizia nell’agosto 2016. Lo scorso marzo, i miliziani hanno teso un agguato ad un convoglio militare, decapitando i 40 poliziotti che erano a bordo. Il conflitto nel Kasai aggrava anche la tensione generale che si respira nell’intero Paese, dato che il presidente Kabila rifiuta di dimettersi nonostante la conclusione di due mandati, iniziati nel 2001, ed il divieto, sancito dalla Costituzione, di compierne un terzo. (I.P.)

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Von Braun: povertà e ambiente, le priorità dell'Accademia delle Scienze

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Contento e onorato della nomina ricevuta dal Papa. E‘ così che si esprime il professore Joachim von Braun, Professore Ordinario di Economia e Innovazione Tecnologica e Direttore del Centro di Ricerca per lo Sviluppo dell'Università di Bonn, in Germania, nominato ieri da Francesco presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. Le sue pubblicazioni riguardano lo sviluppo economico internazionale, l'economia delle risorse naturali, la povertà, la politica agricola, le politiche di innovazione scientifica e tecnologica e il commercio internazionale. E' considerato fra i principali esperti dei problemi della fame, della malnutrizione e delle politiche legate alla loro risoluzione. Mario Galgano lo ha intervistato:

R. – Die Akademie ist 1936 von Papst Pius XI als eine moderne wissenschaftliche …
L’Accademia è stata istituita nel 1936 da Papa Pio XI come una moderna accademia scientifica, aconfessionale. Io sono evangelico così come evangelico era anche il mio predecessore, lo svizzero Werner Arber. Questo sta a indicare quanto sia indipendente e moderno l’approccio del Vaticano in merito alla posizione del Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. A livello internazionale, in campo scientifico, la Pontificia Accademia ha un suo peso, gli ottanta scienziati che la compongono sono scelti con grande cura dalla cerchia della comunità scientifica internazionale, molti di loro sono vincitori di Premio Nobel. Si tratta di scienziati e filosofi di grande fama ed è per questo che le prese di posizione dell’Accademia vengono accolte con grande attenzione, sia dalla comunità scientifica, sia dalla società in generale.

D. – Quale suo desiderio, o sua meta, intende perseguire in qualità di presidente della Pontificia Accademia delle Scienze?

R. – Ganz entscheidend für die Akademie ist, das sie relevante Themen zur Lösung …
Per l’accademia è di importanza fondamentale lo studio serio e approfondito di soluzioni ai gravi problemi che toccano oggi l’umanità. Per quanto mi riguarda, gli ambiti di maggiore rilevanza sono, da un lato, povertà, fame, ineguaglianza e ingiustizia, come la scienza può contribuire per risolvere questi problemi? Dall’altro, la distruzione del nostro ambiente e della natura. Questi due aspetti sono strettamente correlati, l’Accademia se ne è già occupata approfonditamente e continuerà a farlo in maniera ancora più consistente in futuro. La povertà e l’ambiente sostenibile sono punti di forza che in quanto presidente vorrei affrontare in collaborazione con le colleghe e i colleghi della Pontificia Accademia delle Scienze.

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Oggi in Primo Piano



Iraq: distrutta moschea di Mosul. Dolore della Chiesa caldea

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Amarezza per la distruzione della Moschea Al-Nuri, in Iraq, celebre per il minareto pendente di al Hadba, è stata espressa oggi dalla Chiesa caldea. I celebri edifici sacri sarebbero stati rasi al suolo dai combattenti del sedicente Stato Islamico, che, a loro volta, accusano invece gli Stati Uniti. Indubbiamente si tratta di un gesto eclatante, ma anche simbolico perché proprio dalla moschea di Al-Nuri nel 2014 fu proclamata la nascita del Califfato per bocca del leader jihadista Abu Bakr al Baghdadi.

Dolore per le vittime civili. In tanti senza cibo, acqua e medicine
In un comunicato ufficiale diffuso dai media del patriarcato si ribadisce il dolore per le vittime civili dei bombardamenti e per tutti gli abitanti che nel conflitto in corso nella città sono private di acqua, cibo e medicinali. La Chiesa caldea esprime anche la speranza che davanti alle sofferenze patite oggi, gli iracheni possano veder nascere nei loro cuori propositi di riconciliazione per la costruzione di una convivenza pacifica e feconda.

Condanna dell'Unesco
Sgomento è stato espresso anche dall’Unesco, secondo la quale la distruzione della moschea  è una “tragedia culturale e umana”. Da Twitter l’organizzazione Onu per la cultura lancia alla comunità internazionale un appello a “proteggere il patrimonio culturale per proteggere le persone”. (a cura di Paolo Ondarza)

Sulla distruzione della moschea Al-Nuri di Mosul, Paola Simonetti ha intervistato  Alessandro Orsini, direttore del quotidiano on line della Luiss, “Sicurezza Internazionale”:  

R. – Noi sappiamo che dall’ottobre del 2016, quando è iniziata l’offensiva per la riconquista di Mosul, l’Is aveva minato la moschea. Quindi io ritengo che sia stato proprio l’Is a far saltare in aria questo antico edificio. Se fossero stati gli Stati Uniti comunque lo sapremmo nel giro di poco tempo perché i giornalisti negli Stati Uniti sono molto liberi e forti, e quindi in questi casi la verità viene sempre a galla. E soprattutto l’esercito americano è sempre il primo a riconoscere gli errori quando li commette, tanto è vero che poche settimane fa il dipartimento di Stato americano ha pubblicato l’elenco di tutti i civili iracheni che ritiene di avere ucciso durante i bombardamenti aerei.

D. – Secondo il primo ministro iracheno al-Abadi, la distruzione della moschea di Mosul da parte dell’Is è un’ammissione formale della sconfitta dei jihadisti: è credibile come ipotesi?

R. – È assolutamente vero. Il problema è che i media occidentali hanno completamente distorto l’informazione sull’Is: hanno completamente capovolto la realtà. L’Is è un fenomeno militare nullo, inesistente, che avanzava semplicemente perché davanti a sé non trovava un esercito ad opporsi. L’Is ha realizzato le sue conquiste territoriali più significative in presenza di un processo di disfacimento dello Stato siriano e di quello iracheno; però l’Occidente ha rappresentato l’Is come una forza inarrestabile. Quando l’Is ha conquistato ad esempio la città di Ramadi, la stampa occidentale non ha raccontato che 900 jihadisti dell’Is hanno conquistato quella città perché 10mila soldati dell’esercito iracheno si erano dati alla fuga sostanzialmente senza combattere. Il fatto che l’Is adesso faccia crollare la moschea da cui aveva programmato la sua nascita è la conferma di quello che ho sempre sostenuto, e cioè che l’Is non aveva nessuna possibilità di mantenere quei territori se fosse stato attaccato.

D. – Le forze irachene dicono di aver cominciato forse l’ultima fase della liberazione di Mosul che dura da mesi: siamo quindi, in base a quello che lei dice, alle battute finali? Possiamo dire che l’Is sta ricevendo un colpo davvero fatale?

R. – L’Is sostanzialmente è già morto; aveva due roccaforti principali, che erano la sua capitale in Iraq, Mosul, che di fatto è crollata: adesso ci sono circa 100mila civili che sono ancora in una condizione drammatica e vengono utilizzati come scudi umani. Chiaramente poi questo conflitto a Mosul andrà avanti perché è un conflitto molto sanguinoso, che si combatte strada per strada, ma l’Is non ha nessuna possibilità di sopravvivere a Mosul. Raqqa è l’altra capitale dell’Is che si trova in Siria. È stata penetrata: si combatte per le strade e l’Is non ha nessuna possibilità di espellere le milizie che hanno invaso la città Raqqa per riconquistarla. L’Is è alle sue battute finali.

D. – Come mai allora la battaglia su Mosul è stata così lunga da parte delle forze irachene e della Coalizione per spezzare l’assedio dell’Is?

R. – L’unica ragione per la quale ci siamo attardati così tanto nella riconquista di queste due città è il blocco anti-Is guidato dalla Russia e quello sempre anti-Is guidato dagli Usa. Questi, anziché allearsi tra di loro per combattere contro l’Is, si sono divisi e addirittura si sono combattuti tra di loro. Perché in realtà la vera priorità degli Usa e della Russia non è stata mai la riconquista di Raqqa e Mosul, bensì la conquista di Damasco. I due blocchi, guidati da Usa e Russia, hanno infatti i propri 'appetiti' principali nei confronti di Damasco, perché vogliono appropriarsi della Siria. Tutto questo ha quindi ritardato enormemente il processo di riconquista delle città dell’Is. E questo ha indotto molte persone a credere, sbagliando, che l’Is avesse una vita longeva perché forte dal punto di vista militare. 

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Non regge la tregua in Centrafrica: 100 morti negli scontri tra gruppi ribelli

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Oltre cento morti e decine di feriti. E’ il nuovo bilancio dei violenti scontri esplosi a Bria, in Centrafrica, ad appena due giorni dalla firma, a Roma, con l’intermediazione della comunità di Sant’Egidio, di un cessate il fuoco tra il governo del presidente Touadera e i rappresentanti di 13 gruppi armati. Il servizio di Cecilia Seppia: 

Processo di pace di nuovo minacciato in Centrafrica dove le milizie armate hanno ricominciato a mettere a ferro e fuoco la città di Bria, nella zona est del Paese, sparando all’impazzata per le strade contro civili inermi, alle 6 di ieri mattina. Decine i feriti, oltre 100 i morti ma ciò che stupisce e preoccupa è il fatto che appena 48 ore fa grazie all’intermediazione della Comunità di Sant’Egidio era stato firmato un accordo per il cessate il fuoco tra il governo del presidente Touadera e 13 gruppi di ribelli. Una tregua fragile dice padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano a Bangui

R. – Non è una grande sorpresa, purtroppo era attesa; la tensione sta esplodendo e non c’è nessun serio programma di fermare gli atti ribelli. Ci sembra molto fragile come accordo, nel senso che ci sono vaghe promesse, ma poi concretamente dal punto di vista del popolo sono lì, sulla carta … Ancora oggi, io sono a Bukaranga, mi sono mosso al Nord: e le barriere ci sono tutte, sia del governo sia degli anti-Balaka che degli altri. Quindi è un accordo fragile in sé e per conto mio non tiene in conto anche tutte le vittime, tutte le persone – le centinaia di migliaia di persone – che sono fuori dal Paese.

D. – Quindi, di fatto, lei dice: è un’intesa buona anche se estremamente fragile; soprattutto, un’intesa che non è ancora diventata operativa …

R. – Sì questo è un lavoro che va fatto con preparazione: questo cessate-il-fuoco, chi è che lo controllerà? Chi lo metterà in vigore? Le misure coercitive per controllare non ci sono, mentre ci sono un sacco di garanzie per questi criminali che, per conto mio, non sono giuste …

D. – Un conflitto perenne, la povertà, la fame, insomma: come si vive in questo Paese?

R. – La gente vive male un po’ dappertutto; io sono qua a Bukaranga, oggi, dove c’è stato un forte attacco il 2 febbraio e anche qua la situazione è molto, molto tesa perché se pure adesso è tranquilla può succedere di tutto da un momento all’altro. La settimana scorsa, in un villaggio qua vicino, hanno fatto un’incursione, hanno rubato un centinaio di mucche tra cui 40 mucche per le suore, che servivano per l’ospedale che hanno. Quindi, la situazione è molto, molto fragile e non c’è nessun controllo, né da parte dello Stato e né dei caschi blu, perché non ce la fanno a seguire, a controllare tutto il Paese.

D. – C’è anche, poi, l’emergenza dei profughi e la situazione ovviamente più grave per chi non è riuscito a lasciare il Paese e quindi si trova all’interno della Repubblica Centrafricana in condizioni spesso disastrose …

R. – Al 31 maggio, l’Unhcr diceva che ci sono quasi un milione di sfollati, tra quasi 500 mila sfollati interni e altrettanti rifugiati fuori dal Paese. Quindi, un milione su una popolazione di quattro milioni e mezzo, è tanto!

D. – Qual è il vostro auspicio, il vostro appello, anche, per cercare di risolvere questa situazione che sembra irrisolvibile e che dura davvero da anni?

R. – Credo che bisogna fare un lavoro serio di riflessione e di riparazione e di preparazione accurata di accordi! Che si tengano in conto tutti gli elementi, non solo quelli di chi è armato ma soprattutto delle vittime, perché con un milione di gente fuori, persone vanno, firmano: con che responsabilità? Con che autorità firmano il fatto che mettono al primo posto l’integrità, la libera circolazione quando sono loro stessi che non lo permettono? Quindi molto c’è ancora da fare ma anche a livello dello Stato e delle Nazioni Unite, per cercare di arrivare  a mettere alle corde un po’ tutti, in modo da arrivare a degli equilibri concreti.

Medici senza Frontiere che opera nella città di Bria, a 500 Km da Bangui, ha subito mandato le sue due ambulanze sul posto, ma per molti dei feriti non c’è stato niente da fare. Lo stato di sicurezza nel Paese è costantemente minacciato nonostante gli sforzi della Comunità internazionale e della Santa Sede con il Papa che appena domenica scorsa all’Angelus aveva rivolto nuovamente il pensiero alla cara popolazione del Centrafrica:

“Porto nel cuore la visita che ho fatto nel novembre 2015 in quel Paese e auspico che, con l’aiuto di Dio e la buona volontà di tutti, sia pienamente rilanciato e rafforzato il processo di pace, condizione necessaria per lo sviluppo”.

L’auspicio è di lavorare insieme per colpire ai fianchi questo conflitto, fomentato da gruppi armati, che utilizzano metodi terroristici per prendere il controllo politico e sostituirsi al potere centrale.

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Meeting Cl a Rimini, identità ed eredità da difendere

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Politica internazionale, dialogo tra le religioni, migrazioni. Saranno i temi al centro del meeting di Cl a Rimini, tra il 20 e il 26 agosto, presentato ieri a Roma. Il titolo: “Quello che tu erediti, riguadagnatelo, per possederlo”. Su questo tema, Luca Collodi ha sentito Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia tra i popoli

R. – C’è un’eredità di cui ognuno di noi, ogni persona, ogni popolo, è portatore. È un’eredità fatta di storia, del proprio patrimonio umano, del proprio cuore, dei propri desideri. E tutto questo non si tramanda in maniera automatica. Se non c’è un atto della libertà, di uno che dice: E' bello quello che io sono, è bello quello che mi è stato dato, voglio riguadagnarmelo per affrontare l’oggi e le sfide di oggi con questo patrimonio recuperato e riguadagnato. Se non c’è questo atto della libertà, qualunque tipo di eredità non serve a nulla.

D. – Guarnieri, una eredità che però viene testimoniata attraverso una chiara identità…

R. – Sì, certo. Ma che cos’è l’identità? L’identità è l’esserci, è quello che mi definisce. Non è un patrimonio né di idee – io direi – né di principi: l’identità è l’esserci. Il problema è poter affrondire sempre di più questo. Credo che la strada sulla quale Papa Francesco ci sta conducendo è proprio questa: il problema non è delle ceneri da recuperare e dai valori da mantenere. Il problema è un desiderio e una speranza da trovare dentro di sé.

D. – Come si annuncia il Meeting 2017 a Rimini, dal 20 al 26 agosto?

R. – Si annuncia come un appuntamento ricchissimo. Apriremo il primo giorno con il presidente del Consiglio, Gentiloni. Chiuderemo l’ultimo giorno con il segretario di Stato, il cardinale Parolin. Nel corso della settimana, avremo appuntamenti importanti che poi proseguono nel solco del dialogo tra le diverse religioni, l’incontro con i diversi. Avremo poi un grande panel di approfondimento su cosa sta succedendo nel mondo: vorremmo veramente capire che cos’è questo vuoto che genera anche il terrorismo; che cos’è questo mondo nel quale le evidenze sono tutte crollate; che cos’è questo cambiamento d’epoca. Tanti ospiti importanti intorno a questo. 

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Ghana: in un film documentario le speranze di un Paese

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Il Ghana attraverso gli occhi di chi ci è nato ed è tornato per mostrarne le potenzialità di un futuro migliore. E’ quanto si propone il documentario “The Wonderful Tapestry of Life”, che racconta il ritorno di Anita Evelyn Stokes Hayford, già ambasciatrice del Ghana in Italia e presidente del consiglio di amministrazione del World Food Program, nel villaggio fondato dai suoi antenati. Il documentario, realizzato da Aurora vision con la collaborazione della provincia di Trento, è stato presentato ieri nella sede della nostra emittente. Il servizio di Michele Raviart

Il “meraviglioso arazzo della vita”, scandito ritmicamente dalle mani degli artigiani ghanesi sui telai, è la storia di un ritorno e di un Paese, il Ghana, in cui la tenacia degli abitanti e la solidarietà sono le basi per un futuro di speranza. Il viaggio dell’ambasciatrice Anita Evelyn Stokes Hayford verso il villaggio fondato dal nonno, vicino al porto di Takoradi, parte dalle fortezze in cui in epoca coloniale furono imprigionate milioni di persone prima di essere vendute come schiavi. Un monito alle nuove schiavitù dei giorni nostri – racconta l’ambasciatrice – che nascono con lo sfruttamento lavorativo e costringono alle migrazioni forzate.

Oltre le ceneri del passato, noi immaginiamo un futuro luminoso per il Ghana. Sono stata molto felice di andare nel villaggio di mio nonno. Non ci sono stati miglioramenti da quando sono partita, ma per me è stata una grande emozione tornare lì. E spero che la mia famiglia possa presto iniziare a sviluppare il villaggio: l’elettricità c’è già, ma si deve portare anche l’acqua e fornire gli altri servizi per migliorare la vita degli abitanti. Ora voglio che questo film esca per raccontare al mondo che c’è ottimismo in Ghana e non tutto è perduto.

Un ottimismo testimoniato dall’incontro con Georgina Abram. Priva delle gambe dalla nascita, da neonata era stata abbandonata dai genitori in una foresta e trovata dal padre francescano George Abram – da cui ha preso il nome – e affidata ad una donna del posto. Ora è laureata, ha un figlio ed è un simbolo per le altre donne del villaggio di Ankaful, dove padre George gestisce il primo ospedale per malattie infettive dell’Africa occidentale, come spiega in questo estratto del documentario:

40 anni fa io sono arrivato qui. Quando ho cominciato a rimboccarmi le maniche, a lavorare avevamo 50mila paziente registrati in Ghana: 50mila pazienti malati di lebbra. E allora, visto che eravamo nel campo e che trovavamo un po’ di aiuti, abbiamo incominciato a fare un ospedale. Trovavamo fino a due, tremila nuovi casi all’anno: adesso ne abbiamo trovati 270 di nuovi casi in tutto il Ghana con 21-23 milioni di abitanti, che dal punto di vista epidemiologico è zero.

Un messaggio di fratellanza consolidato nei sette viaggi in Ghana che sono stati necessari per realizzare questo film-documentario, afferma la regista, Lia Giovanazzi Beltrami:

"Il messaggio principale è che siamo tutti dei fili colorati e se ognuno vive per sé stesso rimane un filo e basta. Se ci intrecciamo l’un l’altro nella solidarietà, diventiamo uno splendido ricamo che è la meraviglia della vita. quello che vorremmo comunicare allo spettatore è qualcosa di diverso: per noi occidentali andare in Ghana vuol dire acquisire un’attenzione al prossimo diversa, e acquisire un diverso sapore della vita. La solidarietà è rendere l’altro protagonista di scambio. Noi vogliamo essere tutti dei fili che ci rendiamo protagonisti di scambio e quindi protagonisti di un ricamo meraviglioso".

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Tor Vergata, Conferenza Internazionale dei Rettori Università

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Il 23 giugno si terrà, presso l'Ateneo di "Tor Vergata", la "Conferenza Internazionale dei Rettori delle Università": al summit parteciperanno i Rettori delle Università di oltre 50 nazioni. Durante l'evento, che si inserisce nell'ambito del XIV Simposio Internazionali dei Docenti Universitari, si discuterà di sviluppo sostenibile, innovazione sociale e superamento di ogni disparità e disuguaglianza. Giorgio Saracino ha chiesto a Giuseppe Novelli, Rettore dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", spiegazioni sulla Conferenza: 

R. – È un incontro a porte chiuse che riguarda mediamente 50, 60 rettori di atenei dell’area euro-mediterranea di Paesi anche difficili: Siria, Palestina, Israele, Paesi dell’Africa, del Sudest asiatico ma anche della Russia e di altri Paesi. Noi pensiamo che il dialogo tra i rettori dovrebbe superare quelle che sono le crisi attuali delle tensioni geopolitiche: la crisi della cultura della globalità e la mancanza di conoscenze. Tutto ciò che sta portando a una chiusura dei popoli e alla costruzione di muri. Questo forum nasce con questi obiettivi, con il compito di salvaguardare la conoscenza, tutelare e divulgare il sapere come via privilegiata per il dialogo tra i popoli.

D. - Quanto è importante la collaborazione tra atenei nella crescita degli studenti e dei professionisti?

R. – Noi abbiamo una grande responsabilità: la cultura e l’innovazione dove viene generata? Nelle università di tutto il mondo, perché ci sono i giovani e i talenti, questo non dobbiamo mai dimenticarcelo. I talenti si scoprono all’interno delle università. Noi dobbiamo fare emergere i talenti e per far emergere i talenti dobbiamo dialogare e far sì che un mio giovane talento vada a fare degli esperimenti in Israele oppure vada in altre parti del mondo. Questo deve essere facilitato, non può essere impedito.

D. – Infatti si discuterà di temi di attualità come immigrazione, sviluppo sostenibile e dialogo per la pace. Temi fondamentali al giorno d’oggi, soprattutto per i giovani, per il futuro…

R. – È fondamentale questo. Noi stiamo attivando i corridoi culturali per i migranti con delle iniziative straordinarie: Tor Vergata sta attivando un corso di perfezionamento per insegnare ai migranti a fare i badanti. Proviamo a immaginare quanto sia importante imparare a fare i badanti perché è un corso di tre mesi, sei mesi, che garantisce a loro un mestiere e dà la possibilità anche alle famiglie italiane di assumerli, anche perché hanno un certificato di qualità. L’università di Bologna ha istituito dei corsi per i migranti per insegnare a fare la mungitura e quindi impegnarli nel settore agricolo, nel settore dell’allevamento: persone che arrivano qui senza un titolo, senza un documento, senza un libretto universitario, a volte anche senza un mestiere, dare un percorso breve di questo tipo li può aiutare nell’inserimento sociale.

D. – L’evento si inserisce nell’ambito del XIV Simposio Internazionale dei Docenti Universitari dedicato alla "Terza Missione delle università in Europa per lo sviluppo umano e globale". Cosa si intende per terza missione?

R.  – La terza missione delle università è l’università che scende dalla cattedra e che guarda alla società. Finora l’università è stata sempre vista come didattica e ricerca. In realtà l’università fa molto di terza missione perché non solo produce oggetti, innovazione, tecnologie ma anche la terza missione, come la stiamo vedendo oggi, è quella dell’innovazione sociale: cioè, l’università che aiuta la società a funzionare meglio. Le università italiane stanno contribuendo a dare progetti esecutivi per le scuole distrutte dal sisma delle regioni centrali. Ecco, questa è innovazione sociale dell’università.

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Colombia: appello dei vescovi a governo ed Eln per tregua

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Un appello al Governo nazionale e alla guerriglia dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) per arrivare a un cessate-il-fuoco bilaterale è stato diffuso stamane dalla Conferenza episcopale colombiana (Cec). Il messaggio, che porta la data del 20 giugno è firmato dal presidente della Cec, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, presidente della Cec, dal card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam, da mons. Oscar Urbina Ortega, vicepresidente Cec e arcivescovo di Villavicencio, da mons. Elkin Fernando Álvarez Botero, segretario generale Cec e vescovo ausiliare di Medellín, e da mons. Darío de Jesús Monsalve Mejía, arcivescovo di Cali e referente della Commissione episcopale per il dialogo con l’Eln.

Alimentare il dialogo
Si legge nell’appello: “Desideriamo alimentare il dialogo fino al raggiungimento di un accordo finale tra le parti che – con la partecipazione della società e con l’obiettivo della fine del conflitto armato – si sta cercando al tavolo di Quito. La visita apostolica di Papa Francesco, che felicemente si avvicina ci spinge a mettere in comune le diverse volontà, senza alcuna esclusione, per fare il primo passo, che a ciascuno compete fare”.

Appello per un cessate-il-fuoco
Da qui l’esplicito appello “per un cessate-il-fuoco e delle ostilità bilaterale, che sia espressione della vostra volontà, comune a quella del popolo colombiano, di accogliere il Santo Padre e di dare il benvenuto alla sua persona e al suo messaggio”. Questo eventuale passo “aiuterà in modo significativo a cementare la volontà sociale e politica di pace, ancora debole di fronte all’abitudine di usare la forza e di manipolare la verità”. 

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Incendio in Portogallo, messaggio di solidarietà dei vescovi

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I vescovi del Portogallo esprimono, in un messaggio, il loro dolore per le vittime degli incendi che, nei giorni scorsi, hanno provocato la morte di almeno 64 perone. I presuli, oltre a manifestare preoccupazione per le enormi devastazioni provocate dalle fiamme, accompagnano con le preghiere le famiglie delle vittime.

Il prezioso lavoro dei volontari
Esprimono anche apprezzamento per le operazioni di soccorso e il lavoro dei vigili del fuoco. Nel messaggio, si ringraziano in particolare i tanti volontari giunti non solo dal Portogallo, che hanno anche corso dei rischi per salvare vite umane.

Il nodo della prevenzione
I presuli sottolineano poi che occorre una maggiore e più adeguata prevenzione per arginare calamità, come quelle degli incendi, che ogni anno colpiscono il Paese.

Come contribuire
I vescovi ricordano inoltre che le chiese locali, le comunità cristiane e le Caritas partecipano agli sforzi per assistere le vittime e collaborano affinché, dopo tanta devastazione, possa rinascere la speranza. Si può contribuire a tali sforzi – si legge infine nel messaggio - destinando donazioni sul conto:

Conta Cáritas na CGD: 0001 200000 730 - IBAN: PT50 0035 0001 00200000 730 54

Indagini in corso
In Portogallo proseguono infine le indagini per capire le dinamiche che hanno provocato una così grande tragedia. Si segue in particolare la pista criminale come origine dell’incendio di Pedrogão Grande che ha mandato in fumo oltre 30.000 ettari di terreno. Sebbene la quasi totalità dei focolai sia ormai sotto controllo nel centro del Portogallo, ben 2.300 vigili del fuoco restano mobilitati, con l’appoggio di quasi 900 veicoli, per monitorare la situazione ed evitare che si ripetano tragedie come quella avvenuta nella strada statale 236. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Sinodo della Chiesa maronita incentrato su Anno del martirio

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Riforma liturgica  e ”Anno del martirio e dei martiri maroniti”, che si concluderà il 2 marzo del 2018. Sono questi alcuni dei temi al centro dei lavori, in Libano, dell’assemblea del Sinodo della Chiesa maronita, terminato sabato scorso nella sede del patriarcato a Bkerké. All’assemblea, tenutasi in coincidenza del ritiro spirituale annuale, hanno partecipato i vescovi del Libano e della diaspora maronita, tra cui presuli di Medio Oriente, Terra Santa, Europa e Stati Uniti. Durante la riunione, dedicata anche alle prossime “Giornate mondiali della gioventù maronita” che si terranno in Libano dal 15 al 25 luglio 2017, sono state ascoltate le testimonianze dei vescovi maroniti della Siria e dell’Iraq.

Ricordate le sofferenze delle comunità maronite di Iraq e Siria
Durante i loro interventi, i vescovi hanno raccontato e ricordato le sofferenze e le distruzioni subite dalle comunità maronite a causa dei conflitti corso nella regione. In particolare, sono state ascoltate con grande commozione le parole dei presuli maroniti della Siria delle diocesi di Damasco, Aleppo e Lattakia. L’anno del martirio - si legge nel messaggio diffuso al termine del Sinodo  - è un’occasione unica per rinnovare l’ impegno di testimonianza a Cristo e per far trionfare l’amore sull’odio, la pace sulla guerra. E’ un anno – si legge infine nel comunicato - che deve eliminare la paura dai nostri cuori pur vedendo le aggressioni e le persecuzioni contro i cristiani in Medio Oriente, costretti ad abbandonare le loro case. (A.L.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 173

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.