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Sommario del 23/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cristiani vadano sempre avanti, meglio zoppicare che stare fermi

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Meglio zoppicare che rimanere fermi rinchiudendosi nella propria nicchia. E’ quanto affermato da Papa Francesco nel discorso al Serra International, organizzazione che ha, come vocazione, “l’essere amici dei preti”. Il Papa ha detto che è molto triste vedere uomini di Chiesa che non sanno cedere il proprio posto ed ha ribadito che il cristiano deve sempre mettere in discussione se stesso se vuole vivere davvero l’incontro con il Signore. Il servizio di Alessandro Gisotti

Siate “veri amici dei seminaristi e dei sacerdoti, manifestando il vostro amore per loro nella promozione delle vocazioni, nella preghiera e nella collaborazione pastorale”. E’ l’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai membri del Serra International, ringraziandoli per la loro “bella vocazione” incentrata sull’amicizia. Quindi, ha sottolineato cosa voglia dire essere amici dei preti:

“Amici che sanno accompagnarli e sostenerli con senso di fede, con la fedeltà della preghiera e con l’impegno apostolico; amici che condividono lo stupore della chiamata, il coraggio della scelta definitiva, le gioie e le stanchezze del ministero; amici che sanno stare vicini ai preti, che sanno guardare con comprensione e tenerezza i loro slanci generosi, insieme alle loro debolezze umane”.

Di qui, il Pontefice ha preso spunto dal tema del Convegno del Serra International, “Siempre adelante! Sempre avanti!” per soffermarsi sulla centralità del camminare nella “vocazione cristiana”.

Le strutture pastorali non cadano nella tentazione di preservare se stesse
Quest’ultima, ha detto, “è l’invito a uscire da sé stessi per iniziare a vivere la festa dell’incontro con il Signore e percorrere le strade sulle quali Egli ci invia”. Ma per camminare, è stato il suo ammonimento, bisogna mettersi in discussione. “Non avanza verso la mèta – ha detto il Papa – chi ha paura di perdere sé stesso secondo il Vangelo”:

“Nessuna nave solcherebbe le acque se avesse timore di lasciare la sicurezza del porto. Allo stesso modo, nessun cristiano può entrare nell’esperienza trasformante dell’amore di Dio se non è disposto a mettere in discussione sé stesso, ma resta legato ai propri progetti e alle proprie acquisizioni consolidate. Anche le strutture pastorali possono cadere in questa tentazione di preservare sé stesse invece di adattarsi al servizio del Vangelo”.

Il cristiano, invece, “sa di poter scoprire le sorprendenti iniziative di Dio quando ha il coraggio di osare, quando non permette alla paura di prevalere sulla creatività”: E ancora, ha affermato, “quando non si irrigidisce di fronte alla novità e sa abbracciare le sfide che lo Spirito gli pone, anche quando esse gli chiedono di cambiare rotta e di uscire dagli schemi”.

Bisogna sempre andare avanti, confidando nella misericordia di Dio
Francesco ha così rammentato l’esempio di di San Junipero che, “zoppicante, si ostina a volersi mettere in viaggio verso San Diego per piantarvi la Croce!”:

Ho paura dei cristiani che non camminano e si rinchiudono nella propria nicchia. È meglio procedere zoppicando, talvolta cadendo ma confidando sempre nella misericordia di Dio, che essere dei “cristiani da museo”, che temono i cambiamenti e che, ricevuto un carisma o una vocazione, invece di porsi al servizio dell’eterna novità del Vangelo, difendono sé stessi e i propri ruoli”.

No agli uomini di Chiesa che non cedono il proprio posto
Tutti, ha detto, siamo chiamati dal Signore, siamo dunque chiamati a metterci “al servizio di un progetto più grande” e questo con umiltà:

“Com’è triste vedere che, a volte, proprio noi uomini di Chiesa non sappiamo cedere il nostro posto, non riusciamo a congedarci dai nostri compiti con serenità, e facciamo fatica a lasciare nelle mani di altri le opere che il Signore ci ha affidato!”

Anche voi, ha concluso, andate avanti “con coraggio, con creatività e con audacia. Senza paura di rinnovare le vostre strutture e senza permettere che il prezioso cammino fatto perda lo slancio della novità”.

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Papa a Santa Marta: farsi piccoli, per ascoltare voce del Signore

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Per ascoltare la voce del Signore, bisogna farsi piccoli. Lo ha ricordato Papa Francesco nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta, celebrando il Sacratissimo Cuore di Gesù. Il servizio di Giada Aquilino

Il Signore ci ha scelti, si è “immischiato con noi nel cammino della vita” e ha dato “Suo Figlio, e la vita del Suo Figlio, per il nostro amore”. Richiamandosi all’odierna Prima Lettura tratta dal Deuteronomio, in cui Mosè dice che Dio ci ha scelti per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli della terra, Francesco spiega come si lodi Dio perché “nel cuore di Gesù ci dà la grazia di celebrare con gioia i grandi misteri della nostra salvezza, del Suo amore per noi”, celebrando cioè “la nostra fede”. In particolare il Papa si sofferma su due parole contenute nel brano: scegliere e piccolezza. Riguardo alla prima, prosegue, non siamo stati noi “a scegliere Lui”, ma è Dio che si è fatto “prigioniero di noi”:

Si è legato alla nostra vita, non può staccarsi. Ha giocato forte! E rimane fedele in questo atteggiamento. Siamo stati scelti per amore e questa è la nostra identità. ‘Io ho scelto questa religione, ho scelto …’: no, tu non hai scelto. E’ Lui che ha scelto te, ti ha chiamato e si è legato. E questa è la nostra fede. Se noi non crediamo questo, non capiamo cosa sia il messaggio di Cristo, non capiamo il Vangelo”.

Per la seconda parola, piccolezza, ricorda come Mosè specifichi che il Signore ha scelto il popolo d’Israele perché è “il più piccolo di tutti i popoli”:

Si è innamorato della nostra piccolezza e per questo ci ha scelti. E Lui sceglie i piccoli: non i grandi, i piccoli. E Lui si rivela ai piccoli: ‘Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli’. Lui si rivela ai piccoli: se tu vuoi capire qualcosa del mistero di Gesù, abbassati: fatti piccolo. Riconosci di essere nulla. E non solo sceglie e si rivela ai piccoli, ma chiama i piccoli: ‘Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi: io vi darò il ristoro’. Voi che siete i più piccoli – per le sofferenze, per la stanchezza … Lui sceglie i piccoli, si rivela ai piccoli e chiama i piccoli. Ma i grandi non li chiama? Il suo cuore è aperto, ma la voce i grandi non riescono a sentirla perché sono pieni di se stessi. Per ascoltare la voce del Signore, bisogna farsi piccoli”.

Così, dunque, si arriva al mistero del cuore di Cristo, che non è - come “qualcuno dice”, ricorda Francesco - una “immaginetta” per i devoti: il cuore trafitto di Cristo è “il cuore della rivelazione, il cuore della nostra fede perché Lui si è fatto piccolo, ha scelto questa via”. Quella di umiliare se stesso e annientarsi “fino alla morte” sulla Croce: è - sottolinea il Pontefice - “una scelta verso la piccolezza perché la gloria di Dio possa essere manifesta”. Dal corpo di Cristo trafitto dalla lancia del soldato “uscì sangue e acqua”, rammenta il Papa, e “questo è il mistero di Cristo”, nell’odierna celebrazione di un “cuore che ama, che sceglie, che è fedele” e “si lega con noi, si rivela ai piccoli, chiama i piccoli, si fa piccolo”:

“Crediamo in Dio, sì; sì, anche in Gesù, sì … ‘Gesù è Dio?’ – ‘Sì’. Ma il mistero è questo. Questa è la manifestazione, questa è la gloria di Dio. Fedeltà nel scegliere, nel legarsi e piccolezza anche per se stesso: diventare piccolo, annientarsi. Il problema della fede è il nocciolo della nostra vita: possiamo essere tanto, tanto virtuosi ma con niente o poca fede; dobbiamo incominciare da qui, dal mistero di Gesù Cristo che ci ha salvato con la sua fedeltà”.

La preghiera finale è perché il Signore ci conceda la grazia di celebrare nel cuore di Gesù Cristo “le grandi gesta, le grandi opere di salvezza, le grandi opere della redenzione”.

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Nunzio Zenari dal Papa: porto la sua carezza ai siriani. Serve fine violenze

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Continua la pioggia di missili contro le postazioni dei jihadisti dello Stato islamico in Siria: partono da navi militari russe nel Mediterraneo orientale e colpiscono gli insediamenti della provincia siriana di Hama. Intanto nel nord est, arrivano i primi convogli umanitari dopo due anni di isolamento dei civili. Una soluzione politica ancora non c'è, mentre le vittime civili aumentano: oltre 470 dall’inizio di maggio secondo fonti dell'opposizione. Anche di questa emergenza umanitaria ha parlato oggi al Papa, il Nunzio apostolico in Siria, il cardinale Mario Zenari reduce dalla 90° Plenaria della Roaco. Gabriella Ceraso lo ha intervistato al termine dell’udienza col Pontefice: 

R. – Sono andato dal Papa accompagnato da 23 milioni di siriani – cattolici, cristiani, musulmani e di altre religioni – che hanno una grande stima del Papa, che lo ringraziano per tutto quello che fa, e ho portato una grande richiesta: la cessazione della violenza e il bisogno di pace. Il Papa non solo prega, agisce a livello internazionale anche con aiuti concreti. Salutandomi, così, sulla porta mi ha detto: “Porti una carezza a tutti i siriani che soffrono”. Purtroppo, questa è una delle priorità urgenti perché più della metà degli ospedali o istituti ospedalieri sono stati messi fuori servizio dalla guerra. Facciamo appello alla generosità di tutti.

D. – Oggi ci sono altri dati di tante vittime civili,nell’ultimo mese oltre 400 ancora, sotto i bombardamenti – perché continuano i bombardamenti in Siria, lo vogliamo ricordare. Per ora si parla sempre di bombardamenti contro i jihadisti del cosiddetto Stato islamico: ma è ancora così lontana una soluzione politica tra i siriani?

R. – Purtroppo, sul piano del conflitto adesso le notizie che arrivano dal fronte orientale, da Raqqa e da Deir Ezzor, sono piuttosto preoccupanti. La gente che cerca, che vorrebbe uscire e che non ci riesce … forse bisognerebbe implementare dei corridoi umanitari. Quanto a una soluzione politica, direi che bisognerebbe arrivare prima di tutto a una cessazione della violenza. L’accordo di Astana del 4 maggio scorso prometterebbe bene, anche se qui il condizionale è d’obbligo perché poi, ad attuarlo nella pratica vengono poi i problemi. Quello che si deve cercare di ottenere adesso è la cessazione della violenza. Poi la soluzione politica, questa si vedrà perché è molto lontana: bisogna battere sempre il chiodo e quindi i Colloqui di Ginevra … ma non bisogna nascondersi quanto sia complicata la realtà. Un siriano, due settimane fa, con amarezza mi faceva il conto delle bandiere straniere attualmente presenti in Siria: ecco ci sono armamenti, ci sono militari, quindi direi che è un conflitto molto, molto complesso, però con l’aiuto della comunità internazionale bisogna arrivare a una soluzione politica. Ma, ripeto, il primo, il primo passo ora dev’essere quello di una cessazione della violenza per permettere gli aiuti umanitari.

D. – Quando lei prega per la Siria, che cosa chiede?

R. – In fondo, preghiamo tutti il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e preghiamo per la pace che è il dono più desiderato in questa zona, in questa parte del Medio Oriente.

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Le udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

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Le udienze e nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa.

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Oggi in Primo Piano



Brexit: May offre residenza ai comunitari. Ue: non basta

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E in corso oggi a Bruxelles la seconda giornata del Consiglio dei capi di stato e di governo dei Paesi Ue. Sul tavolo il tema dell’immigrazione rispetto al quale restano forti distante sull’accoglienza dei richiedenti asilo. Ieri i 27 hanno raggiunto un accordo storico su un fondo per la difesa comune e la lotta al terrorismo, mentre la premier britannica Theresa May ha illustrato le sue proposte sui diritti dei cittadini Ue che vivono in Gran Bretagna. Il servizio di Marco Guerra

Gli Stati potranno unire le loro forze in caso di crisi ed entro tre mesi dovranno essere presentati progetti per la collaborazione "sul terreno". Inoltre si è deciso di lavorare più strettamente con le società che gestiscono il web per rimuovere la propaganda jihadista. È quanto stabilito dall’accordo, definito storico, sulla difesa comune europea raggiunto ieri al vertice di Bruxelles.

Nelle stesso ore si è discusso della Brexit. La premier May ha detto che sarà concessa la piena residenza, con tutti i diritti connessi, a chi lavora in Gran Bretagna da almeno 5 anni. Una proposta giudicata insufficiente dal presidente della commissione Juncker. Molti infatti i cittadini comunitari che rimarrebbero scoperti. Sulla prima giornata dei lavori del Consiglio Ue, il commento del responsabile del programma europeo dell’Ispi, Antonio Villafranca:

R. – La difesa è un ambito su cui gli Stati Membri hanno sempre mantenuto fortissime gelosie. Il fatto che si mettano in comune dei fondi è già un passo avanti e possiamo essere soddisfatti. È un primo passo: significativo, simbolicamente importante, ma essenzialmente non si tratta di creare un esercito europeo. Siamo ancora molto lontani da una ipotesi di questo tipo. Si tratta di mettere insieme forze di vari Paesi - non necessariamente peraltro di tutti i Paesi europei - per fare attività di addestramento. E quindi questo già anche dà l’indicazione che si tratta di un primo timido passo, la cui importanza tuttavia non sottovaluterei perché simbolicamente è invece già un passo importante.

D. – Certo, perché al momento i vari Paesi europei in ambito internazionale ricadono sotto la Nato…

R. – C’è una questione importante di collegamento tra le operazioni in campo militare - di difesa - dell’Unione Europea e la questione della Nato. Esistono già degli accordi: i cosiddetti accordi “Berlin Plus”, che stabiliscono quali sono i rapporti. Non c’è dubbio che, se l’Unione Europea facesse passi avanti concreti nella razionalizzazione quantomeno delle spese militari dei vari Paesi membri, questo le permetterebbe di essere anche più efficace, di intervenire meglio e di più anche in ambito Nato. E risponderebbe indirettamente anche alle esigenze portate avanti non solo da Trump, ma in precedenza anche dagli altri presidenti americani: avere un’Unione Europea che, nel campo della politica estera e della difesa, risulti più attiva e contribuisca obiettivamente di più.

D. – Ieri si è discusso anche di Brexit. La premier May ha illustrato le sue proposte sui diritti dei cittadini Ue; Londa vuole concedere la piena residenza a chi lavora in Inghilterra da almeno cinque anni…

R. – Partiamo da un dato. Ci sono circa 200mila italiani residenti in Gran Bretagna, ma in realtà, se consideriamo tutti gli italiani presenti nel Paese, questi sono circa 600mila. Allora, sui 200mila che hanno già la residenza, le idee effettivamente da ieri sembrano un po’ più chiare, cioè se la residenza c’è almeno da cinque anni, allora si può accedere anche a tutto il welfare e a tutti i servizi, a partire anche da quelli sanitari. Per gli altri – due italiani su tre che sono presenti in Gran Bretagna – la situazione è ancora molto opaca: non si capisce neanche il momento a partire dal quale per questi ultimi, se oggi per esempio chiedessero la residenza, poi decorrerebbero i cinque anni. Quindi anche lì si tratta di un piccolo primo passo, di un segnale di apertura della May, che è segno di una debolezza in realtà della premier: la debolezza che viene dal fallimento che ha registrato nell’ultima tornata elettorale.

D. – Quindi questo smentisce chi parla di una prospettiva di uscita più soft…

R. – All’inizio sì. È inevitabile che, rispetto a quella posizione dura e ferma che ha avuto la May nei mesi precedenti, ci sia un ammorbidimento dei toni, una ricerca del compromesso. Ma quando si andranno a chiudere i dossier, lì sarà difficile per la May trovare un compromesso, perché la difesa del compromesso all’interno del suo stesso governo, partito, diventerà ovviamente difficile. E quindi necessariamente un governo debole e con cui è più facile trattare. Anzi, di solito è un governo che si irrigidisce proprio perché la sua debolezza non gli permette di raggiungere dei compromessi.

D. – La giornata di oggi è dedicata all’emigrazione: posizioni molto distanti dei Paesi dell’Est, del gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca e Slovacchia), che rifiutano di accogliere nuove quote di migranti: è possibile prospettare un nuovo nulla di fatto sull’immigrazione? Le distanze sono incolmabili?

R. – Purtroppo sì: questo è proprio uno di quei dossier su cui le posizioni potranno riavvicinarsi perché i Paesi di Visegrád sono totalmente contrari. Ma non è soltanto colpa loro: non dimentichiamo che la stessa Francia e la Germania hanno sospeso Schengen; ci sono vincoli che sono stati reintrodotti alla libera circolazione. Proprio perché quello delle migrazioni è un tema estremamente sensibile da un punto di vista politico, trovare un compromesso è molto difficile. Quello che è un dato di fatto è che i Paesi di Visegrád, rispetto ad esempio ai ricollocamenti dei migranti, si stanno ponendo fuori dagli accordi, ed è possibile adire la Corte di giustizia proprio perché non stanno rispettando dei patti che sono stati già presi.

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Aumentano gli immigrati morti in mare. Veglia di S. Egidio

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Per il premier Gentiloni "serve uno slancio maggiore per le politiche migratorie che non possono essere lasciate sulle spalle dei Paesi in prima linea ma devono essere condivise dagli Stati europei". E ieri sera a Roma, nella basilica di Santa Maria in Trastevere, si è celebrata una veglia per ricordare i morti in mare, organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio e da altre organizzazioni che si occupano di assistere i migranti. Aumentano infatti le morti di chi decide di lasciare il proprio paese per raggiungere l’Europa. Alessandro Guarasci

I colori e i suoni dell’Africa nella Baslica di Santa Maria Maggiore, ma anche le immagini di chi è morto in mare. Tragedie che si ripetono da anni e a cui l’Europa non riesce a dare una risposta credibile. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:

Fare memoria delle quasi duemila persone morte in mare nel Mediterraneo nel 2017: è un calcolo che purtroppo, percentualmente, ogni anno aumenta. Quest’anno un migrante su 35 che hanno attraversato il mare ha perso la vita. Tra loro molti piccoli e molte donne. Sono dati preoccupanti perché ci dicono di come l’emigrazione sia qualcosa di forzato per tanta gente ma di necessario per vivere”.

Alla veglia hanno partecipato centinaia di immigrati, tra cui alcuni che hanno vissuto terribili viaggi per giungere in Europa, insieme a quelli che, invece, sono arrivati in sicurezza con i corridoi umanitari. Durante la veglia sono stati letti alcuni nomi di chi è scomparso e sono state accese candele in ricordo delle vittime dei viaggi verso il nostro continente.

La soluzione potrebbero essere i corridoi umanitari, dice Zenaib arrivata 30 anni fa dalla Somalia:

"Il corridoio umanitario è fondamentale. Ed è importante sia per chi viene da fuori e fugge dalla guerra sia per chi si trova nei Paesi di approdo, perché è anche una maniera diretta per aiutare".

E poi cooperazione internazionale, per non obbligare la gente a lasciare la propria terra. Daud, è afghano, e in Italia fa il mediatore culturale:

“Non chiudersi: non costruire i muri e non mettere i fili spinati. Perché le persone che arrivano hanno bisogno. Per quello scappano: hanno bisogno di vivere, semplicemente di vivere - di avere il diritto di vivere - come tanti altri cittadini”.

In Italia e in Europa, si fa sempre più fatica ad accogliere. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli:

“Si fa sempre più fatica ad accogliere perché abbiamo anche una legge vecchia che non risponde alle esigenze attuali dell’immigrazione. E non dobbiamo dimenticare che noi stiamo creando ogni giorno degli irregolari, delle persone che non riescono ad entrare in un canale precostituito e sul quale si è legiferato. E quindi noi alimentiamo la via dell’irregolarità”.

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Siccità in Italia: un milione di euro i danni per l'agricoltura

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Italia nella morsa della siccità. Il governo ha decretato lo stato d’emergenza per le province di Parma e Piacenza dove si concentra la produzione di eccellenze del Belpaese come i salumi e un quarto del pomodoro raccolto in Italia. Altre regioni come Sardegna, Veneto e Piemonte sono in difficoltà. Ce ne parla Benedetta Capelli

Siccità e conseguente crisi idrica stanno interessando gran parte dell’Italia. Di ieri la dichiarazione dello stato di emergenza nelle province di Parma e Piacenza e lo stanziamento di 8 milioni e 650 mila euro. Anche Veneto e Sardegna vivono un momento di difficoltà, l’isola sta registrando l’anno più siccitoso dall’inizio delle osservazioni nel 1922. Anche a Roma, la sindaca Virginia Raggi ha emesso un'ordinanza che stabilisce di limitare l'uso dell'acqua per annaffiare orti e giardini, riempire piscine, lavare auto. Sandro Nanni dell’Arpae Emilia Romagna fa il punto della situazione:

R. – Siamo in un’allerta di tipo arancione per le temperature elevate che stiamo riscontrando in questi giorni e che avremo fino a sabato, e anche per quello che viene chiamato il “disagio bio-climatico”: quindi nelle aree urbane della nostra regione e nelle pianure da Piacenza fino a Ferrara abbiamo condizioni di disagio moderato. La situazione è veramente di stress, di assenza di contenuto di acqua nei terreni: i terreni sono secchi e quindi c’è una situazione che per quanto riguarda, in questo momento, le colture, in pianura, e gli animali soprattutto le vacche da latte nella zona della montagna e della collina piacentina e parmense, c’è assoluta carenza di acqua.

D. – Quali sono i suggerimenti e le indicazioni che l’Arpae vuole dare?

R. – Quella della razionalizzazione dell’uso dell’acqua. Forse verranno emessi anche dei provvedimenti comunali di divieto di utilizzo dell’acqua che possa essere per l’irrigazione di campi di calcio – per esempio – o di campi da tennis … che non sia strettamente legato a un uso irriguo per le colture e soprattutto anche per l’idropotabile per la popolazione, perché la situazione potrebbe già scarseggiare anche per la popolazione e si potrebbe avere necessità di rifornimenti fatti poi con le autobotti. Anche l’acqua nelle falde sotterranee, nelle province di Parma e Piacenza, che stiamo monitorando è a livelli veramente bassi per questo periodo di inizio estate. I valori minimi che stiamo monitorando dal 2000 non erano mai stati così bassi nelle falde sotterranee, quindi c’è carenza di acqua già anche in profondità …

E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme per quanto riguarda la produzione delle eccellenze italiane. La Toscana, ad esempio, nella piana del Grossetano è andato perso oltre il 50% del raccolto di grano e sono a forte rischio i pomodori, ma anche i foraggi, la vite e l'ulivo. Grandi rischi soprattutto in Emilia Romagna come sottolinea Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti:

R. – C’è una situazione davvero ormai complicata nelle province di Parma e Piacenza, dove a rischio c’è un patrimonio di 650mila bovini; oltre un milione e mezzo di maiali; le coltivazioni e i foraggi a loro destinati, ma anche uno dei più importanti distretti del pomodoro italiano: in quelle province si produce un quarto del pomodoro italiano. Quindi è una situazione complicata, che si aggiunge a danni già stimati e calcolati sull’agricoltura italiana di almeno un miliardo di euro.

D. – Ma quali sono gli interventi necessari in questo particolare momento per arginare i danni?

R. – Qui quello che è importante è lavorare sulla prevenzione. In questo momento, finché non inizierà a piovere, l’unica cosa che dobbiamo fare è gestire al meglio l’acqua ancora disponibile, dando la priorità massima all’uso umano e agricolo, che sono gli usi in questo momento più importanti. Poi bisogna fare un ragionamento serio di investimento strutturale sul tema, perché dobbiamo recuperare le ex cave e le aree di laminazione dei fiumi: in questi momenti dell’anno devono, infatti, poter diventare luoghi di conservazione dell’acqua che ci consentono di avere più acqua a disposizione. Oggi siamo a un livello di acqua del Po che lo scorso anno avevamo nel mese di agosto. Questo ci dà il segnale di quanto è critica la situazione.

D. – Fenomeni come questa siccità che stanno diventando sempre meno sporadici e quindi sempre più frequenti ci dicono che è necessario un lavoro di contrasto al cambiamento climatico. Ci sono dei suggerimenti che la Coldiretti vuole dare in proposito?

R. – L’Enciclica del Papa “Laudato Si’” è sempre un riferimento. Il tema è qual è il modello di sviluppo; quale il modello di economia e quale quello di agricoltura. È l’agricoltura italiana oggi che è la più “green” di Europa: è quella che emette meno emissioni di anidride carbonica in atmosfera; è quella che ha fatto grandissimi passi in avanti, e quindi è quella che dobbiamo tutelare. Un’agricoltura che rispetta l’ambiente, che guarda al rispetto delle persone e che deve però vedere sempre un giusto prezzo dei prodotti agricoli riconosciuti ai nostri produttori. L’agricoltura oggi non è parte del problema ma è parte della soluzione al problema del cambiamento climatico. Dobbiamo investire su un’agricoltura sana e sostenibile come quella italiana sta dimostrando di essere.

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Zollner: per gli abusi sui minori la Chiesa deve affidarsi agli esperti

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“Celebrare la speranza” per le vittime di abuso nella Chiesa cattolica e ampliare formazione e tutela dei minori. Questi i temi su cui si sono confrontati a Roma in una tavola rotonda durata cinque giorni organizzata dallo Scottish Catholic Safeguarding Service,  dalla Safeguarding Commission di Malta e dal Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, oltre cento tra professionisti laici e religiosi, provenienti da 14 Paesi del mondo di lingua anglofona. Il servizio di Michele Raviart: 

Ogni approccio volto a tutelare i minori che hanno subìto abusi all’interno della Chiesa cattolica non può prescindere dal presupposto fondamentale di mettere le vittime al centro di ogni azione di prevenzione e terapia. A partire da questo assunto i 111 esperti presenti alla Conferenza anglofona per la protezione dei minori hanno ascoltato cinque vittime sopravvissute alle violenze ed elaborato “buone pratiche” per affrontare gli abusi.  

Un tema discusso da differenti prospettive che vanno dall’evitare che chi abbia commesso abusi possa compierne altri dopo aver scontato la pena, all’assistenza alle famiglie e le comunità che hanno avuto vittime al loro interno. “Nella tutela dei minori, la Chiesa ha bisogno di procedere oltre un approccio amatoriale e deve accogliere i consigli degli esperti in questo ambito”, ha detto l’arcivescovo di Malta Charles Scicluna, mentre il padre gesuita Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Gregoriana ha sottolineato l’importanza di investire tempo e risorse in formazione e prevenzione. Ascoltiamolo:

R.  – Con la insistenza da parte di Papa Benedetto e con il cammino che Papa Francesco ha seguito, penso che sia iniziato un cambio di atteggiamento. Il tema viene discusso pubblicamente in zone che fino a poco fa, e parliamo di uno o due anni fa, non avevano mai messo un argomento come questo nell’agenda di una conferenza pubblica. Ci sono più e più vescovi e provinciali delle congregazioni religiose che sono molto consapevoli e sono anche ormai informati e formati su queste vicende. Sono veramente segni di speranza.

D. - Cosa è emerso da questi cinque giorni di dibattiti e di discussioni?

R. – La cosa principale di questo tipo di raduno, che continua da una quindicina di anni, è che la gente che nella parte anglofona del mondo lavora per la protezione dei minori si vede, si aiuta a vicenda per comprendere meglio alcuni fenomeni e si incoraggia, perché è un lavoro abbastanza faticoso: uno deve fare i conti con cose molto brutte che sono successe all’interno della Chiesa, che sono state commesse da sacerdoti e da altri membri del clero. Inoltre devono fare i conti anche con la lentezza nelle risposte e la difficoltà di comprendere che qui parliamo di un tema che deve veramente entrare nella pianificazione pastorale e che deve raggiungere un livello di priorità tra le priorità della Chiesa.

D. - Un ruolo importante è quello dell’apertura a degli esperti esterni…

R. – Certamente la Chiesa deve e può imparare tanto da istituzioni che lavorano già da anni e decenni in questo ambito, dagli esperti in materia. Non solo per la formazione dei sacerdoti religiosi e religiose, ma anche nel mondo educativo cattolico, gli insegnanti, i catechisti e le persone che lavorano con i giovani, gli scout... Ci sono già, fuori della Chiesa, conoscenze ormai acquisite e consolidate che devono passare da un Paese all’altro, da un continente all’altro. Quello che purtroppo fino a poco fa non è successo. Ci sono persone che veramente hanno una capacità acquisita di 30, 35 anni di lavoro in questo campo e che incontrano persone, in Africa per esempio, che appena adesso iniziano a parlare di questo tema.

D. - Voi dite che non c’è un solo approccio, unico, possibile, che vada bene per ogni situazione di questo genere. Quali sono i vari aspetti possibili?

R. – Noi con la nostra preoccupazione occidentale molto centrata, anche giustamente, sulla violenza sessuale nei confronti dei bambini dobbiamo fare i conti con una situazione in cu sicuramente questa esiste in tutto il mondo, ma fa anche parte di una realtà spaventosa, orribile di violenze varie dei diritti dei bambini. Perciò un approccio unico, una misura per tutti, non funzionerà. Noi come occidentali potremmo andare in Africa e in Asia e parlare dell’aiuto necessario da parte di psicologi, terapeuti, operatori sociali, ma sappiamo che in realtà come il Rwanda ci sono in tutto il Paese 7 psichiatri per 11 milioni di persone. Le risorse non esistono. Bisogna anche aiutarli a sviluppare non solo le loro risorse ma anche integrare quello che culturalmente è già a disposizione nelle varie figure, nei vari riti, nei vari costumi che già ci sono e che a volte funzionano anche molto bene, ma non seguono i nostri schemi di giustizia o di sicurezza perché semplicemente non hanno le strutture e non hanno il personale.

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La riforma dei media vaticani al Meeting di Grottammare

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Una citazione dalla “Laudato si’” di Papa Francesco - “Tutto il mondo è intimamente connesso” - è il tema della IV edizione del Meeting dei giornalisti cattolici e non, in svolgimento da ieri a Grottammare, nelle Marche. L’incontro, promosso tra gli altri dalla Conferenza episcopale italiana e dall’Ucsi, si è aperto con una relazione di mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione (Spc), che ha illustrato le sfide della riforma dei media vaticani. Il servizio del nostro inviato Fabio Colagrande

Siamo nell’epoca della convergenza digitale che sta generando un nuovo umanesimo e dunque un nuovo paesaggio relazionale e collaborativo. Al centro di questo nuovo contesto, resta l’uomo perché la tecnica è sempre un fatto profondamente umano e dunque non possiamo abdicare a un atteggiamento proattivo. E’ questo il contesto - ha spiegato al Meeting di Grottammare mons. Viganò - da cui ha preso il via la riforma dei media vaticani, con l’obiettivo di trasformare i singoli comparti mediali della Santa Sede in un nuovo sistema comunicativo, rappresentato dal grande portale unico multimediale che verrà varato entro l’anno.

Un secolo fa - ha spiegato il Prefetto - l’unico media fruito in mobilità era il giornale cartaceo; oggi c’è lo smartphone che contiene testi, audio e video. E’ il segno che per la loro pervasività sono giunti a smarrire la loro individualità e hanno perso riconoscibilità. Per questo la riforma dei media vaticani - come ha ricordato Papa Francesco - non è un semplice maquillage, un’imbiancatura, ma punta alla creazione ex novo di un sistema mediatico aggiornato.

Dopo avere illustrato le tappe di una riforma cominciata già sotto il pontificato di Benedetto XVI, mons. Viganò ne ha illustrato le idee centrali: un accorpamento graduale che impedisca il prevalere delle individualità e favorisca la cooperazione, cioè la capacità di lavorare in sharing; la necessità di conciliare rigore economico e urgenza apostolica che ha portato a un ripensamento nell’ottica “user first”, che tenga cioè conto delle richieste degli utenti. E infine, la valorizzazione e la formazione del personale nella consapevolezza che le tecnologie sono importanti, ma resta questo - cioè il personale - il patrimonio più importante.

Un processo di integrazione che è in corso - ha concluso mons. Viganò - “durante il quale teniamo conto della variabile dell’errore ma che punta a compiere nuovi passi decisivi nei prossimi mesi, con il varo del nuovo portale vaticano multimediale, inizialmente in sei lingue, e prima ancora con la presentazione a settembre del nuovo palinsesto del canale Radio Vaticana Italia”.

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Bolivia, cattolici ed evangelici contro la legge gender

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La Chiesa cattolica di Bolivia e le Chiese Evangeliche Unite hanno presentato, questa settimana un ricorso d’incostituzionalità contro la legge d’identità di genere. Promulgata a maggio del 2016, la legge 807 prevede il riconoscimento sociale e il diritto delle persone transessuali o transgender, maggiori di 18 anni, di cambiare nome, sesso ed aspetto fisico. In altre parole, questa legge consente di scegliere un sesso diverso rispetto a quello di nascita ed ottenere così un nuovo documento d’identità.

Una norma incostituzionale
La delegazione della Conferenza episcopale boliviana guidata dal presidente hanno presentato un ricorso in difesa della vita e della famiglia con degli elementi di giudizio che permettono di “discernere sull’incostituzionalità” di questa norma. Il documento sostiene che la legge 807 sull’identità di genere non ha contemplato la “vera portata degli articoli 62, 63 e 64 della Costituzione Politica dello Stato che stabilisce che la famiglia è  fondamento della società ed è costituita dal matrimonio tra una donna e un uomo, i quali avranno il dovere comune di sostenere la famiglia e i figli. Il ricorso presentato dalle Chiese cattolica ed evangelica ricorda che la Carta fondamentale prevede che la persona possa cambiare nome, ma non sesso, per formare una famiglia. Infatti, l’assistente legale dell’episcopato boliviano, Susana Inch, ha riferito il caso incostituzionale, presentato nei mesi scorsi presso il Tribunale Supremo, sulla possibilità che due persone dello stesso sesso potessero contrarre matrimonio con il solo cambio di sesso di una di esse.

I cristiani insieme nella difesa della vita e della famiglia
Il pastore Francisco Machaca ha affermato che il documento mira alla difesa della famiglia e non alla “discriminazione o all’esclusione” delle persone. “Si tratta - ha detto - di difendere il nucleo familiare e, con esso, la società nel suo insieme”. Il presidente dell’episcopato, mons. Centella, ha sottolineato che il documento è coerente con la fede religiosa, ma allo stesso tempo presenta elementi giuridici e tecnici che provano l’incostituzionalità della legge. Anche mons. Jesús Juarez, vescovo di Sucre, ha ribadito l’unità che c’è tra le Chiese cristiane nella difesa di punti comuni e irrinunciabili come la vita, la famiglia, il matrimonio e i valori dettati dal Vangelo.

Una legge contraria alla natura umana
Fin dall'approvazione della normativa, a metà dello scorso anno, sono stati molteplici i pronunciamenti dei vescovi che hanno respinto la legge sull’identità di genere perché “contraria alla natura umana”. Ad ottobre, la “Piattaforma per la vita e la famiglia” ha presentato un ricorso al Tribunale Costituzionale per dichiarare incostituzionale la legge. In più di un'occasione, l’episcopato, insieme alle altre chiese cristiane del Paese, hanno ribadito che la norma sull’identità di genere, “risponde ad un'ideologia che è contraria alla famiglia e alla natura dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio”.

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Capodarco. Premio "L'anello debole", un osservatorio del sociale

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E’ in corso da ieri e fino a domenica presso la Comunità di Capodarco di Fermo, nelle Marche, il “Capodarco L’Altro Festival” nel cui ambito verranno presentate le 22 opere finaliste del Premio “L’anello debole”. Giunto alla sua 11.esima edizione il premio conferma la sua natura di “osservatorio privilegiato” sulla società e costituisce una delle tante iniziative promosse dalla Comunità stessa per creare un rapporto virtuoso tra gli operatori della comunicazione e il mondo del sociale. Ma come è nata l’idea di questo premio? Adriana Masotti lo ha chiesto a don Vinicio Albanesi, presidente di Capodarco: 

R. - Ci fu suggerita l’idea da Giancarlo Santalmassi, un giornalista della radio, perché avevamo capito che si poteva comunicare il lavoro che facevamo o i problemi sociali che c’erano anche attraverso gli strumenti che sono i corti, i cortissimi, della fiction, della realtà e stranamente è arrivato un numero talmente alto di opere che ci ha lasciato felicemente esterrefatti. Circa 200 opere di primissima qualità, sia tecnica che  di tipo contenutistico. Non solo ma poi nel tempo abbiamo visto che i temi trattati si sono differenziati. C’è stato il periodo delle carceri, il periodo degli abbandoni, il periodo degli immigrati. Adesso invece è più concentrato sulla famiglia, sui problemi che la gente vive, sulla povertà. Quindi è come se avessimo una fotografia di quello che sta avvenendo in Italia e nel mondo.

D. - Un osservatorio insomma sul sociale…

R.  – Sì, sempre sul sociale però a volte anche in toni leggeri: cioè, un comunicare un sociale in maniera diversa, non in modo moralistico ma di lettura della realtà così com’è e anche le soluzioni. Questo è importante perché a volte un esempio, un progetto, un’esperienza può illuminare molte altre persone cha lavorano sullo stesso campo.

D. – Sono tanti gli anni di impegno da parte della comunità di Capodarco riguardo alla comunicazione, al rapporto tra il sociale e i comunicatori. Tutto per offrire una comunicazione più corretta, più vera. Qualche risultato rispetto ai vostri obiettivi c’è?

R.  – I risultati sono ottimi perché guardando nel tempo - sono circa 20 anni che siamo impegnati - abbiamo visto un’evoluzione, un rispetto, un approfondimento della lettura dei fenomeni: tutta una serie di modi, di linguaggi, di attenzioni che certamente ha fatto bene al sociale e ai problemi che il sociale si porta dietro. L’attenzione, la sensibilità sono risultati eccellenti. Pensi che saranno passate tra la 7mila e le 10mila persone nei corsi di aggiornamento. Tutti giornalisti che poi, nel tempo, li ritrovi magari sui grandi gruppi di comunicazione.

D. – Dall’altra parte nel sociale, in chi lavora in questo settore, anche qui c’è stato un cambiamento, una maturazione nel rapporto col mondo dell’informazione?

R. – Sì, perché tutti stanno capendo che comunicare ciò che si fa è importante perché non solo occorre fare, ma occorre anche far conoscere. Quindi i siti, la rete, le radio, i video sono diventati strumenti indispensabili per lavorare nei nostri mondi che sembrano abbandonati e, a volte, lo sono.

Tanti i temi raccontati nelle opere in concorso per il premio “L’anello debole”, attraverso corto e lungometraggi sia audio, sia video, divisi in sei categorie. Selezionati da una giuria di qualità i lavori giunti in finale saranno valutati anche da una giuria popolare. Sabato sera la premiazione. Sentiamo Andrea Pellizzari, direttore artistico del premio: 

R. – I temi sono sempre tantissimi, al di là delle tematiche legate ai rifugiati, alle persone che arrivano da altri Paesi e che si trovano in situazioni di grande difficoltà, quest’anno sono emerse tematiche che sono state anche un po’ dimenticate. Segnalo ad esempio, un cortometraggio della realtà che parla degli effetti pericolosi del glifosato che è un erbicida che viene utilizzato in Argentina ma le coltivazioni dell’Argentina poi vanno in tutto il mondo. Poi ci sono moltissime problematiche legate alla donna. C’è un cortometraggio della realtà che parla di stupri nella Repubblica Democratica del Congo. Poi, tematiche relative alla psichiatria. Insomma, problematiche che non sempre si conoscono ma soprattutto che non vengono trattate dai media principali e che emergono grazie a questo premio. Questa è la forza del premio “L’anello debole”.

D. - Quindi l’affrontare temi che di solito trovano poco spazio su media…

R. - Sì e soprattutto vedere come vengono raccontate queste storie dimostra che c’è  un’esigenza molto forte nel voler esternare questo problema e cercare una visibilità per trovare delle soluzioni. Per cui è un premio che nel suo piccolo cerca di dare una mano alle voci più deboli e quindi cerca nel migliore dei modi, raccontando delle storie, di far emergere i temi che non sempre arrivano sui giornali o in televisione perché magari sono troppo scomodi o sono meno interessanti per i media principali.

D. – Lei prima parlava di cortometraggi della realtà. E’ una delle sezioni del premio, quali sono le altre?

R. – Abbiamo una sezione di audio cortometraggi ed è forse anche l’unico premio dedicato a questo tipo di programma radiofonico dove vengono presentate delle opere per il mezzo radiofonico. Devo dire che quest’anno ci sono state delle opere molto interessanti, molto ben confezionate. Oltre agli audio cortometraggi, ci sono i cortometraggi della realtà, i cortometraggi di fiction quindi non un documentario o un report giornalistico. Poi ci sono i cortissimi della realtà, che sono sempre dei piccoli servizi che di solito trovano spazio all’interno dei telegiornali o i programmi di approfondimento; i cortissimi di fiction e poi c’è una sezione speciale di ultracorti dedicata ai filmati al di sotto dei 60 secondi, che sono in genere degli spot però spesso gli spot sono nel linguaggio e nella comunicazione molto efficaci, per cui li abbiamo tenuti monitorati perché anche dal punto di vista della comunicazione il premio cerca di dare valore a chi comunica il disagio e a chi comunica il sociale in maniera efficace.

D. - Sono 22 le opere finaliste alcune anche fatte da giornalisti o operatori stranieri…

R. – Sì, il premio da qualche anno è diventato un premio internazionale e devo dire che arrivano delle opere bellissime da un po’ tutto il mondo. E sono molto interessanti tutte le opere che arrivano dai territori legati al terrorismo o comunque i territori che sono forse un po’ più distanti dalla nostra cultura.

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A Verona la 95esima edizione del Festival operistico

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Si inaugura questa sera all’Arena di Verona la 95a edizione del Festival operistico con un titolo assai amato dal pubblico dell’Anfiteatro romano: “Nabucco”, diretto da Daniel Oren, in un nuovo allestimento che sorprenderà per l’ambientazione immaginata dal regista francese Arnaud Bernard. Il servizio di Luca Pellegrini

(Coro dall’opera “Nabucco”: “Immenso Jeohva”)

Così cantano gli Israeliti durante la loro cattività babilonese, come immaginata da Temistocle Solera scrivendo per Verdi il libretto di “Nabucco”. In Jehovah confidano, guidati dal gran sacerdote Zaccaria. Fino a quando Nabucco rovinerà per la sua alterigia, Abigaille la regina cadrà nella follia e il popolo liberato potrà far ritorno alla sua terra.

Con oltre 200 rappresentazioni tra le antiche pietre dell’Arena, Nabucco è tra le opere più rappresentate nell’anfiteatro veronese, fin da quando apparve per la prima volta nel 1938. In questo nuovo allestimento, molto atteso, Bernard traspone la messa in scena tra il 1848 e il 1860, leggendo nel contrasto narrato nell’opera verdiana - che si esprime nel conflitto tra Babilonia e Gerusalemme - la storia d’Italia negli anni turbolenti del Risorgimento. Ma così gli aspetti profondamente religiosi legati alla storia d’Israele non corrono il pericolo di appannarsi? Lo abbiamo chiesto al regista francese:

L’aspetto religioso non è totalmente cancellato per due motivi. Uno, perché c’è un momento di preghiera sul campo di battaglia, per cui il popolo milanese prega per essere salvato dagli austriaci: quindi comunque c’è una preghiera. E’ vero che il personaggio di Zaccaria non è più un sacerdote, non è più il prete; l’ho pensato più come un uomo politico e quindi tutto l’aspetto religioso dev’essere preso più come una dimensione politica. Però abbiamo comunque visto che il fatto che il popolo milanese, il popolo italiano si riconosce nelle sofferenze del popolo ebreo assistendo alla recita del ‘Nabucco’ di Verdi, comunque al momento in cui vediamo il popolo che guarda la recita, guarda il popolo ebreo che soffre, in quel momento siamo in una replica tradizionale del ‘Nabucco’; e quindi, in questo momento, con il sistema del teatro nel teatro, chiaramente, abbiamo ancora l’effetto religioso esattamente come scritto da Solera e Verdi. E’ una visione particolare, però l’aspetto religioso c’è”.

Un dramma legato, dunque, ad un capitolo importante della storia italiana, e vissuto da Verdi e dai milanesi.

La storia di Solera è una fantasia. Mi sembra che non ci sia l’obbligo assoluto di raccontare la storia come è stata scritta da Solera. Tutto quel mondo viveva in continuazione nella sofferenza dell’occupazione austriaca, quindi non posso immaginare che non ci sia stato nella loro mente un momento in cui non abbiano fatto questo parallelo …”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 174

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.