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Sommario del 24/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: icona dei missionari è Maddalena, donna in "uscita"

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Maria Maddalena, l’apostola degli apostoli, quale “icona” dei missionari. A proporla è stato Papa Francesco, nel discorso rivolto ai partecipanti al Capitolo Generale della Congregazione della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, figli spirituali di Bogdan Janski, apostolo dei polacchi emigrati in Francia durante il secolo XIX. Maria Maddalena, dice il Papa “dopo aver incontrato Gesù Risorto, lo annuncia agli altri discepoli. Francesca Sabatinelli

“La nostalgia di un passato che ha potuto essere fruttuoso di vocazioni e grandioso di opere non vi impedisca di vedere la vita che il Signore fa germogliare accanto a voi nel momento presente”. Questa l’indicazione di Francesco ai partecipanti al Capitolo Generale della Congregazione della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo:

“Non siate uomini nostalgici, ma uomini che, mossi dalla fede nel Dio della storia e della vita, annunciano la venuta dell’alba anche in piena notte (cfr Is 21,11-12). Uomini contemplativi che, con lo sguardo del cuore fisso sul Signore, sanno vedere quello che non vedono altri, impediti dalle preoccupazioni di questo mondo; uomini che sanno proclamare, con l’audacia che viene dallo Spirito, che Cristo è vivo ed è il Signore”.

Maria Maddalena, donna in uscita che sa rischiare
Francesco affronta poi una seconda riflessione: Maria Maddalena e le altre che vanno al Sepolcro sono donne “in uscita”, abbandonano il loro “nido” e si mettono in cammino, sanno rischiare:

"Lo Spirito chiama anche voi, Fratelli della Risurrezione, ad essere uomini in cammino, un Istituto “in uscita”, verso le periferie umane, lì dove è necessario portare la luce del Vangelo. Vi chiama ad essere cercatori del volto di Dio, là dove lo si trova: non nei sepolcri – «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (v. 5) –, ma dove Egli vive: nella comunità e nella missione".

Dalla comunità uscire verso il mondo
E’ chi crede nel Risorto che ha quindi il coraggio di uscire per “per portare la Buona Nuova della Risurrezione”, assumendosi anche “il rischio della testimonianza, come fecero gli Apostoli”:

"Quanti sono coloro che aspettano questo lieto annuncio! Non ci è lecito privarli di esso. Se la Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza e il tesoro più prezioso, come non correre ad annunciarla agli altri?"

La vita fraterna in comunità è un modo concreto di manifestare la Risurrezione di Cristo: accogliendo non quei fratelli che noi scegliamo, ma quelli che il Signore ci dona:

"L’altro è un dono che non può essere manipolato né disprezzato; un dono da accogliere con rispetto, perché in lui, specialmente se è debole e fragile, mi viene incontro Cristo".

L'autoreferenzialità conduce alla morte 
Il richiamo di Francesco è quindi ad essere “costruttori di comunità evangeliche e non meri ‘consumatori’ di esse” e “ad assumere la vita fraterna in comunità come la prima forma di evangelizzazione”:

"Le comunità siano aperte alla missione e rifuggano l’autoreferenzialità, che conduce alla morte. I problemi – che sempre ci sono – non vi soffochino, ma possiate coltivare la “mistica dell’incontro” e cercare, insieme con i fratelli che il Signore vi ha donato e illuminati «dalla relazione d’amore che passa fra le tre Divine Persone», la via e il metodo per andare avanti (cfr Lett. ap. A tutti i consacrati, 21 novembre 2014, I, 2). In una società che tende a livellare e massificare, dove l’ingiustizia contrappone e divide, in un mondo lacerato e aggressivo, non fate mancare la testimonianza della vita fraterna in comunità!"

Sono due le forme di consolazione rivelate dal Risorto ai discepoli: la gioia interiore di riconoscerne la presenza e che conduce alla missione, e la luce del mistero pasquale che “fa recuperare la speranza”:

"Risorti per far risorgere, liberati per liberare, generati a vita nuova per generare vita nuova in tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino. Questa è la vostra vocazione e missione di Fratelli della Risurrezione".

La Risurrezione aiuta ad uscire dai sepolcri
Sarà la Risurrezione che aiuterà “ad uscire dai momenti di tristezza” per aprire a orizzonti di gioia e di speranza, per dare la forza di “annunciare la Buona Notizia in questa cultura tante volte segnata dalla morte”:

"Se avremo il coraggio di andare fino ai nostri sepolcri personali e comunitari, vedremo come Gesù è capace di farci risorgere da essi. E questo ci farà ritrovare la gioia, la felicità e la passione dei primi momenti del nostro donarci".

Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata
A conclusione dell’incontro, l’invito di Francesco a “fare memoria grata del passato, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza”:

"Memoria grata del passato: non archeologia, perché il carisma è sempre una sorgente di acqua viva, non una bottiglia di acqua distillata. Passione per mantenere sempre vivo e giovane il primo amore, che è Gesù. Speranza: sapendo che Gesù è con noi e guida i nostri passi come ha guidato i passi dei nostri fondatori".

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Papa a nuotatori: acqua è fonte di vita, inquinarla è ripugnante

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Lo sport è una festa, ma non è priva di valori. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti al Trofeo di nuoto “Sette Colli” in corso a Roma. Il Papa ha messo in guardia dall’idolatrare il corpo ed ha messo l’accento sul bisogno di interiorità anche nello sport. Quindi, ha ribadito l’importanza dell’acqua, che non va inquinata. Il servizio di Alessandro Gisotti

Lo sport è una festa, ma una “festa non priva di contenuti, perché trasmette valori sempre più necessari in una società come la nostra, che viene definita liquida, priva di punti di riferimento saldi”. Il vostro sport, ha osservato Papa Francesco, “si fa nell’acqua, ma non è liquido, anzi, è molto solido, richiede impegno costante e forza d’animo”.

Non esiste vita senza acqua
Il vostro sfidarvi nell’acqua, ha soggiunto, “possa essere anche un contributo ad una diversa cultura dell’acqua: l’acqua è vita, senza acqua non esiste la vita”. E parlare di vita, ha ripreso, “è parlare di Dio, origine e sorgente della vita, e anche la nostra vita cristiana inizia nel segno dell’acqua, col Battesimo”:

L’acqua nella quale nuotate, vi tuffate, giocate, gareggiate richiama una pluralità di attenzioni: il valore del corpo, che va curato e non idolatrato; il bisogno di interiorità e la ricerca di senso in ciò che fate; la forza e il coraggio nel resistere alla fatica; la visione chiara di quale approdo cercare nella vita e come raggiungerlo; il valore di autenticità che dice trasparenza, limpidezza, pulizia interiore”.

A contatto con l’acqua, ha concluso il Papa rivolgendosi agli atleti, “imparate ad avere ripugnanza verso tutto ciò che è inquinante, nello sport e nella vita” ed ha pregato il Signore che “dia sempre la gioia di fare sport insieme in spirito di fratellanza”. 

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Papa dal 6 settembre in Colombia: reso noto il programma del viaggio

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Papa Francesco partirà per il suo viaggio in Colombia mercoledì 6 settembre prossimo, con arrivo a Bogotà. La Sala Stampa della Santa Sede ha reso noto il programma. Il giorno successivo, l’incontro con le autorità. Quindi la visita alla cattedrale e l’incontro con i vescovi e il comitato direttivo del Celam. Nel pomeriggio, la Santa Messa. Venerdì 8, trasferimento a Villavicencio, per la Santa Messa e il grande incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale. Sabato 9 il Papa sarà a Medellin, con un’altra celebrazione eucaristica e un incontro con i religiosi. Domenica la giornata è dedicata alla tappa di Cartagena, con la benedizione della prima pietra delle case per i senzatetto dell’opera Talitha Qum, quindi l’Angelus e la visita alla casa santuario di San Pietro Claver. Nel pomeriggio la Messa e la cerimonia di congedo. Il rientro a Roma Ciampino è previsto per lunedì 11 settembre.

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S. Sede: restituire dignità a vittime tratta, non sono merce

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Occorrono competenza e impegno per restituire dignità alle vittime della tratta, “una delle realtà più spaventose del mondo contemporaneo”: Così l'Osservatore permanente presso la Santa Sede all’Onu, l’arcivescovo Bernardito Auza intervenuto ieri a New York in vista della plenaria ad alto livello prevista a settembre sulla revisione del Piano di azione globale di lotta al traffico di persone. Forte l’invito a contrastare una mentalità che rende le persone oggetti di guadagno. Impegno prioritario - è stato l’auspicio - sia restituire alle vittime la dignità inscritta in ogni persona. Il servizio di Paolo Ondarza

Per combattere efficacemente la piaga della tratta l’arcivescovo Auza suggerisce due spunti di riflessione: anzitutto estirpare alla radice la mentalità, propria dei trafficanti, che considera gli esseri umani una merce, “meri strumenti di  guadagno o piacere”.

Persona non è merce. Contrastare mentalità disumana
Occorre contrastare l’indifferenza e soprattutto la disumanizzazione, denunciata da Papa Francesco nella Laudato Sì, prodotto culturale di una “ecologia umana corrotta” che cosifica le persone calpestandone ogni diritto, schiavizzandole forzatamente. In secondo luogo l’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu suggerisce di curare i bisogni delle vittime della tratta, con speciale sensibilità nei confronti del trauma da loro subito, liberarli dalla condizione di schiavitù restituendoli alla loro innata dignità.

Coordinare competenze legali, educative, mediche, psicologiche
Non basta infatti preoccuparsi di fornire loro abitazioni sicure e una regolarizzazione dello status. E’ necessario coordinare ogni competenza: legale, educativa, medica, psicologica. Allo stesso modo è riduttivo secondo il presule limitarsi a descrivere i fattori che determinano un terreno fertile per lo sfruttamento delle persone: povertà, disoccupazione, crisi migratoria, ambientale, economica o politica.

Risvegliare le vittime dall’incubo e farle tornare a sognare
Quanti sono caduti vittime della rete della tratta, secondo mons. Auza, vanno accompagnati nel lento percorso di recupero di dignità e speranza, nel risveglio da un lungo incubo infondendo fiducia nella possibilità di tornare a sognare e costruire una vita migliore. L’Osservatore permanente della Santa Sede all'Onu cita l’impegno della Chiesa Cattolica: nello specifico il Gruppo Santa Marta e le reti religiose come, Talita Khum e RENATE, la cui opera è finalizzata a riabilitare e reintegrare le tante vittime della tratta.

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Ucraina: Shevchuk, preghiamo per pace e unità dei cristiani

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Un pellegrinaggio di tutti gli ucraini, dalla loro terra ancora sconvolta dalla violenza e dai Paesi della diaspora, nel segno dell’unità dei cristiani. Questa l’iniziativa che culminerà domani alla tomba di San Giosafat in Vaticano, con la Divina Liturgia celebrata nella Basilica di San Pietro da Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina. Attese circa 6 mila persone, nel 150° anniversario della Canonizzazione del martire ucraino, che tra il 1500 e il 1600 dedicò tutta la sua vita all’unità della Chiesa. Giada Aquilino ha intervistato Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk: 

R. – Una missione particolare delle Chiese cattoliche orientali è quella di essere promotori della unità fra i cristiani. La santità di questo vescovo martire, che va riscoperta, porta in sé un forte messaggio: tutti i cristiani devono pregare, lavorare e - se c’è bisogno - anche morire per restaurare la unità visibile e piena della Chiesa di Cristo.

D. – Quanto è importante oggi questo messaggio in un momento in cui Papa Francesco parla di “ecumenismo del sangue”?

R. - L’ecumenismo dei martiri ci fa capire che le divisioni che esistono fra le Chiese non salgono fino al cielo, perché chi è martire è testimone della vita eterna. San Giosafat è un martire per l’unità della Chiesa.

D. – Avete parlato col Papa del pellegrinaggio alla tomba di San Giosafat in Vaticano?

R. – Certamente. Per questo pellegrinaggio, celebreremo la Liturgia nel rito bizantino all’Altare della Confessione: il Papa ci ha concesso cioè un privilegio particolare, perché su tale altare, che è collocato sopra la tomba di San Pietro, solo il Papa può celebrare. Si vuole sottolineare così l’importanza della testimonianza di San Giosafat, fare un appello a pregare per la unità dei cristiani, chiamando a raccolta i fedeli ucraini da tutto il mondo.

D. - Quale sarà la preghiera dei pellegrini ucraini riguardo alla situazione in Ucraina?

R. - Innanzitutto pregheremo per la pace in Ucraina. E pregheremo per l’unità delle Chiese in Ucraina, perché forse questo dolore della divisione fra cattolici e ortodossi non è così visibile e tangibile ma in Ucraina attraversa il cuore della nazione. Oggi come mai, davvero si sente il bisogno dell’unità fra i cristiani per avere una pace autentica.

D. - La situazione nell’est dell’Ucraina: nelle ultime ore c’è stato un accordo tra le forze di Kiev e i separatisti che hanno concordato una cosiddetta “tregua del pane”. Di cosa si tratta e viene rispettata?

R. - In Ucraina questa è la stagione in cui si raccolgono i frutti della terra, cioè è tempo di vendemmia, da noi. L’Ucraina è un Paese che una volta veniva chiamato il “granaio d’Europa”: si dice che un giorno di vendemmia può dare da mangiare per tutto l’anno. Secondo quanto abbiamo capito, si tratta di osservare una tregua affinché la gente e la popolazione non soffra la fame, perché se continueranno i combattimenti e non si potranno raccogliere i frutti della terra ci sarà davvero il rischio di un grave problema di alimentazione per la gente.

D. - Qual è la situazione della popolazione?

R. - Devo dire che in passato accordi come questo sono stati già molte volte sottoscritti ma mai rispettati. La popolazione soffre perché, soprattutto nella zona definita “grigia”, la zona dei combattimenti continui, è praticamente imprigionata: nessuno può uscire per comprare il cibo, sono pochi gli alimenti che possono essere portati sul posto perché gli aiuti degli organismi internazionali non possono arrivare in questa zona. Ciò che ci preoccupa di più è la condizione della gente che vive proprio in quest’area. Per noi è una costante preoccupazione quella di far arrivare lì il pane. I nostri volontari, della Caritas Ucraina, ogni giorno rischiano la loro vita cercando di portare il pane sotto i bombardamenti alla gente che vive in questa zona. Perciò, vorrei chiedere a tutti di pregare per la pace, per l’unità, per la concordia, anzitutto fra i discepoli di Cristo.

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Mirabelli: università sempre più coinvolte e attive nei territori

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Oltre 400 relatori internazionali, 32 sessioni di lavoro che hanno toccato differenti tematiche, e una tavola rotonda che ha raggruppato oltre 50 rettori giunti da vari Paesi dell’area mediterranea. Sono questi alcuni numeri che hanno caratterizzato il XIV Simposio internazionale dei docenti universitari, promosso dall’Ufficio per la Pastorale Universitaria della diocesi di Roma, che si è concluso oggi. Tema dell’incontro: “La Terza missione delle Università. Per uno sviluppo umano e globale”. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro

Una università che coniughi ricerca e didattica ad un concreto inserimento nel contesto locale dove si trova, attraverso contatti con realtà del territorio, affinché lo studio diventi subito opportunità di crescita e di lavoro per tutti. E’ questa la terza missione che deve essere svolta dagli atenei oggi. Ascoltiamo il commento di Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale  e presidente del comitato scientifico dell’evento:

R. - Questo simposio nasce in qualche modo in continuità anche con il precedente nel quale era stata approvata da 40 rettori di diversi Paesi, la Carta di Roma che aveva sottolineato la terza missione dell’università al di là di quelle tradizionali: quest’ottica di servizio alla comunità, quindi un’università che si apre, assumendo tra le sue responsabilità e i suoi compiti, quello di assicurare un dinamismo nella società e di assumere su di sé l’onere di ricercare, formare e offrire risposte ai problemi di oggi.

D . - Quanto è importante anche un lavoro di rete tra gli atenei europei?

R. - Si tratta non di recuperare questo spirito, che non è mai mancato, ma di dare a questo spirito una maggiore strutturazione, un maggiore sostegno. Ed è anche questo un servizio non solamente alla ricerca e alla formazione, che non ha confini, ma è un servizio all’Europa ed è un servizio all’umanità.

E i docenti diventano così sempre più un punto di incontro tra le università, le istituzioni e la società attuale. Ascoltiamo a questo proposito il vescovo, mons. Lorenzo Leuzzi, delegato della Pastorale Universitaria diocesana:

R. - Non sarà possibile realizzare una nuova presenza dell’università nella società contemporanea se non ci sarà una nuova capacità dei docenti di rimotivarsi nello sforzo di individuare quale possono essere alcune soluzioni da proporre alle istituzioni, alla comunità, perché i problemi che sempre di più emergono nella loro complessità possono essere risolti ai vari livelli di responsabilità.

D. - In queste giornate si è sottolineata sempre più l’urgenza di un’università legata al territorio, in che modo?

R.  – Certamente l’università deve accogliere le sfide che provengono dal territorio ed elaborarle per poter offrire soluzioni adeguate perché le comunità locali possano assumere queste indicazioni, secondo le loro esigenze e prospettive che in una società globalizzata non possono essere univoche ma devono essere adeguate alle diverse situazioni.

In occasione del Simposio, si è svolta anche la conferenza internazionale dei rettori, che ha avuto come filo conduttore il ruolo dell’università come promotore di pace e solidarietà tra differenti paesi. Ascoltiamo Francesco Bonini, rettore della Libera università Maria Santissima Assunta:

R - L’università è un’istituzione che viene prima degli Stati e viene prima della politica. Quindi se è fedele a se stessa, alla sua identità e alla sua missione può svolgere un ruolo propulsivo proprio laddove gli Stati, la politica, necessariamente si impantana, cioè di fronte alle grandi divisioni. Per questo motivo le università nella misura in cui sono soggetti autonomi e quindi capaci di iniziativa dal punto di vista dell’educazione e della formazione possono fare qualcosa. Il ripetersi di questi incontri dei rettori delle università in particolare del Mediterraneo dell’Europa e del Nord Africa insieme, veramente diventa un seme che fa crescere qualcosa di nuovo che noi chiamiamo pace e che in realtà è il compimento della soggettività della società.

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Le udienze e nomine di Papa Francesco

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Le udienze e nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa.

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Oggi in Primo Piano



Afghanistan: attacchi talebani scuotono il Ramadan, 230 morti

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Il Ramadan si avvia alla conclusione dopo essere stato scosso da una scia di  attentati in diversi Paesi islamici. Per l'Afghanistan è stato il più sanguinoso degli ultimi 15 anni. La tv afghana Tolo News riferisce di oltre 230 morti e più di 800 feriti dall'inizio del mese sacro per i musulmani, il 27 maggio scorso. Intanto i talebani hanno lanciato un nuovo monito contro gli Stati Uniti che stanno valutando l'invio di altri soldati nel Paese. Il servizio di Marco Guerra

Tra gli ultimi attacchi più sanguinosi quello di giovedì contro una filiale della Kabul Bank a Lashkar Gah, con almeno 34 vittime e 60 feriti, e quello del 31 maggio nella zona diplomatica di Kabul che ha portato alla morte di 150 persone. La nuova fiammata di violenze va avanti da inizio anno. Solo nei primi tre mesi del 2017 si contavano già 715 morti e oltre 1400 feriti. Secondo la stampa Usa, il segretario alla Difesa Jim Mattis starebbe valutando l’invio di ulteriori 5000 soldati per aiutare l’esercito afghano a superare  l'insurrezione dei talebani, il quali, dal canto loro, avvertono con un messaggio che ci sarà pace e dialogo solo con il ritiro completo delle truppe. Contraria al rafforzamento del contingente americano anche Mosca. Intanto oggi si registra la visita del ministro degli esteri della Cina a Kabul. Nei colloqui con il presidente Ashraf Ghani, fra le altre cose, si parlerà anche della stabilizzazione del Paese tramite una roadmap di dialogo con i talebani. Sulla situazione in Afghanistan ascoltiamo Riccardo Redaelli, professore di geopolitica all’Università Cattolica di Milano:

R. – In realtà, le violenze in Afghanistan non sono mai cessate se non proprio nei primissimi anni dopo la cacciata dei talebani nell’ormai lontanissimo fine 2001. La Nato, presente da 16 anni nel Paese, non è mai veramente riuscita a sconfiggere i talebani e a garantire un quadro di sicurezza consolidato. I problemi principali sono: i talebani, che non sono un movimento coeso quanto piuttosto una galassia, e rappresentano una minaccia militare costante per le forze armate nazionali afghane, le quali non collassano ma non riescono a sconfiggerli. Molto spesso ci sono parti del territorio che cambiano continuamente di mano, e una parte considerevole del territorio che è fortemente insicura. A questo si sono aggiunti i movimenti terroristici legati allo Stato islamico che è stato abbastanza capace di fare propaganda e fare proseliti. E infine, le profonde differenze, divergenze politiche all’interno del sistema politico di Kabul, la forte corruzione e l’incapacità di dare risposte alla vita quotidiana della popolazione. Questo mix spiega perfettamente perché la situazione sia estremamente precaria e perché ci sia ancora bisogno dell’aiuto internazionale.

D. – Resta il fatto che dopo quasi 16 anni di intervento internazionale, la situazione è tutt’altro che stabilizzata. Si è fatto qualche progresso? Perché tutto questo?

R. – Gli interventi di stabilizzazione – lo abbiamo scoperto in questi decenni – sono una faccenda lunghissima, penosa ed estremamente frustrante: inutile girarci intorno. Questa è la verità. Non solo in Afghanistan: ci sono missioni di peacekeeping che durano decenni. Tutto questo l’opinione pubblica non vuole saperlo, i governi non vogliono sottolinearlo ma è la realtà. In Afghanistan in particolare sono stati fatti tantissimi errori: politici, militari, strategici, abbiamo tollerato troppa corruzione da parte afghana, ma non si può dire che non sia cambiato nulla. L’Afghanistan di oggi è profondamente cambiato rispetto all’Afghanistan dei talebani: cioè, era uno dei posti più tristi e più feroci, l’analfabetismo femminile era a livelli – in alcune province – del 97%; oggi ci sono migliaia di scuole, ci sono centinaia di migliaia di studenti, anche bambine. Le donne lavorano – ci sono donne giornaliste; c’è una stampa, una stampa anche che discute, che prende i rischi di denunciare la corruzione; c’è una società che è profondamente trasformata e che ha trasformato gli stessi talebani, che oggi non parlano più di eliminare l’educazione femminile come facevano in passato. Quindi il dato culturale, il dato della crescita, della maturazione della società a me sembra abbastanza evidente. Certo, il risultato politico, militare e di sicurezza è davvero sconfortante.

D. – Comunque parliamo di una formazione che non è confrontabile con il cosiddetto Stato islamico: che cosa sono adesso i talebani afghani?

R. – I talebani afghani sono una galassia, prima di tutto; ma sono cose molto diverse tra loro. C’è una vecchia guardia ideologica che mi sembra minoritaria; c’è un gruppo che è fortemente dipendente dal Pakistan che nonostante tutto continua a usarli e ad aiutarli; ci sono i talebani locali più moderni e più disposti al compromesso politico e che agiscono sul terreno e non dal Pakistan. Ci sono poi gruppi come gli Akkani, che fanno un uso esteso del terrorismo e degli attentati suicidi perché vogliono ritagliarsi un ruolo forte nel Paese. E poi c’è, appunto, lo Stato islamico e gruppi che si ricollegano allo Stato islamico – anche se, a mio parere, sono meno forti di quanto vorrebbero apparire. Anche questi hanno difficoltà perché in questa frammentazione è difficile trovare un filo conduttore per aprire dei negoziati seri, tanto più che anche Kabul, le forze che sostengono il governo di Kabul, sono profondamente divise sul “come” negoziare e sul “se” negoziare.

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Somalia: 3.2 milioni di persone necessitano di aiuti alimentari

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Continua l’emergenza umanitaria in Somalia: sono 3,2 milioni le persone che hanno bisogno di aiuti alimentari; il tasso di malnutrizione generale nella regione è del 22%; quella acuta del 5%. “Il tasso di ammissione dei bambini con meno di cinque anni nei nostri programmi di nutrizione e salute è più che raddoppiato rispetto all’inizio dell’anno”: ha dichiarato Aurelie Fèrial, capo delle operazioni regionali di “Azione contro la Fame” dell’Africa orientale. Giorgio Saracino ne ha parlato con Simone Garroni, direttore generale della fondazione: 

R. – La Somalia in questo momento sta vivendo, purtroppo, una crisi gravissima. La siccità che sta subendo sta portando la popolazione ad una situazione veramente di stremo. Stiamo parlando del quarto anno di siccità: quattro stagioni delle piogge consecutive sono state fallimentari, con l’ultima di aprile-giugno. Abbiamo quindi 6,7 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria e più di tre milioni di persone che hanno bisogno di cibo di emergenza. Ci troviamo di fronte a una situazione che è di pre-carestia. La carestia non è un termine generico, ma tecnico: può essere dichiarata solo dall’Onu quando ci sono certi criteri. Quando la malnutrizione generale raggiunge il 30 % della popolazione; una famiglia su cinque - il 20 % quindi - è senza cibo. Ci sono dei tassi di mortalità giornalieri molto elevati. Ci troviamo in una situazione che è molto vicina a queste che ho citato: siamo cioè oltre la soglia di emergenza secondo i criteri stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

D. – In quale stato versa ora la Somalia?

R. – La Somalia è proprio lo Stato in cui è stata dichiarata la carestia. L’ultima volta che è accaduto era il 2011 e in quell’occasione sono morte 260 mila persone. Purtroppo, oggi ci troviamo in una situazione di pre-carestia non soltanto in Somalia, ma anche in Sud Sudan - dove è stata proprio dichiarata a febbraio - e in Yemen. Quindi è una situazione veramente particolare. E la Somalia - a parte questo momento in cui si è aggravata la crisi - si trova in uno stato di povertà e di bisogno da moltissimi anni, sia per le condizioni climatiche sia per quelle politiche e militari.

D. – Come state intervenendo voi di Azione contro la Fame?

R. – Noi siamo in Somalia dal 1992, quindi da moltissimi anni. Abbiamo circa tredici progetti e nel 2016 abbiamo aiutato quasi 300 mila persone. I nostri interventi sono in questo momento molto focalizzati sul fornire acqua, quindi camion d’acqua; e poi un sistema di voucher per assicurare la sua distribuzione equa. Interventi di cibo di emergenza; costruzione di latrine, perché uno degli aspetti fondamentali è quello di garantire condizioni igieniche adeguate. Ci sono purtroppo epidemie di colera che sono in crescita e che devono essere immediatamente contenute e curate per le persone che soffrono: purtroppo i tassi di mortalità per colera sono di circa il 5 %. Gli altri interventi sono ovviamente quelli di cura e prevenzione contro la malnutrizione acuta nel momento in cui si verifica effettivamente sui bambini, e di prevenzione sulle mamme allattanti o incinta.

D. – Qual è il vostro appello?

R. – Il nostro appello è che i fondi crescano notevolmente. Ci troviamo in una situazione in cui purtroppo alcune attività di fornitura di acqua devono essere interrotte. Anche la fornitura di denaro per l’acquisto di cibo è stata interrotta in alcuni distretti. Le esigenze sono di addirittura 14 milioni di dollari per finanziare i progetti: ci troviamo quindi in una situazione in cui le esigenze della popolazione sono molto più significative dei fondi attualmente disponibili. 

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Venezuela, cardinale Urosa: cessi la repressione

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"Ribadisco il mio pressante appello: cessi immediatamente la repressione nelle manifestazioni del popolo”. A chiederlo in un comunicato è il cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas. “Con sdegno e fermezza – scrive l’arcivescovo recentemente ricevuto, insieme ai vescovi del Venezuela, da Papa Francesco – desidero esprimere la mia disapprovazione per gli atti di repressione che il governo nazionale, attraverso la Guardia Nacional de Venezuela, alcune forze di polizia e bande armate paramilitari, ha compiuto in questi 80 giorni di protesta politica”.

Manifestare è un diritto
L’arcivescovo – rende noto l’agenzia Sir - ricorda che è un diritto del popolo sancito dalla Costituzione protestare contro “la gravissima situazione” di fame e mancanza di medicine e beni di prima necessità, così come per il disconoscimento dell’Assemblea nazionale, contro la detenzione di persone colpevoli solamente di essersi opposte al governo, e infine contro il rifiuto da parte del governo di indire nuove elezioni previste dalla Costituzione e dalle leggi. A questo si aggiunge, 50 giorni fa, la convocazione senza consultare il popolo sovrano, da parte del presidente Maduro, di una nuova Assemblea costituente che non rispetta “né l’universalità né la proporzionalità dei voti”.

Finora almeno 70 morti durante le manifestazioni
Queste manifestazioni hanno fino ad oggi causato la morte di 70 persone, assassinate con azioni repressive. Una situazione – scrive il cardinale – che “grida al cielo, è totalmente illegale e incostituzionale, e merita la massima condanna”. Allo stesso modo, l’arcivescovo condanna anche la morte di alcune persone per mano degli oppositori. “La violenza – aggiunge – è sempre un male da qualunque parte venga”. Nel comunicato il cardinale Urosa parla dei molti giovani assassinati a Caracas e cita espressamente i nomi di Juan Pablo Pernalete, Miguel Castillo, Neolamar Lander, Fabian Urbina, e quello di David Vallenilla ucciso a sangue freddo solo due giorni fa.

I problemi si risolvano in modo pacifico
“Il governo – è la denuncia contenuta nel comunicato – invece di reprimere, dovrebbe risolvere i problemi che affliggono le persone e che le hanno portate in piazza. Il governo dovrebbe desistere dallo scopo di imporre un sistema totalitario e antidemocratico”. “Cessi la repressione”, è dunque l’appello del cardinale Urosa. Il porporato, nel comunicato, esprime anche le sue condoglianze alle famiglie e agli amici delle vittime e “la solidarietà a coloro che sono ingiustamente sottoposti a processo militare, o detenuti arbitrariamente”. “Invito tutti – conclude l’arcivescovo di Caracas - a pregare intensamente il Signore per la pace, per la fine di questo conflitto violento e perché i venezuelani possano risolvere i nostri problemi in modo pacifico”.

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Kenya, elezioni: i vescovi chiedono rispetto democrazia e vita umana

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“Mentre le elezioni generali si avvicinano, vi ricordiamo, fratelli e sorelle, che i principi della democrazia, il rispetto della vita umana e quello reciproco, e il ruolo della Commissione Elettorale Indipendente, sono elementi vitali per la preservazione della pace, prima, durante e dopo le elezioni”: così scrivono i vescovi del Kenya nella loro Lettera pastorale intitolata “Elezioni pacifiche e credibili per leader integri”. Ad agosto gli elettori keniani sono chiamati ad eleggere il presidente e a rinnovare il Parlamento.

Dai vescovi on indicazioni di voto
Nella loro Lettera, ripresa dall’Agenzia Fides, i presuli esortano i keniani a resistere alla strumentalizzazione del tribalismo a fini politici, a rigettare le violenze e i discorsi incitanti all’odio e a scegliere leader che siano moralmente integri e che difendano i valori della vita e della famiglia. Notando che i cattolici sono presenti in tutti i partiti dello schieramento politico, i vescovi ribadiscono di non volere offrire indicazioni elettorali, ma solo i criteri in base ai quali gli elettori possono esercitare la loro libera scelta di voto.

La piaga della corruzione è un grande fardello
La Lettera si sofferma sulla piaga della corruzione, “diventata un fardello pesante sull’economia, sulla sicurezza alimentare, l’educazione, il settore sanitario, il governo, la sicurezza, l’impiego e l’accesso alle necessità di base di gran parte dei keniani”. Le autorità hanno arrestato alcuni funzionari corrotti ed hanno recuperato alcune somme sottratte alla collettività ma, secondo i vescovi, “queste azioni non portano frutti. La tolleranza della corruzione e il lasciare i cosiddetti “intoccabili” liberi di depredare il denaro dei contribuenti, dimostra quanto siano deboli le istituzioni e le leadership nella lotta contro la corruzione”. 

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Africa, nuova missione dell'Opera Don Orione in Benin

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Prenderà il via a settembre a Malanville, città del Benin al confine con il Niger e con la Nigeria, la nuova missione dell'Opera Don Orione in Africa. Malanville è situata nel dipartimento di Alibori, nel nord est del Benin, e conta circa 120.900 abitanti (stima 2006). È conosciuta come centro di scambi commerciali ed è sede di un grande mercato. La popolazione è estremamente eterogenea, con una grande comunità musulmana (91,9%), seguita da religioni locali (1,4%) e dal cattolicesimo (3,1%). Nonostante le differenze, questi gruppi vivono fianco a fianco in pace.

La famiglia orionina in Africa
La Congregazione orionina – riferisce l’agenzia Fides - è presente in Africa in sei nazioni (Costa d'Avorio, Burkina Faso, Kenya, Mozambico, Togo, Madagascar) con circa 200 religiosi. La Provincia religiosa è in piena espansione, e conta un buon numero di religiosi, così da consentire l’apertura di nuove missioni. “Il luogo che ha attirato la nostra attenzione e che facilita la prima installazione in Benin – racconta il Direttore della Provincia africana dell'Opera Don Orione, p. Basile Aka - è la parrocchia ‘Notre Dame du Sacré Cœur’ di Malanville, dove ci sono le strutture per dare inizio all’opera missionaria orionina: la chiesa parrocchiale, l'ufficio, la canonica, la scuola cattolica. Tutto questo fu costruito da uno spagnolo, tornato al suo Paese a causa dell'età. Attualmente lì non ci sono sacerdoti. Il Vicario generale, parroco altrove, deve fare ogni fine settimana più di 200 km per garantire la messa della domenica". Malanville fa parte della diocesi di Kandi, affidata al Vescovo mons. Clet Feliho, conta 11 parrocchie, 18 sacerdoti di cui 3 religiosi, 17 istituti religiosi femminili e 2 maschili. 

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Cono Sur: concluso Incontro su Missione continentale

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Si è appena concluso a Buenos Aires l’Incontro sulla Missione continentale permanente nei Paesi del Cono Sur: Argentina, Cile, Uruguay, parte del Paraguay e le regioni meridionali del Brasile. L’obiettivo era accompagnare il cammino missionario della Chiesa impegnata nella Missione continentale, nell’orizzonte del Pontificato di Papa Francesco, con lo scopo di iniziare una nuova fase che abbia come protagonisti principali i giovani. Organizzato dalla Segreteria generale del Celam e dai suoi Dipartimenti di Missione e Spiritualità, delle Vocazioni e dei Ministeri, l’incontro si è svolto dal 20 al 22 giugno, alla presenza del Segretario generale del Celam, Mons. Juan Espinoza, di vescovi dei diversi Paesi e dai Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie.

Missione continentale da Aparecida ad oggi
La prima giornata – riferisce l’agenzia Fides - è stata dedicata ad una valutazione della Missione continentale da Aparecida (2007) ad oggi. I gruppi di lavoro hanno analizzato le dimensioni dell’animazione, della formazione e della cooperazione missionaria. Si è constatata la diversità dei percorsi nei singoli Paesi e, in generale, la crescita della sensibilizzazione dell’importanza della missione come parte essenziale di ogni attività pastorale. 

Al centro dei lavori missione e formazione
Sono seguite le riflessioni di Mons. Raúl Biord, vescovo di La Guaira (Venezuela), su "La missione paradigmatica e programmatica nella vita della Chiesa", e di Fr. Estêvão Raschietti sulla "Formazione missionaria nei seminari, le Università, le Case dei religiosi e i Centri di formazione pastorale dei laici”. I Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie hanno quindi illustrato il quadro delle attività missionarie e dei progetti che vengono portati avanti.

Illustrata storia dell'evangelizzazione in Argentina
Mons. Mario Antonio Cargnello, arcivescovo di Salta, ha presentato la storia dell'evangelizzazione in Argentina. Nel terzo e ultimo giorno dell’incontro sono state sviluppate una serie di linee missionarie per la regione ed è stato redatto un messaggio finale con le conclusioni della riunione che sarà pubblicato a breve. Tra queste indicazioni la partecipazione al Congresso Missionario Americano, che si terrà in Bolivia nel 2018. 

Manuale di missiologia per seminaristi
E’ prevista anche la pubblicazione di un manuale di missiologia per i seminaristi che è in fase di redazione. Si vuole anche diffondere l'esperienza delle "Chiese sorelle" in Brasile per la cooperazione missionaria tra le diocesi di varie regioni. I Paesi membri si sono impegnati a portare avanti la preparazione del Mese Missionario straordinario indetto da Papa Francesco per l’ottobre 2019. E' stato infine valutato come molto positivo questo incontro delle Pontificie Opere Missionarie e dei Dipartimenti specifici del Celam,

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MAXXI: i giubbotti di salvataggio diventano un'opera d'arte.

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Viene esposta al MAXXI di Roma, in questi giorni, l’originale installazione di Achilleas Souras, sedicenne di origini greche che vive a Barcellona. L’opera, dal titolo “S.O.S - Save Our Souls”, nasce dalla creatività del giovane talento che ha creato un’igloo-rifugio utilizzando i giubbotti di salvataggio dei migranti sbarcati a Lesbo. Inoltre, l’allestimento dell’opera è realizzato nell’ambito di un workshop, in collaborazione con Save The Children. Giulia Bedini ne ha parlato con Stefania Vannini, responsabile dell’ufficio Public Engagement del MAXXI: 

R. – Quest’anno il MAXXI, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, ha partecipato all’evento insieme all’Alto Commissariato dei Rifugiati. Infatti, abbiamo organizzato in collaborazione un’attività, nell’ambito di un workshop, che vedrà lavorare insieme un gruppo di minori non accompagnati del centro diurno “Civico Zero” e un gruppo di loro coetanei romani, nato all’interno del MAXXI; il loro incontro è poi continuato presso il centro diurno. È assolutamente importante affrontare l'emergenza relativa ai minori non accompagnati, che sono solitamente in transito nel nostro Paese, ed è importante che i giovani italiani entrino in relazione con loro. La mia idea di museo è quella di un luogo che accolga soprattutto le comunità più fragili, le persone che in autonomia non verrebbero al museo, proponendo loro di incontrare il pubblico, creare delle occasioni di scambio e di relazione. L’installazione realizzata è pensata da un ragazzo che ha 16 anni – Achilleas Souras - un ragazzo che è stato a Lesbo e sulle spiagge dell’isola greca ha visto la miriade di giubbetti di salvataggio abbandonati dai migranti e ha pensato di riutilizzarli dando loro una seconda vita, crando così degli igloo-rifugio.

D. – Che ruolo ha secondo lei l’arte in questo difficile lavoro di sensibilizzare l’opinione pubblica su temi di così urgente attualità?

R. – L’arte sicuramente è un grandissimo strumento per l’integrazione delle persone, soprattutto quella contemporanea. Questo perché l’arte contemporanea parla dei problemi che ognuno di noi vive quotidianamente e ci offre l’opportunità di presentare i nostri punti di vista personali. Questo è un lavoro che al MAXXI viene svolto da vari anni, nel tentativo di permettere alle persone più fragili, quelle con varie disabilità, di avere l’opportunità di esprimersi a partire dalle opere della collezione permanente del Museo, potendolo fare in giornate speciali come questa in cui sono ascoltati dal pubblico. 

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Commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della domenica

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Nella XII Domenica del Tempo Ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù rivolgendosi ai discepoli dice:

«Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima». 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di Don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

L’amore a Cristo è amore all’uomo e alla sua dignità. Tale amore spinge talvolta i cristiani a parlare con franchezza contro l’iniquità, senza paura del politicamente corretto. Quando, ad esempio, viene ritardato il giusto compenso ad un bracciante, oppure, una lavoratrice viene penalizzata per il suo stato di gravidanza, siamo di fronte ad ingiustizie gravi da non tacere. Se un bambino è ucciso nel grembo della madre in strutture sanitarie pubbliche con i soldi dei contribuenti, è un omicidio, come ha detto Papa Francesco, non solo un’asettica “Interruzione volontaria della gravidanza”; è permessa da una legge iniqua. Quando un malato in stato vegetativo o terminale viene considerato un “peso inutile”, e si pone fine alla sua vita privandolo di cibo ed idratazione, cure ordinarie a cui avrebbe diritto come disse San Giovanni Paolo II in Evangelium Vitae 65, si uccide una persona, che non può difendersi, con l’eutanasia, ipocritamente detta “buona morte”. Se accade che chi dovrebbe insegnare nella Chiesa la Verità, neghi la storicità della risurrezione di Cristo, o l’esistenza del “principe di questo mondo”, siamo di fronte ad un nemico della salvezza dell’uomo. Chiaramente questa franchezza si paga con ostilità e violenze subite, a volte addirittura con la vita. Ma Gesù ci rassicura: “Non temeteli! Io sono con voi!”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 175

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.