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Sommario del 25/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa Angelus: cristiani incontrano, anche oggi, fallimenti e persecuzioni

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“Non abbiate paura!” Richiamando l’invito di Gesù ai discepoli inviati in missione, il Papa rivolto a tutti i fedeli all’Angelus, ha ricordato che non c’è garanzia di successo nell’annunciare il Vangelo; di mettere quindi in conto fallimenti, sofferenze e persecuzioni. Dopo la recita mariana, il cordoglio di Francesco per le vittime di una frana in Cina ed un appello per la pace in Ucraina. Il servizio di Roberta Gisotti

Se nel Vangelo domenicale Gesù per ben tre volte rassicura i suoi discepoli “Non abbiate paura!” è perché “li istruisce e li prepara – ha spiegato il Papa- ad affrontare le prove e le persecuzioni che dovranno incontrare.”

“L’invio in missione da parte di Gesù non garantisce ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo da fallimenti e sofferenze. Essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, sia quella della persecuzione. Questo spaventa un po’, ma è la verità”.

Il discepolo è infatti “chiamato a conformare la propria vita a Cristo, che è stato perseguitato dagli uomini, ha conosciuto il rifiuto, l’abbandono e la morte in croce”.

“Non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità; le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione,….

Tutto ciò, ha osservato Francesco è occasione “per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù”, consapevoli che Dio “non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta.”

“Nelle difficoltà della testimonianza cristiana nel mondo, non siamo mai dimenticati, ma sempre assistiti dalla sollecitudine premurosa del Padre.”

Del resto – ha rammentato il Papa – “anche ai nostri giorni” è presente “la persecuzione contro i cristiani”.

“Noi preghiamo per i nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati e noi lodiamo Dio perché, nonostante ciò, continuano a testimoniare con coraggio e fedeltà la loro fede”.

Un'altra “forma di prova – ha aggiunto Francesco - può essere anche l’assenza di ostilità e di tribolazioni”.

“Oltre che come ‘pecore in mezzo ai lupi’, il Signore, anche nel nostro tempo, ci manda come sentinelle in mezzo a gente che non vuole essere svegliata dal torpore mondano, che ignora le parole di Verità del Vangelo, costruendosi delle proprie effimere verità”.

Da qui l’incoraggiamento che sempre viene da Gesù a non aver paura di chi  deride e maltratta, di chi ignora o davanti onora ma dietro combatte il Vangelo.  

“Gesù non ci lascia soli perché siamo preziosi per Lui”.

Infine la preghiera di Francesco a Maria:

“ci aiuti a capire che nella testimonianza della fede non contano i successi, ma la fedeltà a Cristo….”

Dopo la recita dell’Angelus, il pensiero del Papa è corso alle vittime e i loro familiari travolti ieri da una frana in un villaggio nella provincia del Sichuan, in Cina

“Prego per i defunti e i feriti e per quanti hanno perso la casa. Dio conforti le famiglie e sostenga i soccorritori”.

Quindi il ricordo del vescovo Teofilo Matulionis, ucciso in odio alla fede nel 1962, quando aveva già quasi 80 anni, beatificato oggi a Vilnius.

“Rendiamo lode a Dio per la testimonianza di questo strenuo difensore della Chiesa e della dignità dell’uomo”.

Un saluto particolare, il Papa ha rivolto al clero e ai fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina, e ai pellegrini della Bielorussia, che oggi hanno celebrato nella Basilica di San Pietro il 150° anniversario della canonizzazione di San Giosafat, invocando per ciascuno di loro:

“il coraggio della testimonianza cristiana e il dono della pace per la cara terra ucraina”.

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Tweet del Papa: ciascuno è insostituibile agli occhi di Dio

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“Ciascuno di noi è prezioso; ciascuno di noi è insostituibile agli occhi di Dio". Cosi Papa Francesco nell'odierno tweet domenicale.

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La Lituania ha il suo primo Beato martire: è Teofilo Matulionis

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La Chiesa ha un nuovo Beato: si tratta di Teofilo Matulionis, arcivescovo di Kaišiadorys, in Lituania, fulgido esempio di eroismo cristiano, morto nel 1962. A presiedere la cerimonia di Beatificazione, avvenuta oggi a Vilnius, il cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco. Il servizio di Giada Aquilino

Teofilo Matulionis nacque il 22 giugno 1873 a Kudoriškis, da una famiglia contadina di profonda fede cattolica. Rimasto orfano di madre, da bambino mostrò grande passione per lo studio. Fu ordinato sacerdote il 4 marzo del 1900. Nella città russa di San Pietroburgo si occupò della costruzione della chiesa del Sacro Cuore del Salvatore, ma i lavori furono interrotti a causa della Rivoluzione Bolscevica dell’ottobre del 1917. Nel 1923 padre Matulionis venne arrestato per la prima volta assieme ad altri religiosi e condannato a tre anni di prigione. Venne poi scarcerato grazie all’intervento dei suoi parrocchiani. Diventò parroco della chiesa del Sacro Cuore. Il 28 dicembre 1928, con il consenso di Pio XI, venne clandestinamente nominato vescovo titolare di Matrega e coadiutore dell’amministratore apostolico di quella che aveva assunto il nome di Leningrado, oggi San Pietroburgo. Il 9 febbraio 1929, sempre in maniera clandestina, ricevette l’ordinazione vescovile.

Gli arresti prima, l'udienza in Vaticano poi
Nel novembre dello stesso anno venne arrestato per la seconda volta e condannato a dieci anni di campi di concentramento nelle Isole Solovki, nel Mar Bianco. Nel maggio 1933 venne condannato ad un anno d’isolamento punitivo con l’obbligo dei lavori forzati. Liberato qualche mese dopo, il 24 marzo 1934 fu ricevuto in udienza in Vaticano da Pio XI. Tornato in Lituania, fu nominato vescovo ausiliare di Kaunas e cappellano supremo dell’Esercito, carica che ricoprì per poco tempo, per via dell’invasione sovietica del 1940. Nel 1943, sotto l’occupazione tedesca, fu nominato vescovo di Kaišiadorys. Un anno dopo, le truppe sovietiche invasero di nuovo la Lituania e il regime comunista iniziò subito la persecuzione della Chiesa.

Nessun compromesso col regime
Il vescovo fu arrestato per la terza volta e condannato a 7 anni di prigione. Quando uscì dal carcere, nonostante l’età avanzata e i gravi problemi di salute, s’impegnò nell’amministrazione della diocesi di Kaišiadorys e nella sistemazione degli affari della Chiesa lituana, esortando gli amministratori diocesani e i sacerdoti a non scendere a compromessi con il regime. Nel 1962, Giovanni XXIII concesse a mons. Matulionis la dignità di arcivescovo. In seguito ad una perquisizione alquanto severa nella casa in cui alloggiava, il 20 agosto 1962 il nuovo Beato morì.

Il decreto riguardante il martirio
Il 1° dicembre 2016 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardo il martirio di Teofilo Matulionis. Ce ne parla il cardinale Angelo Amato, Prefetto della medesima Congregazione:

Martirium propter aerumnas carceris significa che la morte fu causata dalle sofferenze del carcere. Le lunghe e penose degenze nelle prigioni, nei campi di concentramento, nei domicili coatti si protrassero per rutta la vita del Beato e sfinirono a poco a poco la sua forte fibra di sacerdote e di pastore. Ma le privazioni e le torture, non piegarono la sua volontà di bene. In quel periodo di buio della coscienza retta, ostilità dei nazisti e dei comunisti non aveva alcuna giustificazione razionale. Era solo era il frutto dell'odio verso il Vangelo di Gesù e la Chiesa”.

Mons. Matulionis sopportò in vita umiliazioni e disagi di una prigionia lunga, ingiusta e disumana, mette ancora in evidenza il cardinale Amato:

Fu la grazia di Cristo che gli conferì la forza e il coraggio di perseverare saldo nella fede. Questa lealtà al Vangelo è testimoniata da molti che videro in lui un ‘vero uomo di Dio’ e un ‘Santo’. Nel campo di concentramento si comportava da sacerdote pio e sereno, totalmente affidato alla Divina Provvidenza. I persecutori si accorsero del suo eroismo. Ad esempio, quando il comandante russo apprese la notizia della sua morte, esclamò: ‘Era veramente un uomo’! Anche il responsabile del sistema repressivo sovietico disse preoccupato: ‘Non si esclude che in futuro il Vaticano lo dichiari ‘Santo’ e in questo caso la sua tomba diventerà un luogo da visitare per i pellegrini’. Una previsione pienamente avverata”.

Quella odierna è stata la prima Beatificazione avvenuta in Lituania e anche la prima di un martire lituano, celebrata a trent’anni dalla beatificazione nel 1987 di mons. Giorgio Matulaitis, presieduta da San Giovanni Paolo II in San Pietro, in occasione del 600.mo anniversario della cristianizzazione della Lituania. L’esempio di mons. Matulionis rimane attualissimo soprattutto per i ragazzi del suo Paese: non a caso la cerimonia di Beatificazione è avvenuta nella Giornata nazionale dei giovani. Ce ne parla mons. Jonas Ivanauskas, terzo successore di mons. Matulionis a Kaišiadorys, intervistato dal collega del programma lituano della nostra emittente, Saulius Augustinas Kubilius:

La volontà di Dio, la fedeltà al Vangelo, alla Chiesa, al Santo Padre, alla Santa Sede, ma anche la forza: il carattere molto umile, molto amabile, con la forza, il non avere paura. Mons. Teofilius sottolineava sempre la fiducia: non avere paura, il Signore sempre ci sta vicino, il Signore sempre è con noi”.

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Oggi in Primo Piano



Pakistan: esplode un'autocisterna, almeno 148 i morti

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Almeno 148 persone sono morte in Pakistan a causa dell’esplosione di un’autocisterna in un’autostrada nella provincia  Punjab, nel centro del Paese. Il veicolo, che trasportava benzina, si è ribaltato e ha preso fuoco mentre decine di persone stavano cercando di raccogliere il carburante fuoriuscito. Ancora al lavoro i soccorritori, che stanno cercando di spegnere l’incendio. Il servizio di Michele Raviart

L’autocisterna trasportava 40 mila litri di carburante ed era partita dal porto meridionale di Karachi in direzione di Lahore. A 500 km dall’arrivo, sull'autostrada che collega le due metropoli e all’altezza della città di Ahmedpur, il veicolo si è capovolto, probabilmente a causa dell’esplosione di uno pneumatico. Immediatamente dalle auto vicine sono scese decine di persone, che hanno cominciato raccogliere la benzina riversata sulla strada con secchi e pentole. La polizia stradale ha cercato inutilmente di allontanare la folla quando, dieci minuti dopo l’incidente, il carburante ha preso fuoco travolgendo le persone e oltre un centinaio di veicoli. Almeno una sessantina i feriti che sono state trasferiti in ospedale in condizioni critiche per gravi ustioni. Tutti gli ospedali del Punjab sono stati messi in massima allerta e anche l’esercito ha inviato uomini e mezzi per facilitare i soccorsi. Il primo ministro pakistano Nawaz Sharif ha espresso “profonda tristezza” per l’incidente e ha ordinato alle autorità provinciali di fornire “ogni sostegno medico necessario alle vittime ustionate”.

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Cina: frana travolge villaggio di Xinmo, 15 vittime e oltre 100 dispersi

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Prosegue l'opera dei soccoritori in Cina, dove una frana ha travolto ieri matttina il villaggio di Xinmo, della città-contea di Mao, nella provincia sud-occidentale del Sichuan. Quindici le vittime finora accertate, ma sono poche le speranze di trovare sopravvissuti tra le 118 persone ancora disperse. Il fango ha seppellito 62 abitazioni a causa di uno smottamento del terreno dovuto alle forti piogge. Si stima che dalla montagna sovrastante il villaggio sia franata una quantità di terra e rocce pari a 3 milioni di metri cubi. Lo smottamento ha anche interessato 2 chilometri di un vicino fiume. La città-contea di mao conta 110 mila abitanti e il villaggio di Xinmo è noto  come meta turistica. In questi giorni gran parte della Cina è stata colpita da precipitazioni incessanti, che hanno interessato principalmente la parte meridionale del Paese, e nella capitale Pechino piove ininterrottamente da 48 ore.

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Albania al voto: favorito il partito socialista di Edi Rama

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Albania oggi al voto per rinnovare il parlamento. Rispetto a quattro anni fa, tra socialisti, dati per favoriti, e democratici, vige un clima più disteso. Il voto potrebbe essere un test per la maturità di questo Paese e una tappa importante per l’Unione europea. Cosa si profila dunque a livello politico e a livello sociale? Giorgio Saracino ne ha parlato con Nicola Pedrazzi, esperto di Albania dell’Osservatorio Balcani e Caucaso. 

R. - In Albania si vota ogni 4 anni, l’ultima volta era stata nel 2013 e a vincere le elezioni nella scorsa tornata elettorale era stata la coalizione socialista con a capo il segretario del partito socialista albanese, Edi Rama. Partito socialista che, secondo gli ultimi sondaggi, è in largo vantaggio, si parla di un 50 % dei consensi. Tutte le previsioni lasciano indicare che sarà sempre Edi Rama il premier dell’Albania. Però quello che è diverso rispetto al 2013 è il panorama politico del Paese, perché è vero che ogni partito ha il suo segretario - quindi formalmente abbiamo Edi Rama per il partito socialista, Lulzim Basha per il partito democratico e Ilir Meta per il movimento socialista per l’integrazione -  ma questi principali partiti si presentano separati. Quindi non più in coalizione e questo lascia aperte diverse possibili alleanze inclusa quella delle larghe intese - quindi tra la destra albanese e il partito socialista - ma sono scenari che si apriranno dopo il voto e non prima prima perché questa volta i partiti non si sono accordati e non si sono uniti in coalizione.

D. - Cosa si piò prevedere per il futuro dopo il negoziato politico tra il partito socialista e quello democratico?

R. - Fino a poco settimane fa, il movimento democratico e la destra albanese boicottavano il parlamento e si è dovuto addirittura far slittare la data delle elezioni. Quello che è sembrato è che il partito democratico, che è stato in questi 4 anni l’opposizione al partito socialista di Rama, volesse anche lui - detto in gergo - l’assicurazione di una fetta di torta, minacciando di non partecipare alla tornata elettorale. Si è giunti quindi solamente lo scorso 18 maggio ad un accordo; dopodiché in campagna elettorale si è notato che i toni sono stati molto più soft di quelli di 4 anni fa. In questo caso invece possiamo dire che, sì, è in scena una campagna elettorale, però con un’atmosfera che prelude a possibili larghe intese che servirebbero anche ad emarginare i partiti più piccoli. La sensazione è che i due principali partiti - PD e PS - abbiano deciso che questo gioco debba finire e che LSI debba stare fuori dalle maggioranze, e per rassicurare i due principali partiti probabilmente divideranno il governo laddove l’LSI emarginato avrà la presidenza della Repubblica perché il giuramento presidenziale è il 22 luglio.

D. - Quanto sono distanti ad oggi l’Albania e l’Europa?

R. - Dal punto di vista geografico, ricordiamo che ci sono 60 km di mare tra l’Albania e la Puglia, quindi c’è la storia, c’è la geografia e c’è un processo di integrazione avviato nei Balcani occidentali. Sono vicini anche perché l’Albania è un Paese candidato all’ingresso nell’Unione europea ufficialmente dall’estate del 2014. Al contempo siamo lontani perché la democrazia albanese è una democrazia giovane, e il pluripartitismo è solo uno dei fattori di una democrazia matura: queste logiche clientelari e di spartizione del potere che emergono durante una campagna elettorale - che è molto diversa da una campagna elettorale che può esserci in Francia e in Italia - sono ancora indizio di una maturità democratica non ancora raggiunta. Quindi da questo punto di vista per l’europeizzazione dell’Albania c’è ancora molto lavoro da fare.

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Elezioni Italia: si vota in oltre cento Comuni per il secondo turno

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Oltre 4 milioni e 300 mila italiani oggi alle urne per il secondo turno delle elezioni amministrative. Coinvolti 101 comuni delle Regioni a statuto ordinario e dieci della Regioni a statuto speciale. Si vota in 19 capoluoghi di provincia (Alessandria, Asti, Belluno, Como, Gorizia, La Spezia, Lecce, Lodi, Lucca, Monza, Oristano, Padova, Parma, Piacenza, Pistoia, Rieti, Verona, Taranto e Trapani) e in tre capoluoghi di Regione, Genova, Catanzaro e L’Aquila. I ballottaggi saranno principalmente tra candidati di centrodestra e di centrosinistra, con la sfida più importante a Genova, dove si confronteranno Marco Bucci (centrodestra) e Gianni Crivello (centrosinistra). Rischio commissariamento a Trapani, dove è in corsa solo il candidato del Pd Piero Savona, dopo che il suo avversario Mimmo Fazio, del centrodestra, è stato estromesso dal ballottaggio per non avere presentato l’obbligatoria lista dei futuri assessori. Qualora non fosse raggiunto il quorum del 50% più degli elettori la Regione nominerà un commissario. Alle ore 12 l'affluenza è di circa il 15%, quasi quattro punti in meno rispetto al primo turno. I seggi per il ballottaggio sono aperti dalle 7 alle 23.

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Allarme Msf: Centrafrica tra violenza, fame e profughi

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Peggiora la situazione nella Repubblica Centrafricana, dove non regge la tregua tra governo e gruppi armati, siglata a Roma, con l’intermediazione della Comunità di Sant’Egidio. Violenze e scontri continui, villaggi messi a ferro e fuoco e l’espulsione di 600 caschi blu congolesi, che operavano nel Paese, per l’accusa di stupri e abusi su donne e minori. Molte Ong stanno lanciando appelli per fermare la violenza, ma anche per rispondere in modo adeguato all’emergenza umanitaria con oltre un milione di sfollati, epidemie di malaria e meningite, scarso accesso ad acqua potabile, cibo e medicine. Gabriella Bianchi, responsabile affari umanitari di Medici Senza Frontiere (Msf), appena rientrata dal Centrafrica, racconta la sua testimonianza, al microfono di Cecilia Seppia

R. – La situazione in Centrafrica sta veramente precipitando, con picchi di violenza terrificanti che non vedevamo dal 2014. Msf ha dei progetti in gran parte delle zone interessate: al Nord e all’Est del Paese dove forniamo assistenza medica e umanitaria. Sul terreno vediamo gli effetti di questa violenza che colpiscono soprattutto i civili. Il numero di sfollati continua a crescere e i bisogni umanitari sono sempre più acuti, più urgenti. Negli ultimi mesi si parla di più di 100 mila persone che sono fuggite. Insomma, a questo punto ormai una persona su quattro è rifugiata o internamente al Paese o nei Paesi limitrofi.

D. – Tu sei stata operativa sul terreno: che cosa hanno visto i tuoi occhi? Che cosa si portano dietro da questa esperienza in Centrafrica?

R. – Sono stata a Bria, teatro dell'ultimo sanguinoso attacco, dove la gente è fuggita dalle proprie case per proteggersi dall’arrivo improvviso di uomini armati di diversi gruppi. Non c’è nessuno che viene risparmiato. Queste persone sono prese di mira per questioni religiose oppure per appartenenze etniche; ma sono anche aggredite e derubate da banditi. C’è un livello di violenza, e anche un tipo di violenza, terrificante, con torture che vengono fatte sui civili, sulle persone più vulnerabili: le donne, i bambini, che sono presi e torturati in mezzo alle strade. Noi per esempio, a Bria, abbiamo curato gente che era stata attaccata con colpi di macete e alle quali erano state staccate le dita, colpita la testa, e altre parti del corpo… La gente fugge e non ha prospettive di ritornare, perché poi le case vengono bruciate, si rifugiano nei campi profughi o nelle chiese: addirittura noi in ospedale, a Bria, abbiamo più di 6 mila persone. La situazione è veramente molto difficile anche da un punto di vista umanitario, perché chiaramente un campo che magari era stato costruito per tremila persone adesso si ritrova ad ospitarne più di 20 mila. Ricordiamoci anche che questo è il periodo delle piogge, quindi con picchi di malaria, che è la causa principale di mortalità in quelle zone. È tutta gente che vive senza zanzariera, senza acceso a medicinali, uno sopra l’altro…

D. – Si parla, lo dicevi anche tu, di violenze interetniche, ma immagino che di fronte alla fame, alla povertà e alla guerra voi non facciate differenze, ma neanche la popolazione... 

R. – La popolazione è terrorizzata, non è la gente che fa distinzioni. Tanti fuggono anche solo quando sentono parlare dell’arrivo di uomini armati. Non coltivano più i campi, non possono più muoversi. Le donne hanno paura di essere violentate: la violenza sessuale è "un’arma di guerra" in quelle zone. Gli uomini hanno paura di essere uccisi. Spesso, se hanno bisogno di andare a un centro di salute, non ci vanno nemmeno perché temono la violenza.

D. – Voi siete lì come operatori: guardate ovviamente l’aspetto umanitario, assistenziale, sanitario, però credo che vi siate fatti anche un’idea sul fatto che serva un intervento maggiore da parte della comunità internazionale. Si dice sempre così, ma poi nel concreto non si capisce che cosa dovrebbe fare la comunità internazionale…

R. – Intanto finora – e siamo praticamente a luglio – meno del 30 percento dei finanziamenti per le urgenze è stato assicurato: mancano i fondi per la risposta all’urgenza. È necessario quindi che si attivi un intervento umanitario adeguato ai bisogni e che questi finanziamenti, che sono necessari, siano messi a disposizione al più presto.

D. – 25 anni di guerra civile, ma che Paese è oggi il Centrafrica?

R. – Paragonato al Sud Sudan e, ad esempio, al Mali e alla Nigeria – tutti Paesi in cui ci sono grandi crisi alimentari – è un Paese molto ricco: pianti una cosa e cresce subito. E' pieno di risorse... L'agricoltura potrebbe dare ottimi risultati. Ma non bisogna dimenticare che è un Paese con una popolazione molto piccola: sono solo cinque milioni di abitanti. Le cifre quindi non rispecchiano l’entità, l’impatto, che ha questa violenza efferata.

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RD Congo, vescovi: elezioni nel 2017 per uscire dalla crisi

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I vescovi della Repubblica Democratica del Congo invitano i congolesi a partecipare a una mobilitazione nazionale per chiedere lo svolgimento delle elezioni entro la fine del 2017, come previsto dal cosiddetto accordo di San Silvestro del 31 dicembre scorso. L’appello è contenuto in un messaggio diffuso il 23 giugno al termine della 54.ma assemblea plenaria della Conferenza episcopale (Cenco) a Kinshasa.

Congolesi, alzatevi!
Nel documento, dal significativo titolo “Il Paese va molto male. Congolesi alzatevi!”, i presuli ribadiscono la loro profonda preoccupazione per “il continuo deterioramento della situazione economica, securitaria e umanitaria e per l’attuale impasse politico” nel Paese. Preoccupazioni espresse appena tre giorni fa anche dall’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra, mons. Ivan Jurkovič, alla 35.ma Sessione del Consiglio dei Diritti Umani.

Famiglie e giovani vittime della crisi economica
Dopo diversi anni di relativa stabilità economica la crescita economica è ormai un ricordo del passato, scrive la Cenco, puntando il dito contro la corruzione, l’evasione fiscale e la distrazione di fondi pubblici  “che hanno raggiunto proporzioni inquietanti a tutti i livelli”. A pagare le conseguenze di questa crisi – denuncia il messaggio - sono le famiglie congolesi, le cui condizioni di vita sono “divenute più che precarie”, mentre si assiste all’”esplosione del tasso di disoccupazione giovanile” che apre le porte al reclutamento dei giovani da parte della criminalità e delle varie milizie armate che imperversano nel Paese.

Il Paese preda dell’insicurezza generalizzata
A questo proposito i vescovi congolesi richiamano l’attenzione sull’insicurezza generalizzata e sull’emergenze umanitarie che sta producendo in tutto il territorio nazionale, in particolare nella Provincia del Kasai, al centro di violenti scontri tra l’esercito ed un gruppo armato locale.  

Applicare l’Accordo di San Silvestro del 31 dicembre 2016
Per la Cenco, la causa di questa crisi è chiara ed è “la mancata organizzazione delle elezioni nei termini previsti dalla Costituzione”. L’unico modo per uscirne - insiste - è quindi la tenuta delle elezioni presidenziali, legislative e provinciali entro il dicembre 2017. A questo scopo i vescovi hanno deciso di lanciare una mobilitazione nazionale per chiedere la piena ed effettiva implementazione dell’Accordo di San Silvestro, siglato il 31 dicembre dell’anno scorso con la mediazione della stessa Cenco per risolvere la crisi aperta dalla decisione incostituzionale del Presidente uscente Joseph Kabila di ricandidarsi per un terzo mandato alle presidenziali del 2016. L’intesa, che in sintesi prevedeva il mantenimento al potere di Kabila per un altro anno, la nomina di un premier designato dall’opposizione e la creazione di un Consiglio nazionale incaricato di seguire l’applicazione dell’accordo e il processo elettorale (Conseil national de suivi de l’accord et du processus électoral), è infatt rimasta in larga parte lettera morta.

Il 30 giugno una giornata nazionale di preghiera e digiuno per la nazione
La mobilitazione lanciata dalla Cenco prevede una serie di manifestazioni pacifiche in tutto il Paese la cui organizzazione è stata affidata a 200 agenti pastorali e una Giornata di preghiera e digiuno per la Nazione il 30 giugno.  (A cura di Lisa Zengarini)

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Sant’Egidio a Washington: rafforzare impegno contro pena di morte

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“No Justice without Life”, “Nessuna giustizia senza vita”. E’ il tema della conferenza in corso a Washington promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e da un folto numero di organizzazioni cattoliche statunitensi e non solo impegnate contro la pena di morte. Sull’importanza di questo evento, Alessandro Gisotti ha intervistato Carlo Santoro, coordinatore di Sant’Egidio contro la pena di morte, raggiunto telefonicamente nella capitale statunitense: 

R. - Nell’ambito dell’assemblea generale di questa associazione che è la World coalition to abolish death penalty che raccoglie 150 associazioni del mondo noi, insieme alla Chiesa cattolica statunitense, abbiamo organizzato questo evento a cui hanno partecipato anche diversi familiari delle vittime.

D. - Quali sono le indicazioni che sono emerse da questa riunione che ovviamente guarda agli Stati Uniti ma non solo?

R. - Ci sono state voci, ad esempio dall’India, ma anche dalla Nigeria… Le indicazioni sono forti. Io penso che noi dobbiamo tutti lavorare molto più insieme e in connessione tra di noi e questo mi sembra molto importante perché ci sono grosse spinte in diversi Stati verso l’uso della pena di morte con la scusa del terrorismo, chiaramente. Però, spesso, scopriamo in molti Paesi che a essere messi a morte in genere si tratta, per esempio, di stranieri. In Paesi come l’Arabia Saudita quasi la metà dei condannati a morte sono in realtà o filippini o nigeriani. Questo perché la pena di morte continua a essere uno strumento politico di repressione ma che spesso anche negli Stati Uniti colpisce le fasce più povere della popolazione. In genere in alcuni Stati, per esempio, in Florida o nel Texas le condanne a morte si concentrano in alcune aree dello Stato. Questo è un fatto significativo non perché ci siano lì dei tassi di delinquenza molto più alti che nel resto dello Stato ma perché è un problema politico e anche di fasce molto povere della popolazione.

D. - C’è un rinnovato appello a rafforzare il movimento contro la pena di morte. In questa battaglia si sente ovviamente l’incoraggiamento e il sostegno di Papa Francesco…

R. - Assolutamente sì. C’è stato chiesto aiuto da parte di Catholic Mobilizing Network, un’associazione che di fatto si rifa alla Conferenza episcopale americana. Noi vogliamo rilanciare il loro appello, venire incontro a questa loro richiesta per rilanciare questo impegno che parte proprio dalle parole del Papa il quale in diverse occasioni ha invitato ad aiutare l’abolizione della pena di morte ma che anche ha detto: “Non solo siamo chiamati come cristiani a combattere per abolire la pena di morte, legale o illegale, ma anche a migliorare le condizioni di vita in carcere”. Questo per noi di Sant’Egidio è molto importante perché ovunque lavoriamo nel mondo siamo a contatto con la realtà del carcere stiamo iniziando una grossa battaglia per umanizzare le carceri a partire da quelle in Africa ma anche a partire dalle nostre, in Italia.

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Usa: vescovi bocciano riforma legge sanitaria del governo Trump

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“Che la nuova legislazione non protegga i più bisognosi è inaccettabile”. È il giudizio espresso da mons. Frank Dewane, presidente della Commissione di giustizia e sviluppo umano della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) sulla nuova bozza del progetto di legge per la riforma sanitaria presentata nei giorni scorsi al Senato. Il presule ribadisce così le riserve espresse in queste settimane dai vescovi sulla riforma con la quale l’Amministrazione Trump vuole abolire il cosiddetto “Obamacare”, il sistema sanitario introdotto dal Presidente Obama.  Riserve controbilanciate dall’apprezzamento per le nuove disposizioni che escludono l’aborto dalla copertura sanitaria pubblica.

Impatto negativo sui settori più vulnerabili e poveri della popolazione
Secondo mons. Dewane, il testo presentato al Senato ha gli stessi difetti, se non peggiori, del testo presentato e approvato dalla Camera dei Deputati. Essi riguardano in particolare, “l’impatto negativo sui settori più vulnerabili e poveri della popolazione”.  Il progetto prevede infatti stanziamenti ancora più ridotti di quelli previsti nella bozza approvata dalla Camera dei Rappresentanti al Medicaid (il programma sanitario pubblico destinato alle persone che non possono permettersi un’assicurazione medica privata). “Tali modifiche produrranno danni alle famiglie a basso reddito e alle comunità in difficoltà e non vanno sostenute”, osserva il presule, sottolineando che un sistema di assistenza sanitaria accettabile deve essere accessibile a tutti, a prescindere delle condizioni delle persone e in tutte le fasi della loro vita.

Garantire la copertura sanitaria delle famiglie immigrate e l’obiezione di coscienza
Se lo sforzo del Senato di dare un sostegno maggiore a chi vive sopra la soglia di povertà rappresenta un positivo passo avanti - aggiunge mons. Dewane - il testo presenta gravi limiti per coloro che non sono coperti da un’assicurazione sanitaria. Esso inoltre non affronta la questione della copertura sanitaria delle famiglie immigrate invocata dai vescovi. Un altro punto critico del testo in discussione al Senato, secondo il presule, riguarda infine la tutela dell’obiezione di coscienza degli operatori sanitari “quanto mai necessaria – afferma - nella politica sanitaria del nostro Paese”. (A cura di Alina Tufani)

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A Fiumicino, festa dell'integrazione con i richiedenti asilo

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Festa dell’integrazione ieri pomeriggio alla Darsena di Fiumicino, Roma, ad un anno dall’apertura del Centro di Accoglienza straordinaria “Città del sole”. A gestire la struttura che ospita una cinquantina di richiedenti asilo è la Onlus Virtus Italia. Stand frutto delle diverse attività svolte dagli ospiti stessi, un dibattito sul fenomeno migratorio e tanta musica, gli ingredienti principali della manifestazione aperta a tutta la cittadinanza per dimostrare che l’integrazione e la convivenza sono possibili. Eppure un anno fa, l’apertura del Centro non era stata facile e aveva suscitato rifiuto e proteste. Ci racconta com’è andata Fabrizio Nikzad, responsabile della struttura, al microfono di Adriana Masotti

R. – Questa storia è iniziata l’11 luglio 2016, quando la Virtus Italia ha vinto un bando della Prefettura per un centro di accoglienza straordinaria a Fiumicino. Due giorni prima si era sparsa questa notizia dell’apertura tramite un giornale locale che fece un articolo, dando appuntamento a tutti i professionisti della protesta, agli strumentalizzatori, per il giorno dell’apertura. Quindi quando abbiamo portato i 20 ragazzi scortati dalla polizia, ci sono state scene un po’ spiacevoli, scene quasi di guerriglia urbana dove pochi residenti e tante persone non della zona avevano inscenato questa protesta. E con grande difficoltà l’11 luglio siamo riusciti a entrare nel centro. Per due-tre settimane, ovviamente, per una questione di incolumità degli ospiti abbiamo deciso di non farli uscire e per diversi mesi c’è stato il presidio dei carabinieri e della polizia sotto il nostro centro. Ma, il sabato della stessa settimana dell’inaugurazione, c’è stata una grandissima manifestazione di solidarietà nei confronti dei rifugiati – con 300-400 persone – per portare il benvenuto a questi ragazzi.

D. – Questa seconda manifestazione da chi era stata organizzata?

R. – Da un movimento spontaneo che si era creato su Facebook dal nome “Stay Human” – restiamo umani – che ha deciso di dire “no”, che Fiumicino è altro e quindi hanno voluto portare il loro benvenuto agli ospiti che dopo la lunga traversata che hanno fatto nel deserto africano, la detenzione in Libia, la traversata del Mediterraneo pensavano ormai di essere tranquilli e di non vedere scene di protesta.

D. – Poi, che cosa è successo?

R. – E’ successo che abbiamo incominciato il nostro lavoro: abbiamo intrecciato molti rapporti buoni e positivi con le associazioni, le realtà religiose, la comunità di Sant’Egidio, le associazioni sportive, di teatro, abbiamo iniziato una serie di collaborazioni e piano piano abbiamo fatto nient’altro che ripristinare la normalità, cioè quella che dovrebbe essere semplicemente la vita quotidiana, normale di ogni giorno, in cui c’è integrazione, tranquillità e convivenza civile. La collaborazione più bella, poi, è venuta anche dal Comune: bisogna dire che il Comune di Fiumicino e in particolare il sindaco ci ha messo la faccia; è venuto sia a dare l’accoglienza sia a proporre alcune questioni volte a migliorare la situazione; per quanto riguardava la sicurezza, sono stati installati i lampioni della luce e quindi paradossalmente quella via dove c’è il centro, che tanto spaventava, è la più sicura di Fiumicino. E poi c’è stato questo bellissimo protocollo d’intesa tra la Prefettura e il Comune per incominciare questi lavori socialmente utili, lavori completamente volontari che hanno visto gli ospiti fare lavori di riqualificazione del verde, di pulizia, piccole manutenzioni …

D. – Gli ospiti sono tutti richiedenti asilo, quindi in attesa di sapere se la loro richiesta verrà accolta …

R. – Esatto: sono tutti richiedenti asilo. Il nostro lavoro consiste nell’accompagnarli nel momento più importante, che è il lavoro della Commissione territoriale che riconosce o meno il loro status; sono ragazzi, ma abbiamo anche tante donne, tanti nuclei familiari, abbiamo quattro neonati nati qui a Roma-Fiumicino, nel centro, da coppie di richiedenti asilo. La maggior parte vengono dall’Africa occidentale, quindi Costa d’Avorio, Guinea, Gambia, Senegal ma anche tanti iracheni, tanti afghani, tanti nigeriani, tanti curdi e libanesi. Il centro accoglie 50 persone.

D. – E’ stato detto più volte: forse, se ogni comune accogliesse un gruppo piccolo di richiedenti asilo, il problema dell’ “invasione” non si porrebbe. Quindi, in questo caso, Fiumicino ha risposto…

R. – Sì, e ha risposto bene, anche perché è il lavoro delle associazioni, delle cooperative, di tutti gli attori sociali e civili del territorio che fa sì che il Centro d’accoglienza adesso sia parte integrante della vita sociale di Fiumicino.

D. – E stasera, che cosa vuol essere questo incontro aperto alla cittadinanza?

R. – Questa sera vogliamo semplicemente fare una festa: una festa colorata, una festa di integrazione. Ci sarà un dibattito, ci sarà lo spazio per le associazioni e ci sarà la musica per tutta la serata.

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Mons. Nosiglia: "Il terrorismo omicida è una bestemmia contro Dio"

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“Il terrorismo omicida, e ogni discriminazione e violento rifiuto degli altri, è una bestemmia contro Dio. Gesti che nulla hanno a che vedere con la fede e la religione”. Queste le parole dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia espresse nell’augurio che ha portato personalmente alla comunità musulmana per la fine del Ramadan. “Purtroppo”, ha aggiunto, “qualcuno giunge a fare della religione uno strumento di violenza e di morte, volendo far credere che questa è la volontà di Dio. Sappiamo bene, tutti noi, che questo non è vero: gli interessi economici alimentano la propaganda della divisione, e c’è chi specula sulla paura, chi vuole guadagnare, in tanti modi, dalla divisione dei popoli”.

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Summer Camp: i giovani per un mondo unito nelle periferie di Roma.

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Anche quest’anno torna l’appuntamento con il Summer Camp, organizzato dai "Giovani per un mondo unito" del Movimento dei Focolari, dopo il successo dello scorso anno a Siracusa. È stata scelta Roma per questa edizione dal titolo “L’impegno parte dalle periferie”: 60 giovani, tra i 18 e i 30 anni, dal 25 luglio al 3 agosto, lavoreranno insieme per mettersi in gioco e formarsi sui temi della legalità e della cittadinanza attiva. Giulia Bedini ne ha parlato con Sabrina Alesiani, responsabile del progetto: 

R. – I “Giovani per un mondo unito” sono giovani appartenenti al Movimento dei Focolari, che nasce con Chiara Lubich nel 1942. Sono in tutto il mondo e hanno come obiettivo quello di realizzare un mondo unito nella concretezza; nell’operare nella propria quotidianità con amore, cercando di mettere quel seme che può portare poi a questo obiettivo. Il Campus di quest’anno, che avremo a Roma, parte in realtà dalla quarta edizione a Siracusa e nella quale si desiderava operare nella società e far sì che i “Giovani per un mondo unito” si potessero spendere per il proprio locale. Nasce con la volontà di poter portare un seme di speranza e anche di aiuto concreto. Da un anno i “Giovani per un mondo unito” di Roma hanno un rapporto di collaborazione con il Campo dei Miracoli – il calcio sociale – che si trova nel quartiere Corviale di Roma, un quartiere molto difficile dove c’è criminalità e abbandono scolastico: si è pensato che, dovendoci spendere per le periferie, non potesse esserci luogo migliore. Nello specifico, ci saranno formazioni dedicate a chiunque volesse partecipare - i partecipanti avranno un’età dai 18 ai 30 anni - e i temi di formazione riguarderanno l’azzardo, l’economia riconvertita, l’economia disarmata, noi e la legalità e la periferia. La mattina invece ci saranno le azioni sociali: i giovani si divideranno e ci sarà chi penserà alla riqualificazione del posto, perché è una struttura autonoma che cerca proprio di agire per il sostegno e l’inclusione sociale dei ragazzi del quartiere che hanno molto bisogno di sostegno e di collaborazione da parte della società civile e noi siamo felici di poter dare il nostro contributo; poi ci saranno delle attività con “Città dei ragazzi”, che è una casa per minori non accompagnati e, infine, ci sarà un gruppo che andrà a visitare le famiglie di detenuti.

D. – Quali sono gli obiettivi e le speranza legate ad un'iniziativa simile?

R. – Principalmente quello di vivere la periferia romana come nostra. Ma sarà un laboratorio, perché arriveranno giovani da tutta Italia che vogliono spendersi per una periferia, in questo caso romana, per poi poter riportare l’esperienza fatta nelle proprie città. È un laboratorio in cui imparare insieme come ci si può impegnare per la propria città. Vogliamo veramente gridare a queste periferie, ma anche al mondo, che noi vogliamo far nostro il disagio, la difficoltà, per migliorarle e farle diventare un posto migliore. Altro obiettivo è quello di creare delle relazioni nel territorio: non vuole essere un punto di arrivo, ma vuole essere uno step a cui devono seguire poi tanti altri passi e momenti costruiti insieme. Vogliamo veramente inserirci nella società e fare la nostra piccola parte per cambiare le cose: non essere, quindi, semplicemente un evento che non ha poi delle conseguenza effettive.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 176

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