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Sommario del 27/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: no a gerontocrazia nella Chiesa, siamo sognatori per i giovani

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I cardinali siano come dei “nonni sognatori” per i giovani di oggi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa concelebrata stamani nella Cappella Paolina in Vaticano, con i cardinali presenti a Roma, in occasione del 25.mo della sua ordinazione episcopale. Il Pontefice ha affermato che vecchiaia nella Chiesa non è sinonimo di “gerontocrazia” ed ha sottolineato che non bisogna chiudersi nella malinconia, ma sperare sempre nel Signore come ha fatto Abramo. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Alzati, guarda, spera”. Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulla figura di Abramo e sul suo dialogo con il Signore, di cui narra la Prima Lettura. Abramo, ha osservato, risponde ai tre imperativi che Dio gli dà: alzarsi e non rimanere seduto; guardare l’orizzonte senza costruire muri; sperare nel Signore che gli darà discendenti numerosi quanto le stelle. “Alzati! Guarda! L’orizzonte, niente muri, l’orizzonte – ha detto il Papa – Spera! E la speranza è senza muri, è puro orizzonte”:

Come Abramo, anche a noi il Signore dice: Alzati! Guarda! Spera!”.
“Quando Abramo fu chiamato, aveva più o meno la nostra età: stava per andare in pensione, in pensione per riposarsi… Incominciò a quell’età. Un uomo anziano, con il peso della vecchiaia, quella vecchiaia che porta i dolori, le malattie… Ma tu, come se fossi un giovanotto, alzati, vai, vai! Come se fossi uno scout: vai! Guarda e spera. E questa Parola di Dio è anche per noi, che abbiamo un’età che è come quella di Abramo… più o meno – ci sono alcuni giovani qui, ma la maggioranza di noi è in questa età –; e a noi oggi il Signore dice lo stesso: Alzati! Guarda! Spera!”.

I cardinali non sono gerontocrati, ma “nonni sognatori” per i giovani
Il Signore, ha ripreso Francesco, “ci dice che non è l’ora di mettere la nostra vita in chiusura, di non chiudere la nostra storia, di non compendiare la nostra storia”. Il Signore, ha soggiunto, “ci dice che la nostra storia è aperta, ancora: è aperta fino alla fine, è aperta con una missione. E con questi tre imperativi ci indica la missione: Alzati! Guarda! Spera!”.

“Qualcuno che non ci vuole bene dice di noi che siamo la gerontocrazia della Chiesa. E’ una beffa. Non capisce quello che dice. Noi non siamo geronti: siamo dei nonni, siamo dei nonni. E se non sentiamo questo, dobbiamo chiedere la grazia di sentirlo. Dei nonni ai quali i nostri nipotini guardano. Dei nonni che devono dare loro un senso della vita con la nostra esperienza. Nonni non chiusi nella malinconia della nostra storia, ma aperti per dare questo. E per noi, questo ‘alzati, guarda, spera’, si chiama ‘sognare’. Noi siamo dei nonni chiamati a sognare e dare il nostro sogno alla gioventù di oggi: ne ha bisogno. Perché loro prenderanno dai nostri sogni la forza per profetizzare e portare avanti il loro compito”.

Oggi, ha detto il Papa rivolgendosi ai cardinali presenti, “il Signore chiede a noi di essere nonni. Di avere la vitalità di dare ai giovani, perché i giovani lo aspettano da noi”. Bisogna dunque chiedere al Signore questa grazia “di essere nonni, la grazia di sognare, e dare questo sogno ai nostri giovani: ne hanno bisogno”.

Il grazie del Papa ai cardinali: pregate perché sia perseverante nella fede
Alla fine della Messa prima della benedizione, il Papa ha quindi ringraziato i cardinali presenti a partire dal cardinale decano, Angelo Sodano:

Ringraziarvi per questa preghiera comune in questo anniversario, chiedendo il perdono per i miei peccati e la perseveranza nella fede, nella speranza, nella carità. Vi ringrazio tanto per questa compagnia fraterna e chiedo al Signore che vi benedica e vi accompagni nella strada del servizio alla Chiesa. Grazie tante”.

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Papa a delegazione Patriarcato ecumenico: comunione non è uniformità omologata

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Sono trascorsi 50 anni dalla visita di Paolo VI al Fanar, ad Istanbul, nel luglio del 1967, e della visita del Patriarca Athenagoras, a Roma, nell’ottobre dello stesso anno. Lo ha ricordato stamane il Papa ricevendo in udienza una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in occasione del tradizionale scambio di visite per le rispettive feste dei Santi Patroni, Pietro e Paolo il 29 giugno a Roma ed Andrea il 30 novembre ad Istanbul. Il servizio di Roberta Gisotti

“L’esempio di questi coraggiosi e lungimiranti Pastori” - ha sottolineato Francesco, riferito a Paolo VI e Athenagoras - ci incoraggia a seguire nel nostro cammino verso la piena unità”:

“Cinquant’anni fa le due visite furono eventi che suscitarono immensa gioia ed entusiasmo nei fedeli delle Chiese di Roma e di Costantinopoli e contribuirono a far maturare la decisione di inviare delegazioni per le rispettive feste patronali, cosa che continuiamo a fare anche oggi”.

Una tradizione che si rinnova e porta frutti:

“…accresce in noi il desiderio di ristabilire pienamente la comunione tra cattolici e ortodossi, che già pregustiamo nell’incontro fraterno, nella preghiera condivisa e nel comune servizio al Vangelo”.  

“Comunione che non sia uniformità omologata”, ha chiarito Francesco soffermandosi poi sulle figure dei Santi Pietro e Paolo, “patroni principali” della “Chiesa di Roma”, che “hanno servito il Signore con stili differenti e in modo diverso”, “fino ad offrire in sacrificio la propria vita”, “memoria di unità nella diversità”:

“Come voi ben sapete l’iconografia rappresenta i due apostoli stretti in un abbraccio, profezia dell’unica comunione ecclesiale nella quale le legittime differenze debbono convivere".

Ha quindi rievocato il Papa, il recente incontro al Cairo con il Patriarca ecumenico Bartolomeo, “fratello amato”:

“..ho potuto constatare ancora una volta la profonda consonanza di visione su alcune sfide che toccano la vita della Chiesa e il mondo contemporaneo".

Infine un augurio per il prossimo incontro, a settembre, a Leros in Grecia del Comitato di coordinamento della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa:

“Auspico che questa riunione, in un clima spirituale di ascolto della volontà del Signore e nella viva consapevolezza del cammino che molti fedeli cattolici e ortodossi in varie parti del mondo già compiono insieme, sia ricca di buoni risultati per il futuro del dialogo teologico".

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Spoglie di Giovanni XXIII torneranno a Bergamo per qualche giorno

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Il corpo di Giovanni XXIII tornerà eccezionalmente per qualche giorno, il prossimo anno, a Bergamo. A dare la notizia con grande gioia e gratitudine al Papa, questa mattina un comunicato della diocesi che aveva presentato richiesta al Santo Padre. Il servizio di Paolo Ondarza

Un grande evento nel 60.mo della elezione a Papa. Dettagli da definire
Non si conoscono ancora i dettagli e la data precisa, ma la gioia in diocesi è grande. La curia del capoluogo lombardo ha informato questa mattina che Papa Francesco, tramite la Segreteria di Stato, ha dato il via libera alla richiesta, che San Giovanni XXIII “torni a Bergamo”. L’ipotesi è che il grande evento avvenga il 3 giugno del prossimo anno, 55.mo giorno anniversario della morte e nel 60.mo della elezione a Pontefice: l’urna con il corpo del "Papa Buono" dovrebbe giungere in città e a Sotto il Monte per qualche giorno.

La gratitudine del vescovo, mons. Beschi
“Ringraziamo Papa Francesco per questo gesto di amore paterno nei confronti della nostra Diocesi”, ha detto mons. Francesco Beschi rievocando la bergamaschicità, di cui Roncalli andava fiero, tratto caratteristico della “sua umanità”, spiritualità, pazienza nella difficoltà, disponibilità a condividere con i più poveri quel poco che si aveva”, della “sua preferenza a guardare gli aspetti positivi, più che a quelli negativi e a considerare, nei rapporti con gli altri, ciò che unisce più di che ciò che divide”. Il presule la definisce una “scuola del cortile”, “che insegna a guardare la vita e il futuro con ottimismo e a considerare le persone con stima e fiducia. Guardando a questo frutto della nostra terra - conclude - siamo stimolati a ritornare alle nostre radici e soprattutto a rinnovare quella medesima linfa di grazia che ci unisce a lui”.

Nelle prossime settimane si definiranno i dettagli
“Il desiderio che Papa Giovanni XXIII tornasse nella sua terra natale - oltre che espresso dallo stesso Pontefice confidenzialmente in più occasioni, si apprende da un comunicato della diocesi, è stato più volte manifestato da tanti fedeli al parroco di Sotto il Monte che lo ha raccolto ed è stato presentato a Papa Francesco insieme alla richiesta formale” del vescovo. Nelle prossime settimane con la Santa Sede saranno messi a punto e quindi resi noti i dettagli organizzativi.

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Mons. Jurkovic: no a programmi pro aborto, gender sia riferito a sesso

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La Santa Sede ribadisce che il termine gender va riferito esclusivamente all’identità e alla differenza sessuale biologica. Inoltre i servizi sanitari non devono mai essere destinati - o operare - contro la vita dei più indifesi o dei nascituri. Così in sintesi l’arcivescovo Ivan Jurkovič, Osservatore della Santa Sede presso l’Onu e le organizzazioni internazionali di Ginevra, intervenuto nei giorni scorsi all’Ecosoc, il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite su una risoluzione  per il rafforzamento dell’assistenza umanitaria di emergenza.

Pacchetto salute riproduttiva non può includere aborto
Pur riconoscendo  i progressi compiuti  su temi specifici come “carestia” e “sicurezza alimentare”, il presule esprime rammarico per l’inclusione del controverso pacchetto MISP che include nei servizi sanitari di base alcuni progetti per la salute riproduttiva di donne e ragazze che favoriscono l’aborto.

Diritto alla vita è per ogni fase della vita
Il diritto alla vita  – spiega mons. Jurkovič – va applicato ad ogni fase della vita, senza discriminarne alcuna.  “Sebbene riconosciamo i rischi particolari che le donne e i bambini affrontano in contesti di emergenze umanitarie e le loro esigenze in materia di accesso all'assistenza sanitaria di base - aggiunge - non possiamo accettare come soluzione adeguata quei servizi che procurano o promuovono l'aborto”.

Aborto e farmaci abortivi non sono risposte a drammi umanitari 
Per questo motivo  - conclude l’arcivescovo  - “la Santa Sede si dissocia dai paragrafi della risoluzione che promuovono la MISP come risposta alle drammatiche situazioni di tante donne e bambini in situazioni umanitarie impegnative” e non considera "l'aborto, l'accesso all'aborto o  ai farmaci abortivi” come un misure per la  "salute sessuale e riproduttiva". Da mons. Jurkovič infine la richiesta che il testo del suo intervento sia inserito tra gli atti ufficiali della riunione. (A cura di Paolo Ondarza)

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Le udienze e nomine episcopali di Papa Francesco

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Le udienze e nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa Vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Usa: Corte Suprema reintroduce, in parte, il bando per i musulmani

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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha parzialmente reintrodotto il divieto di ingresso negli Usa per i cittadini di sei Paesi a maggioranza musulmana. Il cosiddetto ‘muslim ban’, fortemente voluto da Donald Trump, entrerà in vigore tra due giorni, anche se in versione ridimensionata. Non saranno soggetti al bando, infatti, coloro che dimostreranno di avere un legame stabile negli Stati Uniti, di natura familiare o di lavoro. Francesca Sabatinelli ha intervistato Dario Fabbri, giornalista della rivista di geopolitica Limes ed esperto di politica statunitense: 

R. – È stato un esercizio di acrobazia giuridica, da questo punto di vista. In realtà, i nove giudici della Corte Suprema non hanno deciso, ma semplicemente hanno stabilito che il cosiddetto “muslim ban”, che riguarda sei nazioni a maggioranza musulmana tra cui l’Iran, può entrare in effetto, cioè in vigore, ma soltanto per quei cittadini di questi sei Paesi che chiedono il visto per accedere agli Usa senza però alcun tipo di legame personale, professionale o di studio, accademico, anche soltanto come semplici studenti, negli Usa. Tradotto: tutti coloro che hanno questi legami potranno viaggiare ed accedere agli Usa, ed è un po’ ciò che accadeva prima, perché tra queste sei nazioni nessuna di fatto ha un vero turismo negli Stati Uniti. I cittadini di queste nazioni non si trasferiscono negli Stati Uniti per turismo, lo fanno per ragioni professionali, oppure di studio. Dunque, di qui l’acrobazia che non pone fuori legge il “ban” voluto da Trump, ma allo stesso modo lascia che i cittadini di questi Paesi, che già in precedenza viaggiavano negli Usa, continuino a farlo.

D. – Allora, perché questo equilibrismo dei giudici considerando tra l’altro che questo, in sostanza, è un verdetto che in fondo ha poca vita poi …

R. – Perché i giudici si riservano il diritto di intervenire realmente nella questione il prossimo ottobre. Da qui a ottobre, di fatto, non hanno voluto "grane", né da una parte, né dall’altra, quindi possono lasciare che Trump, come già sta facendo in queste ore, canti vittoria, ma allo stesso tempo, da un punto di vista sostanziale, non cambia quasi nulla – ripeto – per i cittadini provenienti da questi Paesi che normalmente vanno negli Usa, e quasi mai per turismo. L’unico caso tra i sei è quello dell’Iran, che è un grande Paese e non è, tra quelli della lista, attraversato da guerre, ma da questo punto di vista la Corte Suprema non fa che collocarsi nella ormai classica sfiducia che l’opinione pubblica ha nei confronti dell’Iran, a partire dal 1979, cioè dalla rivoluzione islamica.

D. – Ci sono le Ong e i gruppi pro-immigrati che comunque hanno espresso dei timori...

R. – Ci sono due ragioni che spingono in questo momento coloro che si occupano di accoglienza negli Usa a criticare fortemente la non decisione preliminare della Corte Suprema. Anzitutto, il fatto che i rifugiati, anche coloro che potrebbero essere tali, provenienti da questi Paesi, non avranno accesso agli Usa proprio perché in quanto rifugiati mediamente, tranne che in casi rarissimi, quasi impossibili, non hanno legami né personali né di lavoro con gli Usa. Quindi, i rifugiati restano fuori dagli Usa attraverso questa ‘non decisione’. Dall’altro lato, e questa è la seconda ragione che spinge chi negli Usa si occupa di accoglienza a criticare fortemente la mossa della Corte Suprema, c’è il fatto che, nonostante questa ‘non decisione’, il prossimo ottobre si rischia che la Corte Suprema invece accolga pienamente il “muslim ban” voluto da Trump. E dunque si cautelano, si preparano già alla battaglia, anche dialettica, che li aspetta per il prossimo autunno.

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Vescovi Usa su "Muslim ban": serve rispetto dignità umana

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I vescovi degli Stati Uniti giudicano con preoccupazione il parziale via libera della Corte Suprema al cosiddetto "Muslim ban", il controverso decreto presidenziale che vieta l'ingresso nel Paese a cittadini provenienti da sei Paesi a maggioranza musulmana. Lunedì l’organo costituzionale ha autorizzato l'entrata in vigore temporanea di una parte dell’ordine esecutivo – bloccato in questi mesi da diversi tribunali di grado inferiore – in attesa di pronunciarsi via definitiva sull'intera materia a ottobre. I Paesi coinvolti sono Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.

“La decisione avrà conseguenze umane”
“La decisione avrà conseguenze umane”, afferma in una nota mons. Joe Vasquez, vescovo di Austin e presidente della Commissione episcopale Usa per i migranti. “I miei confratelli ed io – scrive il presule – apprezziamo la sentenza che consente a coloro che hanno un rapporto ‘bona fide’ con una persona o un ente negli Stati Uniti di continuare ad arrivare. Siamo profondamente preoccupati, però, per il benessere di molte altre persone vulnerabili per le quali ora non è consentito di arrivare e trovare protezione”, in particolare di “chi fugge dalla persecuzione religiosa e i bambini rifugiati non accompagnati”.

Fondamentale la massima competenza quando si tratta di rifugiati
Di qui l’appello all’Amministrazione Trump a riesaminare al più presto il programma per il ricollocamento dei rifugiati coinvolgendo la società civile, gli operatori che lavorano nei servizi ai rifugiati e gli esperti di immigrazione e sicurezza nazionale. “Riteniamo essenziale utilizzare la massima competenza” in materia, per una “una valutazione così importante”, conslude la nota. (A cura di Lisa Zengarini)

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Centrafrica: appello dei vescovi per la fine delle violenze

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Alla luce della “nuova ondata di violenze che dilaga nel Paese” i vescovi della Repubblica Centrafricana hanno rivolto un messaggio “alle donne e agli uomini di buona volontà”, in cui affrontano il tema della “violenza che si propaga”, “come l’effetto di un incendio che si diffonde”.

Continuano gli scontri nonostante l’accordo raggiunto il 19 giugno
Nonostante il nuovo accordo di pace fra il Governo di Bangui e diversi gruppi politico-militari attivi nel Paese, non si fermano infatti gli scontri che nelle ultime settimane hanno causato oltre cento vittime, in una guerra civile che dura ormai da quattro anni. Morti “innocenti e indifesi, soldati della Minusca uccisi nell’esercizio della loro missione, membri dei gruppi armati, sono tutti nostre sorelle e nostri fratelli”, scrivono i vescovi in una lettera pastorale diffusa nei giorni scorsi e ripresa dall’agenzia Sir. Anche Caino e Abele erano “nati da una stessa famiglia e cresciuti insieme, esposti ed educati agli stessi valori familiari”, eppure tutto ciò “non li ha risparmiati dalla violenza”.

La collaborazione strada maestra per un vero dialogo
“Abbiamo ancora vie di uscita dalla violenza?”, chiedono quindi i vescovi centrafricani. “Come possiamo curare il cuore orientato verso il male? Come assumerci le nostre responsabilità di fronte ai crimini e alle distruzioni? Come costruire insieme una società in cui nessuno soffra per colpa dell’altro?”. Secondo i presuli, “le urla del sangue versato delle nostre sorelle e dei nostri fratelli salgono a Dio” e da Lui arriva l’invito a cambiare “sguardo e comportamento e alla responsabilità nei confronti delle nostre azioni” perché “l’accoglienza e la collaborazione sono la strada maestra per un vero dialogo e per una riconciliazione sincera”.

Rivoltante assistere a massacri di civili che restano impuniti
La lettera pastorale pubblicata durante l’assemblea plenaria, conclusa il 25 giugno a Kaga-Bandoro, definisce “doloroso, frustrante e addirittura rivoltante” assistere a massacri impuniti di innocenti. I vescovi sono convinti che “l’odio e lo spirito di vendetta non siano una spirale infinita di violenza”, purché si compia “lo sforzo di stima vicendevole e di guardarci come dei prossimi”. Per superare “le differenze religiose, politiche e sociali, la mancanza di sincerità di diversi attori sociopolitici, il senso di vendetta e di rivolta che si amplifica di fronte alla violenza e alle ingiustizie”, sottolineano , occorre “disarmare i cuori e smettere di essere strumenti di morte”, “superare la paura dell’altro, i sospetti e le dicerie per dare una possibilità alla ricostruzione della fiducia” e “mettere insieme talenti e intelligenze al servizio della ricostruzione del Paese e non della sua distruzione”.

Andare oltre alle divisioni ideologiche e agli interessi personali
I vescovi chiedono quindi di “dare una possibilità” alle istituzioni (tra cui il Tribunale penale speciale) per favorire “l’avvento di un contesto socio-economico propizio alla pace e allo sviluppo” e si rivolgono agli “attori sociopolitici”, affinché superino le “divisioni ideologiche e gli interessi personali per tendere risolutamente verso la ricerca del bene comune”. Dai vescovi, infine, un grazie “alla comunità internazionale e a tutti i nostri fratelli e amici che non smettono di darci il loro appoggio nel doloroso cammino della ricostruzione del Paese”. (L.Z.)

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Cina: accordo con Pakistan e Afghanistan per gestire le crisi

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Pakistan e Afghanistan hanno firmato un accordo per affrontare insieme le crisi che spesso coinvolgono i due Paesi. L’intesa è stata siglata ad Islamabad alla presenza del ministro degli Esteri cinese e prevede scambi di informazioni e collaborazione tra le intelligence. E’ il primo accordo di questa portata in cui la Cina fa da garante, come spiega Francesca Manenti, analista del Cesi, al microfono di Michele Raviart

R. – L’accordo, in realtà, è un accordo che arriva come conclusione di diversi annidi trattativa tra Pakistan, Afghanistan e Cina. E’ un po’ il sugello del ruolo che Pechino sta cercando di ritagliarsi all’interno della regione: è un accordo fondamentale, perché va quanto meno a manifestare il comune interesse delle tre parti di andare a trovare un punto di convergenza o a posare delle pietre fondamentali per una gestione della crisi in corso. Tant’è che non ha solo caratteristiche o portata nazionale, ma è sempre di più una crisi regionale che interessa non solo il vicino pakistano, ma anche la Cina.

D. – Quali sono gli interessi della Cina nella regione?

R. – Da diversi anni ormai è confermata la presenza di combattenti di etnia uigura, quindi che risiedono nello Xinjiang, nella provincia occidentale cinese, che si sono uniti in passato alle fila di al Qaeda, in Afghanistan, e hanno continuato a utilizzare il conflitto afghano per cercare di andare a costituire un vero e proprio gruppo armato che verosimilmente dovrebbe andare a portare instabilità all’interno della Cina. Dall’altra c’è inevitabilmente la considerazione che l’area dell’Asia meridionale rappresenta comunque un passaggio fondamentale della grande nuova strategia della Cina, le cosiddette “nuove vie della seta”, che avrebbero in Pakistan un tratto fondamentale.

D. – Le accuse tra Afghanistan e Pakistan sono storiche e sono reciproche, soprattutto per quanto riguarda la zona di confine. Erano già stati fatti degli accordi in precedenza: perché questo accordo è diverso?

R. – L’accordo è diverso nel momento in cui comprende un nuovo attore: il punto di svolta in questo senso è il coinvolgimento diretto della Cina che palesemente fa un passo avanti. Per molti anni il processo di gestione della crisi in Afghanistan aveva riguardato soprattutto Afghanistan, Pakistan e Stati Uniti, Stati Uniti che continuano inevitabilmente a essere un interlocutore necessario soprattutto per la presenza delle forze statunitensi nel contesto afghano.

D. – A margine di questo accordo di cooperazione in chiave anti-terrorismo e stabilizzazione, c’è sia un accordo trilaterale di cooperazione economica con la Cina, sia un messaggio rivolto anche agli Stati Uniti per rilanciare il tavolo di riconciliazione anche invitando le formazioni talebane. Quali possono essere le reazioni degli Stati Uniti a questo passo in avanti della Cina?

R. – Gli Stati Uniti, in questo momento, hanno un ruolo fortemente di sicurezza, il ruolo della Cina in questo momento è considerato dagli Stati Uniti come uno scomodo punto necessario, nel senso che ormai è innegabile che la Cina si stia ritagliando un ruolo sempre più importante all’interno della regione e sia il Pakistan sia l’Afghanistan guardano alla Cina come a una validissima alternativa alla sponda diplomatica che possano avere con gli Stati Uniti. Questo, se non vale al 100 per 100 per l’Afghanistan, che è legato a doppio filo con gli Stati Uniti, le relazioni tra gli Stati Uniti e il Pakistan in questi ultimi anni si sono debolmente raffreddate. Soprattutto, il discorso di andare a coinvolgere i talebani sta diventando sempre più un punto fortemente sostenuto sia dal Pakistan sia dalla Cina.

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Caritas Grecia: aumentano i poveri, crisi sempre più pesante

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"Non serve studiare economia per capire che se hai soldi spendi, se non li hai non li spendi. La gente non ce la fa più. Quanto vediamo ci conferma che l’austerità non paga”. È quanto denuncia Maria Koutatzi, responsabile del settore politiche sociali di Caritas Grecia, in un’intervista all'agenzia Sir sulla crisi attraversata della Grecia che, dopo 7 anni, non accenna a placarsi.

Triplicato il numero dei senza lavoro, ridotto di un quarto il potere di acquisto
Dai dati raccolti in 7 delle 11 diocesi greche, in coordinamento con l’Ufficio studi di Caritas Italiana, emerge che l’entità degli stipendi medi è passata da 22.729 euro nel 2009 a 18.411 euro nel 2014 mentre il numero dei senza lavoro è passato da 402mila nell’ultimo trimestre del 2008 a 1.175.000 nell’ultimo trimestre del 2015. Tra il 2010 e il 2014 il potere di acquisto del livello minimo salariale previsto per legge è diminuito del 24,9% per i lavoratori adulti e del 34,5% per i giovani fino a 25 anni. Contestualmente è salita al 21,2% la percentuale di lavoratori a rischio povertà.

In aumento i poveri che si rivolgono alla Caritas
Non è un caso se il problema-bisogno più frequente degli utenti della Caritas in Grecia è stato proprio quello della povertà economica (80,2% del totale), seguito dai problemi di lavoro (60,9%). Per Koutatzi, quella attraversata dalla Grecia “è una fase molto buia della crisi”. “Siamo un Paese vulnerabile sul quale nessun investitore vuole puntare”, aggiunge, rilevando che “la popolazione continua a soffrire sempre di più a causa della recessione”. “Gli stipendi sono tutti ridotti al minimo e spesso non ci sono tutele per i lavoratori, molti dei quali sono in nero”, spiega Koutatzi, e gli anziani “cercano di sopravvivere nonostante i tagli alle pensioni che hanno raggiunto anche il 50-60%”.

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Emergenza caldo: Sant'Egidio a fianco degli anziani

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Si è tenuta oggi a Roma la conferenza stampa, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, per presentare le iniziative in programma per proteggere la popolazione anziana dall’emergenza caldo e dall’isolamento sociale, una delle prime cause di mortalità. “Viva gli anziani”: è questo il nome del programma di monitoraggio attivo nato nel 2004, in collaborazione con il Ministero della Salute ed Enel Cuore. Il progetto è cresciuto negli anni, registrando ottimi risultati, e ad oggi sono circa 45.000 gli anziani monitorati in 7 città d’Italia. Giulia Bedini ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio: 

R. – La Comunità di Sant’Egidio è preoccupata per la vita di tanti anziani soli, perché l’isolamento è la loro principale causa di morte, in Italia, soprattutto nel periodo delle ondate di calore, quando la vita si fa più fragile e quando situazioni climatiche possono provocare maggiori rischi. E quindi noi siamo qui per rivolgere un appello a tutti i cittadini italiani perché si guardino gli anziani che ci sono vicini, che sono nel nostro palazzo, nel nostro condominio, nel nostro quartiere; perché li si visiti, si suoni al campanello, si citofoni, si chieda se tutto va bene. Perché la vicinanza in questi casi può salvare una vita. La vera soluzione è quella di mettere in campo piani che durino per tutto l’anno, perché non è soltanto nel tempo dell’emergenza che bisogna intervenire per salvare la vita degli anziani e per aiutarli a vivere meglio.

D. – Si è parlato, appunto, di emergenza prevedibile: perché? E soprattutto, cosa si può fare di più? Quali consigli vogliamo dare agli anziani?

R. – Certamente, quelli che dà il nostro Ministero della salute: di non uscire nelle ore più calde, di bere molto e, soprattutto, io vorrei dire agli anziani di contattare i loro parenti, i loro amici e vicini di casa, di non rimanere mai da soli, soprattutto quando non ci si sente tanto bene. Perché rimanere soli, in certe situazioni, veramente può renderci tutti più fragili.

Sulla nascita del progetto abbiamo ascoltato Giancarlo Penza, responsabile dell’impegno di Sant’Egidio per gli anziani:

R. – Il progetto nasce nel 2004, immediatamente dopo quel 2003 che fu particolarmente critico per le ondate di calore che si manifestarono in tutta Europa e che provocarono in Italia oltre 10 mila morti, in particolare tra la popolazione fragile: anziani che vivono da soli, anziani in istituto; anche in Francia ci furono almeno 15 mila morti in più. Partì allora una riflessione sul fatto che gli effetti delle ondate di calore potevano essere attenuati nella misura in cui si costruiva una rete protettiva attorno alla fragilità degli anziani soli nelle grandi città, pensando all’isolamento sociale come vero killer, non tanto il calore!

Il progetto è realizzato inoltre in collaborazione con Enel-Cuore. Sentiamo le parole del consigliere delegato, Andrea Valcalda, ai nostri microfoni:

R. – E' una collaborazione che nasce da lontano, tra Enel-Cuore e Sant’Egidio: nel 2004 è partito un programma di assistenza agli anziani che si chiamava “A casa è meglio”. Era la prima parte del programma e serviva appunto a far sì che gli anziani potessero vivere nelle proprie case ed evitare l’ospedalizzazione, che vuol dire spesso grande disagio, grande dolore ed alti costi per il sistema complessivo! Oggi parliamo di questo programma “Viva gli anziani” che è fondato sui concetti di condivisione: si cerca di ricreare quelle reti di assistenza, di ascolto, di monitoraggio che la società di una volta garantiva naturalmente. Le persone anziane non sono un problema, sono una risorsa, da mettere in qualche modo in comune: il fatto, per esempio, che tanti dei volontari che lavorano a questo progetto siano a loro volta anziani, vuol dire che gli anziani sono una risorsa.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 178

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.