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Sommario del 28/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: ripugna l'idea che i terroristi siano chiamati martiri

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Ai cristiani “ripugna” l’idea che gli attentatori suicidi possano essere definiti “martiri”: nulla nella loro fine può essere avvicinato all’atteggiamento dei figli di Dio. Lo ha detto il Papa all’udienza generale di oggi in Piazza San Pietro, spiegando che martirio vuol dire testimonianza e fedeltà al Vangelo e esortando a non rispondere “al male col male” perché in mezzo a noi c’è sempre Qualcuno che è “più forte delle mafie” e delle “trame oscure”. Il servizio di Giada Aquilino

I martiri non vivono per sé, non combattono per affermare le proprie idee e accettano di dover morire solo per fedeltà al Vangelo. Con queste parole Papa Francesco torna nella catechesi dell’udienza generale a riflettere sulla speranza cristiana, qui intesa come “forza dei martiri”, spiegando che il martirio comunque non è “l’ideale supremo della vita cristiana”, perché al di sopra di esso vi è la carità, cioè l’amore verso Dio e verso il prossimo:

Ripugna ai cristiani l’idea che gli attentatori suicidi possano essere chiamati ‘martiri’: no, questi non sono martiri, non c’è nulla nella loro fine che possa essere avvicinato all’atteggiamento dei figli di Dio. A volte, leggendo le storie di tanti martiri di ieri e di oggi - che sono più dei martiri dei primi tempi - rimaniamo stupiti di fronte alla fortezza con cui hanno affrontato la prova. Questa fortezza è segno della grande speranza che li animava: la speranza certa che niente e nessuno li poteva separare dall’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo”.

Partendo dal brano evangelico di Matteo, in cui Gesù, inviando i discepoli in missione, non li illude “con miraggi di facile successo” ma li avverte chiaramente che l’annuncio del Regno di Dio “comporta sempre una opposizione”, specificando che per questo saranno “odiati da tutti”, il Pontefice spiega che “i cristiani amano, ma non sempre sono amati”, cioè in una misura “più o meno forte” la confessione della fede avviene “in un clima di ostilità”.

“I cristiani sono dunque uomini e donne ‘controcorrente’. E’ normale: poiché il mondo è segnato dal peccato, che si manifesta in varie forme di egoismo e di ingiustizia, chi segue Cristo cammina in direzione contraria. Non per spirito polemico, ma per fedeltà alla logica del Regno di Dio, che è una logica di speranza, e si traduce nello stile di vita basato sulle indicazioni di Gesù”.

Soffermandosi sull’indicazione di “povertà” per i cristiani, il Papa evidenzia a proposito dei discepoli come Gesù metta quasi “più cura” nello “spogliarli” che nel “vestirli”: un cristiano che non sia “umile e povero”, “distaccato dalle ricchezze e dal potere” e soprattutto distaccato “da sé” - sottolinea Francesco - non assomiglia a Gesù. Il cristiano percorre dunque la sua strada “con il cuore pieno d’amore”:

La vera sconfitta per lui o per lei è cadere nella tentazione della vendetta e della violenza, rispondendo al male col male. Gesù ci dice: ‘Io vi mando come pecore in mezzo a lupi’. Dunque senza fauci, senza artigli, senza armi. Il cristiano piuttosto dovrà essere prudente, a volte anche scaltro: queste sono virtù accettate dalla logica evangelica. Ma la violenza mai. Per sconfiggere il male, non si possono condividere i metodi del male”.

L’unica forza del cristiano è il Vangelo. E nei tempi di difficoltà, prosegue Francesco, “si deve credere che Gesù sta davanti a noi” e “non cessa” di accompagnarci. La persecuzione, assicura, “non è una contraddizione al Vangelo”, ma ne fa parte, proprio perché è stato il nostro Maestro ad essere perseguitato. Per questo anche “nel bel mezzo del turbine” il cristiano non deve perdere la speranza, pensando di essere stato abbandonato:

“Nessuna delle sofferenze dell’uomo, nemmeno le più minute e nascoste, sono invisibili agli occhi di Dio. Dio vede, e sicuramente protegge; e donerà il suo riscatto. C’è infatti in mezzo a noi Qualcuno che è più forte del male, più forte delle mafie, delle trame oscure, di chi lucra sulla pelle dei disperati, di chi schiaccia gli altri con prepotenza… Qualcuno che ascolta da sempre la voce del sangue di Abele che grida dalla terra”.

I cristiani devono dunque farsi trovare sempre sull’“altro versante” del mondo, quello scelto da Dio:

“Non persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di fumo, ma sottomessi alla verità; non impostori, ma onesti. Questa fedeltà allo stile di Gesù – che è uno stile di speranza – fino alla morte, verrà chiamata dai primi cristiani con un nome bellissimo: ‘martirio’, che significa ‘testimonianza’. C’erano tante altre possibilità, offerte dal vocabolario: lo si poteva chiamare eroismo, abnegazione, sacrificio di sé. E invece i cristiani della prima ora lo hanno chiamato con un nome che profuma di discepolato”.

La preghiera è dunque affinché Dio ci doni la forza di essere suoi testimoni, per vivere la speranza cristiana “soprattutto nel martirio nascosto di fare bene e con amore i nostri doveri di ogni giorno”. Nei saluti nelle varie lingue, il Pontefice ricorda che domani la liturgia ci propone il martirio dei Santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, e - salutando in particolare gli ospiti degli arcivescovi metropoliti che domani riceveranno il pallio - auspica che il Signore conceda anche a noi “la forza per essere Suoi fedeli testimoni”. Infine esorta a coltivare l’amicizia con i sacerdoti, particolarmente quelli “più soli”, sostenendo la loro vocazione e accompagnando il loro ministero.

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Il Papa alla Cisl: stolto e miope far lavorare gli anziani, lavoro per i giovani

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Il Papa dice no alle pensioni d’oro, e rilancia un “nuovo patto sociale per il lavoro”, affinché i giovani trovino un'occupazione. Francesco ha ricevuto in Vaticano i delegati della Cisl, che da oggi a sabato sono riuniti a congresso, guidati dal segretario generale Anna Maria Furlan. Alessandro Guarasci

Il Papa mette l’accento sulla centralità del lavoro. Francesco afferma che “è una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti”.

Ne fanno le spese i giovani, circa il 40% di loro non ha un lavoro:

“Quando i giovani sono fuori dal mondo del lavoro, alle imprese mancano energia, entusiasmo, innovazione, gioia di vivere, che sono preziosi beni comuni che rendono migliore la vita economica e la pubblica felicità”.

Poi una critica alle pensioni d’oro:

“E quando non sempre e non a tutti è riconosciuto il diritto a una giusta pensione – giusta perché né troppo povera né troppo ricca: le “pensioni d’oro” sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni”.

Il mondo del lavoro è in rapida trasformazione, ecco perché bisogna rivedere gli schemi:

“È allora urgente un nuovo patto sociale per il lavoro, che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare. Il dono del lavoro è il primo dono dei padri e delle madri ai figli e alle figlie, è il primo patrimonio di una società. È la prima dote con cui li aiutiamo a spiccare il loro volo libero della vita adulta”.

Francesco, poi, di fronte alla Cisl, mette in guardia dalle malattie che possono colpire il sindacato: “Nelle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire questa sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe criticare. Il sindacato col passare del tempo ha finito per somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l’azione dentro le imprese perde forza ed efficacia”.

E questo perché l’economia deve essere sempre e solo al servizio dell’uomo: “Diciamo economia sociale di mercato, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II: economia sociale di mercato. L’economia ha dimenticato la natura sociale che ha come vocazione, la natura sociale dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti”.

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Furlan (Cisl); sindacato indispensabile per una buona società

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"Una globalizzazione inumana e una finanza ingorda, ci hanno consegnato più diseguaglianze sociali, più povertà, più disoccupazione". Il segretario generale della Cisl Anna Maria Furlan ha espresso questi concetti in aula Paolo VI di fronte al Papa. Alessandro Guarasci ha sentito la stessa Furlan: 

R. - Il sindacato è indispensabile, ha detto il Santo Padre, il buon sindacato, per fare una buona società, stare insieme agli ultimi, stare nelle periferie, stare accanto ai giovani, agli immigrati, agli esclusi. Credo che sia la vera sfida che abbiamo davanti: come attraverso l’azione del sindacato, l’azione della Cisl, i diritti di cittadinanza, il diritto alla dignità della persona riusciamo a garantirlo a tutte le persone che vivono nel nostro Paese, A partire dai giovani che non trovano lavoro, dai tanti profughi e immigrati che scappano dalle guerre e dalla fame, dagli anziani poveri, da chi pensa che non si debba più avere speranza. Il sindacato è speranza.

D. - Il Papa in qualche modo ha detto: troppo poco lavoro per i giovani. Anche questo governo ha fatto troppo poco, secondo lei?

R. - Credo che tutto il Paese abbia fatto troppo poco per i giovani. E lo sprone del Santo Padre più che importante è prezioso. Noi dedicheremo gran parte del nostro congresso a questo tema: come rendere protagonisti nel lavoro, nel sociale, nella comunità, i nostri giovani.

D. - Un pensiero alle grandi vertenze, Ilva e Alitalia. Lei vede una luce in fondo al tunnel?

R. - Io credo che noi dobbiamo costruire un percorso perché alla fine per ogni vertenza nel nostro Paese ci sia una giusta soluzione. Questo è il compito che abbiamo. Se mettiamo al centro il lavoro, la crescita, la persona, tutti assieme possiamo riuscirci.

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Papa Francesco: Concistoro per la creazione di 5 cardinali

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Nel pomeriggio, alle ore 16.00 nella Basilica Vaticana, Papa Francesco presiederà il Concistoro ordinario pubblico per la creazione di 5 nuovi cardinali. L’annuncio era stato fatto al termine del Regina Coeli del 21 maggio scorso. I nuovi cardinali, provenienti da 5 Nazioni, sono: mons. Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, Malí; mons. Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, Spagna. E poi mons. Anders Arborelius, ocd, vescovo di Stoccolma, Svezia; mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, vescovo titolare di Acque nuove di Proconsolare, vicario apostolico di Paksé, Laos. E infine, mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo titolare di Mulli, ausiliare dell’arcidiocesi di San Salvador, El Salvador. Con queste nuove nomine, il Collegio cardinalizio conterà 121 porporati elettori. Ascoltiamo, al microfono di Patricia Ynestroza, l'emozione di mons. Rosa Chávez, a Roma nei giorni scorsi, in vista del Concistoro di oggi: 

R. - Più che una emozione è stata una sorpresa, ma sono anche spaventato, non lo avrei mai immaginato. Papa Francesco ci sorprende spesso. Gliel'ho detto nella lettera che gli ho inviato per ringraziarlo. Sono ancora sorpreso. Chiedo a Dio che io possa seguire la Chiesa in questa nuova missione a me affidata attraverso il Santo Padre!

D. - Può inviare un messaggio al popolo salvadoregno per questa sua nomina?

R. - Ho preso questa nomina come un omaggio a mons. Romero. Lui la meritava: porto la porpora del suo sangue, lui è un cardinale di verità, perché con il suo sangue fu incoronato. Ricevo questo onore nel suo nome. Spero di poter imparare da Lui come si vive questa missione della Chiesa in una totale devozione alla Chiesa e al Popolo di Dio.

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Santa Sede al Forum mondiale su migrazione e sviluppo

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“Verso un contratto sociale globale su migrazione e sviluppo”. Su questo tema è incentrato il Forum mondiale su migrazione e sviluppo che si concluderà venerdì prossimo a Berlino. Lo scopo dell’incontro è quello di rafforzare il dialogo e la cooperazione internazionale. Al Forum la Santa Sede è rappresentata da padre Michael Czerny, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati  del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

La risposta alle migrazioni parta dall’accoglienza
“Oltre le emergenze - creare soluzioni di sviluppo per il mutuo beneficio degli sfollati e delle comunità di destinazione e di origine”. Intervenendo a questa tavola rotonda, padre Czerny ha ricordato quanto affermato da Papa Francesco lo scorso 21 febbraio, rivolgendosi ai partecipanti al Forum internazionale “Migrazioni e pace”. La risposta alla questione delle migrazioni – aveva detto il Pontefice - si deve articolare intorno a quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Un secondo aspetto prioritario – ha aggiunto il sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale – riguarda la necessità di accompagnare quanti sono costretti a fuggire in quattro cruciali fasi  del loro cammino: nel loro Paese d’origine, negli Stati di transizione, in quelli di destinazione ed eventualmente nella fase di ritorno in patria.

Cresce la disuguaglianza tra i popoli
Padre Czerny ha poi ricordato il discorso del Papa del 3 dicembre del 2016, agli imprenditori partecipanti al “Fotune – Time the global Forum”.  “La disuguaglianza tra i popoli – aveva affermato il Santo Padre in quella occasione - continua a crescere e molte comunità sono direttamente colpite dalla guerra e dalla povertà o dalla partenza forzata di migranti e profughi”. “La gente – aveva aggiunto il Papa - vuole far sentire la propria voce ed esprimere le proprie preoccupazioni e paure. Vuole dare il proprio legittimo contributo alle comunità locali e alla più vasta società, e beneficiare delle risorse e dello sviluppo troppo spesso riservati a pochi”. Se si risponde adeguatamente a queste emergenze – aveva concluso il Papa - ci rendiamo conto “che stiamo vivendo un momento di speranza”.

Migrazioni di ritorno
Padre Czerny si è poi soffermato sul tema di un’altra tavola rotonda intitolata: “Promuovere lo sviluppo dei migranti che fanno ritorno”. Il sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ha ricordato quanto detto da Papa Francesco, il 19 aprile del 2016, nel videomessaggio in occasione del 35.mo anniversario del Centro Astalli per i rifugiati. “Troppe volte – aveva affermato il Pontefice - non vi abbiamo accolto! Perdonate la chiusura e l’indifferenza delle nostre società che temono il cambiamento di vita e di mentalità che la vostra presenza richiede. Trattati come un peso, un problema, un costo, siete invece un dono”. 

Cultura della misericordia
Quando si parla di incontro e di integrazione – ha detto infine padre Czerny - non si deve pensare solo a quanti sono in partenza, Paesi di transito o di arrivo, ma anche a coloro che stanno tornando nei loro Paesi. “Siamo chiamati a far crescere – si legge nella lettera apostolica di Papa Francesco ‘Misericordia et misera’ - una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza, né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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L'arte e Papa Francesco, un documentario presentato in Vaticano

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E’ stato presentato ieri nella Sala Conferenze dei Musei Vaticani il documentario: “Papa Francesco. La mia idea di arte”, una sorta di itinerario attraverso 11 opere celebri, del passato e più recenti, che esprimono il concetto di arte secondo Francesco. A parlarne con i giornalisti il direttore dei Musei, Barbara Jatta, e quanti hanno lavorato per la realizzazione del filmato tra cui l’autrice, Tiziana Lupi. Presente anche Alejandro Marmo, artista argentino, che nutre una profonda amicizia con Francesco e che recentemente ha realizzato per i Giardini vaticani due sculture. Il servizio di Adriana Masotti

(Parole Papa Francesco)

“Non lasciare che questa cultura della scarto vada avanti”.

Il volume" Papa Francesco- La mia idea di Arte", pubblicato da Mondadori e Edizioni Musei Vaticani nel dicembre 2015, è diventato un documentario: traduce in suggestive immagini il pensiero personale di Francesco appunto sull’arte e sulla sua funzione. Ma come era nata l’idea di questo lavoro. Ci risponde Tiziana Lupi:

“Ho conosciuto Alejandro Marmo. Mi ha detto che gli sarebbe piaciuto portare nel mondo il pensiero del Papa sull’arte non solo attraverso le opere, ma scrivendolo. Abbiamo chiesto al Santo Padre la sua disponibilità e lui, con grande generosità, ce l’ha concessa. Quindi ci siamo visti a Santa Marta e abbiamo parlato di arte. Il Papa ci ha espresso il suo concetto, la sua idea di un’arte che deve essere da un lato uno strumento di evangelizzazione – lui cita la Cappella Sistina, come una Bibbia a cielo aperto che tutti possiamo leggere -, e dall’altro deve essere uno strumento per contrastare la cultura dello scarto, un tema che sta molto a cuore al Santo Padre. Alejandro lo fa con le sue opere perché le realizza con materiali di scarto e con le persone, facendo lavorare persone che sono considerate scarti della società perché vivono in situazioni di disagio sociale. Noi abbiamo messo tutto questo prima su un libro, poi è nata l’idea di rendere vivo questo discorso. Quindi non solo fotografie delle opere, perché con Papa Francesco abbiamo realizzato una sorta di galleria d’arte ideale, cioè abbiamo scelto all’interno dei Musei Vaticani delle opere che tutti possono ammirare e che corrispondono alla sua idea di arte. Nel libro erano fotografie, adesso queste immagini vivono nel documentario”.

Grande la sintonia tra l’idea di arte di papa Francesco e dell’artista argentino: ascoltiamo lo stesso Alejandro Marmo:

R. - Credo che per me, nel mondo attuale così in guerra, l’arte deve essere uno strumento di pace. Tutto quello che si avvicina alla pace per me è arte. Credo che l’arte sia importante quando porta un effetto sociale. In questo senso credo che il mio rapporto con Papa Francesco – fin dai tempi di Buenos Aires – è sempre lo stesso. Lui è mio pastore. Mi ha avvicinato alla Chiesa, al Gesù che mi piace, e a me piace il Gesù figlio di lavoratori, il Gesù vicino alla realtà, il Gesù che non sta chiuso in un ufficio. L’arte per me è uno strumento di comunicazione con la realtà sociale.

D. - Tradotto questo in arte significa anche scelta di materiali, scelta di soggetti …

R. - È la possibilità di reincarnazione di tanti materiali e di tanti scarti sociali, perché per tanti non c’è un futuro, non c’è un sogno. Faccio un lavoro che intende essere uno strumento di speranza.

D. - Coinvolgendo in particolare giovani che sono ai margini. Lei ha detto: sono un lavoratore che cerca di vincere la malinconia, il vuoto che c'è in tanti ragazzi...

R. - Sì, credo che la malinconia sia una malattia attuale. E la bellezza è l’unica possibilità per uscire dalla malinconia.

Soddisfazione per l’opera realizzata grazie anche alla disponibilità dei Musei Vaticani è stata espressa in conferenza stampa dal direttore dei Musei Barbara Jatta:

R. - È veramente l’arte della misericordia l’idea di arte di Papa Francesco. È l’arte che è rivolta agli umili, è rivolta verso l’arte del reimpiego, verso lo scarto.  E questo video, così come il libro di Tiziana Lupi fatto proprio con lui, a quattro mani, è la testimonianza di questo.

D. – Però possiamo dire che c’è un po’ di differenza tra la visione di arte di Papa Francesco e altri Papi che lo hanno preceduto?

R. – Ho iniziato il mio discorso dicendo proprio questo. Però, non per questo la visione di Papa Francesco è meno profonda, anzi.

D. – Che cammino hanno intrapreso i Musei Vaticani per corrispondere a questa visione del Papa?

R. – I Musei Vaticani corrispondono veramente a quello che è il messaggio di Papa Francesco sull’arte. Accogliamo visitatori da tutte le parti del mondo, non siamo un luogo polveroso ma siamo un luogo che in qualche modo vuole dialogare con le realtà più diverse, nelle forme espressive più diverse. Pensate alla mostra della Menorah che ora è in Piazza San Pietro con la comunità ebraica; pensate alla mostra che organizzeremo in Australia l’anno prossimo; pensate ai contatti per le mostre che faremo in Cina e che la Cina farà qui nei Musei Vaticani. Sono tutti messaggi di quel dialogo religioso, quel dialogo di culture diverse che il Papa ci chiede.

Ma torniamo sul concetto di arte in Francesco. Ancora Tiziana Lupi:

“Le opere di misericordia sono un po’ la sintesi del suo Pontificato. Per Papa Francesco l’arte è un altro strumento che serve ad uno scopo: includere. Sulla copertina del libro c’è una frase che riassume tutto quello che ho detto fino ad  adesso: “L’arte è come la misericordia. Non deve scartare niente e nessuno””.

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Rinuncia e nomine

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Per le nomine del Santo Padre di oggi e la rinuncia vedere il Bollettino della Sala Stampa vaticana .

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Tweet del 28 giugno

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Nel tweet di oggi Papa Francesco scrive: "Dio posa il suo sguardo d’amore su ognuno di noi".

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Oggi in Primo Piano



UE multa Google: abuso posizione dominante. Barberio: duro colpo a lobby Usa

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Multa storica dell’Unione Europea - la più alta mai inflitta - contro il gigante della Rete, Google, accusata di abuso di posizione dominante nell’offerta di prodotti e servizi, a scapito della concorrenza e per questo condannata a pagare 2,4 miliardi di euro nella casse dell’Ue. Se non lo farà entro tre mesi, l’importo aumenterà ogni giorno di circa 10,5 milioni di euro, pari al 5 per cento del suo fatturato mondiale. Una sanzione arrivata dopo un’indagine aperta dall’Antitrust europeo nel 2010. Roberta Gisotti ha intervistato Raffaele Barberio, esperto del settore, fondatore e direttore del Sito web dedicato alla comunicazione “Key4biz”: 

D. – Barberio, qualche giornale oggi titola che questa sentenza cambierà la storia del web …

R. – Il dato più rilevante è che cambia la percezione dell’Europa, cioè: l’Europa fino ad oggi ha ‘dormito’ e senza rendersi conto che fosse in corso una guerra commerciale straordinaria tra l’America e tutti gli Stati europei. Che questo cambi il web, resta da vedere; diciamo che c’è una tendenza. Questa grande multa ai danni di Google segue altrettante iniziative di comminamento di pene nei confronti di Apple, di Facebook, di Microsoft. Sono tutti elementi che indicano come si stia risvegliando una consapevolezza europea che si sta liberando dal peso delle lobby.

D. – Ma che cosa ha fatto scattare la multa per Google?

R. – L’azione europea è venuta fuori a fronte di un’iniziativa molto grave e scorretta dal punto di vista commerciale, perché su Internet tutti noi ci rivolgiamo spesso ai cosiddetti comparatori di prezzi: il comparatore di prezzi ci dice qual è il miglior biglietto per andare – per esempio – da Roma a Madrid. In questi servizi commerciali, Google ha anche i propri servizi, che fanno carico alla propria struttura commerciale. Nel momento in cui io vado su Google e faccio una ricerca e Google mette nelle prime posizioni i propri servizi, non fa altro che un danno a coloro che operano nello stesso mercato e che vengono penalizzati, perché vengono messi nella terza, quarta o quinta pagina del risultati di ricerca. E comparire nella prima pagina delle ricerche di Google copre già il 95% delle richieste. In più, c’è anche un altro aspetto che aggrava ancor di più la posizione di Google: quando io ho bisogno di un comparatore di ricerca, quindi ancor prima di fare la vera e propria comparazione dei servizi, Google non faceva altro che mettere ai primi posti i propri comparatori di ricerca.

D. – Google dovrà – oltre che pagare la multa – correggere le modalità di risposta alle ricerche degli utenti, quindi dovremo poi seguire che cosa accadrà …

R. – Google avrà 90 giorni di tempo: ha già fatto sapere che non è d’accordo e che farà di tutto per dimostrare come la propria posizione sia in buona fede. Io penso che non ci riuscirà: non ha alcun elemento per riuscire in questo intento. Però, la procedura va rispettata e quindi aspetteremo i 90 giorni; leggeremo le controdeduzioni che Google farà … Ma Google dovrà mettere immediatamente mano alle cose, perché lo stato di fatto precedente era uno stato di fatto che rendeva l’Europa e il mercato dei Paesi europei succubi e in posizione subalterna rispetto a Google. Quindi io credo che dopo i 90 giorni Google probabilmente pagherà una multa forse più contenuta, leggermente più contenuta, ma sarà obbligata a cambiare la musica, perché in effetti è la musica che sta cambiando. E vorrei dire che l’azione della Commissaria europea Vestager è stata un’azione coraggiosa in un contesto in cui altri commissari europei - penso ai commissari come Ansip, Katainen - non hanno fatto pressoché nulla per mettere ordine nelle dinamiche competitive tra le nostre aziende europee e l’accecante competizione, impari competizione fatta – perché fondata su regole scorrette – dai pari competitor americani.

D. – A dir la verità, ci eravamo quasi rassegnati al fatto che i governi non potessero scalfire un potere oramai così consolidato, in pochi anni, da così pochi soggetti. Possiamo però aspettarci ora che altri giganti della rete finiranno nel mirino della Commissione Europea?

R. – La prima considerazione molto importante è che dobbiamo cercare di non arrivare alle sanzioni, perché quando si arriva alle sanzioni vuol dire che il giocattolo si è già rotto. Le istituzioni – specialmente le istituzioni europee – devono agire prima, con sensibilità, mettendo in opera tutte quelle misure di controllo perché le cose non avvengano, perché quando ‘i buoi sono scappati dalla stalla’ è sempre difficile e in qualche modo anche poco utile ricorrere alle multe. Quindi, la prima cosa è la vigilanza. La seconda cosa è che tutto quello di cui noi parliamo ha a che fare con un passato in cui queste grandi società – i cosiddetti giganti del web – sono stati liberi di fare ciò che volevano e dato che quello che è in corso è una vera e propria guerra commerciale – la guerra dell’economia digitale, per essere chiari – la prima regola, quando ci sono dei soggetti economici, è che questi soggetti economici paghino le tasse. Io vorrei ricordare che tutta questa attenzione sta venendo fuori grazie al fatto che vi sono state delle battaglie inizialmente isolate, in qualche modo anche derise nella fase iniziale, per cercare di far pagare le tasse ai giganti del web. Le multe sono poi arrivate anche lì e si sta facendo gradualmente luce su un sistema sul quale le lobby americane che rappresentano i giganti del web sono state capaci di creare una cortina di fumo che non ha aiutato a fare chiarezza. Quindi: a) non bisogna mai rassegnarsi, b) bisogna sostenere le istituzioni perché le istituzioni siano celeri, attente, possibilmente anche premonitrici, cioè si muovano per evitare che i guasti vengano effettuati. E c’è da auspicare che l’atteggiamento dell’Unione Europea diventi, da oggi in poi, più attento in difesa delle prerogative dei cittadini europei e innanzitutto delle imprese europee che hanno bisogno di crescere e di competere sui mercati internazionali.

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Venti milioni a rischio fame in quattro Paesi: appello del Pam

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Venti milioni di persone, in quattro Paesi, sono a rischio carestia, si tratta di: Yemen, Sud Sudan, Somalia e Nigeria. Il drammatico appello all’Unione europea e agli Stati Uniti, affinché intervengano con donazioni, è stato lanciato dal direttore del Programma Alimentare Mondiale, David Beasley, che ha chiesto un miliardo di dollari per salvare la vita di queste popolazioni. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Luna, funzionario del Pam per i rapporti con i Paesi donatori: 

R. - Serve che la comunità internazionale continui a darsi da fare, che non perda di vista l’emergenza, che si intensifichino le donazioni verso il Programma Alimentare Mondiale, l’organizzazione che porta da mangiare a queste persone. Ci sono 20 milioni di persone in questi quattro Paesi, Sud Sudan, Yemen, Somalia e Nord Est della Nigeria, che sono a rischio di carestia. Sono mesi che lottiamo contro la carestia, già dichiarata in alcune aree del Sud Sudan e che potrebbe essere dichiarata in altre aree di questi Paesi, ma abbiamo bisogno del sostegno della comunità internazionale.

D. - I numeri sono sconvolgenti. Di queste 20 milioni di persone a rischio, i bambini sono quasi sei milioni …

R. - Sì, i bambini sono circa cinque milioni e 700mila. Ed è stato fatto un calcolo terribile che però noi dobbiamo fare per avere a disposizione i dati: si è visto che se non si interviene con trattamenti intensivi rapidi immediati su questi quasi sei milioni di bambini, nei prossimi mesi 600mila bambini moriranno. Purtroppo è un messaggio triste, terribile, ma sono numeri con i quali noi dobbiamo fare i conti.

D. - Il direttore del Pam, David Bisley ha incontrato l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, per sollecitare a intervenire da una parte l’Unione europea, dall’altra anche gli Stati Uniti …

R. - Sì, l’invito è a tutta la comunità internazionale. Gli Stati Uniti sono tradizionalmente un grande donatore, anche l’Unione europea lo è. È importante però che tutta la comunità internazionale, in particolare le economie più avanzate, più ricche, si sensibilizzino di più, facciano di più, perché non si può neanche accettare che siano poi sempre i soliti a farsi carico di queste situazioni di emergenza. L’emergenza riguarda tutti, riguarda la stabilità del pianeta, riguarda alla fine indirettamente, se vogliamo, anche gli interessi di tanti Paesi che a questo punto dovrebbero maggiormente prendere  coscienza del problema e quindi farsene carico un po’ di più.

D. - È importante sottolineare che l’allarme resta alto anche per i Paesi che sono confinanti, laddove poi entrano per andare a rifugiarsi coloro che fuggono dai Paesi che sono affetti da carestia e allo stesso tempo da violenze e da guerre. Un esempio: avete dimezzato le razioni per i rifugiati sud sudanesi riparati in Uganda …

R. - Esattamente. In Uganda ci sono tantissimi rifugiati sud sudanesi che scappano dalle violenze che ci sono in quel Paese. L’Uganda ha fatto veramente tanto per accoglierli e per dare loro una sistemazione. Noi stiamo operando d'intesa con il governo ugandese per assistere queste persone, ma purtroppo le risorse scarseggiano. Quindi ogni tanto dobbiamo prendere queste misure, ridurre le razioni. Questo è qualcosa di molto rischioso, anche perché stiamo entrando in questi tre Paesi, soprattutto in Sud Sudan, Somalia e Nord Est della Nigeria, nella stagione più difficile per quanto riguarda la fame, quando stanno finendo le scorte di raccolti e ancora non sono disponibili i raccolti successivi, quindi la gente ha meno risorse. Diminuendo le razioni, purtroppo, noi sappiamo bene che esponiamo molte famiglie al rischio di non mangiare a sufficienza e di andare, di conseguenza, verso la fame.

D. - Questo riguarda anche un altro Paese che rientra nei quattro da voi nominati: lo Yemen, Paese che oltre ad essere sull’orlo della grave carestia è devastato dalle armi …

R. - Abbiamo parlato del Sud Sudan. Lo Yemen è un luogo dove si sta svolgendo una tragedia: c’è una popolazione bloccata dalla guerra che è sotto assedio, affamata e che è molto difficile raggiungere. Quindi i nostri sforzi sono quotidiani, sono fortissimi, ma è importante che la comunità internazionale a tutti i livelli faccia qualsiasi sforzo per far cessare le ostilità, soprattutto in Yemen, perché è lì che la situazione è veramente tragica, ma anche negli altri Paesi dove i conflitti, la mano dell’uomo, causano la fame.

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ACS in Siria: una goccia di latte per i bambini di Aleppo

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“Una goccia di latte per far crescere sani e forti i bambini di Aleppo”: è questo il progetto sostenuto da Aiuto alla Chiesa che Soffre, dal 2015, per donare l’essenziale ai tanti bambini vittime delle tragiche devastazioni della guerra. Sono 1500 le famiglie che vengono assistite ogni mese e che desiderano donare un futuro migliore ai propri figli, nonostante il pesante flagello della povertà. Giulia Bedini ne ha parlato con Marta Petrosillo, portavoce di ACS-Italia: 

R. – Fortunatamente, il numero di bambini che beneficiano del programma è in crescita e questo vuol dire che le famiglie stanno tornando ad Aleppo. E’ molto importante per loro avere questo contributo, sia perché il latte in polvere è molto difficile da reperire al mercato, sia soprattutto perché, anche quando queste famiglie riescono a trovarlo, il prezzo è talmente alto che sono veramente pochissimi a potersi permettere di poterlo acquistare con la regolarità di cui i bambini hanno bisogno. E’ un progetto che a noi sta veramente molto a cuore, proprio perché parliamo di bambini che hanno sofferto molto a causa della guerra che li ha privati della loro infanzia, ed è importantissimo e fondamentale, oggi, continuare a sostenerli e almeno a farli crescere sani e forti.

D. – Anche se i combattimenti sono terminati, comunque gli effetti della guerra sono evidenti. Qual è la situazione della città, in questo momento?

R. – C’è insicurezza e anche una gravissima condizione economica: tantissime delle famiglie cristiane vivono in condizioni di sfollati perché hanno perso la loro casa, che è stata bombardata, e ora si trovano a dover ricostruire letteralmente le loro vite. Ma quello che deve darci speranza, anche in una situazione tanto drammatica quanto quella attuale ad Aleppo, è che le famiglie hanno ricominciato a tornare: proprio quelle famiglie che si erano allontanate dalla città in questi anni. Sappiamo che il quadro dei cristiani rimasti è altrettanto drammatico: prima della guerra vi erano 150 mila cristiani ad Aleppo, oggi ne sono rimasti non più di 30-35 mila, quindi veramente tantissimi di loro hanno abbandonato questa città che un tempo era la roccaforte della cristianità in Siria. Ma sapere per le famiglie di essere sostenute, di avere qualcuno che si prende cura di loro, sia da un punto di vista pastorale e spirituale sia, ovviamente, da un punto di vista pratico, le porterà a tornare sempre di più. Ed è questo l’intento di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, che in Siria e anche in altri Paesi oggi in grave crisi, cerca sempre di sostenere le comunità locali affinché possano vivere nel loro Paese come esse desiderano.

D. – Perché si è deciso di ripartire dai bambini per ridare vita a una città che sembra condannata alla distruzione – o almeno, fino ad adesso sembrava così?

R. – Noi, in questi anni, non ci siamo mai arresi: non è questo l’unico progetto che abbiamo sostenuto per le famiglie cristiane di Aleppo. Ovviamente i bambini, in comunità decimate come quella cristiana di Aleppo, sono fondamentali, perché i bambini rappresentano il futuro della cristianità e, ovviamente, per i genitori la cosa più importante è il benessere dei figli. Quindi, questo nostro progetto aiuta le famiglie e, al tempo stesso, incentiva nuove famiglie a tornare nella città. Non dobbiamo abbandonarli: dobbiamo continuare a sostenerli per cercare sempre più di salvare quella presenza cristiana in Medio Oriente, che rappresenta la culla del cristianesimo e che è fondamentale sia per noi cristiani ma anche per la convivenza con le altre confessioni religiose, perché la presenza cristiana in Medio Oriente è davvero vitale, non soltanto per il cristianesimo.

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Charlie: la Corte europea approva la sospensione delle cure

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I medici britannici potranno staccare il respiratore del piccolo Charlie Gard, il bambino di 10 mesi nato con una rara malattia genetica, che sta progressivamente indebolendo i suoi muscoli. È quanto ha deciso ieri sera  la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, respingendo l’ultimo ricorso dei genitori che vogliono portare Charlie negli Stati Uniti per sottoporlo ad una cura sperimentale. La vicenda sta spaccando l’opinione pubblica e oltre centomila persone hanno firmato una petizione per chiedere alla premier Theresa May di intervenire. Il servizio di Marco Guerra

Con un decisione “definitiva”  la Corte europea ha dato ragione ai medici del Great Ormond Street Hospital che vogliono interrompere le cure che tengono in vita Charlie. Secondo i giudici proseguire il trattamento “continuerebbe a causare a Charlie un danno significativo” e la terapia sperimentale a cui i genitori vorrebbero affidarsi negli Usa “non ha prospettive di successo”. Intanto, all’ospedale di Londra hanno fatto sapere che “non ci sarà alcuna fretta nel cambiare le cure del bambino”. Sul pronunciamento sentiamo il direttore dell'Istituto di Bioetica della Facoltà di Medicina e chirurgia Agostino Gemelli dell'Università Cattolica del S. Cuore, Antonio Spagnolo:

R. - Il pronunciamento del tribunale della Corte Europea dei diritti dell’uomo mette in evidenza purtroppo un orientamento che è quello di affidare ai giudici decisioni che dovrebbero rimanere all’interno di una relazione tra medico-paziente, tra medico- genitori. Quindi la prima cosa da dire è che in queste decisioni è importante fermarsi a riflettere bene e mettere al centro di tutto il vero bene del bambino.

D. - Lei si è fatto un‘idea di come stanno veramente le cose riguardo al fatto di poter tentare negli Stati Uniti una cura sperimentale?

R. - Intanto bisogna dire che ogni intervento sperimentale sicuramente può essere utile per acquisire nuove conoscenze o per dare anche una chance. In generale, il concetto di sperimentazione prevede di lavorare su grandi numeri per arrivare a risultati che possano essere significativi. In questo caso è una sperimentazione fatta sul singolo paziente. Tra l’altro non sappiamo se un Comitato etico abbia mai valutato questa sperimentazione. È facile che qualcuno dica: “Io posso fare questo tipo di intervento”, ma senza sapere se questo tipo di intervento possa avere una qualche probabilità di successo. Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento riguardo l’eutanasia dice che il paziente può dare la disponibilità ad essere sottoposto ad un intervento anche se non c’è possibilità per lui, anche per il bene per la scienza, ma questo lo deve fare un soggetto capace di intendere e di volere. Non possono essere i genitori a dare la disponibilità per un intervento che potrebbe essere per il paziente, ma potrebbe avere soltanto un’indicazione per il beneficio di altri pazienti in futuro. Quindi bisogna capire bene il senso della sperimentazione e la ragionevolezza; non sempre fare una cosa sperimentale significa fare il bene del paziente.

D. - Sull’utilità o meno di queste cure quindi chi dovrebbe intervenire?

R. - Ci sarebbero tante cose da fare, però la domanda che dobbiamo farci è se, invece, non sia necessario che qualche avvocato di questo bambino possa valutare effettivamente le ragioni dei genitori e le ragioni dei medici. Anche noi del Policlinico Gemelli abbiamo fatto un protocollo per evitare l’accanimento terapeutico nei bambini che erano gravemente malati. Quindi riporterei tutto all’interno di una consultazione etica all’interno dell’ospedale, di un Comitato etico che possa valutare questa situazione in modo umano, evitando la burocrazia o quello che un tribunale può fare. Questo, per inciso, è il rischio che corriamo per esempio anche con la nostra legge italiana, se verrà approvata, sulle dichiarazioni anticipate in cui si rimanda tutto ai giudici.

Charlie nasce apparentemente in buona salute. Ma dopo otto settimane comincia a perdere  peso e gli viene diagnostica una sindrome di deperimento mitocondriale. I medici dicono che non ha speranze, ma i genitori ricorrono alla giustizia per non far sospendere le cure e raccolgono i fondi per portare il bambino negli Stati Uniti e sottoporlo a trattamenti sperimentali. Una battaglia che ha avuto il merito di gettare i riflettori sulle malattie rare. Su questo aspetto delle vicenda sentiamo Piero Santantonio presidente di Mitocon Onlus, associazione per lo studio e la cura delle malattie mitocondriali:

R. - Il caso di Charlie è il caso di tanti bambini che noi conosciamo. Le malattie mitocondriali sono malattie strane, non si conoscono da molto. La ricerca le studia soltanto da 30 anni, non ci sono ancora a disposizione terapie particolarmente efficaci, ma negli ultimi anni barlumi sul discorso delle terapie finalmente si intravedono. Il caso di Charlie è anche il caso delle nostre famiglie. Se volessimo applicare gli stessi criteri ci sarebbero delle famiglie distrutte perché questi bambini, è vero che sono particolarmente compromessi, hanno una qualità della vita molto bassa se comparata con gli standard di quella che chiamiamo vita normale, ma bisogna conoscere i casi famigliari per capire che la qualità della vita è un concetto relativo e che le malattie permettono alle persone di vivere delle esperienze molto intense che fanno riguadagnare una visione positiva verso la vita che non può essere spenta.

D. - Voi che idea vi siete fatti? Negli Usa c’è veramente la possibilità di andare incontro a nuove cure?

R. - Nel mondo ci sono delle opzioni terapeutiche per la famiglia delle sindromi, in particolare quella che colpisce Charlie. L’ipotesi terapeutica è una supplementazione con nucleodidi che dà risultati interessanti ed è inconcepibile che Charlie non abbia la possibilità di provare. Questo è ancora più importante se pensiamo al fatto che la terapia di cui stiamo parlando è assolutamente sperimentale e che richiede proprio che ci siano dei volontari che vogliano sottoporsi a questa. Se mettiamo in dubbio che questo sia lecito, dobbiamo farlo allora in tutti i casi in cui si fanno terapie sperimentali su soggetti gravemente compromessi.

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Francia: dibattito in corso su procreazione assistita per coppie gay

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"Le dighe saltano una dopo l’altra. Era prevedibile. Quale società vogliamo proporre alle future generazioni"? Così padre Oliveir Ribadeau Dumas, segretario generale e portavoce della Conferenza episcopale di Francia (Cef), commenta in un tweet il parere favorevole espresso dal Comitato consultivo nazionale d’etica (Ccne) all’apertura della procreazione medicalmente assistita (Pma) alle coppie di donne e alle donne sole che desiderano mettere al mondo un figlio senza partner maschile.

Il diritto al bambino non può soppiantare il diritto dei bambini
Il giudizio negativo di padre Ribadeau Dumas - ripreso dall’agenzia Sir - segue quelli altrettanto negativi delle Associazioni familiari cattoliche di Francia, secondo cui la decisione della Ccne “soddisfa l’egoismo degli adulti a scapito dei diritti del bambino”. Pur comprendendo e rispettando “il desiderio di un figlio nelle coppie di donne”, le Associazioni “non possono ammettere le conseguenze” che una pratica come quella della procreazione medicalmente assistista - cioè l’inseminazione artificiale da donatore, per procreare senza un partner maschile - può avere “sul bambino”. E al presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, le Associazioni familiari domandano: “Il diritto al bambino viene prima dei diritti dei bambini?”.

Tutelare il diritto a conoscere i propri genitori
Sulla questione intervengono anche i giuristi che ricordano come la Convenzione internazionale dei diritti del bambino ratificata nel 1990, “superiore al diritto francese”, proclami anche “il diritto di conoscere i propri genitori e di crescere con loro, per quanto possibile”. Aprire pertanto la Pma alle coppie gay - si prosegue - significa innescare delle bombe a scoppio ritardato “perché i bambini un giorno ne chideranno conto”.

Parere del Comitato è consultivo, ma apre a evoluzioni legislative
Il parere del Comitato d’etica era da tempo atteso. Si tratta di un parere “puramente consultivo”, ma la sua pubblicazione apre la via a un’evoluzione della legislazione in merito a una determinata questione. Lo stesso presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, in una lettera alle comunità Lgbt inviata durante la campagna elettorale, si era detto favorevole a una legge che potesse aprire la Pma alle coppie lesbiche e alle single ma che avrebbe, comunque sia, atteso il parere del Comitato nazionale d’etica per avere “un consenso” il più ampio possibile sulla futura normativa.

Lo stesso Comitato non è unanime
Secondo il Comitato, “questa richiesta di assistenza medica alla procreazione, cioè l’inseminazione artificiale da donatore per procreare senza un partner maschile, al di fuori di ogni tipo d’infertilità patologica, s’iscrive in una rivendicazione di libertà e di uguaglianza nell’accesso alle tecniche (mediche) per soddisfare il desiderio di un figlio”. Il parere emesso ha trovato però il Comitato non unanimemente d’accordo. I due terzi si sono pronunciati a favore, un terzo invece si è detto contrario. D’altra parte lo stesso Comitato evidenzia, nel suo parere, una serie di “punti critici” tra cui le conseguenze per il bambino, il rischio di una mercificazione e le condizioni stesse di fattibilità.

In agenda anche l’autoconservazione degli ovociti
Nello stesso parere, il Comitato si è espresso – ma in maniera più prudente – anche sull’autoconservazione degli ovociti. E mentre l’Accademia di medicina si era detta favorevole in un parere pubblicato il 19 giugno, il Comitato d’etica ha messo in guardia sul “carattere molto vincolante della procedura”. 

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Card. Bo: grave preoccupazione per la tragedia dei Rohingya

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“Sono un Pastore. Non sono un professionista della politica o del diritto internazionale. Sono commosso dalla sofferenza umana. Grazie a uno sguardo di fede, di giustizia con compassione, parlo contro ogni tipo di oppressione in questo Paese. L' immane sofferenza della popolazione Rohingya nello Stato Rakhine è una delle mie grandi preoccupazioni. Questa preoccupazione è condivisa da Papa Francesco che ha sollevato la sua voce per i musulmani Rohingya”: lo afferma il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, in un messaggio diffuso a conclusione del mese del Ramadan e ripreso dall’Agenzia Fides.

Questione dei Rohingya, cicatrice sulla coscienza del Myanmar
Il cardinale ricorda “il grande potenziale” e il “grande futuro” del Myanmar, che deve affrontare questioni cruciali come povertà, migrazioni forzate, forme moderne di schiavitù, conflitti e spostamenti di popolazione, ma anche estremismo religioso e condizione delle minoranze. “Continuiamo ad alzare la nostra voce per la minoranza dei Rohingya – sottolinea il porporato - Già anni fa abbiamo indicato le cause di questa tragedia, abbiamo sollevato la questione all'Onu raccontando la terribile persecuzione da loro subita, come una cicatrice terribile sulla coscienza del nostro Paese”.

Puntare alla giustizia e all’accertamento delle responsabilità
E mente gli esperti in materia di diritti umani determineranno gli abusi e le violazioni dei diritti umani nello stato Rakhine, in quello di Kachin, nello Shan, e in tutto il Myanmar – e decideranno se si può parlare di "pulizia etnica", “crimini di guerra”, “crimini contro l'umanità”, “genocidio” – il Card. Bo invita il governo del Myanmar a “lavorare con la comunità internazionale per indagare sui crimini segnalati dall’Onu in modo veramente indipendente, che porti alla giustizia e ad accertare le responsabilità”.

La pace è possibile
“Il Myanmar come nazione affronta molte sfide. Desideriamo che tutti i partiti perseguano il cammino della pace – spiega ancora l’arcivescovo - Il mondo intero giudica il governo su come sono trattate le minoranze nello stato di Rakhine. Il governo del Myanmar deve allontanarsi da posizioni che non favoriscono la pace e offuscano la sua immagine nella comunità internazionale”. Infine, il porporato richiama al “bisogno di andare avanti per costruire una pace basata sulla giustizia”, perché “la pace è possibile. La pace è l'unica via”.

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Australia, censimento: cristianesimo religione più diffusa

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Quasi un terzo della popolazione australiana dichiara di non professare alcuna religione, vale a dire circa 7 milioni di persone, una percentuale che è passata dallo 0,8% nel 1966 al 30,1% del 2016. Questo gruppo è in vetta alla classifica delle “appartenenze religiose”, avendo superato anche i cattolici, che sono oggi il 22,6% della popolazione (erano il 25,3% nel 2011). Lo rivelano i dati pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica australiano, sulla base del Censimento compiuto nel 2016.

I dati variano a seconda dell’età
Il cristianesimo, emerge dalla ricerca citata dall’agenzia Sir, resta la religione più diffusa (52% sommando le diverse confessioni cristiane), ma il dato cambia a seconda dell’età: nella fascia 18-34 i cristiani sono il 39,4% e il 38,7% i “senza religione”; tra gli over 65, i cristiani sono oltre il 70%, il 16% senza religione.

L’influenza dell’immigrazione
Un altro dato interessante che emerge riguardo alla religione è che nel decennio 2006-2016 è ulteriormente cresciuta la percentuale di persone che appartengono a una religione diversa dal cristianesimo: dal 5,6% del 2006 all’8,2% del 2016. A crescere in modo particolare, soprattutto come esito dell’immigrazione, sono stati l’induismo (0,7% nel 2006 e 1,9% nel 2016) e l’islam (da 1,7% al 2,6%).

23,4 milioni gli australiani
Infine, qualche dato sulla popolazione: secondo il censimento, gli australiani sono 23,4 milioni, il 66,7% dei quali nati in Australia; il 18,7% ha meno di 14 anni, il 65,6% sono coloro tra i 15 e i 64 e il 15,7% sono gli over65. Il reddito medio è in crescita.

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Lotta all'usura. Mons. D'Urso: combattere piaga con solidarietà

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Si è tenuta oggi, a Roma, l’Assemblea annuale della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”, sul tema: “22 anni di servizio alle persone vittime dell’usura”. L’usura, diffusa su tutto il territorio nazionale, risulta essere un fenomeno maggiormente presente nel Mezzogiorno. Giorgio Saracino ha chiesto a mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta, come si è analizzato il fenomeno durante il convegno. 

R. - La stiamo trattando innanzi tutto da un punto di vista del rapporto con la legalità, quindi per quanto riguarda i rapporti con la malavita organizzata - che diventano sempre più estesi - perché la malavita organizzata, in tempo di crisi economica, allarga sempre più la sua capacità di intervento, essendo disponibile a prestiti proibiti. Noi non vogliamo perdere la fiducia nelle istituzioni, però dobbiamo poter vedere che c’è non solo un’educazione alla legalità, ma c’è anche una legalità che viene rispettata attraverso i processi e le indagini, attraverso la guardia di finanza e i carabinieri, perché la malavita fa sempre più paura; tante volte le vittime dell’usura diventano la manovalanza dell’usura.

D. - Come si può combattere il fenomeno dell’usura?

R. - Bisogna insegnare alle persone il giusto rapporto con il denaro. Anche la gente semplice deve imparare a fare il passo secondo la gamba. Si può combattere cercando di non indicare l’azzardo come possibile sostituto del lavoro che manca, perché l’azzardo assicura solo disperazione e delusione. Dobbiamo chiedere al mondo della politica che il lavoro cominci davvero ad esserci. Manca il pane quotidiano quasi a una famiglia su due: al pane quotidiano non si può rinunciare. Si può combattere l’usura con la prevenzione e con la solidarietà, ma accanto a queste bisogna che ci sia quella citata educazione alla legalità e - mi permetto di aggiungere - un accompagnamento di queste vittime perché, se hanno sbagliato nel passato, non ricadano negli stessi errori.

D. - Come nasce la Consulta nazionale antiusura? Quali sono i suoi obiettivi?

R. - La Consulta nazionale antiusura è nata per far sì che in ogni regione d’Italia possa esserci una consultazione anti usura. Siamo stati interlocutori della Conferenza episcopale italiana. Da un punto di vista civile c’è una lotta all’usura; da un punto di vista ecclesiale c’è soprattutto un’educazione alla promozione della solidarietà. Per cui, da una fondazione che esisteva nel 1994 siamo arrivati a 29 fondazioni: stamattina abbiamo battezzato l’ultima. Quindi possiamo dire che il territorio italiano è presidiato da tante fondazioni antiusura che permettono di avere a disposizione tanti volontari – siamo più di tremila – che possono essere avvicinati per consigli, per trasformare i debiti da usurai in debiti bancari, per essere accompagnati in un itinerario di liberazione da un’esperienza di vita sotto schiaffo. Perché chi si imbatte nell’usura è sotto schiaffo.

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Dal 4 luglio cambia la nostra Newsletter

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A partire dal 4 luglio, la Newsletter cambia forma, resta il contenuto. Confidando nel vostro apprezzamento, vi invitiamo a consultare il sito della Radio Vaticana – www.radiovaticana.va – per aggiornamenti e approfondimenti.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 179

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.