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Sommario del 29/06/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco per i Santi Pietro e Paolo: oggi cristiani perseguitati nel silenzio

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“Confessione, persecuzione, preghiera” sono i tratti distintivi nella vita degli apostoli Pietro e Paolo: lo ha sottolineato stamane il Papa durante l’omelia della Messa celebrata in Piazza San Pietro, nella Solennità dei due patroni di Roma. “Entrambi - ha sottolineato Francesco all’Angelus - hanno suggellato con il proprio sangue la testimonianza resa a Cristo con la predicazione e il servizio alla nascente comunità cristiana”. Il Papa ha concelebrato con i cinque neo cardinali, creati nel Concistoro di ieri, e ha benedetto i Palli degli arcivescovi metropoliti nominati nell’ultimo anno. Il servizio di Roberta Gisotti

Domanda Gesù agli apostoli: ‘Ma voi, chi dite che io sia?’ e la risposta di Pietro è: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. “Ecco la confessione”. Questa stessa “domanda vitale, ha detto Francesco, Gesù rivolge oggi “a tutti noi, in particolare a noi Pastori”:

“È la domanda decisiva, davanti alla quale non valgono risposte di circostanza, perché è in gioco la vita: e la domanda della vita chiede una risposta di vita”.

Perché "a poco serve conoscere gli articoli di fede se non si confessa Gesù Signore della propria vita”:

“Egli ci guarda negli occhi e chiede: 'Chi sono io per te?'. Come a dire: 'Sono ancora io il Signore della tua vita, la direzione del tuo cuore, la ragione della tua speranza, la tua fiducia incrollabile?'”.

Da qui l’invito a rinnovare la propria “scelta di vita” come discepoli e apostoli” di Gesù:

“Per essere 'suoi' non solo a parole, ma coi fatti e nella vita”.

“Chiediamoci - ha proseguito Francesco - se siamo cristiani da salotto, che chiacchierano su come vanno le cose nella Chiesa e nel mondo”. “Chi confessa Gesù” non è tenuto soltanto "a dare pareri, ma a dare la vita; sa che non può credere in modo tiepido”, “che nella vita non può ‘galleggiare’ o adagiarsi nel benessere”, la sua via “passa anche attraverso la croce e le persecuzioni”:

"Anche oggi in varie parti del mondo, a volte in un clima di silenzio – non di rado silenzio complice –, tanti cristiani sono emarginati, calunniati, discriminati, fatti oggetto di violenze anche mortali, spesso senza il doveroso impegno di chi potrebbe far rispettare i loro sacrosanti diritti".

“Senza la croce non c’è Cristo, ma senza la croce non c’è nemmeno il cristiano”, ha ricordato ancora il Papa. Ma “sopportare il male non è solo avere pazienza”:

“Sopportare è saper vincere con Gesù alla maniera di Gesù, non alla maniera del mondo”.

Insieme a ‘confessione’ e ‘persecuzioni’, la terza parola essenziale nella vita dell’apostolo è ‘preghiera’, “acqua indispensabile che nutre la speranza e fa crescere la fiducia”:

“La preghiera ci fa sentire amati e ci permette di amare. Ci fa andare avanti nei momenti bui, perché accende la luce di Dio. Nella Chiesa è la preghiera che ci sostiene tutti e ci fa superare le prove”.

Infine, l’esortazione:

“Quanto è urgente nella Chiesa avere maestri di preghiera, ma prima di tutto essere uomini e donne di preghiera, che vivono la preghiera!”.

Dopo la Messa, all’Angelus, il Papa ha voluto rassicurare, alla luce delle vicende personale ed ecclesiali di Pietro e Paolo, che il Signore “non ci abbandona mai”:

“Specialmente nel momento della prova, Dio ci tende la mano, viene in nostro aiuto e ci libera dalle minacce dei nemici”.

“Ma ricordiamoci - ha ammonito Francesco - che il nostro vero nemico è il peccato, e il Maligno che ci spinge ad esso. Quindi l’esortazione a riconciliarsi con Dio, specie con il sacramento della penitenza:

“Ricevendo la grazia del perdono, siamo liberati dai vincoli del male e alleggeriti dal peso dei nostri errori”.

Per continuare ad essere “gioiosi annunciatori e testimoni del Vangelo”:

“Dimostrando così che noi per primi abbiamo ricevuto misericordia”.

Nei saluti finali, un indirizzo particolare è andato alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, giunta a Roma in occasione del tradizionale scambio di visite per le rispettive feste patronali.

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Papa a neo cardinali: Gesù chiama a guardare la realtà delle sofferenze

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Papa Francesco: “…hos Venerabiles Fratres creamus…
Creiamo cardinali di Santa Romana Chiesa questi nostri fratelli…”.

Dopo sette mesi il Papa pronuncia ancora una volta questa formula in latino presiedendo il Concistoro ordinario pubblico, in San Pietro, per la creazione di cinque nuovi cardinali. Tanta l’emozione dei neo porporati: Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako in Mali, Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona in Spagna, Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma in Svezia; Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, vescovo titolare di Acque nuove di Proconsolare, vicario apostolico di Paksé in Laos; Gregorio Rosa Chávez, vescovo titolare di Mulli, ausiliare dell’arcidiocesi di San Salvador in El Salvador.

Gesù cammina davanti ai discepoli
Il Papa porta l’immagine di Gesù che "cammina davanti” ai discepoli, “verso Gerusalemme”. I discepoli però non “guardano la realtà”. “Credono di vedere e non vedono -  dice - di sapere e non sanno, di capire meglio degli altri e non capiscono…". Francesco spiega che la “realtà invece è tutt’altra, è quella che Gesù ha presente e che guida i suoi passi”. Ovvero la “realtà” della “croce, è il peccato del mondo che Lui è venuto a prendere su di sé e sradicare dalla terra degli uomini e delle donne”.

La realtà della sofferenza e delle ingiustizie
“La realtà - ribadisce indicando vie - sono gli innocenti che soffrono e muoiono per le guerre e il terrorismo; sono le schiavitù che non cessano di negare la dignità anche nell’epoca dei diritti umani; la realtà è quella di campi profughi che a volte assomigliano più a un inferno che a un purgatorio; la realtà è lo scarto sistematico di tutto ciò che non serve più, comprese le persone”.

Gesù strappa la radice del male
Francesco sottolinea che Gesù ha “manifestato la tenerezza del Padre, risanando tutti quelli che erano sotto il potere del maligno”, strappando “la radice del male”. Il Papa parla alla Chiesa intera, ai cinque nuovi cardinali; afferma che “siamo in cammino con Gesù” che “chiede di seguirlo decisamente” e “chiama a guardare la realtà, a non lasciarvi distrarre da altri interessi, da altre prospettive”. "Gesù chiama a servire come Lui, e con Lui a servire il Padre e i fratelli"  e seguendolo - conclude - "anche voi camminate davanti al popolo santo di Dio, tenendo fisso lo sguardo alla Croce e alla Risurrezione del Signore”.

Dopo la celebrazione, Francesco e i cinque neo cardinali sono saliti al Monastero Mater Ecclesiae per l'abbraccio al Papa emerito Benedetto XVI; quindi il ritorno in Aula Paolo VI per la Visita di Cortesia ai nuovi porporati.

(Ascolta il servizio di Massimiliano Menichetti)        

 

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Card. Pell accusato di abusi: torno in Australia per ribadire la mia innocenza

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Il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia, è stato rinviato a giudizio in Australia per abusi sessuali. I fatti contestati risalgono a decine di anni fa, quando era ancora un semplice sacerdote. Il porporato, chiamato a comparire in tribunale il prossimo 18 luglio, ha ribadito la propria innocenza annunciando che si difenderà "strenuamente" da queste “false” accuse. Questa mattina  ha rilasciato una dichiarazione nella Sala Stampa vaticana. Il servizio di Sergio Centofanti

"Si tratta di un accanimento senza tregua” – ha affermato il cardinale Pell – ma “adesso sono contento che finalmente potrò difendermi nei tribunali. Ribadisco la mia innocenza in merito a queste accuse. Sono false. La stessa idea di abusi sessuali è per me ripugnante”.

Il porporato sottolinea di aver costantemente informato Papa Francesco che gli ha concesso “un congedo temporaneo” per poter salvaguardare la sua reputazione. Dunque, tornerà in Australia per difendersi: “Il processo giudiziario - rileva - mi darà l'opportunità di respingere ogni accusa e tornare al mio lavoro a Roma".

Dopo questa dichiarazione, il direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke, ha affermato che “la Santa Sede ha appreso con rincrescimento” la notizia del rinvio a giudizio del cardinale Pell. Il Papa ha potuto apprezzare la sua onestà durante i tre anni di lavoro nella Curia Romana e “gli è grato per la collaborazione”, in particolare “per l’energico impegno a favore delle riforme nel settore economico e amministrativo e l’attiva partecipazione nel Consiglio dei Cardinali (C9)”. Quindi Greg Burke ha aggiunto:

“La Santa Sede esprime il proprio rispetto nei confronti della giustizia australiana che dovrà decidere il merito delle questioni sollevate. Allo stesso tempo va ricordato che il Cardinale Pell da decenni ha condannato apertamente e ripetutamente gli abusi commessi contro minori come atti immorali e intollerabili, ha cooperato in passato con le Autorità australiane (ad esempio nelle deposizioni rese alla Royal Commission), ha appoggiato la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori e, infine, come Vescovo diocesano in Australia ha introdotto sistemi e procedure per la protezione di minori e per fornire assistenza alle vittime di abusi".

Durante l’assenza del prefetto, la Segreteria per l’Economia continuerà a svolgere i propri compiti istituzionali. I segretari rimarranno in carica per il disbrigo degli affari ordinari, donec aliter provideatur, cioè “fino a che non sia disposto altrimenti”.

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Caso Charlie. Mons. Paglia: rispettare volontà dei genitori per la sua vita

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Rispettare la volontà dei genitori, non porre fine intenzionalmente a una vita umana. E’ quanto afferma l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, sul caso drammatico del bambino inglese Charlie Gard ai cui genitori, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, impedisce di portarlo negli Stati Uniti per curarlo, ritenendo le terapie “accanimento terapeutico” considerata la malattia del piccolo. Il servizio di Alessandro Gisotti

La vicenda del piccolo bambino inglese Charlie Gard e dei suoi genitori colpisce tutti noi per il carico di dolore e di speranza che ci consegna”. Così mons. Vincenzo Paglia che assicura la sua vicinanza ai genitori e a quanti “lo hanno curato e hanno lottato con lui”. Per loro, e per quanti sono chiamati a decidere del loro futuro, si legge nella dichiarazione del presidente dell’Accademia per la Vita, “innalziamo al Signore della vita una preghiera perché nulla vada perduto”. 

La Conferenza Episcopale Cattolica di Inghilterra e Galles, si legge nel documento, ha “emesso un comunicato che anzitutto riconosce la complessità della situazione, il dolore straziante dei genitori, la ricerca del bene per Charlie messo in campo da tutti i soggetti coinvolti”. Il testo, prosegue mons. Paglia, “ribadisce inoltre che non si può mai porre in essere alcun gesto che metta fine intenzionalmente a un’esistenza umana compresa la sospensione della nutrizione e dell’idratazione”. Al tempo stesso, prosegue il presule, vanno purtroppo “riconosciuti anche i limiti di ciò che si può fare, certo dentro un servizio all’ammalato che deve continuare fino alla morte naturale”. 

Riprendendo la Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II, mons. Paglia, sottolinea che “dobbiamo compiere ogni gesto che concorra alla sua salute e insieme riconoscere i limiti della medicina”, va perciò “evitato ogni accanimento terapeutico sproporzionato o troppo gravoso”. Inoltre, riprende il presidente della Pontificia Accademia, “va rispettata e ascoltata anzitutto la volontà dei genitori e, al contempo, è necessario aiutare anche loro a riconoscere la peculiarità gravosa della loro condizione, tale per cui non possono essere lasciati soli nel prendere decisioni così dolorose”.

“Quando l’alleanza terapeutica tra paziente (in questo caso i suoi genitori) e medici si interrompe – conclude mons. Paglia – tutto diventa più difficile e ci si trova obbligati a percorrere l’estrema ratio della via giuridica, con i rischi di strumentalizzazioni ideologiche e politiche sempre da evitare e di clamori mediatici talvolta tristemente superficiali”.

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Mons. Auza: no a proliferazione armi, sfida ancora disattesa

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Senza il disarmo, la non proliferazione e il controllo delle armi la pace continuerà ad essere gravemente minacciata con il conseguente aumento del rischio di un utilizzo di armi biologiche, chimiche e nucleari da parte di Stati o gruppi terroristici. E’ forte il richiamo dell’arcivescovo Bernardito Auza all’Onu di New York durante un dibattito, ieri, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il presule definisce "un imperativo" per tutti gli attori statali il superamento delle divergenze e il conseguimento di soluzioni politiche per una sfida chiave per la governance mondiale.  

Contraddizione parlare di pace e permettere le armi
A sei mesi dall’adozione della risoluzione 2325 sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, rileva mons. Auza, la situazione è sostanzialmente immutata e, aggiunge citando Papa Francesco: “Noi diciamo: mai più, ma nello stesso tempo produciamo armi e li vendiamo a coloro che sono in guerra con l'altro. È una contraddizione assurda parlare di pace e, contemporaneamente, promuovere o permettere il commercio di armi".

Una sfida globale
La Santa Sede definisce essenziali la cooperazione tra gli Stati e il coordinamento degli sforzi nazionali, regionali e internazionali per rafforzare la risposta a questa seria sfida globale. L’esortazione a tutti gli Stati da parte dell’Osservatore permanente è all’adozione di misure adeguate in conformità con il diritto nazionale e internazionale.

Sì all’istituzione di aree libere da armi di distruzione di massa
Secondo mons. Auza “l'istituzione di aree libere da armi di distruzione di massa costituirebbe un grande passo” a dimostrazione della possibilità di raggiungere “un accordo globale per la non proliferazione” e a tutela della sicurezza globale e dello sviluppo sostenibile. Sono infatti enormi, rileva l’arcivescovo, i costi umani e materiali derivanti dalla produzione di armi sia convenzionali che di distruzione di massa. (A cura di Paolo Ondarza)   

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S. Sede: scuola promuova dialogo, tutelare diritto famiglie a educare

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Le istituzioni educative promuovano la "grammatica del dialogo" base dell'incontro e strumento per armonizzare la diversità culturale nella ricerca della verità e trovare nuove risposte alle sfide del nostro tempo. E’ il cuore dell’intervento, pronunciato ieri all’Onu di New York, dall’Osservatore permanente della Santa Sede, mons. Bernardito Auza. Ribadita la necessità, più volte evidenziata dal Papa, di rafforzare il diritto primario delle famiglie ad educare i propri figli. Il servizio di Paolo Ondarza

Rispettare diritto famiglia a educare figli per rafforzare diritto a istruzione
“Il diritto all’istruzione è assicurato innanzitutto rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare i propri figli”. L’arcivescovo Auza cita le parole di Francesco all’Onu nel 2015 spiegando che la tutela e l’assistenza delle famiglie nell’educazione dei figli è alla base dell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Il secolare impegno della Chiesa per un’istruzione aperta a tutti
L’arcivescovo ricorda l’esperienza secolare della Chiesa Cattolica nel campo dell’istruzione: tante le scuole fondate in tutto il mondo “aperte a tutti, ragazze e ragazzi” e “ai poveri che altrimenti non avrebbero ricevuto istruzione”. In questo modo – spiega mons. Auza – la Chiesa si sforza di contribuire ad un mondo più unito e pacifico attraverso la formazione integrale delle generazioni future”.

Grammatica del dialogo educa giovani a costruire ponti
Il presule definisce quindi necessaria la promozione di una cultura dell’incontro, in un clima di rispetto, stima, ascolto, solidarietà che non annebbi o riduchi l’identità, al fine di rispondere alle tante forme di violenza, povertà, sfruttamento, emarginazione, spreco, restrizione della libertà. Educati alla “grammatica del dialogo” – è la convinzione espressa dall’Osservatore Permanente della Santa Sede  - le nuove generazioni troveranno motivazione per “costruire ponti e individuare nuove risposte alle molte sfide del nostro tempo”.

No ad elitismo nell’istruzione, causa di disuguaglianze sociali
Con il pensiero alla recente inaugurazione da parte del Papa della sede in Vaticano della Fondazione Scholas Occurrentes, mons. Auza mette in guardia dal pericolo dell’elitismo nell’istruzione che, avvantaggiando chi è in condizioni economiche favorevoli, aggrava le disuguaglianze accrescendo divario ed emarginazione nella società. “L’istruzione è veicolo di speranza e la persona umana non può far a meno della speranza”: educatori e studenti in comunione nella ricerca del bene comune, della bellezza, della bontà e della verità – è la conclusione di mons. Auza – sono premessa di un mondo più unito e pacifico”.

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Mons. De Donatis inizia il mandato di vicario generale del Papa per Roma

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Inizia ufficialmente oggi il suo mandato di vicario generale per la Diocesi di Roma e arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano mons. Angelo De Donatis. Succede al cardinale Agostino Vallini. Il servizio di Giada Aquilino

Annunciare la misericordia di Dio “con la parola e la vita”. Questa la missione di mons. Angelo De Donatis, nuovo vicario per la Diocesi di Roma, com’egli stesso ha evidenziato nel saluto al Vicariato, invocando pure “il dono di saper ascoltare in profondità sempre”. Nominato dal Papa il 26 maggio scorso, mons. De Donatis - 63 anni, di origini pugliesi - dal 1983 è incardinato a Roma, di cui nel tempo è stato anche vescovo ausiliare. Una diocesi dunque che ben conosce, come spiega il padre carmelitano Lucio Zappatore, parroco della Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, intervistato da Luca Collodi:

R. - Mons. De Donatis è stato per anni parroco qui a Roma, a San Marco, poi è stato anche il responsabile della formazione del clero, quindi sono due cose molto importanti: il Papa ci ha affidato sicuramente in buone mani.

D. – Quali sono le sfide per la Chiesa romana?

R. – Il Papa sottolinea l’attenzione all’immigrazione e all’accoglienza. Inoltre la Chiesa di Roma è una Chiesa antica ma anche giovane, basti pensare che neanche 50-60 anni fa la città aveva 20-30 parrocchie, adesso ne ha 340. Quindi, è una Chiesa che in fondo è giovane per espansione. La sfida più grande allora è come armonizzare questa Chiesa giovane con la tradizione antica della Chiesa di Roma, il fondamento di questo legame con Pietro che è vescovo di Roma e Papa della Chiesa universale.

D. – Qual è, secondo lei, da parroco, il problema principale di Roma?

R. – Sicuramente la riscoperta della fede. Noi abbiamo perso la pratica della Messa domenicale, della partecipazione ai Sacramenti, molti lasciano dopo la Prima Comunione e non fanno più la Cresima. Sembrano cose superate: in realtà, lì è il fondamento della nostra fede che ci porta, poi, ad andare verso i poveri, ad essere accoglienti. Il cristianesimo è fondato su questa convinzione, che la fede ci porta ad amare tutti, a servire tutti. È chiaro poi che l’accoglienza degli immigrati, la valorizzazione delle risorse di Roma, tutte queste cose acquistano un sapore nuovo, profondo, diverso perché nascono dalla fede.

Sulle aspettative dei parroci e in generale delle comunità romane, Alessandro Gisotti ha intervistato don Maurizio Mirilli, parroco del Santissimo Sacramento a Tor de’ Schiavi:

R. - Ci aspettiamo sia - così come è stato fino ad oggi - un punto di riferimento per noi sacerdoti, un padre di famiglia. I laici in particolare si aspettano che ci sia un aggancio sempre più forte alle sollecitazioni, alle spinte che vengono da Papa Francesco per una Chiesa in uscita: quindi per una Chiesa sempre più vicina ai bisogni della gente, anche di quelli più lontani che si sentono un po’ messi ai margini, per una Chiesa vicina alle famiglie in difficoltà, vicina ai giovani. Quindi una Chiesa sempre più vicina, così come lo è il nostro vescovo, Papa Francesco. Noi parroci, soprattutto noi che ci troviamo in periferia, siamo un punto di riferimento non solo per le vicende ecclesiali, ma anche istituzionali, del quartiere. Siamo continuamente avvicinati dalla gente: ci vengono incontro gli anziani soli per chiedere una maggiore attenzione verso di loro; i bambini che desiderano giocare ma che magari non hanno un luogo nel quartiere dedicato al gioco, quindi apriamo gli oratori e cerchiamo di coinvolgerli; anche gli adolescenti che magari non sanno dove andare e stanno lì, seduti sulle scalinate della parrocchia, ci chiedono un luogo dove potersi ritrovare, così come le tante famiglie in difficoltà, le coppie separate, quelle in crisi. Sicuramente veniamo a contatto con le loro vite, con i loro bisogni, con le loro sofferenze, con le loro gioie. Siamo e rimaniamo punti di riferimento.

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Spadaro: Francesco ci aiuta a vivere la prossimità anche nei Social

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“Comunicare nella cultura digitale”. E’ il tema del seminario svoltosi alla Pontificia Università Santa Croce e promosso dall’ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede. All’evento sono intervenuti, assieme all’ambasciatore Sally Axworthy, il prof. Tom Fletcher e il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro che – al microfono di Alessandro Gisotti – si sofferma sulle caratteristiche della comunicazione digitale e il contributo che sta offrendo Papa Francesco a questa nuova dimensione sempre più importante nella vita di miliardi di persone: 

R. – La cultura digitale nasce all’interno di un ambiente che è appunto l’ambiente creato dai network sociali e dalla Rete. Quindi, per comprendere i valori bisogna viverci all’interno: è una forma di inculturazione che ciascuno di noi deve fare, perché la Rete non è più un’opzione ma un dato di fatto.

D. – In questo, cosa sta dando la Chiesa, e in particolare Papa Francesco, come contributo a rendere "più umano" Internet?

R. – La cosa più importante è non considerare Internet come uno strumento, quindi di non considerarlo come una realtà di fili, di cavi, di modem, di computer ma come una rete di persone. In fondo, il concetto più importante che lui ha espresso sulla Rete è che la Rete è un luogo di prossimità, cioè di vicinanza. Allora, tutto ciò che rende il contatto tra le persone autentico, vero, solidale tutto questo corrisponde alla vocazione che ha la Rete; tutto quello che invece divide, separa, crea odio e vede, considera la Rete semplicemente come uno strumento per imporre se stessi, questo va fuori, al di là del piano di Dio sulla comunicazione umana.

D. – C’è ancora difficoltà, non solo nel mondo cattolico, nel comprendere che non c’è una distinzione tra reale e virtuale, che il digitale è solo un’altra dimensione della vita …

R. – Esattamente: bisogna evitare ormai di considerare la realtà digitale come qualcosa di virtuale, cioè sostanzialmente come non reale, di non vero, di non autentico. L’ambiente in cui viviamo è un ambiente fisico, un ambiente digitale e i due ambienti hanno caratteristiche differenti ma sono reali entrambi; non considerare questo significa replicare una schizofrenia che poi ha conseguenze disastrose!

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Oggi in Primo Piano



Venezuela: grave scontro tra magistratura e presidenza

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Si aggrava la crisi politica e istituzionale in Venezuela. Il Tribunale Supremo di Giustizia di Caracas ha congelato i beni personali della Procuratrice Generale, Luisa Ortega Diaz, che ha lanciato pesanti accuse contro il regime del presidente Maduro duramente contestato anche dalla piazza. Intanto, il capo dello Stato, riferendosi al recente attacco con un elicottero alla sede della Corte Suprema, parla di colpo di Stato in atto. Della situazione, Giancarlo La Vella ha parlato con Assunta Maria Di Pino, dell’Associazione Latino-americana Italia (ALI): 

R. – La procuratrice Luisa Ortega, che è sempre stata una militante del partito chavista, in questo momento si trova invece in totale disaccordo con le decisioni del governo di Maduro e comunque ha considerato che si è rotto il filo costituzionale e pertanto qualsiasi soggetto pubblico o privato che sia ha il diritto di ricostituire la legittimità costituzionale persa.

D. - È pensabile che questa nuova fase delle crisi venezuelana porti a un dialogo?

R. - Ormai non più. Siamo in un momento in cui il Venezuela è in guerra civile. Anche se se ne parla poco e quello che si fa vedere è una rivolta, non si tratta di rivolta: le forze armate venezuelane stanno reprimendo il popolo, che sta manifestando per ritrovare la propria libertà verso un sistema che ormai non funziona, perché è un sistema in cui non ci sono più garanzie per il popolo, un popolo che muore di fame, non ha le medicine per guarire, negli ospedali non c’è più niente, nemmeno la luce. Ci sono momenti in sala operatoria in cui l’elettricità va via e i medici operano illuminandosi con il cellulare! Sono cose assurde, ma comunque siamo in un momento in cui il popolo non ha più interessi affinché si ricostituisca un dialogo. Vogliono che l’attuale sistema politico di Maduro vada via. Questo è quello che il popolo chiede. Ed è proprio lo stesso popolo che credeva in Hugo Chavez, di cui Maduro ha preso l’eredità!

D. - Non è stata sufficiente la mobilitazione internazionale finora per fornire beni di prima necessità ai venezuelani?

R. - Ma quale mobilitazione! Il Venezuela non ha ricevuto nulla. Ancora ad oggi non è stata dichiarata la crisi umanitaria. I politici ancora dicono che non esiste un’emergenza umanitaria in Venezuela! Nel Paese non è arrivata nessuna organizzazione internazionale. L’unica cosa che ha fatto la Croce Rossa giorni fa è stato abbassare la bandiera, come forte simbolo per il mondo. Solo alcune associazioni, come l’Associazione Latino-americana in Italia, sono le uniche che in questo momento stanno inviando medicine nel Paese, perché un popolo, anche se è in guerra, non deve morire di fame, non deve morire perché manca il necessario per poter guarire anche dalla più banale delle malattie. Ormai siamo a questi livelli gravissimi.

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Migranti, Perego su chiusura porti: spero sia solo una provocazione

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L’Unione Europea non lasci sola l’Italia, perché sull’emergenza sbarchi è in una pessima situazione e fa fronte a pressioni enormi.  Il commissario Ue agli affari interni Avramopoulos torna sulla questione migranti, dopo le dichiarazioni del governo di Roma, pronto a negare l’accesso ai porti italiani alle navi di ong, cariche di migranti, che non battono bandiera italiana. Francesca Sabatinelli:

L’Italia non si tira indietro, ma tutti facciano la loro parte. Il premier italiano Gentiloni e il ministro dell’Interno Minniti avvertono i partner europei: il limite è raggiunto. L’emergenza sbarchi non può essere solo italiana, è in sostanza quello che si ripete. Che la penisola, e con lei la Grecia, non debba essere lasciata sola è quanto detto anche dal presidente della Commissione europea Juncker. A migliaia continuano ad arrivare sulle coste italiane, mentre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, Oim, certifica che degli oltre 85 mila tra migranti e profughi entrati in Europa da gennaio, circa il 90% sono entrati dall’Italia. Chiudere i porti significherebbe mettere a rischio i salvataggi. Questa la denuncia di Medici Senza Frontiere, che opera nel Mediterraneo con due navi, una battente bandiera italiana, la Prudence, l’altra l’Aquarius gestita in cooperazione con una ong francese. Marco Bertotto, responsabile advocacy di Msf Italia:

R. – Evidentemente, le autorità italiane dovrebbero cercare la disponibilità di un altro Stato ad accettare gli sbarchi e indicarci un porto diverso in cui portare queste persone soccorse. Questo ha delle conseguenze pesanti dal punto di vista umanitario, intanto per le condizioni e le vulnerabilità delle persone soccorse. E’ molto difficile immaginare che una nave di soccorso, spesso caricata all’inverosimile, possa compiere tragitti così lunghi senza aver possibilità di garantire condizioni adeguate, cure mediche e quanto occorre. E poi, soprattutto, c’è una conseguenza legata all’abbandono delle zone di soccorso da parte delle navi, che sarebbero costrette a stare in mare per una settimana, dieci giorni, per portare le persone e rientrare poi nelle zone di soccorso.

D. – Quindi per entrare nello specifico, sarebbe difficile garantire alle persone che voi ospitate sulle vostre barche il giusto aiuto, per quanto riguarda il cibo, le cure mediche e tutto il resto?

R. – Assolutamente. La preoccupazione nostra è questa ed è una preoccupazione esclusivamente umanitaria, dopo di ché ci rendiamo conto che la provocazione del governo italiano è quella di richiamare i partner europei a una compartecipazione nelle attività di accoglienza. Ma un conto è l’accoglienza, un conto è il soccorso in mare, e una proposta così provocatoria e avventata non può non avere, però, conseguenze anche sul soccorso in mare, e sono conseguenze devastanti. Non si può fare politica sulla pelle delle persone, soprattutto sulla pelle di persone così vulnerabili.

D. – La navi che salvano in mare i migranti, per arrivare nei porti italiani dal luoghi di salvataggio ci mettono un giorno, al massimo due. Nel caso in cui si decidesse di chiudere i porti italiani, dove si andrebbe e quale sarebbe la distanza?

R. – Questo non lo sappiamo, non conosciamo il dettaglio della proposta, non sappiamo che cosa abbiano in mente le autorità italiane anzi, siamo molto interessati a conoscere quale sia l’obiettivo ultimo. Quello che ci appare irrealistico è pensare di trasportare queste persone, che sono persone e non cose, a un porto a una distanza di tre-quattro giorni di navigazione in quelle condizioni e, soprattutto, ripeto, privando il sistema di soccorso di unità navali che sarebbero a questo punto impegnate ad attraversare il Mediterraneo invece che a soccorrere i barconi al largo della Libia.

D. – C’è chi rilancia l’ipotesi Malta e Tunisia …

R. – L’ipotesi Malta e Tunisia è un’ipotesi che era già stata discussa ma che al momento non ha alcun fondamento, da un lato per l’indisponibilità dei rispettivi governi a garantire questa attività, e poi per l’assenza di condizioni. Le persone che noi soccorriamo sono persone che hanno diritto a richiedere protezione internazionale, che hanno necessità di un sistema di assistenza umanitaria e di protezione che difficilmente in quei contesti potrebbe essere garantito.

D. – Voi ritenete – appunto – che questa sia una provocazione, ma se chiudere i porti non è una soluzione, a vostro giudizio come intervenire nella crisi che vive l’Italia?

R. – E’ difficile parlare di una unica soluzione, quello che ci sembra è che l’Italia faccia bene, che sia legittima la mossa del governo italiano a richiamare le autorità europee e gli Stati membri dell’Unione Europea a una maggiore compartecipazione, a una maggiore collaborazione. Dopodiché continuiamo a ribadire da tempo che quello che occorrerebbe è un meccanismo dedicato e proattivo di soccorso in mare. Ci sono canali umanitari e vie legali di accesso che consentono alle persone di richiedere protezione internazionale, senza dover mettere a rischio le loro vite, senza alimentare il criminale traffico di esseri umani. Quello che crediamo è che si dovrebbero radicalmente cambiare le politiche europee e che se ci fosse un’effettiva volontà delle istituzioni, degli Stati membri dell’Unione Europea di affrontare in maniera responsabile questo tema, i numeri non sarebbero problematici, perché i numeri sono ridicolmente bassi se paragonati alla quantità di persone, di profughi, di rifugiati, di richiedenti asilo che sono – ad esempio – ospitati nei Paesi vicini alle zone di crisi, nel Medio Oriente, in Asia e in Africa.

A sperare che la posizione del governo italiano sia solo una sfida nei confronti dei partner europei, è anche mons. Giancarlo Perego, direttore generale uscente della Fondazione Migrantes della Cei:

R. – Io credo che sia una provocazione, una provocazione che può essere anche utile in questo momento in cui l’Europa, oltre ad aver fatto degli annunci, non ha fatto seguito con una serie di azioni che sono importanti. Sappiamo tutti come, di fatto, dopo la fine di “Mare Nostrum”, la nuova operazione “Triton” legata a “Frontex” è stata un’operazione sottodimensionata rispetto all’esigenza di un salvataggio in mare. Questo ha portato la crescita di navi di ong che hanno fatto un lavoro sussidiario che ormai è il 50 per cento di tutte le operazioni di salvataggio. Quindi, un primo elemento importante è che l’Europa non ha saputo presidiare il Mediterraneo per quanto riguarda il salvataggio di vite umane. Il secondo aspetto è che la politica dell’Europa sull’asilo è una politica monca, perché se anche c’è questa operazione, attualmente, di salvataggio in mare, manca il ricollocamento che è rimasto sostanzialmente lettera morta. Se questa provocazione non diventa ancora una volta uno strumento che penalizza i più deboli, cioè coloro che stanno attraversando il Mediterraneo in situazione grave, ma diventa uno strumento perché finalmente il ricollocamento, che è una responsabilità di tutti i 27 Paesi, possa avvenire da subito, allora questa provocazione può essere un aspetto importante. Comunque, che questa minaccia, questa provocazione non debba esaurirsi poi, di fatto, nel far crescere i morti in mare e nell’indebolire i salvataggi in mare.

D. – Sembra quanto mai difficile che alcuni Paesi dell’Unione Europea intendano rispettare quelle che erano le regole per i ricollocamenti …

R. – Non si possono penalizzare i Paesi per delle quote latte maggiori o per altri aspetti legati all’economia, al commercio, e non intervenire per tutto quello che riguarda, come per l’aspetto dei rifugiati, la salvaguardia della persona umana. Occorre un intervento forte perché l’Unione Europea o sarà un’Unione con un forte carattere anche di solidarietà sociale, che sarà il carattere che la distinguerà anche nei prossimi anni, anche alla luce di ciò che sta capitando al di là del Mediterraneo, oppure l’Unione europea diventerà un “vulnus” e torneremo a nazionalismi e particolarismi e questo sarebbe ulteriormente un aspetto grave che ancora una volta penalizzerà i più deboli. E quindi il vero sforzo, oggi, è innescare un meccanismo nuovo che faccia dell’Europa un unico Paese che condivide soprattutto alcune politiche sociali, tra cui quella del diritto d’asilo che è uno degli strumenti, una cartina di tornasole, fondamentale. Anche la ventilata idea di riaprire il discorso non tanto sul ricollocamento quanto su campi profughi in Libia o altro, è un ripiego che ancora una volta penalizzerebbe le persone più deboli e negherebbe un diritto fondamentale che è il diritto d’asilo.

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Siccità e violenti piogge, l'agricoltura italiana conta i danni

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Prima la siccità poi le piogge torrenziali. L’Italia in questi giorni è colpita dal maltempo e a farne le spese è in primo luogo l’agricoltura. Il rischio è che tutto questo abbia un riflesso negativo anche sui prezzi. A questo si aggiungono gli incendi soprattutto al Sud. Alessandro Guarasci

I danni potrebbero ammontare a 500 milioni, anche se la conta sta avvenendo in queste ore. Tre giorni fa il vento e la pioggia al Nord hanno sradicato centinaia di piante da frutto, le serre sono crollate, chilometri di coltivazioni di mais, grano e fieno sono state distrutte. Ed ancora prima, da inizio giugno, la siccità ha costretto i coltivatori a razionare l’acqua e molte produzioni sono andate in sofferenza. Insomma, un’intera stagione rischia di andare in fumo. Marco Barbetta, responsabile del centro studi di Cia agricoltori italiani:

Molte produzioni sono penalizzate, soprattutto quelle frutticole ma anche, in prospettiva, quelle viticole. Siamo insomma in una fase di coltivazione della vite e degli olivi. Alcuni dei territori che hanno accusato di più, penso alla Toscana. Alcune aree dell’Emilia e del Veneto hanno retto un po’ di più perché avevano un piano di invasi gestito meglio”.

Certo, la situazione di quest’estate è particolare, ma non è la prima volta che a fasi di siccità seguano violenti piogge. Dunque per gli agricoltori va rivista la gestione dell’acqua per le coltivazioni. Ora si temono contraccolpi sul fronte dei prezzi. Gli ultimi dati Istat sull’inflazione lasciano ben sperare, ma ora bisognerà attendere le rilevazioni di giugno. Ancora Barbetta:

“Si parla di un incremento percentuale al consumo per i vegetali freschi e la frutta tra l’uno e il due percento. Però nei campi, in effetti, questa scarsità di offerta non si traduce in aumenti dei prezzi, anzi alcuni prodotti ortofrutticoli di stagione, potremmo definirli così, stanno soffrendo, se si paragona l’ultima settimana, la quarta di giugno di quest’anno, a quella dello scorso anno”.

E l’estate purtroppo porta con sé anche gli incendi, per mano di sconsiderati che bruciano le sterpaglie. Grave la situazione in Calabria, nel vibonese e nel reggino; e in Sicilia, a Trapani. Il vescovo della città mons. Pietro Fragnelli:

“Nelle prossime ore, che ci sia un’attenzione sostenuta anche economicamente, perché si possa fare lavoro di prevenzione, e si possa fare anche lavoro di pronto intervento, perché a volte queste cose sono molto lente. Mi sono speso molto perché tutte le persone che hanno responsabilità educative possano essere in qualche modo pionieri di una coscienza sociale comunitaria che dev’essere attivata”.

Ma gli incendi colpiscono anche la capitale, in varie parti della città, e anche sul Tevere, persino a poche centinaia di metri dal centro.

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Dal 4 luglio cambia la nostra Newsletter

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A partire dal 4 luglio, la Newsletter cambia forma, resta il contenuto. Confidando nel vostro apprezzamento, vi invitiamo a consultare il sito della Radio Vaticana – www.radiovaticana.va – per aggiornamenti e approfondimenti.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 180

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.