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Sommario del 01/07/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa nomina Ladaria prefetto Dottrina Fede, succede a card. Müller

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Papa Francesco ha ringraziato il cardinale Gerhard Ludwig Müller alla conclusione del suo mandato quinquennale di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e di Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, ed ha chiamato a succedergli nei medesimi incarichi mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, arcivescovo titolare di Tibica, finora segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Gesuita spagnolo, mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, 73 anni, ha conseguito nel 1966 la Laurea in Giurisprudenza all’Università di Madrid e nello stesso anno è entrato nella Compagnia di Gesù. Ha compiuto gli studi di Filosofia e Teologia all'Università Pontificia madrilena di Comillas e presso la Philosophisch-theologische Hochschule Sankt Georgen (a Francoforte). Ordinato sacerdote nel 1973, ha conseguito il Dottorato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana divenendo poi docente di Teologia dogmatica all'Università Pontificia Comillas e, in seguito, ordinario di Teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana, della quale è stato anche vice-rettore. Dal 1992 al 1997 è stato membro della Commissione teologica internazionale e dal 2004 ne è segretario generale. Nel 1995 viene nominato da San Giovanni Paolo II consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede di cui diviene segretario nel 2008 con la nomina di Benedetto XVI. Il 2 agosto dell’anno scorso, Papa Francesco lo nomina presidente della Commissione di studio sul Diaconato delle donne. In tale occasione, parlando ai microfoni della Radio Vaticana, mons. Ladaria sottolineò che volontà del Papa è di far sì che “il ruolo delle donne sia sempre più valorizzato” in ambito ecclesiale. La Chiesa, aggiungeva, “deve trovare il modo di farsi sempre più presente” e qui “la presenza della donna può essere decisiva”.

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Charlie. Il Papa: difendere vita, soprattutto se ferita da malattia

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La drammatica vicenda del piccolo Charlie continua a commuovere il mondo: l’ospedale di Londra in cui è ricoverato il bimbo di 10 mesi, affetto da una malattia rara considerata incurabile dai medici, ha rinviato di qualche tempo la decisione di staccare il ventilatore che lo tiene ancora in vita. E il Papa ieri sera è intervenuto con un tweet: un appello a difendere la vita, soprattutto nella malattia. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Milioni di persone in tutto il mondo pregano per il piccolo Charlie, perché gli sia data l’ultima speranza. Una gara di solidarietà internazionale ha permesso ai genitori di raccogliere un milione e mezzo di euro per portare il bimbo negli Stati Uniti per sottoporlo a una terapia sperimentale. Per i medici inglesi sarebbe solo un accanimento terapeutico che allungherebbe le sofferenze di Charlie colpito da una malattia rara che indebolisce progressivamente muscoli e nervi. Ma un genitore non smette di credere anche se c’è una remota possibilità di salvezza. Anche la Corte europea dei diritti umani ha detto di no all’ultima speranza. I genitori hanno chiesto allora di far morire il piccolo a casa. Ma anche questo è stato negato.

Papa Francesco ieri sera con un tweet a sorpresa ha scritto: “Difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è un impegno d'amore che Dio affida ad ogni uomo”. E l'Associazione Scienza e Vita reclama il principio di precauzione a tutela della vita.

In tanti sono costernati dal fatto che non si rispetti la libertà di scelta dei genitori. La Federazione italiana malattie rare critica questa decisione:  è infatti risaputo – afferma - che queste malattie sono molto poco conosciute e per questo hanno uno sviluppo imprevedibile. I medici non sono in grado di predire il futuro di questi bambini, perché poco  possono sapere dello sviluppo di queste patologie.

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Altre nomine

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Per le altre nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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A luglio sospese le udienze generali del mercoledì

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Per tutto il mese di luglio sono sospese le udienze generali del mercoledì. Riprenderanno nel mese di agosto nell’Aula Paolo VI. Lo rende noto la Sala Stampa vaticana. L’unico appuntamento pubblico rimane l’Angelus della Domenica.

Le Messe mattutine del Papa con gruppi di fedeli a Santa Marta sono sospese nei mesi di luglio e di agosto. Riprenderanno a metà settembre.

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Turkson: pace e sviluppo, il Sud Sudan ce la può fare

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Il presidente della Conferenza episcopale sudanese, monsignor Edward Hiiboro Kussala, ha espresso profonda gratitudine e apprezzamento a nome di tutti i vescovi per l’affettuoso sostegno di Papa Francesco al Sud Sudan, martoriato da guerra, fame e colera. Lo scorso 21 giugno, il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, aveva presentato l’iniziativa ‘Il Papa per il Sudan’ con la quale si annunciava un finanziamento nel Paese di 500 mila euro destinato a progetti di aiuto nel campo della sanità, dell’educazione, dell’agricoltura. Un intervento concreto non isolato, perché la Santa Sede da tempo tenta di trovare una strada per ottenere la pace, ha spiegato il card. Turkson. Federico Piana lo ha intervistato: 

R. - Il nostro dicastero assiste a questi eventi con un po’ di tristezza. Sono stato lì due volte: la prima volta ho portato una lettera del Santo Padre all’arcivescovo di Juba; la seconda volta ho portato un piccolo messaggio al governo. Devo dire che il rispetto per la Chiesa c’è ancora. Il presidente riceve con piacere visite come le mie e quella del nunzio di Nairobi in Sud Sudan. C’è un rispetto tale per la Chiesa che quando altri diplomatici non riescono ad avere udienze, gente della Chiesa come il nunzio, come me, cerca di portare il proprio messaggio per risolvere un po’ la situazione. Quindi per questo ritengo che la Chiesa ha ancora qualche ruolo da poter giocare nella situazione, qualche ruolo da svolgere.

D. - Lei pensa di tornare lì presto?

R. - Certo stiamo cercando di organizzare un’altra visita lì. Come sappiamo il Santo Padre ha già mostrato la sua sollecitudine mandando un po’ di aiuti per quanto riguarda l’educazione, per la salute, per i medicinali. Questo è un bel gesto, ma la situazione in Sud Sudan richiede ancora qualcosa di più. Quindi prevediamo una visita per il prossimo futuro per fare il punto della situazione, per fare un programma di aiuto e di assistenza alla popolazione che ora fugge. La gente imbraccia i fucili,  fa qualsiasi cosa per poter guadagnare un salario perché la paga non c’è, non c’è assistenza da parte del governo. La situazione è un po’ caotica.

D. - Come ha accennato lei prima, il Santo Padre ha una sollecitudine particolare, sente un dolore particolare per le vittime di questo conflitto, che poi sono i più poveri, cioè i diseredati, le persone dimenticate. L’aiuto internazionale c’è?

R. - Sì. C’è anche una base delle Nazioni Unite. Hanno tre postazioni. Quindi c’è la presenza dei Caschi Blu dell’Onu, c’è anche quella dell’Unione Europea con il loro ambasciatore e poi ci sono diversi organismi, altri gruppi. Negli anni ’60, Papa Paolo VI ha detto che il nuovo nome della pace è lo sviluppo, ma poi ha subito aggiunto che lo sviluppo richiede necessariamente la pace. Senza la pace non si può realizzare niente. Questo è proprio il dramma della situazione in Sud Sudan. Ci vuole una situazione, un’atmosfera un po’ pacifica per poter mettere in piedi certi progetti. La gente avrà bisogno di case, di agricoltura, di scuole, di ospedali … E ci sono organismi che sono pronti ad aiutare in questo senso. Ma senza una situazione di pace che consenta la realizzazione di questi progetti, è tutto difficile.

D. - Lei è ottimista? Si riuscirà a trovare la pace per il Sud Sudan?

R. - Dobbiamo riuscire, no? E non soltanto in Sud Sudan. La stessa sollecitudine, la stessa preoccupazione che il Santo Padre ha mostrato per la Repubblica del Centrafrica è la stessa che dobbiamo rivolgere al Sud Sudan. Il Santo Padre avrebbe voluto visitare anche il Sud Sudan. Quindi il mio ottimismo non è dovuto al fatto che il Sud Sudan sia la cosiddetta  “repubblica cristiana”,  perché questo non è del tutto vero. Ci sono moschee. C’è la presenza di altre religioni. C’è l’slam, ci sono i musulmani … Il fatto è che quando c’è un’umanità che soffre, come dice la prima riga di Gaudium et spes, questa sofferenza non può non toccare tutti.  Sono convinto che questo Paese ha tutte le potenzialità per portare avanti il suo sviluppo.

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Don Costa lascia la Lev dopo 10 anni, il grazie del Papa

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Dopo dieci anni di servizio presso la Santa Sede come “editore del Santo Padre”, a conclusione dei suoi due mandati, si è svolta ieri presso la Libreria Editrice Vaticana la cerimonia di saluto e di ringraziamento al direttore prof. don Giuseppe Costa. Erano presenti: mons. Angelo Becciu, Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, il cardinale Raffaele Farina, don Francesco Cereda, vicario del rettor maggiore dei Salesiani, il prof. Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano e alcuni direttori della Segreteria per la Comunicazione.

Mons. Dario Edorardo Viganò ha ringraziato don Giuseppe Costa sottolineando l’importanza dei suoi dieci anni di servizio presso la Santa Sede avvalorati ancora di più dalla presenza del Sostituto, mons. Angelo Becciu, che ha espresso la sua gratitudine per il contributo “qualificato” di don Costa alla Sede di Pietro e per “per questi dieci anni dedicati con tanta professionalità, passione e intelligenza ad elevare su scala internazionale la Libreria Editrice Vaticana”.

Don Francesco Cereda ha ricordato il percorso di don Giuseppe Costa come “direttore del Bollettino Salesiano, direttore editoriale della Società Editrice Internazionale, docente presso l’Università Pontificia Salesiana, direttore della Libreria Editrice Vaticana” e lo ha ringraziato per il contributo dato alla Santa Sede e alla Società Salesiana.

Don Giuseppe Costa, ha dunque ringraziato mons. Angelo Becciu, mons. Dario Edoardo Viganò, i suoi collaboratori più stretti, tutti i dipendenti della Libreria Editrice Vaticana e tutti i presenti. Ha espresso i suoi programmi futuri che lo vedranno in Sicilia dove si occuperà di cultura e di scuola. La riconoscenza più grande di don Costa è rivolta a Papa Francesco per averlo ricevuto in udienza e per averlo ringraziato attraverso una lettera personale per il suo contributo alla diffusione della cultura cattolica e del Magistero.

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Oggi in Primo Piano



Siria: 440mila sfollati rientrati a casa nonostante il conflitto

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Dall'inizio dell'anno più di 440mila siriani, sfollati a causa del conflitto, sono tornati in modo volontario nelle proprie case. Lo conferma l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Intanto l'Osservatorio siriano per i diritti umani comunica che sono 2.282 le persone che hanno perso la vita a giugno nel Paese e che l’Is ha abbandonato la provincia di Aleppo. Massimiliano Menichetti ha intervistato il direttore di Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi

R. - In Siria, come del resto nel vicino Iraq, il sedicente Stato islamico è ormai collassato come organizzazione politico militare a base territoriale. I segni sono evidenti: nella provincia di Aleppo ormai l'Is è in completa ritirata, esiste ancora all’interno della Città vecchia di Raqqa e in alcune zone della Siria centro-orientale. Ma lo Stato islamico che conoscevamo fino ad un anno e mezzo fa, due anni fa, ovvero la più potente organizzazione terroristica che il mondo abbia mai conosciuto, non esiste più come tale.

D. - Il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Zenari, ribadisce che in Siria ci sono tante bandiere che combattono in questo territorio …

R. - In questo momento in Siria si sta sviluppando una nuova fase di quella che noi da diverso tempo chiamiamo “La grande guerra mondiale siriana”, a sottolineare il fatto che in Siria c’è un ampio, profondo, coinvolgimento di diversi attori internazionali: dalla Russia, all’Iran, alla Turchia, agli Stati Uniti, alla Giordania, di cui si parla sempre troppo poco a mio avviso e così via.  Quindi quella che originariamente era una guerra civile, via via è degenerata in un conflitto aperto di tipo internazionale. Oggi abbiamo uno schieramento: da una parte abbiamo chi sostiene il regime di Assad, quindi sostanzialmente russi e iraniani, e dall’altra parte abbiamo la Turchia, un po’ più defilata rispetto alle posizioni precedenti riguardo alla stabilità o meno del regime di  Assad, poi abbiamo gli americani che ultimamente hanno deciso di incrementare il proprio ruolo sul terreno per contrastare l’espansione, l’influenza da un lato russa, dall’altro iraniana.

D. - Come si risolve questa quesitone siriana? È la grande domanda che ci poniamo da sei anni …

R. - Non è semplice rispondere a questa domanda, nel senso che le complessità sul terreno sono ancora troppe e troppo evidenti.

D. - Quindi bisognerà ancora combattere?

R. - Temo che ancora si debba combattere. Certo è che rispetto a due anni fa la situazione da un punto di vista geopolitico è comunque un minimo più chiara, nel senso che il crollo del sedicente Stato islamico ha fatto venire alla luce gli schieramenti così come essi sono. Dall’altro lato, un elemento importante è il compromesso che c’è stato tra Turchia, Russia e Iran, che in qualche misura ha attutito gli effetti del conflitto in alcune aree della Regione. È chiaro che adesso si parla di altri tipi di guerre dentro la guerra: ad esempio, quella tra curdi siriani e turchi è una di queste, oppure quella tra Mosca e Washington per l’influenza in alcune aree del Paese … Credo però che prima o poi, spero più prima che poi, si debba e si possa arrivare ad un compromesso quanto meno lungo alcune linee di cessate il fuoco come in alcune parti del Paese è stato effettivamente fatto negli ultimi mesi.

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Hong Kong: proteste a 20 anni dall'indipendenza dal Regno Unito

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A Hong Kong si sta celebrando il ventesimo anniversario del trasferimento della sovranità dal Regno Unito alla Cina popolare, avvenuto il primo luglio 1997 sotto lo slogan “One country, two system”, “Un paese, due sistemi”. Il presidente cinese Xi Jinping è in visita nella città per la prima volta, al fianco di Carrie Lam, la nuova governatrice, che ha ufficialmente ricevuto il suo incarico oggi. Mentre la gente festeggia in strada, esplodono però anche le proteste di chi chiede più libertà e democrazia: si registrano scontri con la polizia e più di 40 arresti. Dunque un contesto diviso e complicato. Ma cosa è cambiato in questi 20 anni? L’analisi di Francesco Sisci, corrispondente da Pechino del Sole24Ore, al microfono di Cecilia Seppia

R. – È stato un cambiamento complesso e difficile e sta ancora avvenendo. Da una parte, Hong Kong ha smesso di essere il ponte del mondo verso la Cina, perché oggi chi fa affari o deve dialogare in qualunque modo con la Cina, va direttamente a Pechino e non passa da Hong Kong. Ma questo in qualche modo è stato anche il contributo di Hong Kong.

D. – Una città divisa tra chi chiede più libertà e democrazia e chi è filo-Pechino; in ogni caso una città che vive delle contraddizioni e anche delle crisi…

R. – Hong Kong è molto divisa, lo dimostrano le proteste odierne. E poi c’è un elemento di crisi vera ed è di carattere economico: oggi i cittadini di Hong Kong hanno il mondo degli affari monopolizzato da tycoon filo-cinesi; quindi nuove imprese e affari sono difficili, quasi impossibili. D’altra parte, i salari medi di Hong Kong sono ormai arrivati ai livelli dell’Occidente, quindi i giovani non hanno speranze di un avanzamento finanziario ed economico: non saranno infatti in grado di aumentare il proprio salario o di sperare di diventare dei grandi imprenditori come i loro genitori o i nonni. E quindi, se vogliono un avanzamento sociale, devono ricorrere e pensare alla politica che invece è molto ingabbiata. Hong Kong avrebbe quindi bisogno di grandi trasformazioni.

D. – Il presidente cinese, Xi Jinping, si trova ad Hong Kong in queste ore ed è la sua prima volta nella città: sta partecipando ad una serie di cerimonie pubbliche insieme a Carrie Lam, la nuova governatrice di Hong Kong. Che tipo di governo impronterà secondo lei ad Hong Kong?

R. – Carrie Lam è innanzitutto una devota cattolica e si è distinta ed è anche stata scelta perché negli anni passati è quella che per prima è andata a parlare con gli studenti che protestavano contro il sistema politico di Hong Kong. È una persona che ha lavorato per il dialogo, naturalmente schierandosi con il governo.

D. – Sì, il fatto che è cattolica è una nota a suo vantaggio…

R. – Sì, anche perché lei ha un buon rapporto con il cardinale Tong e dunque con la Chiesa che sempre sceglie la via del dialogo. È una persona che si è impegnata finora a parlare con la stampa e si è impegnata a non essere semplicemente il relais delle comunicazioni di Pechino su Hong Kong, ma anche a riflettere i dubbi e i tormenti di Hong Kong a Pechino: un lavoro che finora, bisogna dire, non è stato molto ben compiuto dai passati governatori.

D. – Allarghiamo un po’ lo sguardo: nel suo discorso, Xi Jinping ha avvertito che non ci sarà nessuna tolleranza per azioni che possano mettere in pericolo sicurezza e stabilità sia di Hong Kong che di tutta la Cina. Queste sue dichiarazioni sono riferite a più persone, più interlocutori, più Stati…

R. – In qualche modo è un discorso, in linea di principio, come quello che fanno tutti gli Stati liberali: chi aderisce al principio costituzionale, bene, questi sono leali e si può dialogare con essi. Non dimentichiamo per esempio che, solo qualche anno fa, i deputati dello Sinn Fein, repubblicani, che quindi non riconoscevano lealtà alla Regina, non vennero ammessi al Parlamento di Londra. Io invece vedo con maggiore attenzione la novità vera, cioè quello che Xi Jinping ha detto: “Noi siamo disposti a dialogare con tutti e su tutto, con chi naturalmente riconosce che Hong Kong è parte della Cina”. Questa io credo che possa essere la vera radice per una riforma dell’ordinamento economico, sociale, ma anche politico, di Hong Kong.

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Venezuela. Card. Urosa: è guerra contro un popolo

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In Venezuela non si ferma la dura repressione compiuta dalle forze di sicurezza e da gruppi paramilitari contro i manifestanti. Per il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, che chiede di porre fine ad ogni violenza, “si potrebbe parlare di guerra di un governo contro il popolo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

In Venezuela le proteste contro le politiche del governo sono segnate da un susseguirsi di scontri e vittime. Finora sono morte oltre 90 persone. I vescovi chiedono al governo “di riconsiderare la situazione”, di non impiantare “un sistema totalitario militarista-marxista. I presuli chiedono anche all’esecutivo di Caracas “di desistere dall'utilizzare risorse legali per smantellare lo Stato”.

Tutto questo – ha detto il cardinale Urosa - è riprovevole e intollerabile e non è ciò che desidera la maggior parte del popolo venezuelano”. Il porporato, pur sottolineando di parlare a titolo personale, ha detto questa è anche la posizione della Conferenza Episcopale venezuelana. Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha convocato un'Assemblea Costituente. I vescovi  venezuelani - ricorda l'agenzia Fides - hanno ribadito che la popolazione non vuole cambiare la Costituzione. Ciò che serve, hanno più volte affermato i presuli, è altro: cibo, sicurezza pubblica, elezioni libere e democratiche e il rispetto della legge.

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Giornata delle Cooperative: "Nessuno resti indietro"

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Si celebra oggi la Giornata Internazionale delle Cooperative, una ricorrenza che risale al 1923, per iniziativa dell’Alleanza internazionale delle cooperative, ma che è stata proclamata ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 1995. “Le cooperative assicurano che nessuno resti indietro”: è questo lo slogan scelto per l’edizione 2017, che si concentra sul tema dell’inclusione, in riferimento ai caratteri di democraticità, partecipazione economica e mutualità propri della struttura cooperativa. Giulia Bedini ha intervistato Marco Venturelli, segretario generale di Confcooperative: 

R. – La cooperazione celebra, in tutto il mondo, la Giornata internazionale della cooperazione per promuovere il significato dell’impresa cooperativa come impresa distintiva che sostiene lo sviluppo sociale e lo sviluppo economico, coniugando, quindi, lo sviluppo imprenditoriale in risposta a bisogni delle comunità dei territori. La cooperazione parte dal bisogno e, con quest’anima di risposta alle esigenze e quindi di aiuto e sviluppo sociale, ne promuove uno sviluppo imprenditoriale. Lo slogan di quest’anno, strettamente legato all’inclusione, è “Le cooperative non lasciano indietro nessuno”, proprio perché la cooperazione deve partire dal bisogno e non vuole lasciare fasce di bisogno emarginato. Per questo, noi diciamo che promuoviamo non un’economia circolare, come oggi viene spesso promossa guardando solo al processo produttivo, ma lavoriamo per una società sostenibile e circolare, ovvero che mira a non lasciare indietro nessuno e a non fare scarti, cominciando dalle persone.

D. - Quindi, si può dire che le cooperative combattano la disuguaglianza sociale ed economica...

R. - Siamo impegnati, sosteniamo e promuoviamo l'inclusione sociale, la riduzione delle disuguaglianze e la sostenibilità: senza questi  tre elementi non ci può essere sviluppo di una comunità, di un territorio e di un Paese. Per questo, il nostro impegno non è solo a favore, strettamente, delle imprese e delle cooperative per accompagnare lo sviluppo, ma promuoviamo progetti per lo sviluppo dei territori, delle comunità e per la soluzione dei loro bisogni. Questa è cooperazione: una cooperativa efficiente che faccia solo business per noi non è una cooperativa genuina, non è una cooperativa mutualistica.

D. – Come si può inserire una realtà territoriale, come quella della cooperazione, in un sistema sempre più globalizzato?

R. – Le sfide sono tante, tantissime, e direi che per la cooperazione sono ancora di più di un’impresa che pensi solo allo sviluppo economico e al profitto. La cooperazione non è solo sviluppo economico, anzi è innanzitutto sviluppo sociale, sostenibile e inclusivo. Per questo promuoviamo progetti rivolti alla conciliazione e all’inclusione delle donne nel lavoro: pensiamo che il 58%  degli occupati, di buona occupazione nelle cooperative, è donna; il 15% sono persone straniere; almeno in una cooperativa su tre c’è un giovane dirigente nei consigli di amministrazione delle cooperative. Abbiamo questi e tanti altri progetti che partono dal bisogno e, sulla costruzione di una risposta al bisogno delle comunità, dei territori, dei giovani e delle donne, costruiscono l’iniziativa imprenditoriale cooperativa. Noi lavoriamo anche per questo.

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Siria. A padre Ibrahim Alsabagh il Premio Jan Karski 2017

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“Essere segno di speranza in una città morta e senza futuro, vuol dire attingere la speranza alla Fonte di vita e di Speranza, che è Gesù Cristo. I nostri occhi hanno visto la realtà crudele […] in questi momenti difficili, è stato solo nella speranza in Dio che abbiamo trovato la forza per andare avanti”. È quanto ha sottolineato p. Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, guardiano e parroco della parrocchia latina di Aleppo, vincitore dell’edizione 2017 dello Jan Karski's Eagle Award, premio dedicato alla memoria del celebre avvocato e attivista polacco, fra i primi a raccontare il dramma della Polonia sotto il dominio nazista.

Testimone e voce del conflitto siriano e del dramma di Aleppo
Il riconoscimento, conferito a personalità che si distinguono nel “servizio umanitario” per gli altri, è stato assegnato nei giorni scorsi a Cracovia, in Polonia alla presenza dell’arcivescovo emerito della città, il card. StanisÅ‚aw Dziwisz. Il sacerdote ha ricevuto il premio - così recita la motivazione ufficiale - per aver “portato speranza a un mondo senza speranza e alle persone dimenticate”. Nel discorso di ringraziamento - inviato ad AsiaNews - p. Ibrahim ha sottolineato che l’onorificenza è “un incoraggiamento nella battaglia per il mio popolo, nella mia missione di portare alla mia gente l’aiuto, la consolazione, la speranza”. Egli ha ricordato ancora il “dovere morale” che egli ha avvertito in questi anni di “fare conoscere a tutto il mondo la situazione tragica (del popolo siriano)”, offrendo per questo fine “la mia vita e tutto quello che ho”. Il sacerdote è stato a lungo testimone e voce del conflitto siriano e del dramma di Aleppo, epicentro del conflitto siriano e per anni divisa in due settori separati fra loro, fino alla liberazione finale del dicembre scorso.

La storia del popolo siriano simile a quella del popolo polacco
“La storia del popolo siriano - ha ricordato il parroco di Aleppo - è molto simile alla storia del popolo polacco, che per un certo periodo di tempo ha sofferto […] Tante persone, tante famiglie siriane, come Giobbe nella Bibbia, hanno perso tutto in un solo istante, il compimento di un’intera vita: casa, famiglia, salute. Il 70% delle famiglie sono senza casa, senza un riparo. Intorno alla città la guerra continua. Di notte, sentiamo i bombardamenti e i rumori degli spari. Di tanto in tanto, la strada principale – e anche l’unica – per Aleppo è chiusa per i combattimenti”.

La premiazione presieduta dal card. Dziwisz
Consegnando il premio a p. Ibrahim il card.  Dziwisz ha sottolineato che esso tiene conto non solo “delle funzioni e i doveri compiuti dal premiato a motivo della sua vita sacerdotale e religiosa”, ma anche per aver saputo “portare la speranza in un mondo senza speranza”. Il porporato ricorda che “nonostante gli fosse offerto un posto al sicuro in Europa”, il parroco di Aleppo “ha deciso di ritornare in patria, nella Siria prigioniera della guerra da più anni. Ha fatto ritorno per consacrarsi, a rischio della propria vita, al servizio pastorale di Aleppo, che è tuttora una delle città della Siria distrutte, praticamente sprovvista di tutto ciò che è necessario per la sopravvivenza”.

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Coldiretti Sicilia: enormi i danni provocati dagli incendi

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Ancora difficile la situazione sul versante orientale della Sicilia, in particolare nelle provincie di Ragusa e Messina, a causa dei numerosi incendi divampati in questi giorni. I roghi, alimentati anche da forti venti, hanno impegnato Vigili del fuoco, operai forestali e uomini della Protezione civile con l’utilizzo di canadair. Animali morti, strutture devastate, danni per milioni di euro, l’allarme di Coldiretti Sicilia che parla di azioni che mettono in ginocchio un'intera Regione. Sentiamo, al microfono di Adriana Masotti, Francesco Ferreri, presidente di Coldiretti Sicilia: 

R. - In questo momento la situazione non migliora. Abbiamo notizie di tantissime aziende con un sacco di danni, incendi su strutture. I canadair da stamattina cercano di spegnerli ma non è facile. Ci arrivano notizie di nostri allevatori che hanno animali rimasti vittime di questi incendi, persone che hanno perso la casa … La situazione è molto grave, ancora non riusciamo a quantificare i danni.

D. - Perché risultano rovinate le colture, il paesaggio, la biodiversità …

R. - Sì, sostanzialmente il grande problema è sempre quello di perdere un patrimonio che si è costruito in centinaia, migliaia di anni. Gli alberi, i boschi e tutto questo è ovviamente un patrimonio di valore inestimabile che oggi tristemente perdiamo per quelli che definiamo attentati terroristici a tutti gli effetti.

D. – E’ una parola forte quella che lei usa. Cosa significa? Che cosa c’è dietro, secondo lei?

R.- Cosa ci sia dietro è difficile da capire. So cosa c’è davanti. Non si può prendere sotto gamba il problema degli incendi che continuiamo ad avere in tutta Italia, incendi che devastano il nostro patrimonio e lancio a tutti un interrogativo: cosa resterà a chi verrà dopo di noi se continuiamo in questa maniera? Forse è arrivato il momento di fare grandi riflessioni.

D. - Aldilà di interessi criminali o di disattenzione di chi, magari, accende un fuoco o butta una cicca accesa, lei parla anche di necessità di pulizia delle aree, di tutto in lavoro di prevenzione da fare prima che arrivi poi il grande caldo …

R. - Ma penso che sia un lavoro in cui ci dovremmo assumere tutti le nostre responsabilità; le istituzioni ma non solo, anche il cittadino comune. Sappiamo tutti quanti che l’autocombustione non è un fenomeno spontaneo, quindi da qualcosa deve partire. Sicuramente quello che deve passare, e penso sia la cosa più importante, è il discorso riguardo la responsabilità che tutti ci dobbiamo assumere dal primo all’ultimo e lavorare su questo. Parliamo di situazioni veramente gravi. Quello che è peggio è che continuiamo ad avere gli stessi problemi anno dopo anno. Si dice che errare è umano, perseverare è diabolico. Noi diciamo che, forse, abbiamo superato anche la seconda fase.

D. - Il fatto che sia un’emergenza fino ad un certo punto perché si ripete, che cosa vuol dire?

R. - Vuol dire che non si è trovata una soluzione, una soluzione che vuol dire forse pensare un po’ di più al territorio e al paesaggio o suscitare più sensibilità nel cittadino comune. Vuol dire che non è un problema che tutti quanti forse riescono a sentire, che ne parliamo oggi e sicuramente dopodomani parleremo di un’altra cosa. Però il problema c’è, si verifica una volta all’anno e se non ci si lavora per tempo lo avremo anno dopo anno.

D. - Come Coldiretti che cosa potrete fare per aiutare le persone che hanno subito danni da questi incendi?

R. - I nostri direttori provinciali, insieme ai presidenti sono già sui posti per cercare di dare una prima assistenza, poi valuteremo insieme la quantifica dei danni e cercheremo sicuramente di fare qualcosa. La Coldiretti in questo è sempre stata un esempio, perché non ha mai lasciato da soli i propri produttori.

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della XIII Domenica T.O.

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Nella XIII Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli che chi li accoglierà, accoglierà Lui stesso e Colui che lo ha mandato. Quindi aggiunge:

“Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto”. 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Dio si è manifestato agli uomini inviando loro altri uomini: i profeti, come suoi ambasciatori per rivelare ciò che gli è gradito. Anche dopo la piena redenzione operata da Cristo, il Padre continua ad inviare apostoli in ogni generazione per proclamare le promesse divine, annunciare il Suo perdono e denunciare ciò che sembra bene, ma bene non è. Dio normalmente non ci abbaglia col suo splendore, ma si avvale di mediazioni umane che Egli stesso rende efficaci con la potenza dello Spirito Santo capace di trasformare le coscienze e aprire le porte della vita eterna già qui sulla terra. Noi corriamo il rischio di non riconoscere i suoi messaggeri, o di non prenderli sul serio perché annunciano la stoltezza della croce, oppure, vorremmo persone perfette dotate di chissà quali poteri. Ma il Signore ha voluto salvare il mondo e trasformare i cuori attraverso la debolezza della parola umana e la sofferenza dei veri apostoli. Il Vangelo odierno ci avvisa: “Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto avrà la ricompensa del giusto”. Chiediamo al Signore la grazia di riconoscere i “suoi amici”, di ascoltarli e di obbedire loro, anche contro lo spirito del mondo, che talvolta pervade le nostre stesse famiglie, mascherato di buon senso.

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Dal 4 luglio cambia la nostra Newsletter

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A partire dal 4 luglio, la Newsletter cambia forma, resta il contenuto. Confidando nel vostro apprezzamento, vi invitiamo a consultare il sito della Radio Vaticana – www.radiovaticana.va – per aggiornamenti e approfondimenti.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 182

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.