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Sommario del 01/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: la fraternità vince la crisi del lavoro

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Oggi la Chiesa celebra la memoria di San Giuseppe lavoratore, in coincidenza con la Festa internazionale del lavoro. E il Papa, in questo giorno, rivolge il suo pensiero ai giovani di tutto il mondo, che spesso soffrono a causa della disoccupazione: in un tweet chiede a San Giuseppe di dare “ai giovani la capacità di sognare, di rischiare per le cose grandi, le cose che Dio sogna su di noi”. Un invito, dunque, a non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà, ma a rinnovare la fiducia e impegnarsi a promuovere, insieme agli altri, progetti creativi, con un nuovo stile, dice in un Messaggio: quello della fraternità. Il servizio di Sergio Centofanti

La crisi del lavoro investe tutto il mondo. Papa Francesco propone una ricetta cristiana antica, ma sempre nuova: la fraternità. Lo fa in un Messaggio rivolto alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali che in questi giorni sta tenendo in Vaticano la sua assemblea plenaria. Il Papa ricorda le “ardue battaglie” dei lavoratori nell’800 e nel ‘900, “in nome della solidarietà e dei diritti” ed “è stata cosa buona”. Ma sono lotte “ben lontane dall’essere concluse” e oggi è sempre più “inquietante” l’esclusione sociale e la marginalizzazione di milioni di esseri umani.

Oggi, afferma il Papa, non basta la solidarietà, occorre ampliare anche la nozione tradizionale del concetto di giustizia. Oggi “si tratta di cercare una via d’uscita dalla soffocante alternativa” tra neoliberismo e neostatalismo in cui le nostre società sono impantanate. Nella visione liberal-individualista del mondo - spiega il Papa - tutto o quasi è scambio, si dà per avere. Nella visione stato-centrica tutto o quasi è “doverosità”, si dà per dovere. Sono due visioni che non sono riuscite e non riescono a risolvere i gravi problemi dell’economia e del lavoro nel mondo.

“Occorre tentare vie nuove ispirate dal messaggio di Cristo”, afferma Papa Francesco. La parola chiave è una parola evangelica: è la fraternità. E’ una parola – ricorda Francesco – che aveva tentato di riprendere la Rivoluzione francese, ma che è stata ben presto abbandonata. Pio XI nella sua Enciclica sociale del 1931, la Quadragesimo anno, denunciava l’egoismo alla base delle ingiustizie, il contrario della fraternità, e prevedeva l’affermarsi “di una dittatura economica globale” che definiva “imperialismo internazionale del denaro”.

La soluzione, dunque, osserva il Papa, è una società fraterna, in cui il lavoro “prima ancora che un diritto è una capacità e un bisogno insopprimibile della persona”. Solo in una società fraterna il lavoro è giusto: cioè “è quello che non solamente assicura una remunerazione equa, ma corrisponde alla vocazione della persona e perciò è in grado di dare sviluppo alle sue capacità”. Questa è “la proposta del Vangelo” - spiega Francesco – una proposta capace di creare un “nuovo umanesimo”, “un’energia nuova nella storia” che genera “libertà, giustizia, pace e dignità per tutti”. Di qui il suo appello a non rassegnarsi mai:

“Cari fratelli e sorelle, non smettete mai di sperare in un futuro migliore. Lottate per questo, lottate. Non lasciatevi intrappolare dal vortice del pessimismo, per favore! Se ciascuno farà la propria parte, se tutti metteranno sempre al centro la persona umana, non il denaro, con la sua dignità, se si consoliderà un atteggiamento di solidarietà e condivisione fraterna, ispirato al Vangelo, si potrà uscire dalla palude di una stagione economica e lavorativa faticosa e difficile”. (Discorso ai lavoratori delle Acciaierie di Terni, 20 marzo 2014)

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Padre Samir: Papa in Egitto ha unito cristiani e musulmani

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Continua a suscitare commenti positivi il recente viaggio del Papa in Egitto. Per padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e docente di islamistica presso il “Pontificio Istituto Orientale di Roma”, è stato un evento di grande importanza e di successo, che ha unito e incoraggiato cristiani e musulmani nella costruzione della pace e nella lotta alla violenza. Ascoltiamo la sua riflessione al microfono di Fabio Colagrande:  

R. – Certamente, un viaggio di successo. Ed è stato molto importante perché l’Egitto si trova in una situazione di isolamento. Questo apre, dà un po’ di aria … I musulmani si sentono in difficoltà a causa del terrorismo. Il fatto di poter trovare un uomo che ti appoggia, che simpatizza, come nel caso del Papa, questo dà coraggio e forza al presidente, come all'istituzione di Al Azhar, ma anche, certamente, a tutti i cristiani dell’Egitto, perché soffriamo di questo terrorismo. Questo viaggio ha avuto anche un’altra importanza: i musulmani si sentono uniti ai cristiani in questa prova degli attentati. I musulmani ci hanno sostenuti e c’è chi dice: “Voi siete i nostri fratelli”. E' anche la testimonianza del risultato di questo viaggio in Egitto.

D. – Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, il nuovo incontro tra il Papa e il Grande Imam Al Tayeb, quale progresso ha portato nel dialogo tra cristiani e musulmani?

R. – La cosa essenziale è che il Papa ha fiducia in Al Tayeb e Al Azhar e li incoraggia e supporta, per dire: continuate in questa linea della non violenza. Al Azhar lo proclama, la gente dice: “Sì, ma che fate per realizzarla?”. Dunque, questo potrebbe essere un incoraggiamento: possono contare sul supporto dei cristiani visto l’appoggio che il Papa ha portato.

D. - E infine, padre Samir, per la comunità copta e anche per la piccola minoranza cattolica queste ore trascorse dal Papa al Cairo che significato hanno avuto, secondo lei?

R.  – Per la comunità copta cattolica, che è piccolissima, vuol dire: il Papa si interessa anche a noi che siamo meno di 300 mila. E questo è molto importante. Ma significa anche che il Papa è il "papà" di tutti quanti i cristiani non solo i cattolici, ma tutti i cristiani. Ha testimoniato una fratellanza con tutti quanti. Non c’è una persona esclusa. Questo l’ha mostrato concretamente: il suo abbracciare l’Imam Al Tayeb, come anche il presidente, in modo sinceramente affettuoso, già dice più dei discorsi. Poi, il dialogo con gli ortodossi, fino ad arrivare a un accordo riguardo al Battesimo, questo è un passo avanti che non si poteva immaginare! Infine, come dicevo, riguardo alla piccola comunità cattolica, cioè a tutti i livelli, questo viaggio mostra che noi siamo una famiglia, un popolo, il popolo egiziano: diversi, ma la diversità è un arricchimento, non è un impoverimento. Questo mi sembra il triplice messaggio che questo viaggio rapidissimo ha portato all’Egitto. Sta a noi adesso concretizzarlo nella vita quotidiana.

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Oggi in Primo Piano



Primo Maggio: tutto il mondo in piazza contro la disoccupazione

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Istituita nel 1889 in memoria di un comizio sindacale in cui, tre anni prima a Chicago, morirono dieci persone per lo scoppio di una bomba, la Festa del Lavoro si celebra oggi in tutto il mondo. Tante le manifestazioni, dall’Asia all’Europa, mentre in Turchia la polizia ha sgombrato un corteo ad Istanbul. In Italia i sindacati si sono riuniti a Portella della Ginestra in ricordo della strage del 1947. Il servizio di Michele Raviart

Nel mondo sono 201 milioni le persone disoccupate. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro nel 2017 saranno circa 3 milioni e mezzo in più rispetto allo scorso anno. Ma se la disoccupazione sta lentamente scendendo in Europa e in Nord America, la situazione rimane grave in America Latina, con picchi superiori al 10 per cento in Brasile.

In Asia hanno protestato gli operai del settore tessile in Bangladesh e in Cambogia, mentre nelle Filippine in migliaia sono scesi in piazza a Manila contro il precariato e le esecuzioni extra-giudiziali del presidente Duarte. Attese contestazioni contro Trump negli Stati Uniti, mentre in Europa rimane critica la posizione della Grecia, dove alle manifestazioni si è aggiunto uno sciopero nazionale di 24 ore per protestare contro le nuove misure di austerità imposte dai creditori internazionali.

In Francia i cortei per il lavoro sono stati l’occasione per i sindacati per schierarsi politicamente in vista dell’imminente ballottaggio fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, mentre in Turchia, dove oggi erano state vietate manifestazioni, 200 persone hanno raggiunto piazza Taksim a Istanbul e sono state respinte con i gas lacrimogeni dalla polizia. 70 gli arresti.

Scontri anche in Italia, dove a Torino le forze dell’ordine hanno caricato un gruppo di esponenti dei centri sociali che cercava di raggiungere Piazza San Carlo, dove si è svolto il comizio ufficiale dei sindacati. I leader di Cgil, Cisl e Uil hanno scelto invece Portella della Ginestra, in Sicilia, dove settant’anni fa la banda di Salvatore Giuliano uccise 11 lavoratori. “Siamo qui contro le mafie e per mettere al centro del dialogo sul futuro il tema dell’occupazione dei nostri giovani", ha detto il segretario della Cisl Annamaria Furlan, mentre il presidente Mattarella ha ribadito “la priorità del lavoro”.

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Cei: finanziarizzazione economia è contro i lavoratori

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Nel suo messaggio per la Festa del primo maggio, la Chiesa italiana afferma che la questione del lavoro è "un’emergenza nazionale” da porre “al primo posto” se si vuole “tornare a guardare con ottimismo al proprio futuro”. I vescovi denunciano anche la finanziarizzazione dell’economia, come una delle cause della mancanza di lavoro, e chiedono “una conversione spirituale”. In Italia la disoccupazione sfiora il 12%, con punte di oltre il 40% tra i giovani. Alessandro Guarasci ha sentito mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Cei: 

R. – Il messaggio del Primo Maggio della Conferenza episcopale italiana, che abbiamo preparato nella Commissione per i problemi sociali del lavoro, ritorna sul tema del senso del lavoro. E’ chiaro, ci sono grosse difficoltà perché parlare di senso del lavoro quando il lavoro non c’è è difficile. Parlare di senso del lavoro quando il lavoro è sottomesso a varie precarietà è ancora difficile: il caporalato, le agromafie, le ecomafie, il lavoro nero… Insomma, sia l’assenza del lavoro sia le precarietà indicano proprio che manca un elemento fondamentale nella realizzazione della vita della persona: quando il lavoro manca, manca la forma perché la persona si possa esprimere.

D. – Siamo da tempo andati verso una finanziarizzazione dell’economia. Alcune parti della nostra società pensano che si possano fare molti soldi senza lavorare. Secondo lei, questo quale problema concreto sta portando alla vita di tutti i giorni?

R. – Questo separa la persona dall’opera che si fa: cioè, senza un lavoro effettivo è come se l’energia della persona fosse messa semplicemente al servizio di un profitto che dipende dai fattori finanziari, un profitto che oggi c’è, domani non c’è, oggi si esalta, domani no… E neanche l’aspetto finanziario è orientato alla crescita della persona. Quindi c’è come una separazione. Il grande messaggio del cristiano è la valorizzazione dell’intera realtà umana.

D.  – Alcuni dati europei dicono che le regioni del Sud Italia sono tra le più povere di tutta Europa. E’ stata da tempo abbandonata, secondo lei, la risoluzione della questione Mezzogiorno?

R. – Secondo me la questione del Mezzogiorno è stata messa da parte, o meglio in secondo piano. Quello che io sempre auspico è che ci sia da parte delle istituzioni, in particolare del governo, la considerazione che il Mezzogiorno è una priorità, non per il Mezzogiorno ma per il Paese nel suo insieme: non per una parte perché se c’è una crescita, uno sviluppo nel Mezzogiorno, tutto il Paese ne ricava vantaggio. Ci sono degli interventi, ci sono dei patti, il governo passato e il governo attuale hanno messo più in evidenza la questione del Mezzogiorno, lo dobbiamo riconoscere, però un focalizzare la questione del Mezzogiorno è ancora un passo avanti da fare.

D. – Lei è a Taranto, dove c’è la l’Ilva: secondo lei si riuscirà a salvaguardare ambiente, occupazione e sviluppo?

R. – In tutta la questione, un passo irrinunciabile è la difesa della salute, la difesa dell’ambiente, la difesa della vita. Questo è il patto irrinunciabile, perché finora abbiamo pagato un debito di vite, un debito che Papa Francesco nella Laudato si' chiama debito ecologico. Le due cordate per l’acquisizione dello stabilimento, dalle dichiarazioni che leggo dalla stampa, si propongono questa attenzione all’ambiente tanto che mi risulta che a livello di assegnazione sarà premiata la cordata che ha un migliore piano ambientale.

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Cile: vescovi preoccupati per le tensioni sociali e politiche

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Preoccupazione per “la grave tensione che si vive nel dibattito sociale e politico, soprattutto in quest’anno elettorale” è stata espressa dalla Conferenza episcopale cilena (Cech), nel comunicato finale della 113.ma assemblea plenaria, che si è svolta dal 24 aprile fino a ieri a Punta de Tralca.

Difendere la vita e la dignità umana e combattere la corruzione
I vescovi - riporta l’agenzia Sir - hanno rivolto un appello a non lasciarsi provocare, in un clima di aggressione, “che chiude le porte a ogni possibilità di fiducia”. Tra le questioni più delicate, hanno ribadito l’“opzione per la vita umana e la dignità della persona, oggi minacciata da iniziative che promuovono l’aborto come soluzione a situazioni di grande sofferenza umana che richiedono più comprensione e sostegno”. La Cech ha evidenziato la propria attenzione alle “diverse situazioni di corruzione nei diversi settori della società”, esprimendo inoltre la convinzione che “non possano essere trattati in modo frettoloso e sotto emotività temi rilevanti e prioritari come le pensioni, la riforma della scuola superiore e la situazione dei migranti, la quale richiede una nuova legge”.

Preoccupazione per la pace nel mondo
Nel comunicato i vescovi toccano anche altri importanti temi, ringraziando ancora il Papa per la recente visita ad Limina ed esprimendo preoccupazione per la pace nel mondo. In quest’ambito viene espressa “vicinanza al popolo venezuelano” mentre viene visto come “una luce di speranza” il cammino di pace che sta compiendo la Colombia.

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Belletti: per ripartire l'Italia deve investire sulla famiglia

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La mancanza di lavoro in un Paese è anche mancanza di investimenti, non solo sulle cose ma sulle persone. E l'Italia è un Paese che continua a non investire sulla famiglia, quindi sulle nuove generazioni, quindi sul suo sviluppo e sul suo futuro. E' il quadro che emerge dal recente rapporto Istat sul calo demografico: fra 50 anni l'Italia conterà sette milioni di residenti in meno. Tra le ragioni di questi dati, le difficoltà delle giovani coppie di mettere su famiglia. Il servizio di Michele Raviart

Entro il 2065 la vita media in Italia passerà da 80 a 86 anni per gli uomini e da 84 a 90 anni per le donne, con un numero di ultranovantenni che saliranno da 700 mila a un milione e mezzo. Le conseguenze di questo invecchiamento della popolazione sarà un saldo negativo tra decessi e nascite di 450 mila unità, con due morti ogni nuovo nato. Il risultato, sebbene l’indice di fertilità passerà da 1,34 figli per donna a 1,59 è che gli abitanti dell'Italia scenderanno dagli attuali 60 a 53 milioni. Non solo: aumenteranno i residenti del centro-nord e diminuiranno gli abitanti del sud. Stabile sarà l’apporto dei migranti, che ogni anno saranno tra i 270 mila e i 300 mila, mentre saranno tra i 6 e i 7 milioni gli italiani che emigreranno all’estero. Tutti dati che nel loro complesso disegnano uno scenario da “blocco demografico”, come spiega il prof. Francesco Belletti, direttore Centro internazionali di studi sulla famiglia:

R. – Abbiamo il  grande problema del blocco demografico, stanno arrivando alla condizione di età anziana le generazioni del boom demografico e questo è uno scenario che ci segnerà per molto tempo. La questione grave è che non c’è nessuna attenzione, nessun segnale di ripresa per quanto riguarda le nuove nascite. Non sono preoccupatissimo che ci sia qualche centinaia di migliaia di persone in meno nel prossimo futuro nel nostro Paese; quello che mi preoccupa è che gli anziani passeranno dal 22-23 al 30-35 percento e che i giovani e i bambini passeranno a percentuali minime. È questo che descrive una popolazione in regresso e che non ha progetto, che non ha futuro; un Paese che non riesce ad aiutare le persone ad avere figli, è un Paese che rinuncia a costruire il proprio futuro.

D. - Che politiche si possono implementare per cambiare questo trend?

R. - C’è bisogno di una doppia azione: una di tipo culturale ed una di tipo politico che sarebbe più semplice, basterebbe volerlo. Dal punto di vista culturale oggi è presente una forte tentazione nel dire: “Un figlio in più è un danno alla comunità” e non si riesce a far passare nei media, nella comunicazione, nel sentire comune della gente, che chi mette al mondo un figlio sta investendo sul proprio futuro e sul futuro di un intero popolo. Quando vedi una famiglia con tre o quattro figli, questa si sente dire: “Ma siete degli irresponsabili che li avete messi al mondo!”. Questo deve cambiare; è complicato, è un compito di comunicazione, di testimonianza che richiede tempi lunghi, ma non possiamo dimenticarcelo.

D. - E invece da un punto di vista strettamente politico, quali sono le misure da intraprendere?

R. - Dal punto di vista delle politiche è sorprendente che il nostro Paese sia stato paralizzato per tutti questi decenni. La Francia, la Svezia, la Germania, sono tutti Paesi che hanno in qualche modo messo mano a politiche attive per favorire la natalità. Da noi questo è un tabù. Le cose che facciamo in Italia sono una tantum, sono dei bonus, … Hanno tutte le parole delle precarietà. Invece ci sarebbe bisogno di politiche strutturali spostando le risorse economiche a sostegno delle giovani famiglie. Dovrebbe essere il primo passo della prossima legge di stabilità e della prossima legge finanziaria. Dobbiamo spostare soldi a sostegno di due giovani che decidono di mettere su casa, di mettere su famiglia e poi di aver un figlio. Se non facciamo questo, come altri Paesi hanno già fatto, resteremo condannati a questa marginalità dei giovani e delle famiglie con bambini piccoli.

D. - Dal rapporto emergono altri dati interessanti. Tra 50 anni la popolazione del Nord Italia aumenterà del cinque percento e scapito della popolazione del Sud, del Mezzogiorno. Sono così gravi gli squilibri socio-economici fra queste due parti dl Paese? 

R. - Non ci siamo neanche accorti che c’è stato un rovesciamento dei trend demografici: vent’anni fa le popolazioni del Sud erano più fertili, avevano più figli per famiglia, erano più giovani; oggi la popolazione del Sud è maggiormente in difficoltà. Quindi, è vero, questo è un trend segnalato dall’Istat per il prossimo futuro che dice che il Sud, oltre ad essere in difficoltà dal punto di vista dello sviluppo economico, della coesione sociale, è anche in difficoltà dal punto di vista della speranza. Noi siamo in una situazione in cui la fatica del sistema economico si scarica direttamente sull’impossibilità di pensare al futuro. Dovrebbe essere un allarme sociale che non ci fa dormire perché, di fatto, abbiamo - come dire - sterilizzato intere generazioni.

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Una reliquia di San Nicola di Bari andrà in Russia

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Dopo circa mille anni dall'arrivo a Bari, una reliquia di San Nicola, Patrono del capoluogo pugliese e uno dei Santi più venerati nella Chiesa ortodossa, andrà per la prima volta in Russia, dove rimarrà, prima a Mosca e poi a San Pietroburgo, dal 21 maggio al 28 luglio. Ad annunciarlo è stato l'arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, che farà parte della delegazione che accompagnerà la reliquia. Federico Piana lo ha intervistato: 

R. – Il tutto si deve all’incontro di Papa Francesco con il Patriarca ortodosso russo Kirill a Cuba il 12 febbraio del 2016. In quella circostanza il Patriarca di Mosca chiese la possibilità al Papa Francesco di avere, sia pur temporaneamente, un frammento di reliquia di San Nicola a Mosca. Bisogna considerare che per la Chiesa ortodossa russa in particolare, come anche per tutta la Chiesa ortodossa, oltre ovviamente che per la Chiesa cattolica, San Nicola ha un significato particolare; non solo sotto il profilo dell’ecumenismo ma sotto il profilo del Santo della carità, del Santo che ha protetto la Russia. Quindi la presenza delle reliquie a Mosca ha un valore storico. D’altronde, da quando le reliquie di San Nicola, le ossa di San Nicola sono state portate a Bari - in quella che noi festeggiamo come traslazione, da Myra, nell’attuale Turchia - non sono mai state spostate da Bari. Quindi l’evento storico si deve alla volontà di Papa Francesco di rispondere positivamente a questa richiesta del Patriarca di Mosca. Non dimentichiamo che si prevedono milioni di pellegrini russi, e non solo, che vadano prima a Mosca e poi a San Pietroburgo per venerare le reliquie di San Nicola.

D. - Quindi questo gesto potrà favorire ancora di più lo slancio ecumenico?

R. - Sì. Vorrei sottolineare che il 6 dicembre scorso, festa di San Nicola, è venuto a Bari il Patriarca Bartolomeo I. Sono stati due giorni intensissimi nei quali la sensibilità ecumenica di Bartolomeo I, il suo amore per Bari, si è reso molto evidente. Ora, che a distanza di pochi mesi, si verifichi questo altro momento che diventa un momento di comunione fra due Chiese cristiane, sia pure separate, mi sembra un segno veramente positivo che dobbiamo accogliere come un dono del Signore.

D. – Che rapporto c’è tra la Chiesa ortodossa russa e la città di Bari? C’è un rapporto intenso …

R. – Non solo intenso. I russi che vengono a Bari sono numerosissimi ogni anno. Non dimentichiamo che, dopo la Madonna, il Santo più venerato nella Chiesa orientale è San Nicola.

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Iraq: Caritas ceca apre ufficio a Mosul a sostegno dei civili

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“Mosul è stata distrutta. Più ci avvicinavamo al centro e più vedevamo distruzione. E cumuli di macerie e spazzatura tramutati in un parco giochi per bambini”. Così gli operatori umanitari della Caritas della Repubblica Ceca descrivono la situazione in Iraq. Sulla base di queste esperienze, Caritas ha deciso di aprire un ufficio direttamente a Mosul per offrire una più efficace assistenza alla popolazione locale che soffre.

Molte ong non possono raggiungere il campo di battaglia
 “Durante la nostra ultima visita siamo riusciti ad aiutare circa trecento famiglie, ma molte altre persone sono rimaste a mani vuote nonostante ci stessero solo chiedendo una bottiglia d’acqua da bere o un esame medico”, ha spiegato - citata dall’agenzia Sir - Helena Kotkova, coordinatrice degli aiuti umanitari presso Caritas Repubblica Ceca. La difficile situazione degli abitanti di Mosul è principalmente dovuta agli scontri tra i membri del sedicente Stato islamico e i soldati dell’esercito iracheno che stanno cercando di strappare ai gruppi jihadisti il controllo del territorio, per ristabilire la pace e la normalità. “Molte organizzazioni internazionali non possono raggiungere il campo di battaglia, ma noi ce l’abbiamo fatta grazie ai colleghi della nostra associazione partner, Rnvdo. L’ufficio locale della Caritas a Mosul è già stato registrato presso le autorità irachene. “Ci auguriamo di essere in grado di aumentare il sostegno e di rispondere più velocemente ai bisogni dei cittadini di Mosul e delle aree limitrofe”.

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Vescovi Polonia: Paese sia esempio di accoglienza in Europa

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“La Polonia è stata, è e deve continuare a essere in Europa e nel mondo simbolo di solidarietà, apertura e accoglienza”. Lo scrivono i vescovi nel documento “Il patriottismo cristiano”, elaborato dal Consiglio per le questioni sociali della Conferenza episcopale polacca. Il documento - riferisce l’agenzia Sir - è stato presentato il 28 aprile a Varsavia, dal presidente della Conferenza episcopale mons. Stanislaw Gadecki e del segretario generale mons. Artur Mizinski. Ancora prima della sua presentazione ufficiale, il testo ha trovato ampia risonanza nei media.

No al nazionalismo e all’egoismo che si chiude alle altre comunità nazionali
I vescovi, sollecitati da una “positiva” rinascita degli atteggiamenti patriottici nel Paese, osservano che “al contempo si possono scorgere delle posizioni opposte” generate “dall’egoismo individuale” e da quello “nazionale” che “si chiude davanti ad altre comunità nazionali e l’intera comunità umana”. “L’amor patrio è la concretizzazione del precetto universale dell’amore di Dio e dell’uomo”, ammoniscono, ricordando la tolleranza culturale e religiosa che per secoli ha caratterizzato la Polonia e che oggi è “ben percepibile a Monte Cassino”, dove al cimitero polacco giacciono insieme le salme di cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei e agnostici. “In Polonia - scrivono i vescovi - abbiamo bisogno di un patriottismo aperto alla collaborazione solidale con altri popoli, basato sul rispetto di altre culture”.

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I vescovi olandesi invitano i giovani a riflettere sul Sinodo 2018

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I vescovi dei Paesi Bassi hanno inviato alle diocesi e alle parrocchie il documento preparatorio al prossimo Sinodo (ottobre 2018) sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, con la richiesta ai gruppi pastorali di “discutere i temi al loro interno e con i giovani”. Le diocesi avranno il compito a fine giugno di preparare la sintesi delle risposte giunte dalle parrocchie per trasmetterle poi al segretariato della Conferenza episcopale olandese, che provvederà a redigere un unico documento da inviare alla Segreteria generale del Sinodo.

I giovani olandesi invitati a partecipare a un sondaggio
Inoltre, i vescovi olandesi - riferisce l’agenzia Sir - invitano i giovani a partecipare al sondaggio on line che da fine maggio sarà disponibile sul sito web del Sinodo. Secondo le cifre pubblicate a febbraio dall’Ufficio nazionale di statistica, la percentuale di giovani olandesi tra i 18 e i 25 anni che si considerano credenti è passata dal 48% del 2010 al 40% del 2015. Di loro, il 17% si dichiara cattolico, l'11% sono protestanti, l'8% musulmani. Tra i giovani cattolici, a frequentare settimanalmente la Chiesa è il 6%.

Anche i vescovi belgi interpellano i giovani per il Sinodo del 2018
Anche i vescovi del Belgio hanno messo on line un questionario rivolto ai giovani, per preparare la loro sintesi delle risposte delle parrocchie belghe al documento preparatorio del Sinodo, da inviare poi in Vaticano. In una lettera di accompagnamento al questionario, i presuli spiegano “che il parere dei giovani belgi e la condivisione delle loro esperienze sarebbero molto preziosi” per l’episcopato. (L.Z.)

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“Cavalieri e Principesse”, un libro sfata le mitologie gender

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"Cavalieri e Principesse, uomini e donne sono davvero differenti ed è bello così". E’ il titolo del nuovo libro del sociologo Giuliano Guzzo, pubblicato da Cantagalli. L'autore attinge a studi scientifici che avvalorano le differenze tra i due sessi fin dai primi mesi di vita. Un’analisi che mette a fuoco i vantaggi della complementarità tra maschile e femminile e che affronta il pericolo di quelle che Papa Francesco ha definito colonizzazioni ideologiche. Ascoltiamo Giuliano Guzzo al microfono di Marco Guerra:

 

R. – L’idea di scrivere “Cavalieri e principesse” è nata dalla mia constatazione che la differenza tra i sessi, tra maschio e femmina, tra uomo e donna, è oggetto oggi di una rimozione o addirittura di una contestazione rispetto a quelle che sono sempre state considerate le basi naturali della differenza tra uomo e donna. Io quindi ho cercato di verificare se davvero un fondamento naturale nei comportamenti, negli atteggiamenti, nel modo di pensare differente tra uomo e donna non ci sia e quindi sia tutto frutto di processi culturali, oppure se invece la natura conti.

D. – Cavalieri e principesse richiama anche l’immaginario dell’infanzia che ultimamente è stato accusato di essere fonte di stereotipi. Ovviamente, educare al genere neutro e cancellare ogni differenza tra sessi non è un mezzo per combattere le discriminazioni …

R. – Da un lato non esiste alcuna ricerca scientifica, sociologica, ad oggi che colleghi un’educazione maschile o femminile, anziché un’educazione neutra, all’insorgere di discriminazioni. Questa è un'ipotesi di lavoro da parte di alcuni, che però non ha nessun fondamento. Quello che invece dall’altro lato è molto chiaro è che l’identità maschile e femminile della differenza presente nella preferenza dei colori dei giocattoli a livello generale, chiaramente si manifesta già nella prima infanzia e quindi tutto ciò mette estremamente in crisi l’ipotesi che la differenza tra i sessi sia solo esito di condizionamenti esterni, sociali, educativi. Non è così e lo dimostrano proprio le ricerche condotte su bambini di due anni di vita o anche prima. Parlare di discriminazione come educazione maschile o femminile, significa dire una cosa che non ha alcuna base scientifica.

D. – Questo volume è frutto di tre anni di ricerche basate su studi scientifici. Che cosa dicono queste fonti?

R. – Dicono che la differenza tra maschio e femmina è una cosa interculturale, quindi si trova in tanti ambiti della vita adulta, ma anche dell’infanzia, in culture diverse tra di loro. Quindi, se fosse solo la cultura a determinare la differenza tra i sessi, questa dovrebbe essere modulata diversamente; invece, ricorre in culture diverse. Un’altra cosa che questi studi dicono in maniera molto chiara è che nonostante negli ultimi anni si vada incontro a una cultura sempre più egualitaria, sempre più per la parità tra i sessi – e giustamente – ebbene, nonostante tutto ciò la differenza tra i sessi rimane. La società va avanti, ma sia tra maschio e femmina nella vita adulta sia tra i bambini e le bambine la differenza tra i sessi rimane. Questo fa capire come non sia la cultura a determinare una differenza che ha anzitutto una base naturale.

D. – Esaltare le differenze invece che mortificarle è una cosa importante anche per valorizzare la persona …

R. – E’ chiaro che nel momento in cui si va a valorizzarle, non soltanto a livello individuale, chiaramente, ma anche a livello di relazione tra maschio e femmina si sottolinea che uomini e donne hanno nella conoscenza reciproca, che la loro differenza rende necessaria, hanno una straordinaria opportunità, dato che l’essere diversi significa anche essere complementari, e quindi trovare un completamento alla propria persona ma anche alla propria esistenza. Perciò, valorizzare la differenza significa ricordare l’importanza di un'alleanza e non di un conflitto tra maschio e femmina. Questo è un dato sicuramente importante che il mio libro “Cavalieri e principesse” tenta di mettere in luce.

D. – Quindi possiamo dire che è un compendio per affrontare questa sfida, questa colonizzazione ideologica che avanza in alcuni settori culturali …

R. – Sì. Il mio libro vuole ricordare che la differenza tra maschio e femmina non soltanto è visibile, cosa che tutti in qualche modo riconoscono, ma ha delle basi naturali. Chiaramente non c’è nessun determinismo biologico alla base del libro; tuttavia, la voglia di ricordare che la natura c’è e conta. Molti dicono: ricordare la differenza vuol dire incoraggiare la discriminazione. In realtà non è vero. Ricordare la differenza vuol dire un dato di natura, mentre la discriminazione è un dato di cultura – questo sì: solo di cultura – e totalmente ingiusto. Infatti nel mio libro chiarisco questa indebita sovrapposizione tra concetti diversi e distinti. Non dobbiamo mollare assolutamente sul piano della discriminazione, che dev’essere qualcosa di contrastato ovunque, ma al tempo stesso non dobbiamo farci abbindolare da chi confonde in maniera molto astuta ma poco fondata il termine discriminazione – che, ripeto, ha qualcosa di culturale – con il termine “differenza” che, a livello dei sessi, è anzitutto un dato di natura.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 121

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.