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Sommario del 02/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il Signore è capace di cambiare un cuore di pietra con uno di carne

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Il Signore intenerisca i cuori duri, che condannano tutto quello che è fuori dalla Legge. Così Papa Francesco nell'odierna Messa mattutina a Casa Santa Marta. Non sanno, dice, che la tenerezza di Dio è capace di togliere un cuore di pietra e mettere al suo posto, uno di carne. Il servizio di Debora Donnini

Santo Stefano è “un testimone di obbedienza”, come Gesù, e proprio per questo è stato perseguitato. Nell’omelia Francesco parte dalla Prima Lettura odierna, che narra il martirio di Stefano, e prosegue la riflessione sul fatto che il cristiano è un testimone di obbedienza. Coloro che lo lapidarono, non capivano la Parola di Dio. Stefano li aveva chiamati “testardi”, “incirconcisi nel cuore e nelle orecchie” e dire ad una persona “incirconciso”, nota il Papa, equivaleva a dirgli “pagano”. Francesco chiede quindi di riflettere sui diversi modi di non capire la Parola di Dio. Ad esempio, Gesù chiama i discepoli di Emmaus “stolti”, un’espressione che non è una lode ma non è così forte come quella che usa Stefano: i discepoli di Emmaus non capivano, erano timorosi perché non volevano problemi, “avevano paura” ma “erano buoni”, “aperti alla verità”. E quando Gesù li rimprovera, lasciano entrare le sue parole e il loro cuore si riscalda mentre coloro che lapidarono Stefano, “erano furibondi”, non volevano ascoltare. Questo è il dramma della “chiusura del cuore”: “il cuore duro”, dice il Papa.

Nel salmo 94 il Signore ammonisce infatti il suo popolo esortando a non indurire il cuore e poi, con il profeta Ezechiele, fa una “promessa bellissima”: quella di cambiare il cuore di pietra con uno di carne, cioè un cuore “che sappia ascoltare” e “ricevere la testimonianza dell’obbedienza”:

“E questo fa soffrire tanto, tanto, la Chiesa: i cuori chiusi, i cuori di pietra, i cuori che non vogliono aprirsi, che non vogliono sentire; i cuori che soltanto conoscono il linguaggio della condanna: sanno condannare;  non sanno dire: ‘Ma, spiegami, perché tu dici questo? Perché questo? Spiegami …’. No: sono chiusi. Sanno tutto. Non hanno bisogno di spiegazioni”.

Il rimprovero che anche Gesù gli rivolge è di aver ucciso i profeti “perché vi dicevano quello che a voi non piaceva”, ricorda Francesco. Un cuore chiuso infatti non lascia entrare lo Spirito Santo:

“Non c’era posto nel loro cuore per lo Spirito Santo. Invece, la Lettura di oggi ci dice che Stefano, pieno di Spirito Santo, aveva capito tutto: era testimone dell’obbedienza del Verbo fatto carne, e questo lo fa lo Spirito Santo. Era pieno. Un cuore chiuso, un cuore testardo, un cuore pagano non lascia entrare lo Spirito e si sente sufficiente in se stesso”.

I due discepoli di Emmaus “siamo noi”, dice il Papa, “con tanti dubbi”, “tanti peccati”, che tante volte “vogliamo allontanarci dalla Croce, dalle prove” “ma facciamo spazio per sentire Gesù che ci riscalda il cuore”. All’altro gruppo, a quelli che sono “chiusi nella rigidità della legge”, che non vogliono sentire, Gesù - ricorda il Papa - ha parlato tanto, dicendo cose “più brutte” di quelle dette da Stefano. E Francesco conclude facendo riferimento all’episodio dell’adultera, che era una peccatrice. “Ognuno di noi - sottolinea - entra in un dialogo fra Gesù e la vittima dei cuori di pietra: l’adultera”. A coloro che volevano lapidarla, Gesù risponde soltanto : “Guardate voi dentro”:

“E oggi, guardiamo questa tenerezza di Gesù: il testimone dell’obbedienza, il Grande Testimone, Gesù, che ha dato la vita ci fa vedere la tenerezza di Dio in confronto a noi, ai nostri peccati, alle nostre debolezze. Entriamo in questo dialogo e chiediamo la grazia che il Signore ammorbidisca un po’ il cuore di questi rigidi, di quella gente che è chiusa sempre nella Legge e condanna tutto quello che è fuori da quella Legge. Non sanno che il Verbo è venuto in carne, che il Verbo è testimone di obbedienza. Non sanno che la tenerezza di Dio è capace di spostare un cuore di pietra e mettere al suo posto un cuore di carne”.

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Plenaria Scienze Sociali: a rischio la democrazia se classe media tracolla

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“Laddove la classe media subisce dei tracolli, la democrazia partecipativa è messa in pericolo”. Lo afferma il comunicato a conclusione della Plenaria Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che si chiude oggi in Vaticano, presentato in Sala Stampa.  Dunque, serve valorizzare “le realtà intermedie basate sul principio di collegialità”. Alessandro Guarasci

Una società partecipativa non è un’utopia. Il documento della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali chiede "partecipazione, integrazione sociale e culturale e  lotta all'esclusione" e mette in rilievo che " lo scopo di includere le persone e le comunità nella  società non può essere perseguito con misure forzate o in maniera standardizzata”. Il lavoro in tutto questo è fondamentale, dice il Cancelliere della Pontificia Accademia, mons. Marcelo Sànchez Sorondo:

“Sono state fatte molte conquiste, però ancora ancora non siamo arrivati al punto di tenere conto nel lavoro della propria vocazione e delle proprie capacità. Questo sarebbe un’applicazione del principio della fraternità, che riconoscendo la propria eguaglianza nella propria dignità, tuttavia dà spazio per la diversità delle proprie vocazioni”.

Le ricchezze soprattutto negli Usa e in gran parte d’Europa sono concentrate sempre più in poche mani e il rischio è che una classe media sempre più povera dia il via ai populismi. Pierpaolo Donati, sociologo, docente all’Università di Bologna:

“Non è la diseguaglianza  che impedisce la partecipazione; occorre lottare piuttosto contro la povertà nel senso proprio della mancanza sia di risorse materiali sia di risorse spirituali, culturali, formative, educative, … per poter appunto fare in modo che le persone possano uscire dalla povertà o da situazioni di disagio”.

Altro obiettivo deve essere la libertà religiosa, ancora Donati:

“Dove non c’è libertà religiosa, tutte le forme di partecipazione sono critiche, sono in crisi. In sostanza, ad esempio, l’88 percento dei terroristi provengono da Paesi dove c’è repressione religiosa, dove non c‘è libertà religiosa. Da qui, quindi i grossi problemi”.

Per Paulus Zulu, docente dell’Università di Nathalm in Sudafrica, i sistemi politici hanno grosse responsabilità:

“With regard to social exclusion, of course there are also ...
Con uno sguardo all’esclusione sociale, anche in aree e differenze regionali, dove le maggiori cause di esclusione possono variare, queste esclusioni in particolare dipendono del tipo sistema politico in quanto maggiore distributore di risorse”.

La presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, la professoressa Margaret Archer, mette in luce la necessità di dotare le classi più povere degli strumenti per emanciparsi:

“All the century, the Twentieth century, the end of the Nineteenth century, ...
Nel ventesimo secolo e alla fine del diciannovesimo secolo le risposte ai più poveri tra i poveri sono state quelle relative all’approvvigionamento delle necessità di base per risolvere condizioni terribili. Il cibo è estremante essenziale, il vestiario che chiunque può raccogliere nelle parrocchie. Questo non significa abilitare alla partecipazione nella società; questo significa abilitare a fare del proprio meglio per sopravvivere. La vita è molto più della semplice sopravvivenza”.

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Sami Creta: visita del Papa in Egitto apre nuove vie di dialogo

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In Egitto, il viaggio del Papa ha dato nuovo coraggio alle forze che vogliono costruire la pace. In particolare, musulmani e cristiani si sentono più uniti nella lotta contro ogni estremismo. Grande incoraggiamento ha ricevuto anche la piccola comunità cattolica del Paese. Al microfono del nostro inviato in Egitto, Stefano Leszczynski, ascoltiamo in proposito la riflessione di Sami Creta, del Centro culturale dei Gesuiti di Alessandria: 

R. – La visita del Papa è stata molto significativa, è durata solo 27 ore ma è stata una visita ricca di valori e segni che aprono nuove vie di dialogo, danno nuovi occhi per vedere le cose e creare nuovi rapporti attraverso i diversi passi che ci sono stati: Al Azhar, la preghiera ecumenica, fino alla Messa nello stadio con migliaia di persone così contente che hanno festeggiato la Pasqua. Quest’anno non abbiamo festeggiato la Pasqua a causa degli attentati avvenuti in due diverse città. L’omelia del Papa ha parlato dei discepoli di Emmaus che scoprono camminando, pian piano, la luce di Dio, Gesù risorto. E’ questo che viviamo, qui, che vive la comunità cristiana in Egitto, pian piano, attraverso questa croce, dove ci sono attentati, dove ci sono problemi, scopriamo pian piano che c’è questa risurrezione attraverso tanti segni che possiamo vedere. E’ stata sempre così la Chiesa copta: è basata sul martirio e l’esperienza del deserto. Questa  è la storia copta da sempre.

D. – Come è cambiata secondo lei la percezione che i musulmani hanno dei cristiani dopo questa visita del Papa? 

R. – E’ una bella domanda! Sulla nostra pagina facebook della visita del Santo Padre in Egitto abbiamo avuto tantissime richieste per incontrare il Papa, per andare alla Messa… La visita del Vescovo di Roma, del Papa in Egitto, ad Al Azhar, è già in sé un grande evento, ma la personalità di Papa Francesco lo ha reso un evento ancora più forte: ci ha aperto più dimensioni di dialogo. Possiamo toccare già adesso, ma lo vedremo anche col tempo, i frutti di questo incontro molto importante. Voglio dire che questo cammino non finisce con l’incontro, ma che siamo solo all’inizio. Ci sarà bisogno di molto coraggio per andare avanti su questa strada e non dovremo avere paura di porre domande, di toccare argomenti magari sensibili, di criticare un po’ la storia. Abbiamo bisogno di questo e l’importante è che lo si faccia insieme.

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Tweet del Papa: collaborazione costruisce società migliori

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“Facciamo crescere la fraternità e la condivisione: è la collaborazione che aiuta a costruire società migliori e pacifiche”.

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Nuovo vescovo ausiliare nella Diocesi di Xuan Loc, in Vietnam

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Il Santo Padre ha nominato oggi vescovo ausiliare della Diocesi di Xuan Loc, in Vietnam, il rev. John Do Van Ngan, docente e vice-rettore del Seminario Maggiore Interdiocesano S. Giuseppe di Xuan Loc. Al rev. Do Van Ngan è stata assegnata la sede titolare vescovile di Buleliana.  

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Oggi in Primo Piano



Venezuela, Maduro: nuova Costituzione. Opposizione in piazza

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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro, in occasione del primo maggio, ha annunciato la convocazione di un’assemblea incaricata di redigere una nuova Costituzione, iniziativa rigettata dall’opposizione che ha invitato i cittadini a rifiutare di partecipare al processo. Francesca Sabatinelli 

Si riscriva la Costituzione. La richiesta di Maduro all’organo della sovranità del popolo è stata lanciata dal presidente ai suoi sostenitori riuniti nel centro di Caracas per la festa del primo maggio. Nello stesso momento, in altri quartieri della città, si sviluppavano manifestazioni di protesta da parte dell’opposizione con la richiesta di elezioni anticipate, che mettano fine al sistema politico del presidente, proteste che sono sfociate in scontri con le forze di sicurezza.

Maduro convocherà un'assemblea incaricata di redigere una nuova Costituzione che vada a sostituire quella del 1990, adottata da Chavez. Secondo lui dovrebbe trattarsi di una assemblea che sia una “costituente del popolo” e non “dei partiti politici”.  Una parte dei 500 membri quindi sarà eletto da diversi settori della società, compresi pensionati e minoranze. Immediato il ‘no’ dell’opposizione che accusa Maduro di proseguire il suo colpo di stato contro il Parlamento.

Intanto, otto Paesi latinoamericani - Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Perù, Paraguay e Uruguay - hanno sottoscritto un appello comune nel quale si associano alla presa di posizione di Papa Francesco al Regina Coeli di questa domenica sulla necessità di ricercare al più presto "soluzioni negoziate" per la crisi politica e istituzionale in Venezuela.

"Siamo d'accordo con Papa Francesco che occorre fare tutto il possibile per il Venezuela, ma con le garanzie necessarie'", si legge nel documento degli Otto, definendo anche le condizioni per un dialogo politico a Caracas: "che cessi la violenza, si ripristini la piena funzionalità dello Stato di diritto, si liberino i prigionieri politici, si restituiscano le prerogative dell'Assemblea Nazionale e si definisca un calendario elettorale".

Da parte sua, il Tavolo dell'Unità Democratica (Mud, coalizione di opposizione) si dice non più disponibile al dialogo con il governo del presidente Maduro, perché non ritenuto più credibile: l'unico sbocco possibile - sottolinea -  sono le elezioni al più presto.

Ma come interpretare la decisione del presidente Maduro? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Roberto Da Rin , esperto di America Latina del Sole 24 Ore: 

R. – Direi un’ulteriore provocazione o forse una modalità di comunicazione per alzare ulteriormente i toni dello scontro. L’annuncio è stato quello della riforma della Costituzione, una riforma che evidentemente stralcia quella precedente, confermando  più poteri al presidente e delegittimando ulteriormente il Parlamento. Naturalmente la reazione dell’opposizione è stata violenta e quindi siamo di nuovo allo scontro frontale.

D. - In questo modo il Venezuela non rischia ancora di più di isolarsi, soprattutto sul piano internazionale?

R. - Certamente rischia di isolarsi, ma non va dimenticato che, mentre a livello regionale sono sempre di più i Paesi che hanno preso le distanze dal governo Maduro, ad esempio la Colombia e il Brasile con cui c’è il maggiore interscambio commerciale, lo scenario della politica internazionale è molto più complesso, perché gli Stati Uniti stanno apertamente con l’opposizione, ma Cina e Russia appoggiano il governo di Caracas. Quindi è facile capire quanto si possa prefigurare uno scontro a livello internazionale, che va ben oltre l’America Latina.

D. - A questo punto è pensabile che la protesta di piazza continui, purtroppo con altra perdita di vite umane …

R. - Ovviamente questo non lo sappiamo e speriamo di no, ma gli scontri tra i manifestanti pro-governo e anti-governo sono quotidiani, quindi di sicuro i toni in questo momento sembrano non abbassarsi.

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Hamas accetta Stato palestinese entro i confini del '67

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L’organizzazione palestinese Hamas, al potere nella Striscia di Gaza, ha approvato una modifica del suo programma politico e ha accettato la creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. E’ la prima volta che il movimento prende una decisione del genere, nel tentativo di rompere il suo isolamento internazionale. Ad annunciare la novità è stato, ieri in Qatar,  Khaled Meshaal, leader della fazione islamica in esilio. La dichiarazione di Hamas è 'solo fumo negli occhi',  è stata la reazione del  governo israeliano. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Ispi: 

R. - Pur essendo un importante passo in avanti, significa che Hamas sta attuando una risposta tattica in una situazione di difficoltà. Si trova internamente in una situazione di difficoltà politica perché vi sono nuove forze che contestano l’attuale leadership. Vi sono forze sempre più radicali, tra cui anche piccoli gruppi legati, in alcuni casi, all’Is, che contestano l’attività di Hamas, e che danno vita aD una corsa al radicalismo interno. Allo stesso tempo, dimostra le difficoltà della stessa leadership di Hamas nel reperire risorse per dare vita aD un rilancio della zona, che è assolutamente disastrata dopo la guerra del 2014. Possiamo dire però che, almeno dal punto di vista simbolico, sicuramente è una svolta. Poi però bisognerebbe capire realmente qual è la volontà della leadership e dei gruppi collegati perché si porti avanti un reale processo di pace israelo-palestinese.

D. – Immaginare una svolta nelle relazioni israelo-palestinesi è quasi impossibile, allo stato dei fatti…

R. – Impossibile no, in Medio Oriente quel che vale oggi non vale domani. Di sicuro possiamo dire che Israele ha accolto con molto scetticismo l’annuncio di Hamas. E allo stesso modo anche l’Anp è stata molto tiepida. È chiaro che vi sono diversi piani paralleli di scontro anche tra questi tre attori. L’annuncio dice che Hamas riconosce i confini post ’67, ma non riconosce lo Stato di Israele. Quindi, da questo punto di vista, c’è un’impossibilità di dialogo, diciamo così. Allo stesso tempo, però, Hamas dice che rinuncia al concetto di Palestina storica – cosa che invece l’Anp ancora richiede – riconoscendo i confini del 1967: la Cisgiordania attuale e la Striscia di Gaza. Quindi, ci sono situazioni tali per cui è difficile mettersi realmente a dialogare se le posizioni di partenza sono così distanti. Allo stesso tempo, però, nulla ci vieta di sperare che le situazioni possano evolvere positivamente.

D. – Ciò che nel documento di Hamas viene anche specificato è che non rinuncia alla lotta contro quello che chiama "progetto sionista", ma non è contro la religione ebraica…

R. – È interessante questa prospettiva, perché da un certo punto di vista cambia anche un po’ il paradigma del confronto. Non riconosce più Israele come uno Stato ebraico, quindi contro una popolazione, ma la definisce una “forza occupante”: quindi è un implicito riconoscimento di uno Stato, pur non essendoci realmente. Questo significa che probabilmente a questo punto Hamas intende portare avanti una sorta di confronto-scontro con Israele, isolando allo stesso tempo una parte del dialogo palestinese fatto dalla Anp, e da Fatah in particolare. Quindi vi sono diversi punti di incontro e scontro, tesi a indebolire diverse parti collegate in questo contesto politico.

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Grecia, raggiunto un accordo preliminare con Ue e Fmi

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Dopo mesi di negoziati la Grecia ha raggiunto un accordo con i suoi creditori dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale. Il 22 maggio si terrà una riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurozona per approvare l'intesa. Il governo Tsipras ha accettato una serie di dure richieste ma il ministro degli Esteri Tsakalotos ha dichiarato che se la Grecia raggiungerà gli obiettivi fissati, potrà attuare misure per alleviare l’austerità. Giorgio Saracino ne ha parlato con Francesco De Palo, giornalista freelance e direttore di 'mondogreco.net': 

R. - Il governo Tsipras di fatto ha ceduto su tutti i punti nei confronti della Troika: in sostanza ha accettato i quattro memorandum in toto; quindi abbiamo una sblocco della trance di sette miliardi di prestiti che la Troika concede ad Atene, che però deve restituire 7,4 miliardi entro il prossimo giugno. Il governo Tspiras ha deciso di fare un ulteriore taglio alle pensioni (parliamo di una media del 9%, ma arriva anche al 18%); un altro aumento delle tasse; aperture domenicali dei negozi e c’è la discussione sui farmaci senza prescrizione che dovrebbero esser vendibili nei supermarket. In cambio ha ottenuto soltanto la possibilità, quindi neanche la certezza, che in occasione del prossimo Eurogruppo che sarà il 22 maggio si apra finalmente la discussione sulla riduzione del debito ellenico.

D. - Quali potranno essere i problemi derivanti da questi accordi?

R. - Il problema è a medio - lungo termine. Il capo dell’ufficio legislativo del bilancio della Camera ha detto che queste misure di austerità - quindi tagli ai salari, tagli alle pensioni, aumento della pressione fiscale - avranno come unico risultato quello di mortificare ogni tentativo di crescita del Pil, scoraggiando quindi lo sforzo relativo ai nuovi investimenti. La Grecia subisce un nuovo accordo che non porta in cassa alcun beneficio se non ulteriori tagli, ulteriori sforbiciate a stipendi e pensioni e non c’è un euro di investimento per nuove forme occupazionali.

D. - Ed è questo il comportamento che potevamo aspettarci?

R. - Questo è un governo di sinistra, ma sta facendo politiche che non sono né di destra, né di centro, né di sinistra. Oggi, dire “sì” a questo accordo significa schiacciare, ancora una volta, il ceto medio e il ceto povero. La popolazione è scontenta semplicemente perché Tsipras è stato eletto con frasi come: “La Troika è morta”, “Sconfiggeremo l’austerità”, “La parola passa al popolo”, “Vince la democrazia” … quindi il popolo dovrebbe stare meglio. Tutte frasi che, sappiamo bene, sono attuabili fino ad un certo punto. Il Fondo Monetario Internazionale ha detto due settimane fa che il debito greco è aumentato.

D. - Quale sarà il futuro della Grecia?

R. - L’impoverimento ancora maggiore. Io vedo il territorio svenduto non in una logica di privatizzazioni per dare utili e per fare occupazione, ma una logica di 'svendita dei gioielli di Stato'. Il problema è legato semplicemente al patriottismo: qui non c’è una politica che pensa al futuro della Grecia, non c‘è una seria programmazione lungimirante. Quindi il Paese non potrà continuare ad esser svuotato dei suoi talenti. Questo è un Paese che sta continuando ad esportare forza lavoro: dalla Grecia se ne stanno andando fior di professionisti. La tragedia è questa: si sta sventrando un tessuto sociale.

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Giornata libertà stampa. Giulietti (Fnsi): vicini ai giornalisti turchi

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#NoBavaglioTurco, è lo slogan del sit-in che si è svolto questa mattina a piazza Montecitorio, a Roma, animato dalla Federazione nazionale della Stampa, UsigRai, Amnesty International Italia e tante altre organizzazioni, e con il sostegno delle associazioni di categoria europee ed internazionali dei giornalisti. La manifestazione si è tenuta alla vigilia della Giornata mondiale della libertà di stampa sul tema “Menti critiche per tempi critici, il ruolo dei media per una società migliore, pacifica, giusta e inclusiva”. Sulla situazione in Turchia, Marco Guerra ha intervistato il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), Giuseppe Giulietti

R. – Siamo qui per ricordare i 150 giornalisti turchi che sono in carcere. Loro hanno mandato un messaggio dalle carceri, dicendo: “Non spegneteci, non oscurateci, dateci voi voce e continuate a gridare ‘No al bavaglio turco’, chiedete la nostra scarcerazione”. E per questo, con tantissime associazioni diverse siamo davanti alla Camera dei Deputati, e poi incontreremo i presidenti della Camera e del Senato per consegnare loro questo appello e chiedere che le autorità internazionali ed europee trovino una posizione comune sulla Turchia, e soprattutto sul ripristino dei diritti civili e politici.

D. – Si è deciso di mettere a fuoco la situazione in Turchia. Oggi com’è la situazione della libertà di stampa, in questo Paese che rappresenta anche il confine dell’Europa?

R. – Questa è la grande preoccupazione ovviamente, anche perché la Turchia fa parte anche della Nato e ha ancora un dossier aperto con l’Europa: non è un Paese qualsiasi. La situazione è tragica: cresce il numero dei giornalisti arrestati e non solo dei giornalisti, ma anche di magistrati, scrittori, avvocati, studenti. Migliaia e migliaia sono all’interno delle carceri; sono stati chiusi pressoché tutti i media indipendenti da Erdogan; e la stessa commissione indipendente dell’Osce, che ha monitorato le elezioni, ha detto che non c’è stata libertà di accesso ai mezzi di comunicazione, e che le elezioni sono state alterate dalla censura: solo il 5 per cento dei tempi totali sono stati dati in TV agli oppositori di Erdogan, in occasione dell’ultimo referendum. Quindi è una situazione estrema, e questo ci ha spinto, peraltro, anche a presentare una mozione a livello internazionale dei giornalisti, che è stata approvata proprio questa notte, e nella quale si chiede a tutti i Paesi membri del sindacato internazionale dei giornalisti di dare voce alla protesta dei colleghi turchi, che non hanno più voce e che non possono parlare.

D. – Una situazione emersa  anche con l’arresto di Gabriele Del Grande, che era andato in Turchia per raccontare le storie dei flussi migratori: questo caso ci ricorda che la Turchia è uno snodo importantissimo anche per diverse vicende che stanno riguardando tutto lo scacchiere internazionale…

R. – Assolutamente sì.  Ma non è un problema solo dei giornalisti: è proprio il problema della collocazione strategica della Turchia, che può essere o una grande zona di dialogo, incontro e confronto tra le diversità o invece un grande luogo di cancellazione delle diversità. La manifestazione di oggi, come tante altre, non è contro il popolo turco, contro i turchi, contro chi prega in modo diverso da noi, ma è contro un governo oppressivo e il quale non fa distinzione alcuna, quando deve mettere in carcere, tra credenti, non credenti, giornalisti, scrittori, professori o magistrati.

D. – Come ha ricordato lei, la libertà di stampa è un mezzo importantissimo anche per proteggere il pluralismo e per raccontare un Paese. Abbiamo visto infatti che fin da subito alcune testate in Turchia sono state proprio colpite da provvedimenti repressivi…

R. – Non c’è dubbio. Quando si determina un regime, qualunque punto di vista diverso da quello del capo e della sua cerchia deve essere espresso; e quindi le minoranze religiose, le minoranze sociali, le minoranze etniche e politiche. Le minoranze diventano un problema e un fastidio, ma le democrazie vivono del rispetto delle diversità. In Turchia si stanno cancellando le diversità, e dunque anche le diversità religiose; e per questo bisogna far sentire la nostra voce con forza, costanza e senza alcun timore.

D. – Quindi è una lezione, quella dei giornalisti turchi, che parte appunto dalle carceri ma arriva a tutta la stampa libera dell’Occidente e del mondo…

R. – Certamente, anche perché non dimentichiamoci che non c’è solo la situazione turca; ma basti pensare alla situazione dei giornalisti in Siria, Egitto, Eritrea, Somalia, in Venezuela in queste ore; senza dimenticare purtroppo quei giornalisti italiani costretti a vivere sotto scorta nelle zone di mafia e camorra. E domani infatti, 3 maggio, Giornata internazionale della libertà dell’informazione, noi proseguiremo in questo viaggio. Oggi, per gridare “No al bavaglio turco”, ma domani anche per chiedere una grandissima attenzione nei confronti di quei giornalisti che operano contro mafia e camorra e che spesso sono costretti a vivere sotto scorta.

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India: cattolici di Mumbai indignati per demolizione croce

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Nonostante la tenace opposizione della comunità cattolica locale, le autorità municipali di Mumbai, in India, hanno demolito una croce in Bazaar Road, nel quartiere di Bandra.

Il card. Gracias condanna la demolizione come una provocazione
Dura la condanna dell’arcivescovo della città, card. Oswald Gracias, che all’agenzia Asianews parla di un’azione “illegale” e di una “provocazione”. L’antica croce, risalente a più di 100 anni fa, afferma, “sorgeva sul muro di una proprietà privata. Essa non era elemento di disturbo per nessuno e non recava alcun danno”, oltre ad aver avuto un significato “storico e religioso importante”.

Ultimo di una serie di episodi contro i simboli religiosi cristiani in India
La demolizione è avvenuta il 29 aprile scorso ed è solo l’ultimo di una serie di episodi di intimidazione contro i cristiani e i loro simboli religiosi avvenuti di recente nella città: a febbraio una statua della Vergine Maria era stata vandalizzata e decapitata; a metà aprile una croce era stata profanata con una ghirlanda di pantofole attorcigliate al corpo di Cristo.

Un contenzioso che risale al 2010
Il contenzioso sulla croce di Bazaar Road risale al 2010, quando contro di essa fu stato presentato un esposto di fronte all’Alta Corte di Mumbai. Le gerarchie ecclesiastiche lamentano che la distruzione sia avvenuta nonostante esse avessero prodotto i documenti richiesti da Sharad Ughade, il commissario incaricato della vicenda. Tali carte attestano che la croce era situata nel terreno privato di un cristiano, in possesso di tutti i permessi previsti per le strutture religiose.

I cattolici mobilitati contro la demolizione
Contro la decisione della municipalità si sta mobilitando la comunità cattolica locale che ha eretto una nuova croce di fortuna. Secondo il card. Gracias, la demolizione “ha ferito non solo il nostro sentimento religioso ma anche quello di tutte le altre fedi. Tali azioni non sono un bene per la nostra città e per il nostro Paese. Esse - conclude il porporato - minano l’armonia comunitaria e l’integrazione sociale e religiosa”. (L.Z.)

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I circensi italiani: lo stato ci garantisca maggior aiuto e spazi

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Questa mattina, in piazza della Rotonda a Roma si è svolta la protesta degli artisti circensi italiani contro il Disegno di legge che prevede l'eliminazione degli  animali dai circhi, in discussione in questi giorni al Senato. Nel mondo circense italiano attualmente lavorano circa 5000 persone,  in oltre 100 circhi, che portano i loro spettacoli in giro per l’Italia e all'estero. Il servizio di Marina Tomarro

Protesta da parte del mondo circense sul Disegno di legge che vede al  centro del provvedimento, la possibilità di annullare i contributi per le manifestazioni circensi e il divieto di utilizzare animali. Di fronte a questa probabilità grande è lo sconcerto e la delusione degli addetti ai lavori. Come commenta Vinicio Togni rappresentante dell’omonimo circo.

R. – La nostra  è una manifestazione educata e pacifica, perché il Circo porta gioia anche in manifestazioni come questa  per avere diritti e tranquillità, soprattutto lavorando seriamente, cosa che purtroppo noi non abbiamo: non ci sentiamo sicuri, assolutamente. Infatti abbiamo - malgrado che siamo delle aziende a tutti gli effetti regolari, super-organizzate -  paura dell'incertezza, perché ci possono fermare il lavoro, ci possono ostacolare, cose che non dovrebbero avvenire. Le nostre attività sono controllatissime, sono regolari – abbiamo tutti i permessi per dare spettacolo - perciò dovremmo lavorare tranquilli ma non lo siamo perché ogni mattina c’è una novità che ci riguarda. Il Circo non è fatto solo di questi animali, di cui si parla tantissimo; è fatto anche di tantissime persone, famiglie che ci lavorano e lavorano con grande rispetto.

E  da parte dei circensi forte è la richiesta di un maggiore aiuto da parte dei comuni, dove portano i loro spettacoli. Ascoltiamo il commento di Armando Orfei direttore del Circo “Armando Orfei Revolution”

R. – Protestiamo oggi, perché sono anni che ci battiamo per avere degli spazi per fare i nostri spettacoli e per portare i nostri animali in luoghi decenti, cosa che assolutamente non avviene. Le aree dove piazziamo sono tutte aree di fortuna, aree private che paghiamo tanti soldi, mentre c’è una legge dello Stato secondo cui ogni comune dovrebbe avere uno spazio per ospitare uno spettacolo viaggiante: cosa che non avviene.

D. – In che modo lo Stato italiano potrebbe aiutarvi di più?

R. – Chiediamo solamente di lavorare onestamente e di avere spazi adeguati per fare la nostra attività, che portiamo avanti da secoli.

Grande soddisfazione invece su questo Disegno di legge da parte del fronte animalista, in particolare dalla Lega Antivivisezione, che da molto tempo lotta per la revisione della norma, a favore del rispetto delle esigenze di benessere e cura degli animali.

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Vescovi Portogallo: impegno per reinserimento sociale detenuti

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Al termine della 191.ma Assemblea plenaria, la Conferenza episcopale portoghese (Cep) ha emesso un comunicato nel quale è stato fatto “il punto della situazione riguardante l’attività religiosa, giuridica e sociale svolta della Chiesa negli istituti carcerari di tutto il Paese”. Dal testo, ripreso dall’agenzia Sir, si apprende che attualmente l’azione della pastorale penitenziaria riguarda “50 stabilimenti di pena, dove si trovano rinchiusi circa 14 mila detenuti”. Inoltre, dall’analisi dell’esperienza operativa emerge che “insieme alla prevenzione della reiterazione dei crimini, la risocializzazione dei detenuti costituisce una delle maggiori sfide della giustizia portoghese”.

Vitale il reinserimento nella vita attiva
A parere dei vescovi, risulta “assolutamente vitale incentivare la creazione di iniziative che favoriscano il reinserimento nella vita attiva delle persone che hanno scontato la pena nel periodo immediatamente successivo alla loro liberazione”. Al fine di espletare nel miglior modo possibile la propria missione secondo tale prospettiva, la Cep ha quindi deciso di dotare il settore della pastorale penitenziaria di ulteriori risorse economiche, che consentano anche una diversificazione e un miglioramento degli strumenti operativi. In particolare, i vescovi hanno evidenziato “la necessità di una maggiore formazione e un più accurato accompagnamento degli agenti pastorali, dei collaboratori e dei volontari”, per il cui reclutamento è infine auspicata “la costituzione di un servizio specifico in tutte le diocesi”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 122

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.