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Sommario del 04/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: riforma dei media vaticani per comunicare Vangelo a tutti

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Comunicare il Vangelo a tutti con i media che il “nuovo contesto culturale digitale mette a disposizione” dei contemporanei”: è l’indicazione che Papa Francesco ha dato ai partecipanti alla prima Assemblea Plenaria della Segreteria per la Comunicazione, ricevuti oggi e guidati dal prefetto mons. Dario Viganò. Francesca Sabatinelli

Comunicare il Vangelo della misericordia a persone di diverse culture, utilizzando i nuovi media digitali. E’ questo che sta a cuore al Papa, e lui stesso lo indica ai membri della Plenaria, ricevuti a poco meno di due anni dalla creazione della Segreteria per la Comunicazione, dicastero voluto da Francesco “per un nuovo sistema comunicativo della Santa Sede”:

“Questo Dicastero, che compirà due anni il prossimo 27 giugno, due candele, si presenta in piena riforma, e non dobbiamo avere paura – questa parola eh! – riforma non è imbiancare un po’ le cose, riforma  dare un’altra forma alle cose, organizzarle in un altro modo. Si deve fare con intelligenza, con mitezza, ma anche, anche, c’è un po’ per me, permettetemi la parola, un po’ di violenza, ma buona, della buona violenza no? A riformare le cose no? E’ in piena riforma, dal momento che è una realtà nuova che sta muovendo ormai passi irreversibili. In questo caso, infatti, non si tratta di un coordinamento o di una fusione di precedenti Dicasteri, ma di costruire una vera e propria istituzione ex novo, come scrivevo nel Motu proprio istitutivo”.

Il ripensamento del sistema informativo della Santa Sede, sottolinea Francesco è nato “dall’esigenza della cosiddetta ‘convergenza digitale’ “. Se nel passato “ogni modalità comunicativa aveva i propri canali” e “ogni forma espressiva aveva un proprio medium”, oggi “queste forme di comunicazione sono trasmesse con un unico codice che sfrutta il sistema binario”:

“In questo quadro, dunque, “L’Osservatore Romano”, che dal prossimo anno entrerà a far parte del nuovo Dicastero, dovrà trovare una modalità nuova e diversa, per poter raggiungere un numero di lettori superiore a quello che riesce a realizzare in formato cartaceo. Anche la Radio Vaticana, da anni diventata un insieme di portali, va ripensata secondo modelli nuovi e adeguata alle moderne tecnologie e alle esigenze dei nostri contemporanei”.

Francesco, “a proposito del servizio radiofonico” loda “lo sforzo che il Dicastero sta compiendo nei confronti dei Paesi a poca disponibilità tecnologica”, come l’Africa, “per la razionalizzazione delle Onde Corte che non sono state mai dismesse”, sottolineando ‘mai dismesse’. Inoltre, in considerazione del fatto che a breve anche Libreria Editrice Vaticana, Tipografia Poliglotta Vaticana e Osservatore Romano entreranno a far parte del nuovo Dicastero, sollecita la disponibilità “ad armonizzarsi con il nuovo disegno produttivo e distributivo”:

“Il lavoro è grande, la sfida è grande, ma si può fare, si deve fare. La storia è, indubbiamente, un patrimonio di esperienze preziose da conservare e da usare come spinta verso il futuro. Diversamente essa si ridurrebbe a un museo, interessante e bello da visitare, ma non in grado di fornire forza e coraggio per il proseguimento del cammino. In questo orizzonte di costruzione di un nuovo sistema comunicativo, va collocato inoltre l’impegnativo sforzo di formazione e di aggiornamento del personale”.

Per arrivare al completamento della riforma, Francesco sollecita il contributo di tutti e invita a “procedere coraggiosamente”, ma sempre alla luce del criterio “apostolico, missionario, con una speciale attenzione alle situazioni di disagio, di povertà, di difficoltà”. In questo modo sarà possibile “portare il Vangelo a tutti”, “senza sostituirsi alla comunicazione delle Chiese locali e, al tempo stesso, sostenendo le comunità ecclesiali che più hanno bisogno”:

“Non lasciamoci vincere dalla tentazione dell’attaccamento a un passato glorioso; facciamo invece un grande gioco di squadra per meglio rispondere alle nuove sfide comunicative che la cultura oggi ci domanda, senza paure e senza immaginare scenari apocalittici”.

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Papa incontra Aung San Suu Kyi. Stabilite relazioni Santa Sede-Myanmar

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Papa Francesco ha incontrato oggi, in visita privata in Vaticano, il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, consigliere di Stato e ministro degli Esteri del Myanmar. A seguire l’annuncio della decisione presa di “comune accordo di stabilire relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica dell’Unione di Myanmar.

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Papa a Santa Marta: Chiesa sia in cammino, con gioia, in ascolto delle inquietudini

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La Chiesa sia in piedi e in cammino, in ascolto delle inquietudini della gente e sempre in gioia. E'  l'esortazione rivolta stamani da Papa Francesco nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Debora Donnini

“C’è un riassunto di tutta la storia della Chiesa” in questi primi otto capitoli degli Atti degli Apostoli: “la predicazione”, “il battesimo”, “le conversioni”, “i miracoli”, “le persecuzioni”, “la gioia e anche quel brutto peccato di quelli che si accostano alla Chiesa per fare i propri affari”, “quei benefattori della Chiesa che poi alla fine truffano la Chiesa” come Anania e Saffira. Parte da questa considerazione Papa Francesco nell’omelia a Casa Santa Marta e si sofferma sul passo proclamato oggi.  Prima aveva sottolineato che il Signore dall’inizio accompagnava i suoi discepoli, confermando la Parola con segni miracolosi. Non li lasciava mai soli, neppure nei momenti più brutti.

Francesco riflette in particolare su tre parole tratte dalla Prima Lettura odierna del capitolo ottavo degli Atti, invitando a rileggersi a casa, con tranquillità, questo stesso passo. La prima espressione è “Alzati e va”, rivolta da un Angelo a Filippo. “Questo – dice – è un segno dell’evangelizzazione”. La vocazione e la grande consolazione della Chiesa, infatti, è evangelizzare:

“Ma per evangelizzare, 'alzati e va'. Non dice: 'Rimani seduta, tranquilla, a casa tua': no! La Chiesa sempre per essere fedele al Signore deve essere in piedi e in cammino: 'Alzati e va'. Una Chiesa che non si alza, che non è in cammino, si ammala”.

E, prosegue il Papa, finisce chiusa con tanti traumi psicologici e spirituali, “chiusa nel piccolo mondo delle chiacchiere, delle cose … chiusa, senza orizzonti”. “Alzati e va, in piedi e in cammino. Così deve agire la Chiesa nell’evangelizzazione”, sottolinea.

“Va avanti e accostati a quel carro” è la successiva esortazione, che Filippo riceve dallo Spirito, e la seconda espressione che Papa Francesco evidenzia. Sul carro c’era un etiope - un proselito di religione ebraica, eunuco, venuto a Gerusalemme per adorare Dio - che mentre viaggiava, leggeva il profeta Isaia. Si tratta della conversione di un "ministro dell’economia” e quindi, rileva il Papa, di “un grande miracolo”. Lo Spirito esorta Filippo ad accostarsi a quell’uomo, nota Francesco che sottolinea l’importanza che la Chiesa sappia ascoltare l’inquietudine del cuore di ogni uomo:

“Tutti gli uomini, tutte le donne hanno un’inquietudine nel cuore, buona o brutta, ma c’è l’inquietudine. Ascolta quell’inquietudine. Non dice: 'Va e fa proselitismo'. No, no! 'Va e ascolta'. Ascoltare è il secondo passo. Il primo, 'alzati e va', il secondo 'ascolta'. Quella capacità di ascolto: cosa sente la gente, cosa sente il cuore di questa gente, cosa pensa … Ma pensano cose sbagliate? Ma io voglio sentire queste cose sbagliate, per capire bene dove è l’inquietudine. Tutti abbiamo l’inquietudine dentro. Il passo secondo della Chiesa è trovare l’inquietudine della gente”.

E’ poi l’etiope stesso che, vedendo avvicinarsi Filippo, gli domanda di chi stesse parlando il profeta Isaia e lo fa salire sul carro. Allora, “con mitezza”, Filippo comincia “a predicare”, evidenzia il Papa. L'inquietudine di quell'uomo trova così una spiegazione che riempie la speranza del suo cuore. "Ma questo – prosegue – è stato possibile perché Filippo si è accostato e ha ascoltato”.

Quindi mentre l’etiope ascoltava, il Signore lavorava dentro di lui. In questo modo l’uomo capisce che la profezia di Isaia si riferiva a Gesù. La sua fede in Gesù è quindi cresciuta a tal punto che quando sono arrivati dove c’era dell’acqua, chiede di essere battezzato. “È stato lui a chiedere il Battesimo, perché lo Spirito aveva lavorato nel cuore”, nota il Papa esortando quindi a lasciar lavorare lo Spirito nel cuore della gente. E quando, dopo il Battesimo, lo Spirito, “sempre presente”, prende Filippo e lo porta da un’altra parte, l’eunuco “pieno di gioia” prosegue la sua strada. La terza parola che il Papa sottolinea è quindi la gioia: “la gioia del cristiano”.

Papa Francesco conclude la sua omelia alla Messa a Casa Santa Marta auspicando che la Chiesa sia “in piedi”, “madre” “che ascolta” e, “con la grazia dello Spirito Santo”, “trova la Parola da dire”:

“La Chiesa madre che dà alla luce tanti figli con questo metodo diciamo – usiamo la parola – questo metodo che non è proselitista: è il metodo della testimonianza all’obbedienza. La Chiesa, che oggi ci dice: 'Gioisci'. Gioire, la gioia. La gioia di essere cristiani anche nei brutti momenti, perché dopo la lapidazione di Stefano scoppiò una grande persecuzione e i cristiani si sparsero dappertutto, come il seme che porta il vento. E sono stati loro a predicare la Parola di Gesù. Che il Signore ci dia la grazia a tutti noi di vivere la Chiesa così: in piedi e in uscita, in ascolto delle inquietudini della gente e sempre in gioia”.

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Presto cinque nuovi Beati. Tra i Venerabili, il card. Van Thuân

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La Chiesa avrà presto 5 nuovi Beati e 7 altri Venerabili Servi di Dio. Papa Francesco ha infatti ricevuto stamani il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione della Cause dei Santi, autorizzando il dicastero a promulgare i relativi decreti. Il servizio di Giada Aquilino

I miracoli
Quattro miracoli, un martirio e le virtù eroiche di sette Servi di Dio, tra cui figura anche il cardinale vietnamita Francesco Saverio Nguyên Van Thuân, scomparso quindici anni fa. Sarà Beato, secondo le indicazioni del Papa, Francesco Solano Casey, statunitense, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, vissuto tra il 1870 e il 1957. Definito "il cappuccino più noto tra gli americani", padre Casey amava e faceva amare Gesù, ascoltando tutti e invitando a confessarsi spesso, a ricevere la Comunione e a pregare per le missioni, rimanendo vicino ai poveri soprattutto durante la crisi economica del 1929. Diventerà Beata anche Maria della Concezione, al secolo Adelaide de Batz de Trenquelléon, francese, fondatrice delle Figlie di Maria Immacolata, vissuta tra il 1789 e il 1828. Nata in piena Rivoluzione francese, si consacrò a Maria Immacolata, votandosi all’assistenza dei malati, all’educazione e al catechismo per i più piccoli. Saranno presto Beate anche la tedesca Chiara Fey, fondatrice dell’Istituto delle Suore del Povero Bambino Gesù, vissuta tra il 1815 e il 1894, che dedicò la sua vita all’educazione e ai poveri, e l’argentina Caterina di Maria, al secolo Giuseppa Saturnina Rodríguez, fondatrice della Congregazione delle Suore Serve del Sacratissimo Cuore di Gesù, vissuta tra il 1823 e 1896: rimasta vedova, decise di seguire la vocazione religiosa, collaborando anche con San José Gabriel del Rosario Brochero. Di questi quattro Venerabili Servi di Dio è stato riconosciuto un miracolo avvenuto con la loro intercessione.

Il martirio
Sarà Beato anche Luciano Botovasoa, laico e padre di famiglia del Madagascar, del Terzo Ordine di San Francesco: ne è stato riconosciuto il martirio, essendo stato ucciso in odio alla fede nel 1947, per salvare gli abitanti del suo villaggio durante un’insurrezione.

Le virtù eroiche
Tra i nuovi Venerabili Servi di Dio, di cui sono state riconosciute le virtù eroiche, anche due figure di spicco della Chiesa del Novecento, il cardinale italiano Elia dalla Costa, arcivescovo di Firenze, scomparso nel 1961: durante la Seconda guerra mondiale si adoperò per salvare la popolazione da persecuzioni, sofferenze e devastazioni belliche, fino ad essere riconosciuto nel 2012 ‘Giusto tra le nazioni’; e il cardinale vietnamita Francesco Saverio Nguyên Van Thuân, morto nel 2002: fu creato cardinale da San Giovanni Paolo II, dopo aver trascorso molti anni, con profonde sofferenze, nelle carceri del suo Paese. Gli altri Venerabili Servi di Dio sono Giovanna Meneghini, fondatrice della Congregazione delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria, morta nel 1918; Vincenza Cusmano, prima superiora generale della Congregazione delle Serve Povere, vissuta nell’800; il laico Alessandro Nottegar, padre di famiglia, fondatore della Comunità Regina Pacis, scomparso nel 1986; la laica Edvige Carboni, nata nel 1880 e morta nel 1952; la laica Maria Guadalupe Ortiz de Landázuri y Fernández de Heredia, della Prelatura personale della Santa Croce e dell’Opus Dei, scomparsa nel 1975.

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I vescovi cubani dal Papa: Cuba aspetta più cambiamenti

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In udienza dal Papa stamane i vescovi cubani, in visita ad Limina, tra questi il presidente della Conferenza episcopale dell’isola caraibica, mons. Dionisio García Ibáñez, arcivescovo di Santiago de Cuba. Alina Tufani lo ha intervistato sull’importanza di questo evento, dopo la visita a Cuba di Francesco, oltre che in precedenza di altri due Papi, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e sulle nuove sfide da affrontare per la Chiesa

R. – “Sì, la visita del Papa a Cuba ha significado también un encontrarse con el pueblo cubano…”
Sì, il viaggio di Francesco ha significato anche un incontrarsi con il popolo cubano, perché le visite dei Pontefici a Cuba sono sempre state un incontro intenso della Chiesa con il popolo, attraverso il Papa e i pastori.

D. - Questa visita è stata anche importante per ristabilire dei rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba, al quale Papa Francesco ha dato un contributo rilevante. Qual è al momento la situazione a Cuba?

R. – “Cuba está esperando cambios. Está esperando cambios...”
Cuba sta aspettando cambiamenti. Sta aspettando cambiamenti! Alcuni procedono più velocemente di altri, ma, noi cubani, quali che siano le nostre idee personali, ci rendiamo conto che il popolo può vivere in migliori condizioni, spirituali e materiali, e che le cose devono cambiare.

D. Quali sono questi cambiamenti?

R. – “Cambios economicos y sociales que van juntos...”
Sono cambiamenti economici e sociali, che vanno necessariamente insieme. Si vorrebbe che fossero più rapidi perché migliori la situazione economica. Ci sono poi cambiamenti culturali che sono invece molto rapidi, soprattutto tra i giovani che hanno familiarità con i mezzi di comunicazione digitali e hanno un altro modo di pensare. Questo fa sì che il mondo entri a Cuba e che si conosca meglio la realtà di Cuba. Ci si aspetta anche un cambiamento politico: sono le strutture e soprattutto quelle legali che devono cambiare. Alcune cose sono cambiate: ad esempio la limitazione dei mandati delle persone che hanno incarichi pubblici. Si aspettano altri cambiamenti, perché una società non può rimanere paralizzata.

D. - Tante persone hanno pensato che l’apertura tra L’Avana e Washington avrebbe rappresentato anche un’apertura al mondo. C’è stata questa apertura?

R. – “Yo creo que el cambio cultural - como dije - ...”
Credo che il cambiamento culturale - come ho detto – sia quello più visibile, proprio grazie alla comunicazione. Adesso ci sono più possibilità di viaggiare all’estero e per i turisti è più facile venire a Cuba. Anche se ancora limitato, c’è un maggiore accesso della popolazione alle nuove tecnologie della comunicazione e questo produce un mutamento culturale che è la condizione per qualsiasi altro cambiamento, perché le persone possono cambiare i propri criteri di giudizio.

D. - Dopo tanti anni in cui è stato difficile professare la fede tutto questo ha portato mutamenti anche per la Chiesa. Quali sono oggi le sue sfide?

R. – “Hay una apertura, en el sentido de que hay una mayor comprensión del hecho religioso…”
C’è un’apertura, nel senso che c’è una maggiore comprensione del fatto religioso e quindi il popolo esprime la propria fede. Come pastori, vediamo che i cubani sono un popolo religioso, ma constatiamo anche che c’è poca formazione alla fede. Per noi vescovi è un problema difficile da affrontare. Tuttavia siamo una Chiesa creativa che è stata vicina al suo popolo e che adesso testimonia la sua fede.

D. - In questi anni c’è stata anche una crescita nel numero di missionari stranieri a Cuba, che è fondamentale per la formazione alla fede. La Chiesa cubana ha bisogno in questo momento di vocazioni?

R. –  “Claro que sì. Tenemos vocaciones, pero no lo suficiente...”
Evidentemente sì. Abbiamo vocazioni, ma non sono sufficienti. Grazie a Dio abbiamo missionari fidei donum, diocesani e religiosi, ma abbiamo bisogno di ancora di più. Ma vorrei dire che qualunque missionario che viene a Cuba e ha voglia di lavorare, ha tanto lavoro perché trova persone ricettive, di fede che hanno bisogno e vogliono che si parli con loro ed essere formate.

D. - Si è risolto questo problema dei visti e dei permessi di soggiorno?

R. –  “Esto ha cambiado mucho...”
La situazione è molto cambiata. Posso dire che adesso non ci sono più gli ostacoli di prima, perché quando un vescovo chiede un visto di ingresso per un missionario non incontra problemi.

D. - Una delle cose colpiscono è che la Chiesa cubana ha potuto recuperare non solo la possibilità di compiere la propria missione, ma anche spazi fisici: si sono aperte alcune chiese, sono state recuperate strutture  ecclesiastiche...

R. –  “Este proceso se ha solo iniciado...”
Il processo è solo all’inizio. E’ già una cosa molto positiva. In certe diocesi sono stati restituiti alcuni immobili, ma è un processo lento e si tratta di casi molto circoscritti. Stiamo lavorando con lo Stato perché dopo 50 anni in cui la popolazione è cresciuta possiamo avere gli spazi per il culto di cui abbiamo bisogno. Nell’attesa abbiamo case di preghiera, ossia, i fedeli mettono a disposizione delle proprie comunità le loro abitazioni per riunirsi. Non ci sono le chiese parrocchiali con le loro strutture pastorali, ma la Chiesa comunque vive.

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Tweet: lasciamoci sorprendere dalla novità che solo Cristo può dare

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Nuovo tweet del Papa: "Lasciamoci sorprendere dalla novità che solo Cristo può dare. Che la sua tenerezza e il suo amore muovano i nostri passi".

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Venezuela. Card. Porras: violenza aumenta, mai situazione così dura

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"Non ho mai visto una situazione così dura, temo che la violenza aumenterà". "Bisogna trovare una soluzione pacifica e non armata", così in un’intervista al Sir il cardinale Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida in Venezuela, che lo scorso 27 aprile ha riferito al Papa in Vaticano sulla situazione nel Paese latinoamericano. Il Papa – ha spiegato il presule – è molto preoccupato, cosi pure il cardinale Parolin è informato su tutto, ma quasi tutte le vie sono chiuse. La popolazione, ormai, è allo stremo per la mancanza di cibo e medicine. “Non si sa - ha detto il cardinale venezuelano - come trovare la strada per dare speranza alla gente. C’è tanta fame e mancano le medicine, non si vede la luce in fondo al tunnel”. “Mérida - ha ricordato il porporato - è una città universitaria di 200.000 abitanti”. “Ospitiamo la seconda e più importante università del Paese, per cui circa la metà sono giovani. Gli studenti organizzano continue manifestazioni, la repressione è pesante. Questa settimana ne sono morti due, la situazione è veramente difficile”. Ed un altro ragazzo è morto ieri a Caracas negli scontri tra polizia e manifestanti antigovernativi, mentre preoccupano le condizioni dell’oppositore in carcere Leopoldo Lopez, di cui non si hanno notizie certe da diverse settimane. Si segnalano inoltre le critiche all’operato del presidente Maduro pronunciate dal procuratore generale venezuelana, Luisa Ortega Diaz. Per un’analisi Marco Guerra ha intervistato Loris Zanatta, docente di Storia e istituzioni delle Americhe all’Università di Bologna: 

R. – Sì, le manifestazioni sono facilmente spiegabili, visto lo stato in cui versa il Paese e quindi sia la disastrosa situazione economica e sociale – con mancanza, addirittura, di mezzi di prima necessità – e lo stato di repressione politica, che esiste da molto ma che si è ulteriormente acuito negli ultimi tempi. Questa mobilitazione continua e la scommessa del governo è che cessi, perché spera che un po’ la violenza, un po’ i disagi inducano la piazza a placarsi. Però, l’alternativa alla piazza organizzata è l’anarchia, che già si vede, nel Paese, e che forse è persino peggio: è lo stato di anarchia, del si-salvi-chi-può, che già sta regnando in Venezuela.

D. – Ieri sono stati feriti due esponenti dell’opposizione, proprio nelle manifestazioni, mentre non si hanno più notizie di Leopoldo Lopez, esponente di spicco sempre dell’opposizione. Lo stato di diritto è compromesso, in Venezuela? E’ una democrazia ferita?

R. – Lo stato di diritto in Venezuela non c’è e in quanto alla democrazia, in Venezuela è una cosa morta anche questa. Sono cose che sono assolutamente da dire. Quando noi abbiamo un regime politico che prende il possesso totale del potere esecutivo, che praticamente tacita il Parlamento, impedisce all’opposizione politica non solo di manifestare ma, come ha fatto con Leopoldo Lopez, lo incarcera come molti altri ha incarcerati … Stiamo parlando di un regime che si ispira al castrismo e che quindi non pensa che l’alternativa al governo sia un’opzione, perché ritiene di incarnare l’unico popolo legittimo del Venezuela. Questo popolo è oggi notoriamente una minoranza, una minoranza anche piuttosto risicata, ma nonostante questo il regime continua – coerente con questa visione – a cercare di imporre, contro vento e marea, la sua visione.

D. – Intanto, si deteriorano le condizioni economiche: sappiamo che il Venezuela si reggeva sul petrolio. Qual è lo stato dell’economia venezuelana?

R. – Lo stato dell’economia venezuelana è disastroso, anzi è tragico ed è una cosa che grida vendetta e questo è bene che l’opinione pubblica inizi a comprenderlo. Non è il povero Venezuela che soffre del crollo dei prezzi del petrolio: no. Il problema è ben diverso, perché anche altri Paesi – nella stessa America Latina, a partire dalla Colombia – sono produttori di petrolio, ovviamente soffrono il crollo del prezzo del petrolio. Ma nessuno di essi è, come il Venezuela, in una recessione del 10 per cento del prodotto interno lordo, nessuno di essi ha una inflazione che oramai supera l’800 per cento … E’ successo che le politiche nazionaliste, protezioniste, che il governo chavista ha adottato negli ultimi 15 anni, nel momento in cui il Paese non ha avuto più  la florida situazione economica – perché il petrolio si è venduto per oltre 10 anni a 120 dollari il barile, circa – quella ricchezza è completamente sparita: non è stata investita, è stata sprecata, è stata usata per piani sociali molto ammirevoli ma totalmente insostenibili …

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Trump: vogliamo creare la pace tra israeliani e palestinesi

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“Vogliamo creare la pace tra Israele e i palestinesi e ci arriveremo”. Così il presidente degli Stati, Uniti Donald Trump, dopo l’incontro di ieri con il presidente palestinese Abu Mazen. Trump si propone come mediatore nel dialogo tra le parti, ma aggiunge che non ci potrà essere una pace durevole se i dirigenti palestinesi non condannano gli appelli alla violenza. Il presidente palestinese Abu Mazen condivide le speranze per un trattato di pace e conferma la soluzione dei due Stati con i confini del ’67, dice che i palestinesi riconoscono lo Stato di Israele, cui però ribadisce la richiesta di mettere fine all’occupazione delle terre palestinesi. Inoltre, nella dichiarazione al termine dell’incontro con Trump, il leader dell’Anp si dice fiducioso che israeliani e palestinesi saranno in grado di risolvere il problema dei rifugiati e dei prigionieri. Su questi nuovi spiragli di pace per il Medio Oriente Elvira Ragosta ha intervistato Camille Eid, giornalista libanese e collaboratore del quotidiano “Avvenire”: 

R. – Si aprono spiragli, ma non vorrei essere eccessivamente ottimista, perché si denota comunque una determinazione di Trump a trovare una soluzione al conflitto mediorientale, ma i contorni sono alquanto vaghi; non sappiamo se la soluzione sarà quella proposta dai palestinesi – la soluzione dei due Stati – e quali saranno poi i meccanismi. Trump si propone come mediatore, però sappiamo che la prima funzione o caratteristica di un mediatore è quella dell’imparzialità e finora Trump non ha dato abbastanza garanzie alla parte palestinese della sua imparzialità. Staremo a vedere perché è alla Casa Bianca da appena cento giorni. Quindi vedremo se ci saranno i passi successivi e se la quesitone palestinese soprattutto avrà la stessa priorità che ora ha la quesitone coreana o quell’Is sullo scacchiere mondiale.

D. - Quali potrebbero essere i passi successivi nel dialogo tra le due parti?

R. - Chiaramente la ripresa dei negoziati. Ci sono degli indizi che vanno in questa direzione, nel senso che nelle ultime settimane ci sono stati ripetuti incontri tra Mahmoud Abbas e il Re di Giordania o con il presidente egiziano Al Sisi. Quindi ci sono degli indizi su una ripresa dei negoziati quantomeno. Poi il fatto che Hamas abbia, non dico cambiato, ma rivisto la sua carta fondamentale riguardo i futuri confini dello Stato palestinese, potrebbe essere un’ulteriore indizio in questa direzione, per dire almeno che i negoziati tra Israele e Palestina devono partire da un’unica voce da parte palestinese, cosa che ha detto lo stesso Trump.

D. - Restano infatti difficili i rapporti tra Anp e Hamas. Quanto potrà influire questa situazione nella ripresa del dialogo?

R. - Tantissimo. Abbiamo menzionato il fatto positivo, quello della revisione quantomeno della carta fondamentale sui confini, che può essere sì una mossa strategica da parte di Hamas, però ho visto che i commenti all’incontro tra Trump e Abbas da parte di Hamas non sono stati proprio entusiasmanti, nel senso che hanno parlato di una perdita di tempo, di una scommessa persa, che Abbas non insiste troppo sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi … Insomma, ci sono molte questioni ancora da chiarire all’interno della questione palestinese.

D. - Da parte israeliana ci sono state delle dichiarazioni dopo l’incontro tra Trump e Abu Mazen...

R. - Ho letto i commenti. Si aspettano da parte americana delle pressioni, ma su questo avrei dei dubbi, e poi si aspettano, come una specie di compensazione, il promesso trasferimento dell’ambasciata americana – anche gradualmente - da Tel Aviv a Gerusalemme, così come aveva promesso Trump durante al sua campagna elettorale. Quindi si aspettano delle pressioni su entrambe le parti.

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Nigeria, mons. Bagobiri: piano per eliminare i cristiani nel Nord

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“Il numero di cristiani uccisi aumenta ogni giorno e le fosse comuni sono disseminate attorno a noi. Il Governo nigeriano non soltanto fa poco o niente per fermare questa ondata di terrore, ma ritengo fornisca anche le armi agli estremisti”. Mons. Joseph Bagobiri, vescovo di Kafanchan in Nigeria, torna a denunciare ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) le violenze contro i cristiani perpetrate da un gruppo islamista di pastori nomadi Fulani nello Stato settentrionale di Kaduna. Violenze in aumento in tutta la Nigeria e di fronte alle quali – accusa – le autorità sembrano complici.

Terroristi fulani vicini a Boko Haram
“Questa organizzazione ‘sorella’ della setta islamista Boko Haram – racconta - ha mietuto mille vittime soltanto lo scorso anno”. L’ultimo episodio si è verificato il 15 aprile ad Asso, vicino Kaduna, mentre in una chiesa aveva luogo la Messa del Sabato Santo. Alcuni pastori fulani hanno ucciso dodici persone di cui dieci cattolici. “Ma a fronte di tante vite spezzate – denuncia mons. Bagobiri – non è stato effettuato alcun arresto, nonostante i colpevoli siano stati identificati. Gli esponenti governativi, sia federali che statali, sembrano essere molto più in sintonia con gli assassini che con le vittime”.

La complicità delle autorità
Secondo il presule questo si può spiegare con il fatto che gran parte della classe politica nigeriana appartiene all’etnia fulani, senza contare che fulani sono “anche i responsabili della Dogana, dell’Immigrazione e del ministero degli Affari interni. Quindi è molto semplice per loro trafficare armi lungo le frontiere senza alcun impedimento. E data la natura sofisticata delle armi in loro possesso è facile sospettare che queste siano fornite ai terroristi dai loro amici al governo o nell’esercito”.

Portare l’azione degli islamisti all’attenzione della comunità internazionale 
L’attacco avvenuto il 15 aprile mostra infatti una perfetta pianificazione e l’utilizzo di risorse costose. “Ciò dimostra che il piano per la sistematica eliminazione dei cristiani è ben organizzato e finanziato”. Inoltre, il  presule denuncia come la ridefinizione dei confini dei collegi elettorali abbia avuto il fine di escludere i cristiani dalla politica. Mons. Bagobiri chiede quindi ad ACS di portare all’attenzione internazionale l’attività terroristica perpetrata dagli islamisti fulani: “È ora che il mondo ne sia a conoscenza” . (L. Z.)

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Vescovi della Bolivia: no all'introduzione dell'aborto

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I vescovi boliviani, riuniti nella loro 103.ma Assemblea ordinaria a Cochabamba, hanno diffuso martedì scorso, a conclusione dei lavori, un Messaggio nel quale trattano diversi temi di attualità ecclesiale e sociale. In particolare, dopo aver espresso la gioia per la Visita ad Limina, che si terrà il prossimo settembre, e vicinanza e solidarietà al popolo venezuelano, i presuli denunciano il crescente clima di “violenza e insicurezza nelle città”. Ricordano tra l’altro il fenomeno delle “pandillas”, vere e proprie bande armate urbane diffuse in vari Paesi dell’America Latina. Tra le piaghe che colpiscono il Paese anche “i morti sulle strade, i femminicidi, la sofferenza di tante donne per gli aborti e altri fatti dolorosi”. “Non ci stanchiamo di annunciare con Cristo Risorto – si legge nel Messaggio ripreso dal Sir - i valori del rispetto della vita e il senso di responsabilità che un’autentica convivenza umana chiede a ciascun cittadino”.

I vescovi boliviani: avanza cultura della morte e dello scarto
Nel documento i vescovi ribadiscono ancora una volta, riferendosi alla legge di riforma del Codice penale, attualmente in discussione, la loro inquietudine per “l’avanzare della cultura di morte e dello scarto”. La riforma prevede l’introduzione dell’aborto in diversi casi. Tra questi, quelli di povertà estrema della madre. Secondo i vescovi “il diritto alla vita è in linea con la Costituzione boliviana, con i valori dei popoli indigeni e del Vangelo. Di fronte a coloro che non vogliono accettare una vita che inizia, lo Stato può offrire la protezione di queste vite e un’altra famiglia”. Ancora, le imminenti elezioni giudiziarie sono “un’opportunità per riscattare l’amministrazione della giustizia nel Paese. Il nostro popolo, stanco per un sistema corrotto, lo sta chiedendo”.

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Presidenziali in Francia. Mons. Pontier: “Non esiste un voto cattolico”

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In Francia Emmanuel Macron, esponente del centrosinistra, e Marine Le Pen, rappresentante dell’estrema destra del “Front National” hanno partecipato ieri sera ad un acceso dibattito televisivo in vista del secondo turno delle presidenziali in programma il prossimo 7 maggio. Rispondendo ad alcune domande incentrate sulle presidenziali, il presidente della Conferenza episcopale francese e arcivescovo di Marsiglia, mons. Georges Pontier, ribadisce l’invito alla riflessione e al discernimento.
 
La Chiesa non si schiera
Le elezioni - sottolinea il presule  - sono una tappa importante nella nostra vita democratica e fanno parte di un processo che dovrebbe garantire la pace sociale, l'unità della nazione. Il ruolo della Chiesa – osserva - è, più che mai, quello di non schierarsi con l'uno o con l'altro candidato, ma di “ricordare ad ogni elettore ciò che la nostra fede ci chiama a prendere in considerazione”.
 
Prendere in considerazione criteri fondamentali
Nell’intervista, pubblicata sul sito della Conferenza episcopale francese, mons. Georges Pontier, sottolinea che è importante prendere in considerazione criteri fondamentali. Tra questi, il presule indica il rispetto della dignità della persona umana, l’accoglienza dell’altro, l’importanza della famiglia, la necessità di garantire la libertà di coscienza, l’equa distribuzione delle risorse, l’accesso al lavoro. Nessun programma – sottolinea – soddisfa però tutti questi criteri.
 
La responsabilità dei pastori
Ricordando che “non esiste un voto cattolico”, il presidente della Conferenza episcopale francese osserva che la ricchezza della Chiesa è legata anche alle differenze di pensiero e di opinione. Ma i vescovi – aggiunge mons. Pontier – devono garantire l’unità  ricordando che solo Cristo “è il nostro Salvatore e la nostra luce”. Ogni vescovo - spiega il presule - svolge la sua missione e valuta, in coscienza, cosa dire ai cattolici della propria diocesi. Si assume questa responsabilità.
 
E’ importante andare a votare
L’arcivescovo di Marsiglia ribadisce, infine, l’importanza del voto anche se “la tentazione dell’astensione può essere intesa come espressione di una grande insoddisfazione”. E’ importante continuare ad esercitare la propria “responsabilità civica”. La responsabilità del cittadino è grande. Non può ritirarsi. “Abbiamo la fortuna – spiega mons. Pontier - di vivere in una democrazia e la nostra voce conta”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Vescovi del Mozambico: la nostra terra venduta a stranieri

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È incentrata sulla salvaguardia del Creato e sulla tutela della terra la lunga Lettera pastorale che la Conferenza episcopale del Mozambico (Cem) ha indirizzato “alle comunità, alle famiglie cristiane ed alle persone di buona volontà”. Intitolato “Alla tua discendenza io darò questo Paese” (Gn 12,7), il documento episcopale si proietta sullo sfondo dell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’ sulla cura della casa comune” per ribadire, in primo luogo, che “la terra è uno strumento universale di creazione della ricchezza” e che il suo utilizzo “costituisce un diritto esercitato da tutto il popolo del Mozambico”.

Milioni di ettari di terra passati in gestione a stranieri
Purtroppo, dati alla mano, la Cem evidenzia che “dal 2000 al 2013, 56 milioni di ettari di terra africana sono stati venduti o passati in gestione a stranieri” perché “i governi dei Paesi industrializzati cercano di trovare in Africa una soluzione alla crisi energetica ed alimentare mondiale, senza necessariamente cercare di aiutare le problematiche africane”. Di qui, il richiamo dei vescovi a cercare “modelli locali di sviluppo” che siano davvero “autentici e giusti”.

Tutelare il diritto alla terra
Altro punto critico messo in luce dai presuli del Mozambico riguarda la tutela del diritto alla terra: “Il disconoscimento di tale diritto, infatti – si legge nel documento – costringe le comunità locali ad abbandonare le loro terre, favorendo così gli investitori privati” e distruggendo i sistemi di “agricoltura familiare”. Non solo: la Chiesa del Mozambico evidenzia che “in tutte le province del Paese stanno sorgendo conflitti a causa della terra, causati da grandi progetti di grandi imprese”.

Non emarginare o impoverire le comunità locali
Tanto più, prosegue il documento episcopale, che la legislazione nazionale vigente sulla gestione della terra prevede “uno sviluppo inclusivo ed armonioso tra investitori e comunità locali, in un processo che suddivide tra entrambe le parti responsabilità e benefici”. Il problema, allora, risulta essere “la non applicazione della legge da parte di coloro che dovrebbero farlo”, il che comporta “l’emarginazione e l’impoverimento delle comunità locali”.

Il sistema economico attuale uccide
La nota dei vescovi, poi, punta il dito contro “un modello economico sempre più capitalista-consumistico” che porta ad “un consumo di massa e, quindi, ad una produzione di massa implicante “un esaurimento rapido delle risorse naturali” ed “un’economia che uccide”, come dice Papa Francesco. Al contrario, i presuli richiamano l’importanza di avere, con la terra, “una relazione vitale”, poiché essa è “garanzia della vita della famiglia e della comunità”. Tanto più che nel Paese “il 70 per cento della popolazione vive in un ambiente rurale, a contatto con la natura”.

Manca un’ecologia integrale
Ma i punti critici, purtroppo, sono numerosi: i vescovi sottolineano “l’assenza di un’ecologia integrale e di un modelli di sviluppo che rispetti tutti, soprattutto le persone fragili; la mancanza di acqua potabile; la distruzione di foreste che comporta un cambiamento climatico”. E non solo, perché i poveri ed i disagiati “non hanno informazioni sui loro diritti, sono privi di potere economico per trovare soluzioni ai loro problemi, ignorano la loro capacità di mobilitarsi e non hanno mezzi di assistenza e protezione”.

Sì alla proprietà privata, secondo il principio di sussidiarietà
Al contempo, i vescovi del Mozambico sottolineano che “la Chiesa ha sempre difeso il diritto alla proprietà privata”, purché esso “non venga esercitato a detrimento del bene comune” e non sia inteso come “assoluto ed intoccabile”. La terra, infatti, è “data a tutti ed i suoi frutti devono essere a beneficio di tutti”, in linea con “il principio di sussidiarietà”. “La destinazione universale dei beni – prosegue la nota episcopale – spinge a coltivare una visione dell’economia ispirata a valori morali che non facciano perdere mai di vista l’origine e la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo uguale e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva”.

No all’idolatria del denaro
Il documento episcopale si conclude, quindi, con una serie di appelli a diversi attori della società: in primo luogo, si chiede a tutti di “non accettare un modello di sviluppo incentrato sull’idolatria del denaro”, colluso con “un’economia che uccide” a detrimento “della dignità umana e dei diritti comunitari”. Piuttosto, bisogna pensare a “consumare prodotti locali prodotti da agricoltori locali”, senza accettare “un modello di vita consumistico” o “una distruzione in massa di foreste, piante ed animali”. Di qui, il richiamo ad “educare le nuove generazioni ai valori” che aiutino a formare una società giusta.

I cristiani si impegnino alla solidarietà
In secondo luogo, i vescovi chiamano in causa i cristiani, affinché “non siano ciechi e sordi di fronte alla realtà sociale, politica ed economica del Paese, ma si impegnino per una solidarietà umana”. In quest’ottica, i presuli suggeriscono di organizzare, in ogni diocesi del Mozambico, dei “corsi di formazione sulla Dottrina sociale della Chiesa affinché ciascuno comprenda la sua missione”.

Mass-media siano portavoce delle istanze del popolo
Anche i sacerdoti, i religiosi e le religiose vengono chiamati in causa: a loro, viene richiesto di “avere il coraggio di riconoscere le situazioni di ingiustizia contro gli agricoltori e di agire in loro difesa”, mentre i mass-media sono esortati a “comunicare con amore per la verità, facendosi portavoce del popolo e megafoni delle loro preoccupazioni” . Gli insegnati e gli studenti, invece, vengono invitati ad “approfondire le conoscenze sul Creato, celebrando pubblicamente Giornate su questo tema e lottando contro tutti i tipi di inquinamento”, anche grazie ad una formazione che “non sia solo istruzione, ma anche attenzione ai valori ed agli atteggiamenti giusti”.

Politica stia lontana dalla corruzione
Ai politici cristiani, inoltre, viene ricordato che “il dovere di formarsi secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, per lavorare in modo responsabile ed etico, evitando qualunque forma di corruzione”. In vista del 2025, poi, anno in cui il Mozambico celebrerà i 50 anni di indipendenza,  i vescovi auspicano “una riforma agraria efficace che possa correggere gli impatti negativi causati nel Paese dalle politiche attuali”, permettendo alla popolazione di riconciliarsi e di distribuire equamente le ricchezze che Dio ha donato al Paese. La Lettera pastorale si conclude con un’invocazione a Maria, Madre di Misericordia. (I.P.)

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Polonia. Allo studio documento sulla pastorale coniugale

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La pastorale degli sposi e delle famiglie è stato il tema principale del Consiglio permanente dei vescovi polacchi, riunitosi martedì 2 maggio a Jasna Gora. L’incontro, come da tradizione ormai consolidata, si è svolto alla vigilia della festa nazionale dedicata alla Vergine Maria Regina della Polonia.

Attenzione all’accompagnamento delle persone che vivono un legame non sacramentale
Al termine della riunione - riporta l’agenzia Sir - mons. Jan Watroba, a capo del Consiglio per la famiglia della Conferenza episcopale, ha sottolineato che,  in conformità all’esortazione “Amoris laetitia”,  i vescovi intendono elaborare nei prossimi mesi un documento relativo alla pastorale coniugale e al discernimento e l’accompagnamento delle persone che vivono un legame non sacramentale. “Tutta la prassi pastorale deve essere riorganizzata per testimoniare nei confronti di quelle persone l’amore e la sollecitudine della Chiesa”, ha rimarcato il presule.

All’esame del Consiglio anche l’attuale situazione socio-politica in Polonia
Inoltre, i vescovi hanno esaminato l’attuale situazione socio-politica in Polonia, in relazione al recente documento sul patriottismo, considerato di grande rilevanza da parte di molti esponenti della società civile. Hanno poi ascoltato il resoconto del viaggio a Medjugorje dell’inviato speciale di Papa Francesco, mons. Henryk Hoser, che considera “pienamente valido” il culto mariano esercitato nella cittadina della Bosnia-Erzegovina, “a prescindere da un riconoscimento ufficiale” da parte della Chiesa delle presunte apparizioni della Vergine.

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Italia. Camera vota legittima difesa: timori per aumento armi

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E' stato approvato dalla Camera il disegno di legge sulla legittima difesa che modifica gli articoli 52 e 59 del Codice penale. I voti a favore sono stati 225, quelli contrari 166 e 11 gli astenuti. Hanno votato contro le opposizioni, da Forza Italia a Lega, Fratelli d'Italia e Sinistra Italiana. No anche da Mdp. Astenuti Des-Cd, Psi. Il provvedimento passa ora al Senato. Bagarre in Aula prima e subito dopo il voto. Per la maggioranza si evita il far west e si dà maggiore sicurezza ai cittadini. Per le opposizioni, invece, le norme sono troppo morbide. Perplessità anche di avvocati e forze dell’ordine. Alessandro Guarasci: 

E’ considerata legittima difesa la reazione a un'aggressione in casa, in negozio o in ufficio commessa di notte o all'introduzione con violenza, minaccia o inganno. Vi deve però essere proporzione tra difesa e offesa e l'attualità del pericolo. Ma come nasce questa legge? Il presidente dell’Unione Camere Penali, Beniamino Migliucci:

“Su una spinta di alcuni fatti di cronaca che esistono e che preoccupano. E anche su un’idea purtroppo un po’ superficiale, spesso populista, di chi è un po’ alla ricerca del consenso e quindi crede che in certi modi si rassicurino le persone e che questo possa portare anche un vantaggio sotto il profilo elettorale. In realtà, basta leggerla: la norma c’è; applicandola correttamente credo che non ci dovrebbero essere problemi. E invece credo che un problema possa essere l’aumento indiscriminato delle armi nel nostro Paese: dove ci sono le armi ci sono spesso più morti, e si usano anche male, e tutti le possono usare male”.

Per la legge nella legittima difesa domiciliare è sempre esclusa la colpa di chi spara se l'errore è frutto di uno choc, in situazioni di pericolo per la vita e la libertà personale. Perplessità da parte della polizia. Daniele Tissone, segretario del sindacato Silp Cgil:

“Noi crediamo che sia pericoloso far passare il messaggio, innanzitutto, che si sia autorizzati a sparare se il ladro entra in casa, specialmente di notte. Poi, cosa vuol dire ‘di notte’, sul piano processuale? Cosa succederà? Per esempio, sarà legittimo sparare all’imbrunire? E non è che con questo aumenteranno gli episodi criminosi durante il giorno?”.

Probabile comunque l’iscrizione nel registro degli indagati per chi si difende da solo. Ancora l’avvocato Migliucci:

“Intanto, dovremmo imparare nel nostro Paese che l’iscrizione nel registro degli indagati non equivale né a una sentenza di condanna né a una presunzione di colpevolezza. Ma la cosa che ha detto correttamente il procuratore di Bologna, Amato: che la magistratura, nei casi in cui ci si avveda che una persona ha difeso la propria vita o quella dei propri cari, dei propri beni, in una condizione di aggressione, non dovrebbe neanche essere iscritto nel registro degli indagati”.

Rispetto a 25 anni fa, oggi ci sono 24 mila poliziotti in meno. Ma questo non vuol dire che ci debba tutti armare. Ancora Tissone:

“Altra preoccupazione nostra è che poter ammazzare un ladro che entra in casa o nel negozio, potrebbe spingere per esempio anche i criminali ad attrezzarsi in modo adeguato, aumentando la propria potenza di fuoco, sapendo di poter finire male e quindi anche l’illusione di diminuire i reati predatori, autorizzando le prede a uccidere chi ruba, può essere ingenuo e sconcertante. Quindi gli unici a gioirne, come avviene negli Usa, sarebbero le lobby delle armi, da questo punto di vista”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 124

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.