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Sommario del 05/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



L'abbraccio del Papa ai cristiani d'Oriente colpiti dalla violenza

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Custodire la memoria e coltivare la speranza: sono le due esortazioni che il Papa lascia alla comunità del Pontificio Collegio Pio Romeno di Roma, ricevuta in udienza oggi nella Sala del Concistoro in Vaticano. Nell'occasione, Francesco ha salutato con affetto i cristiani d'Oriente. Il servizio di Sergio Centofanti

Un incontro gioioso per festeggiare l’80° anniversario della fondazione della sede del Pontificio Collegio, chiamato a formare i futuri sacerdoti della Chiesa greco-cattolica romena. Ma davanti al Papa ci sono anche copti dall'Egitto, siro-cattolici e caldei da Iraq e Siria, melkiti e maroniti dal Libano e dalla Palestina. Possono studiare a Roma grazie al sostegno della Santa Sede. Alcuni di essi sono studenti del Pontificio Collegio Sant’Efrem di Roma, accolti da questa comunità e che ospita sacerdoti studenti di lingua araba provenienti dalle Chiese Orientali Cattoliche. Francesco così si rivolge a loro:

“Incontrandovi, penso alla situazione nella quale si trovano tanti fedeli delle vostre terre, tante famiglie che sono obbligate ad abbandonare la propria casa di fronte all’abbattersi di ondate di violenza e di sofferenza. Questi nostri fratelli e sorelle desidero abbracciare in modo speciale, insieme ai loro Patriarchi e Vescovi”. 

Il Papa augura due cose: innanzitutto, custodire la memoria:

“Il vostro Collegio è sorto in un periodo di sviluppo per le Comunità cattoliche orientali; in seguito ha risentito delle tragiche vicende legate alla persecuzione ateista; per poi assistere a una bella rinascita e aprirsi negli ultimi anni a nuove sfide. Questa storia, fatta di grandi testimoni della fede e di momenti di prova, di inverni rigidi e di primavere fiorenti, vi appartiene”.

È bene custodire questa storia – afferma il Papa – “non per rimanere ancorati al passato, ma per vivere le vicende che ogni epoca presenta con il sostegno di una memoria evangelica viva, che abbraccia una storia più grande di noi e rimane sempre aperta all’azione dello Spirito”. Francesco invita “a vincere una tentazione pericolosa”, quella di “adagiarsi nella mediocrità, di accontentarsi di una vita normale, dove tutto va avanti senza slancio e senza ardore, e dove prima o poi si finisce per diventare custodi gelosi del proprio tempo, delle proprie sicurezze, del proprio benessere”. Ma per questo è necessario attingere all’esempio dei grandi testimoni nella fede di questa Chiesa. "Se non si custodisce la memoria - sottolinea - finiremo nella mediocrità del clericalismo".

Il secondo augurio è quello di coltivare la speranza:

“C’è tanto bisogno di alimentare la speranza cristiana, quella speranza che dona uno sguardo nuovo, capace di scoprire e vedere il bene, anche quando è oscurato dal male: «Se la speranza ravviva i nostri occhi, vedremo ciò che è nascosto», ha scritto sant’Efrem (Carmen Nisib., 70)”.

Infine, Francesco esorta a “ricercare e promuovere, con cuore purificato, il cammino della concordia e dell’unità tra tutti i Cristiani”.

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Francesco: no ai rigidi dalla doppia vita, serve mitezza nella Chiesa

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Anche oggi nella Chiesa ci sono persone che usano la rigidità per coprire i propri peccati. E’ il monito di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Commentando la Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, il Pontefice si è soffermato sulla figura di San Paolo che da rigido persecutore diventa mite e paziente annunciatore del Vangelo. Il servizio di Alessandro Gisotti

“La prima volta che appare il nome di Saulo – ha osservato Francesco – è nella lapidazione di Stefano”. Saulo, ha detto ancora, era un “ragazzo, rigido, idealista” ed era “convinto” della rigidità della Legge.

No ai rigidi dalla doppia vita nella Chiesa
Era rigido, ha commentato il Papa, ma “era onesto”. Gesù, ha aggiunto, ha invece “dovuto condannare i rigidi che non erano onesti”:

“Sono i rigidi della doppia vita: si fanno vedere belli, onesti ma quando nessuno li vede, fanno delle cose brutte. Invece, questo ragazzo era onesto: credeva quello. Io penso, quando dico questo, a tanti ragazzi che sono caduti nella tentazione della rigidità, oggi, nella Chiesa. Alcuni sono onesti, sono buoni, dobbiamo pregare perché il Signore li aiuti a crescere sulla strada della mitezza”.

Altri, ha proseguito, “usano la rigidità per coprire debolezze, peccati, malattie di personalità e usano la rigidità” per affermarsi sugli altri. Francesco osserva, così, che Saulo cresciuto in questa rigidità non può tollerare quella che per lui è un’eresia e così inizia a perseguitare i cristiani. “Almeno – è il suo amaro commento – lasciava vivi i bambini: oggi, neppure questo”. Saulo va dunque a Damasco a prendere i cristiani per condurli prigionieri a Gerusalemme. E sulla strada c’è l’incontro “con un altro uomo che parla con un linguaggio di mitezza: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?’”.

San Paolo da persecutore diventa evangelizzatore
Il bambino, ha detto, “il ragazzo rigido, che si è fatto uomo rigido – ma onesto! – si fece bambino e si è lasciato condurre dove il Signore lo ha chiamato. La forza della mitezza del Signore”. Saulo diventa dunque Paolo, annuncia il Signore fino alla fine e soffre per Lui:

“E così, quest’uomo dalla propria esperienza predica agli altri, da una parte all’altra: perseguitato, con tanti problemi, anche nella Chiesa, anche ha dovuto soffrire che i propri cristiani litigassero tra loro. Ma lui, che aveva perseguitato il Signore con lo zelo della Legge, dirà ai cristiani: ‘Con lo stesso con cui voi vi siete allontanati dal Signore, avete peccato, con la mente, con il corpo, con tutto, con gli stessi membri adesso siate perfetti, date gloria a Dio’”.

Preghiamo per i rigidi che seguano la via della mitezza di Gesù
“C’è il dialogo tra la sufficienza, la rigidità e la mitezza”, ha detto il Papa. “Il dialogo fra un uomo onesto e Gesù che gli parla con dolcezza”. E così, ha rilevato, “incomincia la storia di quest’uomo che abbiamo conosciuto da ragazzo, nella lapidazione di Stefano, e che finirà tradito da un’interna fra i cristiani”. Per alcuni, la vita di San Paolo “è un fallimento”, come quella di Gesù:

“Questa è la strada del cristiano: andare avanti per le tracce che Gesù ha lasciato, tracce della predicazione, tracce della sofferenza, la traccia della Croce, la traccia della risurrezione. Chiediamo a Saulo, oggi, in modo speciale per i rigidi che ci sono nella Chiesa; per i rigidi-onesti come lui, che hanno zelo, ma sbagliano. E per i rigidi ipocriti, quelli della doppia vita, quelli ai quali Gesù diceva: ‘Fate quello che dicono, ma non quello che fanno’. Preghiamo per i rigidi, oggi”.

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Greg Burke: Papa a Fatima, viaggio "non scontato"

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Sarà un vero e proprio “pellegrinaggio” apostolico quello che Papa Francesco compierà il 12 e 13 maggio a Fatima, in Portogallo, in occasione del centenario delle apparizioni della Vergine Maria. I dettagli del viaggio internazionale del Papa, il diciannovesimo di questo pontificato, sono stati raccontati oggi nella Sala Stampa vaticana dal direttore Greg Burke. C’era per noi Fabio Colagrande

“Con Maria, pellegrino nella speranza e nella pace”: è questo il motto del viaggio apostolico che porterà Papa Francesco per la prima volta in Portogallo, nel Santuario di Fatima, esattamente un secolo dopo le apparizioni della Madonna ai tre pastorelli nella Cova di Iria. Francesco visiterà Fatima cinquant’anni dopo il viaggio di Paolo VI – il primo di un pontefice nel Santuario portoghese – e sulla scia dei tre viaggi di S. Giovanni Paolo II - 1982, 1991 e 2000 - e del più recente di Benedetto XVI, datato 2010.

Un viaggio nel centenario di Fatima ma non ‘scontato’, secondo la definizione di Greg Burke. Un pellegrinaggio che avviene su invito del presidente della Repubblica e dei vescovi portoghesi, nel pieno del mese mariano, e nel cui contesto il Papa canonizzerà Francisco e Giacinta Marto, i due pastorelli testimoni, con la  cugina Lucia dos Santos, delle sei apparizioni mariane, tra il maggio e l’ottobre del 1917.

Francesco arriverà nel Santuario mariano in elicottero nel pomeriggio del 12 maggio direttamente dalla base militare di Monte Real, 40 km da Fatima, dove giungerà il suo aereo proveniente da Roma e dove incontrerà privatamente il presidente della Repubblica portoghese Marcelo Rebelo de Sousa. A Fatima, subito la visita alla Cappella delle apparizioni dove, dopo un momento di preghiera privata, pronuncerà il primo dei quattro discorsi previsti in terra lusitana, tutti in lingua portoghese. Dopo la cena il Papa tornerà nella Cappella per la cerimonia della Benedizione delle candele e la recita del Rosario. La giornata del 12 si chiuderà con la celebrazione alle ore 22 nella Basilica di Fatima di una Veglia di preghiera presieduta dal cardinale Parolin, segretario di Stato.

La mattina del 13 maggio, Papa Francesco, dopo un incontro con il primo ministro portoghese, celebrerà alle 10 la Santa Messa per la canonizzazione di Francisco e Giacinta Marto, nel piazzale del Santuario di Fatima che può contenere fino a seicentomila persone. Seguirà un saluto ai malati. Dopo il pranzo con i vescovi portoghesi e il seguito, la cerimonia di congedo, ancora alla presenza del presidente portoghese, alla base di Monte Real, da dove l’aereo del Papa ripartirà alla volta di Roma.

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Francesco: cristiani in Africa siano testimoni di pace e giustizia

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I cristiani in Africa “diano una testimonianza profetica di riconciliazione, di giustizia e di pace a imitazione di Gesù Misericordioso”: è l’esortazione di Papa Francesco nel videomessaggio per le intenzioni di preghiera del mese di maggio.

“Quando guardiamo l'Africa – afferma il Papa - vediamo molto di più delle sue grandi risorse naturali. Vediamo la sua gioia di vivere e, soprattutto, un motivo di speranza nel suo ricco patrimonio intellettuale, culturale e religioso. Ma non possiamo smettere di guardare le guerre fratricide - aggiunge Papa Francesco - che decimano le popolazioni e distruggono le loro ricchezze naturali e culturali. Uniamoci ai nostri fratelli di questo grande continente - conclude il Papa - e preghiamo insieme per i cristiani in Africa”, perché siano testimoni di pace.

Il Video del Papa è un’iniziativa globale sostenuta dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa (Apostolato della Preghiera) per collaborare alla diffusione delle intenzioni mensili del Santo Padre sulle sfide dell’umanità.

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Altre udienze

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Per le altre udienze odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Card. Sandri: mondo non abbandoni cristiani perseguitati

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In questi giorni la Congregazione per le Chiese Orientali ha celebrato il proprio centenario insieme a quello del Pontificio Istituto Orientale. Il Dicastero è in questo periodo fortemente impegnato a sostenere le comunità cattoliche d'Oriente colpite da guerre e persecuzioni. Su questo importante anniversario, Sergio Centofanti ha intervistato il cardinale prefetto Leonardo Sandri

R. – Possiamo certamente dire che questo anniversario è molto importante per la vita della Congregazione e per il Pontificio Istituto Orientale; è un momento di riflessione sulla grande importanza che hanno le Chiese orientali cattoliche nella Chiesa cattolica di Roma e come per la Chiesa sia cresciuta questa coscienza di avere una ricchezza che viene dagli Apostoli, dalle Chiese apostoliche, e che si traduce nella disciplina, nella Liturgia, nella patristica, nella spiritualità, che sono veramente fonti importantissime anche per oggi, come lo ha sottolineato a suo tempo Giovanni Paolo II, per affrontare il nostro cammino verso l’essere discepoli di Cristo.

D. - Lei ha detto in questi giorni che tanti passi sono stati fatti, ma altri passi sono ancora da compiere …

R. - Esattamente, perché questa consapevolezza, non solo dell’esistenza, ma dell’importanza di queste Chiese per la vita spirituale della Chiesa, significa anche che dobbiamo tenere conto dei problemi di oggi come quello dell’emigrazione di tutti quelli che scappano a causa della guerra, specialmente in questo periodo in Medio Oriente. La persecuzione e l’esilio hanno fatto sì che tanti nostri fratelli cristiani, cattolici, orientali, si spostino nei nostri Paesi in cerca di sicurezza, pace e una prospettiva di futuro con più speranza. Per questo significa che tutto il nostro lavoro deve orientarsi anche a venire incontro a tutte queste necessità. In questo senso abbiamo sempre la collaborazione di tutta la Chiesa latina – vescovi, sacerdoti e fedeli – che ringraziamo. E questo è il cammino che per il futuro si troverà per le Chiese cattoliche orientali, certo, non abbandonando mai il Medio Oriente, in modo tale che ci sia sempre una presenza cristiana, non solamente di monumenti e di pietre che non parlano e che non pensano, ma di pietre vive che seguono Cristo perché una fattore di pace, di equilibrio per tutti questi Paese. Saremo pochi cristiani, non saremo molti, ma saremo sempre al servizio di questi Paesi per la riconciliazione e per la pace dei loro abitanti.

D. – Cosa si può chiedere di più alla comunità internazionale per i cristiani in Oriente che stanno vivendo momenti così difficili?

R. - La comunità internazionale è stata esortata sempre da tutti i Papi a trovare e a cercare la pace. In questo senso voglio mettere in risalto tutti gli appelli di Papa Francesco e anche l’ultimo suo viaggio in Egitto dove ha chiamato giustamente alla pace e alla riconciliazione, alla difesa della dignità della persona umana e dei valori che sono giustamente il fondamento di una convivenza possibile per tutti, evitando sempre la violenza, evitando sempre la divisione, l’odio e il terrorismo, e in questo senso, che nessuna religione possa mai essere per nessuno ispirazione per la violenza e per l’odio. Tutto questo lo fa la Chiesa nel suo insegnamento nelle scuole e in tutte le istanze che sono sotto il suo controllo. Gli appelli alla comunità internazionale sono sempre moltissimi e speriamo che ci sia questa risposta da parte loro, specialmente dei Paesi che hanno più incidenza in questa Regione perché presto, al più presto, ci sia pace, sicurezza in Siria, in Iraq e in tutto il Medio Oriente.

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Mons. Viganò: la riforma dei media è per servire meglio la Chiesa

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Si è conclusa oggi la prima Plenaria della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, istituita da Papa Francesco il 27 giugno del 2015. Proprio nel discorso rivolto, ieri, ai membri del dicastero, il Pontefice ha messo l’accento sulla necessità della riforma dei media vaticani per rispondere sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa. Per un bilancio sulla plenaria, Alessandro Gisotti ha intervistato il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò

R. – C’era molta aspettativa, perché il momento è importante, quello della Plenaria. Dice, appunto, che è una realtà, che è un Dicastero della Curia Romana e quindi c’era molta aspettativa e un po’ di trepidazione, perché era la prima che abbiamo organizzato e che abbiamo gestito. E’ stato un momento molto bello, molto importante, arricchente, di incontro di cardinali, arcivescovi, vescovi, laici – abbiamo tre laici membri, di cui due donne – e tutto questo ha significato avere il respiro di una Chiesa veramente universale: dall’Asia all’Africa, dal Libano agli Stati Uniti d’America … Quindi, veramente è stato molto, molto interessante. Il bilancio, ovviamente, è positivo – il nostro; ma è positivo anche quello dei membri che ci hanno non solo ringraziato, ma hanno anche espresso molto apprezzamento per la riforma che il Santo Padre ha voluto, per il lavoro fatto e per il modo con cui questo lavoro è stato fatto, in condivisione con gli organismi della Curia Romana.

D. – C’è qualche documento che verrà pubblicato, come frutto proprio di questa Plenaria?

R. – Abbiamo condiviso, affrontato, dibattuto su un documento sulla cultura digitale; sono state moltissime le riflessioni e gli apporti da parte delle Chiese di tutto il mondo. Ora faremo una redazione, con queste implementazioni, con queste aggiunte, con questi suggerimenti. Tornerà ai membri ulteriormente, per una lettura e una revisione, dopodiché faremo i passi formali perché possa essere pubblicato, questo documento – questo primo documento della Segreteria – sulla cultura digitale.

D. – Ovviamente, un tema questo di grande interesse, presente anche fin dalle prime righe del Motu Proprio che istituisce la Segreteria per la Comunicazione …

R. – Sì, di grande interesse: lo ha ricordato ancora ieri il Santo Padre nel suo discorso. Ma poi devo dire che questo era un documento che già "era nell’aria", perché molto materiale ci è stato passato da due dicasteri che precedentemente all’istituzione della Segreteria per la Comunicazione stavano esattamente pensando di elaborare. Poi penso a quanto sia importante una riflessione della Chiesa sulla cultura digitale non solo per il mondo ad extra, penso all’evangelizzazione, alla catechesi che sono quelle attività di formazione e di trasmissione della fede - ma penso anche alla formazione dei sacerdoti nei seminari … Questo è un tema, tra l’altro, che emerge sempre durante le visita ad Limina, cioè durante le visite dei vescovi delle varie Chiese locali che vengono anche  alla Segreteria per la Comunicazione.

D. – Quali sono i punti che più l’hanno colpita del discorso che Papa Francesco ha rivolto al dicastero?

R. – Papa Francesco, in sostanza, ha sostenuto questo cammino, incoraggiato questo lavoro che – come si può immaginare – è molto articolato, molto complesso e sono in particolare tre gli aspetti che m hanno colpito. Anzitutto, quello di procedere con decisione, una decisione che mette insieme certamente l’attenzione, la mitezza, l’ascolto ma anche la capacità tenace di perseguire gli obiettivi. Il secondo aspetto è il richiamare il fatto che c’è una storia gloriosa, ma noi non siamo chiamati, come Chiesa, ad aprire dei musei ma a seguire modalità nuove per essere presenti nel mondo dove stanno gli uomini e le donne, quindi nessun attaccamento a un passato pur glorioso ma la disponibilità a procedere verso un nuovo sistema integrato – dice il Papa – e a gestione unitaria. Il terzo elemento è quando il Papa ha richiamato il lavoro di squadra, il lavoro di team e nel mondo della comunicazione – in genere nei lavori, ma nel mondo della comunicazione certamente – non si può lavorare in maniera isolata, pensando ciascuno a sé, ma bisogna lavorare in squadra. E il frutto è il frutto della maturità della squadra.

D. – Dopo questa plenaria, quali sono le sue aspettative per il prosieguo della riforma dei media vaticani, anche secondo le indicazioni e l’incoraggiamento di Papa Francesco?

R. – Da un lato, proseguiamo secondo quella tempistica che ci eravamo prestabiliti e che avevamo condiviso e che stiamo condividendo con tutti gli organismi di Curia; quindi, diciamo, non ci sono grandi novità se non sempre molto lavoro: questa fase di accorpamento e ripensamento di una struttura nuova, come ha detto il Papa ieri: non è un insieme, una fusione di dicasteri precedenti, ma è la costruzione ex novo di qualche cosa. Accanto a questo abbiamo delle indicazioni che ci vengono dai membri della Plenaria. La prima è di essere disponibili a incontrare i responsabili della Commissione comunicazione delle varie Conferenze episcopali, magari immaginando degli incontri continentali, mettendo insieme appunto nei vari continenti i vescovi responsabili della comunicazione, per raccontare loro questa riforma e anche per ascoltare da loro le loro esigenze. Il secondo elemento che ci è stato chiesto è quello di mettere in rete le Facoltà di Comunicazione, non solo quelle pontificie romane, ma quelle del mondo, quelle cattoliche del mondo, e questo anche perché si potrebbe offrire un grande aspetto documentale circa la bibliografia internazionale sul tema Chiesa e comunicazione. E il terzo è quello di procedere nei prossimi mesi all’implementazione del documento con le riflessioni dei membri e appunto a procedere poi alla pubblicazione.

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Oggi in Primo Piano



Vescovi Usa: a rischio copertura sanitaria per milioni di persone

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Negli Stati Uniti, la Camera dei rappresentanti ha approvato di stretta misura, 217 sì contro 213 no, il disegno di legge - l’American Health Care Act - voluto dal presidente Trump per abolire e sostituire l'Obamacare, la riforma sanitaria targata Barack Obama, che sanciva che la sanità è un diritto inalienabile di tutti, senza distinzioni di reddito. Il provvedimento dovrà ora essere valutato dal Senato. Il presidente della Commissione per la Giustizia e lo Sviluppo Umano della Confferenza episcopale Usa, mons. Frank Dewane, ha invitato il Senato a rivedere il disegno di legge prima che questo torni alla Camera dei rappresentanti. Destano infatti preoccupazione le modifiche al Medicaid, che potrebbe non garantire più lo stesso sostegno alle fasce più deboli. Il servizio di Eugenio Murrali: 

I vescovi americani chiedono ai parlamentari di non dimenticare i soggetti più fragili. L’11 maggio il Senato statunitense deciderà sull’American Health Care Act, il disegno di legge che ridefinirà il sistema sanitario americano. A rischio ci sono proprio quei benefici essenziali che il Medicaid, programma federale precedente all’Obamacare, riservava ai più poveri. “L’American Health Care Act offre un’importante protezione alla vita e il nostro sistema sanitario ha disperatamente bisogno di queste salvaguardie”, riconosce mons. Dewane. “Tuttavia le persone vulnerabili non devono essere lasciate nella povertà e nelle situazioni peggiori”, aggiunge. Mattia Diletti, americanista, commenta così la posizione dei vescovi Usa:

“Una posizione che è interessante perché ha a che fare con la pratica della difesa dei diritti. Una cosa che dice Dewane nella nota è che questa nuova riforma è stata fatta senza consultare le categorie più vulnerabili, senza dialogare con loro; quindi è anche una chiamata alla partecipazione, al confronto tra le istituzioni e una parte importante dei cittadini americani e della popolazione immigrata, perché anche loro in parte sono colpiti da questo provvedimento. I vescovi riconoscono a questa amministrazione uno sforzo su un tema che ovviamente interessa la Chiesa cattolica, che è proprio l’uso dei fondi federali per l’aborto, che non verrebbe più garantito, e per l’acquisto di piani sanitari che lo coprano. Il conflitto e il confronto rimane aperto su quello che riguarda proprio la difesa dei cittadini più deboli, che hanno un reddito più basso o sono disoccupati, e questo conflitto si vede anche su un altro punto critico come quello dell’immigrazione”.

Nella nota mons. Dewane ricorda che la “sanità deve onorare tutta la vita e la dignità dell’uomo, dal concepimento alla morte naturale”.  Il disegno di legge che è passato di stretta misura alla Camera, non troverà terreno facile neppure al Senato.

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Usa: nei campus della Georgia con le armi, se nascoste

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Dal prossimo primo luglio anche nelle università dello Stato americano della Georgia si potrà girare armati. Lo stabilisce il provvedimento firmato ieri dal governatore repubblicano Nathan Deal, che autorizza l’ingresso nei campus con pistole o altre armi da fuoco, purché tenute nascoste e purché lontane da aree ritenute sensibili. Proteste contro il provvedimento sono state mosse dai vertici delle università, ma anche dalla polizia. La Georgia è il decimo Stato ad approvare una tale legge, dopo Texas, Colorado, Idaho, Kansas, Mississippi, Utah, Wisconsin, Oregon e Arkansas. Sono state molte negli anni le stragi nelle scuole e nelle università statunitensi, la più celebre nel 1999 in Colorado, quando due studenti uccisero nel liceo di Colombine 12 allievi e due insegnanti. L’ultima in ordine di tempo il 1° ottobre 2015, in Oregon: nove morti in un campus a Roseburg. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Vignarca, coordinatore di Controll-Armi, la Rete italiana per il disarmo: 

R. – Purtroppo, queste sono tutte le strategie delle lobby armiere, e in particolare la NRA (National Rifle Association) negli Stati Uniti che, sempre di più, vogliono far passare il messaggio che si è più sicuri girando con le armi. Noi ovviamente diciamo il contrario. Purtroppo, la legislazione, la cultura, l’impostazione anche del dibattito politico negli Stati Uniti, favoriscono sempre di più questo tipo di approcci. Anche il cambio di amministrazione andrà sempre di più a rafforzare tutti coloro che vorranno continuare a far diffondere il fatto di portare armi anche nei luoghi come le università, che non dovrebbero certamente essere un luogo in cui si spara o si circola tranquillamente con pistole e fucili.

D. – La cronaca infatti, nel corso degli anni, ci ha sempre aggiornati circa tragedie legate all’ingresso delle armi nelle scuole, nei campus universitari. Le stime in vostro possesso cosa denunciano?

R. – Sono stime allucinanti. Davvero è un altro mondo rispetto a quello che siamo abituati a vedere in Europa. Se facciamo un confronto dei primi 100 giorni dell’anno, dal 2014 al 2017, nel 2014 ci sono stati circa 3000 morti, nel 2017 se ne sono contati 4000, quindi un aumento del 30 percento e una crescita che continua, dai 3000 del 2014 ai 3400 del 2015, 3600 del 2016 fino a superare i 4000 morti nei primi 100 giorni di un anno. Riteniamo che tutte queste scelte, tutte queste decisioni legislative che favoriscono il fatto di condurre e di portare in giro armi, stanno solo facilitando questa dinamica, questo trend in crescita, che ovviamente è spaventoso.

D. – 4000 morti sono un numero enorme, ma le vittime chi sono?

R. – È tristemente interessante vedere che purtroppo, dei 4000 morti dei primi 100 giorni dell’anno, quasi 1000, quindi un quarto, sono bambini, ragazzi, sotto i 17 anni. E addirittura ce ne sono anche molti tra gli 0 e gli 11 anni. Il punto è questo, ed è la preoccupazione anche della notizia riguardante l’università: sempre di più la lobby delle armi negli Usa spinge affinché non solo nelle università, ma addirittura nelle scuole superiori, ci sia la possibilità di avere delle zone in cui c’è libertà di portare, nascoste o meno, delle armi. Invece le statistiche, che dimostrano come, davvero, un alto numero di vittime siano bambini o ragazzi e adolescenti, dovrebbero quantomeno far fermare gli statunitensi. Perché oltretutto da questa statistica, che dimostra l’alta incidenza per adolescenti e bambini di morti e ferimenti di arma da fuoco, si vede che non siamo di fronte a guerre tra bande, criminali, o ad un mero risultato di un’azione di contrasto della polizia, perché se muoiono i bambini sicuramente non stiamo parlando di criminali.

D. – Negli Stati Uniti incombe una cultura della giustizia “fai da te”: è vostro timore, possa arrivare anche in Italia?

R. – Parto dicendo che ovviamente siamo su due pianeti completamente diversi e non si può assolutamente affermare che in Italia ci sia giustizia “fai da te” o armi libere. Il problema è che nella cultura attuale in Italia, anche grazie purtroppo ad alcune campagne politiche spregiudicate, secondo noi davvero preoccupanti, un po’ il dubbio che la giustizia "fai da te", e quindi la possibilità di portare armi sia il modo migliore per difendersi, inizia a instillarsi, ed è problematico perché in realtà noi vediamo che dove c’è controllo della diffusione di armi, dove c’è un controllo dello Stato e non giustizia privata, personale, c’è una minore incidenza di questi problemi. Quindi, la preoccupazione che vediamo in Italia non è di una situazione ovviamente già oggi problematica, ma di una tendenza che lo potrebbe diventare. Tra l’altro, tutta questa preoccupazione e questo discorso sulla legittima difesa, va in controtendenza rispetto ai dati stessi dei crimini, perché nel 2016-2017 abbiamo visto una diminuzione dei crimini rispetto agli anni precedenti. Il problema in Italia è che non c’è una lobby armiera che punta a un proprio ritorno diretto in termini di fatturato da contrastare, ma un diffuso senso di insicurezza che alcuni cavalcano per motivi personali, di supporto e di popolarità politica e che però non ci sembra assolutamente la maniera adatta, più sensata e intelligente, di rispondere a un problema di insicurezza che magari c’è ma che non è legato soprattutto alla criminalità ma alle condizioni di vita che si sono deteriorate.

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Pakistan: nuovo rinvio per il processo ad Asia Bibi

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Nuovo rinvio in Pakistan per il caso di Asia Bibi, la donna cristiana in carcere dal 2010 con l’accusa di blasfemia. L’udienza, prevista per la prima settimana di giugno avrebbe dovuto confermare o meno la sentenza di condanna a morte, comminata nel 2014 e sospesa nel 2015. Come lei, dagli anni ’80, circa 1300 persone sono state coinvolte dalla legge sulla blasfemia, che prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di morte per chi offende Maometto. Il servizio di Michele Raviart

Il 14 giugno 2009 la cristiana Asia Bibi, lavoratrice agricola, veniva accusata di essere indegna di  trasportare acqua per le sue colleghe musulmane e di aver offeso Maometto nella discussione che ne è seguita. Da allora la donna, madre di cinque figli, è stata picchiata, violentata, condannata e tenuta in carcere in attesa della conferma o meno della sua condanna a morte. Come lei, dagli anni ’80, circa 1300 persone sono state coinvolte dalla legge sulla blasfemia, che prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di morte per chi offende Maometto. Ascoltiamo Shahid Mobeen, professore del pensiero e della religione islamica alla Pontificia Università Lateranense:  

R. – La Corte suprema del Pakistan non riesce a stabilire una data, per cui per ora non si tratta di confermare la condanna a morte oppure annullarla; ci deve essere semplicemente l’udienza per mettere davanti le prove che ovviamente non ci sono, in quanto il caso è stato denunciato alla polizia dall’imam che non era presente sul posto. La seconda questione in discussione è l’attuale crisi del governo in Pakistan a causa della corruzione di cui è accusato il Primo ministro e i suoi figli. In tale situazione di crisi di governo, il caso di Asia Bibi, per ora, è solo messo da parte in quanto ci sono altre priorità. Noi come pakistani cristiani chiediamo l’intervento del Ministero per i diritti umani perché una persona innocente come Asia Bibi è in prigione sulla base di false accuse.

D. - Un’eventuale soluzione del caso Asia Bibi, e noi tutti speriamo con la sua liberazione, che conseguenze potrebbe avere in Pakistan?

R. - Asia Bibi non avrebbe molte possibilità di rimanere viva dopo la liberazione dalla prigione, perché anche se la prigione l’ha fatta soffrire a livello psicologico e a livello fisico, e malgrado l’insicurezza che lei vive 24 ore su 24 e la lontananza da suoi famigliari, allo stesso momento la protegge, in quanto tenerla in vita è diventato un caso simbolico. Per cui le istituzioni del Pakistan hanno interesse a difendere l’immagine del Paese e tenerla viva, ma nel caso in cui fosse liberata lei non potrebbe vivere una vita serena e tranquilla, perché poi i gruppi fondamentalisti cercheranno di agire contro la vita di Asia Bibi e dei suoi famigliari.

D. - In che condizioni si trova ora Asia Bibi che, ricordiamo, è in carcere ormai da circa sette anni?

R. - Ringraziando Dio, a livello fisico e psicologico sta bene, spera sempre che si possa arrivare alla sua liberazione, ma purtroppo la crisi governativa attuale ha allontanato questa speranza.

D. - Qual è la situazione dei cristiani in Pakistan e ancora più in generale quella di chi è sottoposto alla legge sulla blasfemia?

R. - Per i cristiani la situazione in Pakistan non è di semplice discriminazione. Quando un cristiano è falsamente accusato di blasfemia, non viene solamente preso di mira il singolo accusato, ma l’intera comunità ne soffre le conseguenze; noi abbiamo l’esempio di interi quartieri che sono stati bruciati, la coppia bruciata viva nella fabbrica dei mattoni è un altro esempio. Per cui in Pakistan non si può dire che c’è solamente discriminazione, ma è in atto una persecuzione. Lo Stato e il governo cercano di difendere le minoranze religiose, ma purtroppo alcune leggi che furono introdotte dagli anni ’70 in poi non permettono una certa libertà religiosa in Pakistan.

D. - Delle oltre 1300 persone coinvolte sulla legge sulla blasfemia però nessuna è stata effettivamente condannata a morte …

R. - Non è stata eseguita ancora nessuna condanna a morte, ma l’iter giuridico è solamente il passo successivo, perché ci sono omicidi extragiudiziali, ci sono dei casi risalenti agli anni ’80 e ’90 dove l’accusato di blasfemia viene ucciso per strada durante il percorso casa–tribunale o addirittura dopo l’udienza presso il tribunale per le false accuse di blasfemia.

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Brasile. Card. Scherer: mandare a casa politici non affidabili

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Si conclude oggi ad Aparecida la 55.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale brasiliana. Durante i lavori si è parlato anche del difficile momento politico, sociale ed economico che sta attraversando il Paese. I presuli hanno approvato una Dichiarazione proprio sul tema della crisi sociale. Ma cosa chiedono i vescovi brasiliani? Ascoltiamo il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, al microfono del nostro inviato Silvonei Protz

R. – Prima di tutto, recuperare i principi etici, morali, nel contesto sociale, politico, economico, in ogni senso. Senza questi principi, invece, c’è posto per la corruzione, per la violenza, per ogni cosa che fa male al popolo brasiliano e al Paese. D’altra parte, abbiamo anche indicato che la vita normale in Brasile deve essere comunque recuperata, a partire dalle basi, dal tessuto sociale in quanto tale. Ma poi che anche la vita politica deve rinascere a partire da principi validi: per quanto riguarda la vita politica, bisogna fare un grande esame di coscienza, a livello nazionale, sugli orientamenti dei partiti, del governo e dell’opposizione. Infine, abbiamo affermato che è necessario ricostruire la politica, anche mettendo da parte, attraverso le elezioni che ci saranno il prossimo anno, quei politici che hanno dimostrato di non avere principi affidabili per la gestione del Paese. Ed è in qualche modo un appello anche alla comunità cristiana, cattolica, affinché si preoccupi della vita sociale e politica in ogni senso, partecipi alla costruzione di un Brasile diverso, migliore, dando il suo contributo, affinché, dalle piccole comunità, dalle associazioni sociali della vita comune fino alla vita politica organizzata, ci sia un nuovo spirito. È un po’ questo il senso della nostra Dichiarazione.

D. – Durante i giorni dell’Assemblea dei vescovi brasiliani ci sono state delle manifestazioni in Brasile – ricordiamo uno sciopero generale –; e naturalmente lo sguardo dei nostri vescovi è anche per questa realtà, la realtà dei lavoratori brasiliani che è composta di più di 14 milioni di persone senza lavoro…

R. – Appunto. Questo è un aspetto davvero preoccupante. C’è tanta gente senza lavoro. Ma il lavoro da dove viene? Il lavoro viene dall’economia che genera lavoro, che genera sviluppo economico e sociale, che genera posti di lavoro. E quindi le riforme economiche, e anche delle leggi sul lavoro, insieme poi ad altri aspetti importanti come la previdenza sociale: questi sono stati i punti principali della discussione e anche delle manifestazioni, dello sciopero. Quindi le riforme servono. Ma quali riforme? Come si fanno le riforme? Questa era la questione. E quindi la gente ha manifestato: chi a favore, chi contro. E certo oggi, grazie a Dio, c’è la libertà di manifestare e ognuno può dire la propria. Ci sono stati anche dei fatti di violenza ma per fortuna niente di più grave. Ad ogni modo, le manifestazioni sono anche un segno che qualcosa non va, che qualcosa bisogna cambiare. Certo, viviamo un momento politico molto teso: non da adesso, perché sono parecchi mesi che lo viviamo in Brasile. È una situazione che in ogni modo richiede anche un’ulteriore soluzione. Io penso che fino al prossimo anno, quando ci saranno nuove elezioni generali presidenziali e legislative, continueremo a vivere momenti turbolenti nella vita del Paese. Quindi lì sicuramente ci saranno grossi dibattiti, nuove proposte, e la società dovrà riflettere sul cammino da scegliere.

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Porto Rico verso il fallimento: le proposte della Chiesa

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A Porto Rico è stata avviata la procedura di fallimento per alleggerire il debito. "Abbiamo preso questa decisione - ha dichiarato il governatore Ricardo Rossello - perché protegge al meglio le persone". Lo scenario economico del Paese, come ricorda anche la Chiesa locale, è estremamente preoccupante. I debiti ammontano ad oltre 73 miliardi di dollari. Sono inoltre non finanziati 49 miliardi di dollari in obblighi pensionistici. I creditori sono in prevalenza grandi società finanziarie di Wall Street e fondi speculativi privati. Crescono i timori per i possibili effetti legati alla crisi economica, tra cui il crollo dei servizi, in particolare quelli sanitari.

Quasi la metà della popolazione vive in condizioni di povertà
Il tasso di disoccupazione è superiore al 12 per cento. Il 45 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà. Negli ultimi dieci anni il Paese è praticamente sempre stato in recessione. Nel 2015 è stato inoltre dichiarato lo stato di insolvenza a causa di tassi sempre più elevati, pagati per ottenere nuovi prestiti. Il rating è stato declassato negli ultimi anni fino ai livelli considerati “spazzatura”. Recentemente, il governo ha alzato le tasse, autorizzato tagli del personale e ridotto le pensioni nel tentativo, vano, di riportare il debito sotto controllo.

Forte preoccupazione della Chiesa per i gravi problemi che affliggono il Paese
Sono molteplici, per Porto Rico, i fattori destabilizzanti. L’8 giugno del 2015, incontrando i vescovi della Conferenza episcopale portoricana, Papa Francesco aveva ricordato i gravi problemi che affliggono il Paese. Tra questi aveva indicato  “la difficile situazione economica, l’emigrazione, la violenza domestica, la disoccupazione, il narcotraffico, la corruzione”. “Sono realtà – aveva aggiunto in quell’occasione il Pontefice - che generano preoccupazione”. 

Radici della crisi nello status nello status politico di Porto Rico
La Chiesa cattolica - rende noto l’agenzia Fides - ha proposto, negli anni, varie iniziative per affrontare e risolvere la grave situazione economica. Ma la situazione resta gravissima. L'Arcivescovo di San Juan, Mons. Roberto González Nieves, ha più volte sottolineato che le radici della crisi si trovano nello status politico di Porto Rico. "Prima che la nostra isola si trovi di fronte alla prossima crisi – aveva scritto il presule nel 2016 in un editoriale pubblicato dal quotidiano “The Hill” - dobbiamo auto-determinare chi vogliamo essere e il nostro rapporto con gli Stati Uniti".

Porto Rico potrebbe diventare il 51.mo Stato degli Stati Uniti
Attualmente Porto Rico è un territorio non incorporato degli Stati Uniti. Gli abitanti dell’isola dei Caraibi, la più piccola delle Grandi Antille, sono circa tre milioni. A seguito di un referendum del 2012, oltre il 60% degli elettori ha votato per rendere Porto Rico uno Stato Federato degli Stati Uniti d'America. Successivamente, è stato avviato l'iter legislativo che potrebbe rendere il Paese il 51.mo Stato degli Stati Uniti. Il referendum, tuttavia, non è vincolante. Il Congresso degli Stati Uniti deve ora decidere se accettare e approvare l’esito referendario. (A.L.)

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Emergenza fame per 30 milioni di persone in Africa

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30 milioni di persone, tra il Sud Sudan, il bacino del Lago Ciad e il Corno d’Africa non hanno cibo e acqua sufficienti per sopravvivere. In Somalia il numero di bambini a rischio di malnutrizione acuta è aumentato, dall'inizio dell'anno, del 50%: sono circa 1,4 milioni quelli che soffrono la fame; 275.000 quelli che nel 2017 rischiano la vita. Di fronte a questa grave emergenza la Caritas e altre organizzazioni stanno intervenendo per portare aiuti e sensibilizzare la comunità internazionale. Tra queste c'è AGIRE, associazione non profit costituita nel 2007, che ha lanciato la campagna “Non Senza di Te” per informare e sostenere il lavoro umanitario delle nove Ong del proprio Network presenti nei Paesi dell’Africa Centro Orientale. Giorgio Saracino ne ha parlato con la portavoce Paola Gennari Santori: 

R. – Oggi il mondo sta affrontando il peggior disastro umanitario del ventunesimo secolo, con milioni di persone in Africa sull’orlo della fame. Dobbiamo agire ora per salvare vite umane. È una carestia senza precedenti: ci sono 30 milioni di persone che soffrono la fame; la loro vita è a rischio: non hanno cibo, non hanno acqua e sono colpite da malattie derivanti dalla denutrizione e dalla malnutrizione. Queste malattie colpiscono soprattutto la parte di popolazione più vulnerabile, quindi abbiamo un milione e mezzo di bambini che rischiano di non diventare grandi.

D. - Quali sono i Paesi maggiormente coinvolti?

R. - I Paesi colpiti sono il Sud Sudan, il Corno d’Africa: quindi Etiopia, Somalia e Kenya, e l’area del Lago Ciad: Niger, Nigeria, Ciad e Camerun. Queste persone hanno bisogno di assistenza quindi di cibo, acqua, assistenza e sanitaria. Ad essere colpite da questo fenomeno sono soprattutto le donne.

D. - Quali sono i fattori che maggiormente mettono in ginocchio l’Africa Centro Orientale?

R. - Siccità e cambiamenti climatici, combinati poi con le azioni dell’uomo che hanno un impatto fortissimo: quindi guerre, conflitti che causano movimenti forzati all’interno di questi Paesi. Basti pensare agli attacchi di Boko Haram che  hanno costretto due milioni di persone a lasciare le loro terre. Non dimentichiamo che parliamo di quei Paesi da cui si originano principalmente i flussi migratori che oggi toccano l’Europa e si riversano anche nel nostro Paese. Quindi è arrivato il momento di ragionare in una dimensione globale e quindi pensare che i problemi che si verificano in Africa toccano anche noi. 

D. - Come operano sul territorio le nove Ong di Agire?

R. - Le Ong che fanno parte di Agire sono attive da anni in questi Paesi e quindi conoscono il contesto sociale, il contesto economico. Sono in grado di portare immediato aiuto, immediato sollievo alle popolazioni. L’operatività è in mano a soggetti e organizzazioni e, soprattutto mi preme dirlo in un momento come questo dove siamo sotto gli occhi di tuti con le polemiche degli ultimi giorni, sono organizzazioni presenti sul territorio da anni in maniera molto radicata. Conoscono le popolazioni, sanno come affrontare e portare sollievo a queste persone. Per noi adesso si tratta di arginare questa emergenza. Queste persone hanno principalmente bisogno di cibo, acqua e assistenza sanitaria; questo è quello che noi facciamo attraverso le nostre Ong, intervenendo subito per arginare queste sofferenze che colpiscono milioni di persone.

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Sudafrica. Mons. Gabuza: disoccupazione a livelli pericolosi

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C’è poco da festeggiare in un Paese dove milioni di giovani sono disoccupati e disperati. E’ quanto ha affermato, in occasione della festa internazionale del lavoro dello scorso primo maggio, mons. Abel Gabuza, vescovo di Kimberly e presidente della Commissione Episcopale “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Sudafrica.

Molti giovani vittime di drammatiche trappole
“La disoccupazione giovanile nel nostro Paese - ha detto il presule - ha raggiunto livelli pericolosi, con molti giovani disoccupati che rischiano di cadere vittima della droga, del traffico d’esseri umani, del reclutamento in bande criminali e della manipolazione da parte di politici senza scrupoli che li assoldano per provocare proteste violente e destabilizzare la vita politica”.

Politica dei sussidi salariali da rivedere
Il vescovo - riferisce l’agenzia Fides - ha chiesto inoltre al governo di rivedere la politica dei sussidi salariali: si tratta ha detto di un a “un’iniziativa azzardata, costosa e insostenibile che sovvenziona le compagnie private e innalza i loro margini di profitto, senza creare per loro un obbligo di formare i giovani e di offrire ad una parte di questi un impiego permanente”.

Urgenti trasformazioni radicali
Per affrontare il dramma della disoccupazione giovanile sono necessarie trasformazioni economiche radicali. “Purtroppo - ha concluso Mons. Gabuza - la cultura corrente della leadership politica, che è radicata nella corruzione e nelle politiche clientelari, è priva della capacità etica di realizzare una tale trasformazione economica radicale e inclusiva”.

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Etiopia: aiuti della Chiesa per i bambini disabili

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Labbro leporino, piede equino, deformazioni articolari: sono queste le disabilità che più frequentemente, purtroppo, colpiscono i bambini dell’Etiopia. Disabilità dovute principalmente a complicazioni insorte durante la gravidanza o nei primi mesi di vita e che si riflettono non solo sul corpo dei minori, ma anche sulla loro vita sociale: spesso, infatti, soprattutto nelle zone rurali dell’Etiopia, i bimbi disabili vengono discriminati e stigmatizzati, a causa di credenze di antica tradizione.

Minori disabili colpiti da discriminazione sociale
Ciò comporta che, se pur curabili dal punto di vista medico, a questi minori non è concesso l’accesso ai trattamenti sanitari e quindi muoiono precocemente. Fortunatamente, la Chiesa locale non si dimentica di loro: la Congregazione della Missione (Padri Lazzaristi), insieme all’organizzazione Terres des Hommes, ha avviato ad Addis Abeba il Centro “Alemachin” per la riabilitazione terapeutica in cui i bambini di tutto il Paese, affetti da disabilità, possono ricevere il giusto trattamento medico.

Accolti migliaia di bambini. Il 98% è guarito
Istituito nel 1972, il Centro offre ai minori, in collaborazione con diverse Istituzioni sanitarie, sedute di fisioterapia, cure mediche, accesso a campi da gioco, lezioni formative e ricreative, cibo sano, condizioni igieniche ottimali affinché, al termine della cura, i piccoli pazienti possano tornare alle loro famiglie guariti non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. “Finora – spiega padre Girmay Lincoln, direttore del Centro – abbiamo accolto quasi 4mila bambini affetti da disabilità. Il 98% di essi è guarito grazie al nostro servizio”.

Offrire cure olistiche: non solo medicine, ma anche amore
“Quello che forniamo ai bambini – aggiunge il sacerdote – è una cura olistica: i bimbi vogliono sentirsi a casa e quindi hanno bisogno non solo di cure fisiche, ma anche di amore”. E questo è particolarmente importante per evitare la discriminazione, perché “chi è affetto da una disabilità deve sapere che non è diverso dagli altri e che merita un futuro luminoso, come tutti i bambini sani”. Di qui, l’insegnamento che il Centro offre sui principi de “la cura ed il rispetto dell’altro”, affinché – sottolinea ancora padre Girmay – i bambini disabili diventino desiderosi di impegnarsi per il futuro”.

L’importanza dell’integrazione nelle famiglie e nelle comunità
Il tutto puntando alla qualità del servizio offerto, poiché i bambini non vengono dimenticati al termine del trattamento, bensì seguiti anche nel rientro a casa e nell’integrazione con le rispettive famiglie e comunità di origine. “Il nostro compito più importante – conclude padre Girmay – è assicurarci che la fase finale del servizio vada a buon fine, ovvero che i bambini tornino nelle loro case a vivere un’infanzia normale, circondati dalla cura e dall’amore dei familiari”. (I.P.)

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Caritas: le accuse alle ong mettono a repentaglio accoglienza

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Le ong accusate di collusioni con gli scafisti che trasportano migranti denunciano un processo mediatico contro di loro. Un grido lanciato durante un incontro al Senato dal titolo “La grande bugia delle navi-taxi”. Alessandro Guarasci

I sospetti adombrati dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e rilanciati dai Cinque Stelle continuano far discutere. Tra l’altro i pentastellati hanno parlato di navi taxi, che dunque avrebbero contatti con gli scafisti. Il presidente della commissione Diritti umani del Senato Luigi Manconi riporta le parole di Zuccaro nella sua auduzione di questa settimana alla Camera:

“'Non posso formulare accuse. Lo farò appena avrò le prove. Ora non ho le prove'. Basterebbero queste parole – come dire – così limpide, per dare un senso ben preciso a quanto è accaduto”.

Insomma, finora si è parlato su supposizioni, presunti dossier dei servizi segreti, presunte intercettazioni non utilizzabili però. La prossima settima arriverà la relazione della Commissione Difesa che ha ascoltato oltre a Zuccaro, la capitaneria di porto e le ong. Il direttore di Caritas italiana don Francesco Soddu:

“Dietro si nasconde l’intento di mettere a repentaglio, di minare quello che è l’impegno proprio delle associazioni: quello del volontariato. Vi è magari anche un intento di mettere a repentaglio tutto ciò che è il sistema di accoglienza all’interno del nostro Stato italiano, che in tutti i casi, dalle parrocchie alle famiglie, è sempre ben disposto”.

Sulla stessa linea Riccardo Gatti, della ong Proactiva Open arms:

“Probabilmente, quello che si sta mettendo in discussione è la scelta di aiutare, da parte della società civile, persone che probabilmente hanno bisogno. Perché io perlomeno sono esperto di quello che succede in mare. Ed è un dovere delle persone di mare, quando c’è qualcun altro in difficoltà, di aiutare. È un dovere anche sancito da delle leggi, ma è un dovere morale, etico. E non ho mai visto nessuno dubitare di questo. Ho visto dei pescatori libici buttarsi in acqua per salvare delle persone. Noi lavoriamo con volontari ed è incredibile quello che queste persone fanno”.

Appunto, il soccorso in mare è un dovere. Una legge che applicata fino in fondo, dice Emma Bonino:

“L’ultima cosa che dovremmo fare, veramente, è prendercela con chi in mare ci sta. E peraltro diventa un grande alibi per non occuparsi del problema vero, del problema dell’integrazione. Quello lo stiamo facendo noi con la campagna ‘Ero straniero’, che spero sia un antidoto sufficiente a quest’atmosfera di odio e di discredito che comunque si è voluto lanciare”.

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Mons. Pizzaballa presenta la Guida francescana alla Terra Santa

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Ottocento pagine che raccontano la storia, la religione, l’arte e l’archeologia della Terra Santa, con più di 200 luoghi descritti in maniera dettagliata, con gli orari di apertura, riferimenti biblici e tutte le informazioni utili per i turisti. Sono solo alcuni numeri della nuova “Guida francescana per pellegrini e viaggiatori” pubblicata dalla Custodia di Terra Santa e presentata a Roma. Il servizio di Marina Tomarro

Dal Monte Carmelo ad Haifa fino a Nazareth per poi scoprire l’alta Galilea con il lago di Tiberiade e più in là Gerico con il Monte delle tentazioni e il deserto di Giuda fino ad arrivare al cuore della cristianità nella città santa, Gerusalemme, dove l’umanità attraverso la morte e resurrezione di Cristo trova la salvezza eterna. Sono tanti gli itinerari proposti dalla “Guida francescana per pellegrini e viaggiatori” della Custodia di Terra Santa. Ascoltiamo il commento di mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme:

R. – E’ importante perché riempie un vuoto che da anni era esistente, almeno nel panorama italiano, perché le ultime guide erano ormai finite e non c’era più nulla. E’ importante anche perché è molto completa: è molto più scientifica che divulgativa, si vede anche dal volume, che è corposo e che copre un mare di informazioni, non solo per i luoghi tradizionali ma anche per quelli meno conosciuti. I cristiani hanno da sempre, lungo questi duemila anni, illustrato la Terra Santa. Quindi è anche un modo di dire cosa è per noi cristiani la Terra Santa.

D. – Come è cambiato il turismo religioso durante questi anni?

R. – Il pellegrinaggio è cambiato in maniera determinante: nel passato, fino a 10-15 anni fa, era esclusivamente – si può dire – occidentale, con qualche eccezione. Oggi è il contrario: gli occidentali non arrivano nemmeno al 50% del complesso dei pellegrini; sono in fortissimo aumento gli ortodossi con la Russia e poi i cattolici con l’India, l’Indonesia e la Cina anche e l’America Latina. Quindi, diciamo che sono aumentati i numeri ma è anche molto cambiata la provenienza.

D. – La Terra Santa – in particolare, Gerusalemme – unisce le tre grandi religioni monoteiste. Ecco, la convivenza come prosegue in questo momento?

R. – La convivenza tra le fedi, che è una convivenza che io amo definire condominiale, è sempre fonte di grande ricchezza e a volte richiede anche tanta pazienza, perché non è mai scontata. Gerusalemme sarà sempre così: avremo sempre modo di accedere alla bellezza delle fedi, delle esperienze e delle tradizioni altrui ma allo stesso tempo dovremo fare i conti con la fatica delle differenze che a volte diventano o indifferenza o diffidenza.

I due autori, i Frati minori Henrich Fürst  e Gregor Geiger hanno voluto unire una propria personale competenza archeologica, biblica, e geografica, ad una grande passione per queste terre amate e attraversate più volte, in solitaria o accompagnando gruppi di pellegrini, proponendo nella guida anche luoghi spesso poco conosciuti ma di grande bellezza e suggestione. Ascoltiamo la testimonianza di Gregor Geiger:

R. – Un luogo o una zona che mi sta molto a cuore è il deserto di Giuda, cioè la zona più o meno tra Gerusalemme e il Mar Morto; una regione poco visitata che però vale la pena. Innanzitutto, il deserto ha una bellezza di paesaggio, che veramente è un paesaggio splendido; ma oltre questo, c’è anche un profondo significato spirituale: la solitudine fa vivere la presenza di Dio, il silenzio che c’è lì. E poi, non dimentichiamo: se sfogliamo la Bibbia, soprattutto l’Antico Testamento, gran parte dei racconti si svolgono nel deserto e quindi per il popolo di Dio il deserto era un luogo di un’esperienza divina molto forte. Poi, il deserto è anche pieno di resti antichi: non sono i siti centrali, però ci sono parecchi siti biblici – marginali, ma comunque interessanti. E poi, da non dimenticare i tanti monasteri, luoghi dove nell’antichità – e in alcuni, fino ad oggi – vivono i monaci, in mezzo al deserto.

D. – Tanti sono i turisti, i pellegrini che ogni anno vanno in Terra Santa: ma cosa li attira, spesso anche a tornare più volte?

R. – Credo che sia il fascino di vedere una terra che comunque conoscono per sentito dire, che conoscono dalla Bibbia, che lì possono vedere, che in alcuni punti è totalmente diversa da come la si possa immaginare, mentre in altri punti conferma anche quello che già si sapeva. Poi, la ricchezza è non solo storica ma anche attuale, presente: delle varie popolazioni che purtroppo non sempre riescono a vivere senza conflitti, che però rispecchiano anche una grande ricchezza sia per quanto riguarda le altre religioni sia per quanto riguarda anche le altre confessioni cristiane che magari si è sorpresi di trovare lì …

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 125

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.