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Sommario del 06/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: vincere cultura distruzione, vergognoso chiamare “madre” una bomba

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Vincere la cultura della distruzione che chiama “madre” una bomba e mostra in tv solo il male per l’audience. E’ quanto affermato da Papa Francesco in un appassionato dialogo con gli studenti partecipanti all'Incontro promosso dal Coordinamento Nazionale Enti Locali per la pace e i diritti umani, ricevuti stamani in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha nuovamente denunciato la piaga del "lavoro nero" ed ha esortato tutti a fare di più per la difesa dell'ambiente. Il servizio di Alessandro Gisotti

E’ tempo di affrontare e vincere senza paura “la cultura della distruzione” con la forza della mitezza. Papa Francesco ha lanciato questa sfida ai giovani studenti italiani impegnati nel Coordinamento degli Enti locali per la pace. Il Pontefice ha ringraziato gli studenti per la concretezza delle loro domande, nelle quali è emersa l’angoscia per tante tragedie che affliggono il mondo, dalle guerre alla povertà ancora alla violazione dei diritti umani. Francesco ha innanzitutto sottolineato che oggi non c’è risposto neppure per i bambini ed ha denunciato che in tv si vedono solo cattive notizie, distruzioni perché  sembra che più un programma televisivo fa vedere queste calamità più ha successo.

Una vergogna chiamare “madre” una bomba, basta distruzione delle armi
Il Papa ha ricordato l’emergenza dei migranti, “la tragedia più grande in Europa dopo quella della Seconda Guerra Mondiale”. Quindi, ha rivolto il pensiero alla violenza e alle guerre che sfigurano l’umanità:

“Noi stiamo vivendo la tragedia più grande dopo la Seconda Guerra mondiale. Eh, è vero! C’è gente buona, ci sono cose buone nel mondo che non si vedono; ma il mondo è in guerra. Dite la parola voi, che siete la scuola della pace: dite: ‘Il mondo è in guerra’. Che se questo bombarda qui, ‘ma no, ma è un ospedale, una scuola, ci sono i malati, i bambini!’ – ‘Ah, non importa!’, e va la bomba. Poi, non so, io mi sono vergognato del nome di una bomba: ‘La madre di tutte le bombe’. Ma guarda, la mamma dà vita! E questa dà morte! E diciamo ‘mamma’ a quell’apparecchio? Che cosa sta succedendo?”.

Il Papa ha ravvisato la debolezza di molti leader internazionali. Ed ha ammonito che da una parte si chiede la pace, ma poi si producono e si trafficano armi. “Ci sono gli affaristi – ha detto – che vendono armi” a chi è in guerra e così loro guadagnano sulla morte degli altri.

Il “lavoro nero” e lo sfruttamento sono un peccato mortale
Ancora, Francesco ha denunciato il traffico della droga che distrugge tanti giovani. Ha così denunciato una volta ancora che al centro dell’economia ci siano i soldi e il potere invece dell’uomo, riferendosi in particolare alla piaga del lavoro nero, allo sfruttamento delle persone anche dei bambini:

“‘Ma Padre, questo sarà là, in quel continente lontano o in quel Paese lontano!’. Qui! Qui, in Europa! Qui! Qui, in Italia! Qui! Si sfruttano le persone quando vengono pagate in nero, quando ti fanno il contratto di lavoro da settembre a maggio, poi due mesi senza e così non c’è continuità, e poi ricomincia a settembre: questo si chiama distruzione, questo si chiama – noi cattolici lo chiamiamo peccato mortale, lo sfruttamento”.

Essere miti per contrastare la violenza anche delle parole
Francesco si è poi soffermato sul tema, spesso da lui sollevato, della tentazione delle chiacchiere, un vero e proprio “terrorismo” perché “distrugge la persona” ed ha incoraggiato i ragazzi a “mordersi la lingua” prima di sparlare degli altri. Al tempo stesso ha avvertito di guardarsi dalla violenza degli insulti che, ha notato, si vede a volte anche nei dibattiti politici. Di fronte a tutto questo, ha detto, è necessario un atteggiamento di mitezza:

“Essere miti, avere un atteggiamento di mitezza, non significa essere stupidi; significa dire le cose in pace, con tranquillità, senza ferire, cercare il modo di dirle che non ferisca. Ma la mitezza è una delle virtù che dobbiamo re-imparare, ritrovare nella nostra vita. E per questo aiuta tanto, nelle nostre conversazioni, non aggettivare la gente. No: lasciamo. Sempre con mitezza. Sempre con quell’atteggiamento mite che è contro la violenza”.

Il Papa che ha invitato i giovani a non rassegnarsi mai, a bandire la parola “rassegnazione”, ha quindi messo l’accento sulla necessità di ricostruire “il patto educativo” tra scuola e famiglia per promuovere il bene comune della società. Ha esortato i giovani ad impegnarsi in particolare nell’ascolto e gli insegnanti a dedicare tempo all’educazione della pace. “Noi – ha detto con amarezza – stiamo distruggendo il regalo più prezioso che ci ha dato Dio: il Creato”. Francesco ha denunciato i danni provocati dal consumismo che porta ad esperimenti su piante e animali, al sorgere di malattie rare, a tristi fenomeni come la “Terra dei fuochi” o l’inquinamento del Mar Mediterraneo. Infine, ha messo in guardia dal rischio di troppe parole e poco impegno dopo la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico.

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Papa Francesco ai seminaristi: fuggite formalismo e clericalismo

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Bisogna educare al discernimento e non rifugiarsi dietro una norma rigida o dietro l’immagine di una libertà idealizzata. E’ l'invito di Papa Francesco che stamani ha ricevuto in udienza la Comunità del Pontificio Seminario Campano di Posillipo dove i seminaristi vengono formati alla luce della pedagogia ignaziana. Ai circa 120 presenti, Francesco rivolge anche l’invito a rifuggire dalla logica del “minimo indispensabile” per scoprire, invece, “i grandi sogni di Dio per noi”. Il servizio di Debora Donnini

Amicizia personale con Gesù, discernimento e ricerca del Regno di Dio. Sono i tre pilastri dell’educazione secondo lo stile di Sant’Ignazio, che Francesco propone nel discorso al Pontifico Seminario Campano di Posillipo. Tre pilastri che si traducono nel praticare il discernimento anziché rifugiarsi nel lassismo o nel rigorismo, nell'allontanarsi da formalismo e clericalismo, che sono radice della doppia vita, e nel rifuggire dalla logica del 'minimo indispensabile' per scoprire “i grandi sogni di Dio per noi”.

"A me piace incontrare i seminaristi", dice Francesco che, nel suo discorso, mette in luce anche alcune particolarità che arricchiscono questo Seminario: la dimensione interdiocesana - vi vengono infatti inviati seminaristi da diverse diocesi - e quella di educare alla spiritualità del presbitero diocesano secondo la pedagogia degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio: “sfida ardua ma esaltante”. Si tratta poi dell’unico Seminario in Italia diretto dalla Compagnia di Gesù.

Uno degli aspetti essenziali che Francesco sottolinea è appunto quello della “amicizia personale con Gesù” . Il Papa esorta a non stancarsi di "riformare" continuamente la propria umanità e a non avere una formazione intellettuale erudita: "non siete un dizionario", dice scherzando. Come per Pietro, il cammino vocazionale passa per un dialogo di amore con il Signore che dona un nome nuovo per indicare proprio la vocazione:

“Cari seminaristi, non abbiate paura di chiamare le cose per nome, di guardare in faccia la verità della vostra vita e di aprirvi in trasparenza e verità agli altri, soprattutto ai vostri formatori, fuggendo la tentazione del formalismo e del clericalismo, che sono alla radice della doppia vita, sempre”.

Il discernimento è il secondo caposaldo dell’educazione che il Papa indica a seminaristi e formatori del Pontificio Seminario Campano di Posillipo. Il sacerdote deve infatti guidare il popolo di Dio a saper riconoscere la voce del Signore nella folla “spesso confusa di voci che si accavallano”, anche “con messaggi contrastanti fra loro”, in un mondo caratterizzato da una pluralità di sensibilità culturali e religiose. Bisogna quindi avere familiarità con la Parola di Dio, conoscere se stessi, ed essere coraggiosi, "dire la verità a sé stessi":

“Il discernimento è una scelta di coraggio, al contrario delle vie più comode e riduttive del rigorismo e del lassismo, come ho più volte ripetuto. Educare al discernimento vuol dire, infatti, fuggire dalla tentazione di rifugiarsi dietro una norma rigida o dietro l’immagine di una libertà idealizzata. Educare al discernimento vuol dire 'esporsi', uscire dal mondo delle proprie convinzioni e pregiudizi per aprirsi a comprendere come Dio ci sta parlando, oggi, in questo mondo, in questo tempo, in questo momento e come parla a me, adesso”.

Formarsi al sacerdozio secondo uno stile ignaziano vuol dire, infine, formarsi alla dimensione del Regno di Dio: non adagiarsi sui propri successi, ma coltivare quella santa inquietudine di chi desidera servire il Signore. E l’inquietudine - sottolinea - "allarga l’anima" e la rende più capace di ricevere l’amore di Dio:

"Cercare il Regno vuol dire rifuggire la logica della mediocrità e del 'minimo indispensabile', ma aprirsi a scoprire i grandi sogni di Dio per noi. Cercare il Regno vuol dire cercare la giustizia di Dio e adoperarsi perché le nostre relazioni, le comunità, le nostre città siano trasformate dall’amore misericordioso e giusto di Dio, che ascolta il grido dei poveri".

Importante, poi, la "libertà interiore verso i beni": "è il primo scalino brutto", afferma, ricordando che "il diavolo entra per le tasche, sempre; poi segue la vanità, e poi l’orgoglio, la superbia". I seminaristi sono infatti chiamati a coltivare l’amicizia con Gesù che – conclude Papa Francesco  – si manifesta in modo privilegiato con l’amore ai poveri.

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Il Papa incontra il Presidente della Svizzera Doris Leuthard

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Papa Francesco ha ricevuto oggi la Sig.ra Doris Leuthard, Presidente della Confederazione Elvetica, che poi ha incontrato mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui - riferisce la Sala Stampa vaticana - oltre a ricordare il generoso servizio della Guardia Svizzera Pontificia nel giorno del giuramento dei nuovi membri, è stato sottolineato il comune desiderio di rafforzare ulteriormente i buoni rapporti che intercorrono tra la Santa Sede e la Svizzera, e di intensificare la collaborazione fra la Chiesa Cattolica e lo Stato. Successivamente, sono stati toccati diversi temi di comune interesse, quali il futuro del continente europeo, l’accoglienza dei migranti, la sfida del mondo del lavoro per i giovani, la lotta contro il terrorismo e l’impegno per la tutela dell’ambiente”.

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Il Papa alle Guardie Svizzere: siate forti ma anche gentili

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Papa Francesco ha ricevuto stamane le Guardie Svizzere Pontificie in occasione della loro festa e del giuramento, questo pomeriggio nel Cortile di San Damaso in Vaticano, di 40 nuove reclute. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il giuramento delle Guardie Svizzere si svolge ogni anno nell’anniversario del sacco di Roma, compiuto il 6 maggio del 1527 dai lanzichenecchi, i mercenari tedeschi inviati dall'Imperatore Carlo V d'Asburgo. Quel giorno di 490 anni fa, “le Guardie Svizzere - ricorda Francesco - si distinsero in una coraggiosa e indomita difesa del Papa, fino al sacrificio della vita”. In 147 furono uccisi:

“Oggi non siete chiamati a questo eroica offerta della vita fisica, ma ad un altro sacrificio non meno arduo: a servire cioè la potenza della fede. Essa è una valida barriera per resistere alle varie forze e potenze di questa terra e soprattutto a colui che è «il principe di questo mondo», il «padre della menzogna», che «va in giro come un leone cercando chi divorare», secondo quanto diceva l’Apostolo Pietro (1 Pt 5,8)”.

Francesco invita le Guardie Svizzere ad essere forti e coraggiosi, ma anche gentili, accoglienti e pazienti nel servizio svolto in Vaticano:

“I pellegrini e i turisti che hanno la possibilità di incontrarvi rimangono edificati scoprendo in voi, insieme con le caratteristiche compostezza, precisione e serietà professionale, anche generosa testimonianza cristiana e santità di vita. Sia questa la vostra prima preoccupazione”.

Infine, il Papa coglie l’occasione per rinnovare all’intero Corpo della Guardia Svizzera la sua riconoscenza “per la diligenza e la sollecitudine con cui svolge la propria preziosa attività al servizio del Papa e dello Stato della Città del Vaticano”.

La Guardia Svizzera Pontificia è al servizio dei Papi dal 22 gennaio 1506. Il suo motto è “Acriter et fideliter” (Con coraggio e fedeltà). I suoi patroni sono San Martino di Tours, San Sebastiano e San Nicola di Flüe, del quale – ha ricordato il Papa – ricorre quest’anno il sesto centenario della nascita.

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Papa accetta rinuncia Gregorio III Laham: servitore del Vangelo e della pace

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Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Chiesa greco-melkita presentata da Sua Beatitudine Gregorio III Laham, Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti. A norma del diritto, l’amministratore della Chiesa Greco-Melkita, fino all’elezione del Patriarca, è mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo dei Greco-Melkiti, vescovo più anziano per ordinazione del Sinodo permanente. In una lettera al Patriarca Gregorio III Laham, Papa Francesco lo definisce “servitore zelante del Popolo di Dio” e riconosce il suo grande impegno per la pace in Siria sconvolta dalla guerra. Il Papa conclude la sua lettera indirizzata anche a tutti i vescovi della Chiesa greco-melchita, assicurando la sua Benedizione Apostolica “come segno di grazia e di incoraggiamento per l’avvenire della comunione della testimonianza del Vangelo”.

Il Patriarca Gregorio III Laham, 85 anni, è nato a Daraya in Siria nell’arcieparchia di Damasco. E’ stato Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti per 17 anni: è stato infatti eletto nel novembre del 2000 dal Sinodo dei Vescovi greco-melkiti, ricevendo la “comunione ecclesiastica” da San Giovanni Paolo II. In questi anni di guerra in Siria, Gregorio III Laham si è impegnato con tutte le forze per la pace e la riconciliazione nella sua terra natale.

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Beati 7 Missionari del Sacro Cuore, uccisi nella guerra civile spagnola

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A Girona, in Spagna, Messa di Beatificazione oggi di Antonio Arribas Hortigüela e sei Compagni Martiri, membri della Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore, uccisi nel 1936 durante la guerra civile spagnola. A presiedere il rito, in rappresentanza del Santo Padre, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il porporato ricorda la vicenda al microfono di Giada Aquilino:

R. - Nel 1936 allo scoppio della rivoluzione anticattolica in Spagna, alcuni Missionari del Sacro Cuore di Gesù, abbandonarono, per ordine dei loro superiori, il collegio apostolico di Canet de Mar, in Catalogna, per cercare di mettersi in salvo. Alcuni ci riuscirono, altri, intercettati alla frontiera francese, furono portati a Seririá, in provincia di Girona, e giustiziati. Il gruppo di questi giovani martiri è formato da quattro sacerdoti e tre fratelli laici. Il più anziano era Padre Hortigüela, di 28 anni, il più giovane Fratel José del Amo, di vent'anni.

D. - Come commenta questo evento così tragico?

R. - Il ricordo dei martiri — ha detto recentemente Papa Francesco — «ci conferma nella consapevolezza che la Chiesa è Chiesa, se è Chiesa di martiri. E i martiri sono coloro che cercano di amare e aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve». La parola di Gesù è una parola di amore non di odio. L'amore genera bontà e comprensione. L'odio, invece, fa nascere divisioni e persecuzioni. La società umana non ha bisogno di odio, ma di amore. È la misteriosa forza dell'amore che fa vivere e crescere l'umanità nella pace e nella concordia.

D. - È questo il messaggio dei Martiri di Canet de Mar, oggi Beatificati?

R. - Certamente. La loro vicenda ci fa rivivere una pagina tragica della storia di Spagna, ma anche una pagina gloriosa di eroismo cristiano. Negli anni trenta i cattolici furono oggetto di una discriminazione arbitraria e intollerante. Si proibì il Crocifisso nelle scuole, si soppressero le congregazioni religiose e se ne confiscarono i beni, si distrussero edifici e chiese, si incendiarono tesori inestimabili di suppellettili sacre, eredità dell'ingegno artistico dei secoli passati. Dovunque passavano, i miliziani lasciavano cadaveri e macerie. Il male sa solo distruggere. È il bene che costruisce. Per la prima volta nella storia della Spagna sembrò prevalere la falsa ideologia che la Chiesa fosse un pericolo e non, invece, una preziosa risorsa sociale e culturale per lo sviluppo della nazione. Si programmò la sua eliminazione non solo giuridica, ma fisica, uccidendo senza pietà vescovi, sacerdoti e laici. E tutto ciò — lamentava papa Pio XI nel 1937 — veniva attuato «con un odio, una barbarie e una crudeltà, che non si sarebbero creduti possibili nel nostro secolo». A ragione si potrebbe parlare di vero e proprio olocausto cattolico in Spagna.

D. - Ci sono caratteri o episodi particolari che si possono mettere in risalto?

R. - Come già si è accennato, questi sette giovani religiosi furono assassinati a mente fredda, il 29 settembre del 1936 a Pont de Ser. Una ragazza che non li conosceva testimonia che rimase inorridita alla vista dei volti totalmente sfigurati. Non erano più riconoscibili. Erano stati crivellati da una grande quantità di pallottole in ogni parte del corpo. I miliziani obbligarono i religiosi a mettersi di spalle, ma uno di loro si rifiutò dicendo: «I codardi muoiono di spalle e noi non siamo né codardi né criminali. Voi ci ammazzate perché siamo religiosi e amiamo Dio e la patria. Viva Cristo Re"». Non finì la frase che una scarica di pallottole si abbatté su di lui e sui suoi confratelli. Lo strazio continuò con ulteriori raffiche di spari sui poveri cadaveri. Siamo di fronte al mistero tragico della faccia oscura del male. Ma siamo anche di fronte alla straordinaria forza spirituale dei giusti, nei quali risplende la luce del bene, che vince sempre il male. Il Signore ha posto nel cuore il seme del bene. Facciamolo crescere e fruttificare. Facciamo fiorire la bontà, unica arma per contrastare il male. Insomma, facciamo nostra la preghiera semplice attribuita a San Francesco: «Signore, fa di me uno strumento della Tua Pace: Dove è odio, fa ch'io porti l'Amore, Dove è offesa, ch'io porti il Perdono, Dove è discordia, ch'io porti l'Unione, Dove è dubbio, ch'io porti la Fede, Dove è errore, ch'io porti la Verità, Dove è disperazione, ch'io porti la Speranza, Dove è tristezza, ch'io porti la Gioia, Dove sono le tenebre, ch'io porti la Luce».

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Card. Urosa: in Venezuela c'è un governo totalitario

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In Venezuela non si ferma la protesta contro il presidente Maduro. Ieri un altro dimostrante è stato ucciso durante gli scontri con la polizia: dal 4 aprile sono salite a 38 le vittime. In atto ci sarebbe anche una rivolta interna dei militari: decine di ufficiali, denuncia l’opposizione, sono stati messi agli arresti perché contrari alla repressione. Ma il governo nega. Intanto, Lilian Tintori, moglie di uno dei leader anti-regime, Leopoldo Lopez, in carcere da tre anni, ha annunciato per oggi "una protesta di sole donne, senza uomini e senza armi", vestite di bianco e con un fiore in mano, per chiedere che "cessi la repressione e si restauri la democrazia". Anche la Chiesa denuncia con forza le violazioni dei diritti umani e reclama il ripristino delle istituzioni democratiche. Ascoltiamo il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, al microfono di Alvaro Vargas Martino

R. – La nostra situazione è molto difficile e molto complessa. C’è una situazione politica gravissima perché il governo vuole instaurare un regime totalitario marxista e questo va contro la Costituzione. Ma il governo ha il controllo di tutti gli organi del potere pubblico, tranne l’Assemblea nazionale. Il governo si trova in una situazione di forza, di potere, ed è molto difficile cambiare questo. Poi, c’è una situazione umanitaria molto grave perché manca cibo, l’inflazione è terribile, non ci sono medicine … un’economia veramente a terra, con gravissimi problemi per il popolo. C’è fame, c’è gente che cerca cibo nei cassonetti … una situazione mai vista nel nostro Paese … In questa situazione la Chiesa va avanti, lavorando: la nostra missione è di evangelizzazione, di attenzione ai fedeli, di predicazione della Parola di Dio e anche di difesa dei diritti della gente, i diritti del popolo, i diritti umani e i diritti civili, i diritti politici, perché noi pensiamo che anche questo faccia parte della nostra missione.

D. – In questo contesto, si può ancora parlare di uno Stato democratico in Venezuela?

R. – Io penso che non si possa parlare di un governo democratico, in Venezuela: non si può parlare di un governo democratico perché il governo e il Tribunale supremo di giustizia hanno bloccato il lavoro del Parlamento, dell’Assemblea nazionale. Quindi, una Nazione senza il Parlamento, cioè senza la rappresentanza popolare che controlli il governo e che legiferi, indica la presenza di un governo totalitario. Ecco perché la nostra situazione non è buona per niente …

D. – Vista la situazione sociale e la crisi umanitaria, si rischia veramente una guerra civile?

R. – Non si può parlare di guerra civile: una guerra civile non è possibile perché la popolazione che non segue il governo non ha armi, non è armata; chi è armato sono le forze armate, l’esercito e poi dei gruppi civili “governativi”, che hanno delle armi. La popolazione democratica è proprio indifesa: non c’è possibilità di una guerra civile; c’è possibilità di un’oppressione della popolazione del Venezuela, questo sì. E c’è la possibilità di gravissimi conflitti, anche violenti. Ma una guerra civile nel senso stretto del termine, non è possibile. Grazie a Dio.

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Francia: ballottaggio presidenziale tra Macron e Le Pen

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La Francia si prepara al ballottaggio presidenziale di questa domenica tra il centrista Emanuel Macron, grande favorito con il 63% dei voti secondo i sondaggi, e la leader dell'estrema destra Marine Le Pen con il 37%. A pesare sul voto le minacce del sedicente Stato islamico di "uccidere candidati e personale nei seggi", ma anche, secondo le accuse di Macron, un attacco di pirateria informatica alle caselle postali di vari responsabili legati al candidato, all’Eliseo. La Le Pen, dal canto suo, si trova a fronteggiare diverse contestazioni, l’ultima a Reim, da parte di un gruppo di studenti. I due leader si sfideranno su molti temi caldi per il paese, soprattutto per ciò che riguarda l’Europa, come spiega Matteo Villa, ricercatore sull’Europa dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, al microfono di Paola Simonetti:

R. - Ci sono un paio di cose su cui i candidati convergono abbastanza. Sia Le Pen sia Macron hanno dovuto dare una risposta alla minaccia terroristica che si è abbattuta sulla Francia e sull’Europa e quindi entrambi propongono di rafforzare la sicurezza, anche se Le Pen ovviamente gli dà un’enfasi maggiore. Però, per l’Europa cambia molto. Sappiamo, Macron è il candidato centrista, europeista, si è posto su una piattaforma molto pro-europea che quasi nessuno si aspettava in un momento in cui invece il populismo euroscettico domina. Le Pen, invece, per il perfetto personaggio che impersona questa parte dell’euroscetticismo europeo che è il nazionalismo, il tentativo di dare una risposta ai problemi richiudendosi nei propri confini. Nel 2002, Le Pen-padre arrivò al ballottaggio e prese solo il 20 per cento dei voti; pensavo che se Le Pen rimanesse al 40 per cento, sarebbe un raddoppio e quindi sarebbe da considerarsi sicuramente un’avanzata di questo fronte, più timoroso, che tende a chiudersi e non guarda all’Europa come a una possibilità ma quasi come a un nemico”.

D. - Sulla tornata elettorale potrebbe pesare l’incognita di un significativo astensionismo, come hanno paventato alcuni recenti sondaggi...

R. - E’ una Francia particolare, lo sappiamo: arrivano al voto due personaggi che non arrivano dall’establishment. Sono due leader diversi dai partiti normali, tradizionali, che eravamo abituati a vedere. L’astensionismo potrebbe essere frutto del fatto che nonostante Macron abbia impostato la sua battaglia, la sua campagna come una mobilitazione della Francia contro il nazionalismo, di fatto pare che sposti pochi voti e questo potrebbe agevolare sicuramente Le Pen che invece ha un fronte, un nocciolo duro di elettori che molto probabilmente andrà a votare anche tra due giorni.

D. - Intanto però, l’Europa sembra sperare nella vittoria di Macron, candidato sostenuto anche da Obama, per il suo orientamento programmatico...

R. - Il candidato preferito da parte di tutti i maggiori Paesi dell’Europa - Francia, Italia, Regno Unito, Germania - è chiaramente Macron. Questo perché Macron comunque si è posto, come ripeto, nella piattaforma europeista, poi è in continuità – di fatto – con i presidenti precedenti: ha già detto che nel caso vincesse andrebbe subito a Berlino, quello che fanno più o meno tutti i presidenti dalla fine della Seconda Guerra mondiale in poi, per ristabilire questa centralità dell’asse franco-tedesco.

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Siria: regge la tregua in quattro zone della parte occidentale

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In quattro zone della Siria tacciono le armi. Dalla mezzanotte è entrato, infatti, in vigore l’accordo per la de-escalation nella parte occidentale del Paese. Il ministero degli Esteri russo ha pubblicato sul suo sito web ufficiale il testo del memorandum siglato ad Astana, in Kazakistan, da Russia, Turchia e Iran. Massimiliano Menichetti ha intervistato al riguardo Pietro Batacchi direttore di Rivista Italiana Difesa: 

R. – Possiamo dire, come premessa generale, che si tratta di un bel test per gli attori sul campo e per capire quanto le tre potenze dell’accordo, Iran, Turchia e Russia, abbiano la capacità di controllare i loro proxy locali, i loro attori sul terreno. La seconda considerazione da fare è che l’accordo dimostra ancora una volta chi effettivamente ha un ruolo in Siria, ovvero l’Iran e la Russia da una parte, che stanno con il regime di Assad, e dall’altra la Turchia, che controlla una buona parte della cosiddetta “ribellione non Stato islamico”. Il sedicente Stato islamico ovviamente è fuori da questo accordo e continuerà ad essere combattuto da tutti.

D. – Chi sono, dunque, sul terreno i gruppi collegati a queste potenze?

R. – Per quanto riguarda Iran e Russia, stiamo parlando delle forze lealiste, governative, e degli Hezbollah più le milizie sciite di corredo; per quanto riguarda la Turchia, invece, si tratta di quelle realtà come il Free Syrian Army, quantomeno le parti controllate, egemonizzate, dalla Fratellanza Musulmana siriana. Quest’ultima è uno strumento di Erdogan, ricordiamolo, perché l’Akp, il suo partito, è oggi la prima e più importante, centrale della Fratellanza Musulmana in tutto il Medio Oriente. Dall’altra parte, ci sono anche gruppi salafiti attigui alla stessa Fratellanza musulmana siriana, che in qualche misura dipendono, se non altro per il supporto logistico, dalla Turchia. Lo Stato Islamico resta fuori, sarà importante vedere e capire come si comporterà al-Nusra, cioè al-Qaeda in Siria; e questo sarà un altro degli elementi fondamentali.

D. – La Russia ha subito ribadito che l’accordo raggiunto ad Astana, che si concretizza in queste quattro aree, tiene conto delle proposte che gli Stati Uniti hanno avanzato a inizio anno, proprio con l’obiettivo di creare le condizioni per garantire la sicurezza dei civili e fermare le violenze…

R. – La Russia ha una caratteristica: ha una politica estera animata da una buona dose di realismo e pragmatismo. Sa benissimo che se gli Stati Uniti decidono in qualche misura di boicottare l’accordo, vi potrebbero essere dei problemi, posto che gli Stati Uniti, oltre un certo grado di influenza sui curdi siriani, hanno poco da mettere sul terreno in Siria; però hanno tutta un’altra serie di strumenti, come ha dimostrato il raid contro la base dell’aviazione siriana di Shirat, per influire sul conflitto. Per cui la Russia conosce benissimo questo aspetto e si comporta di conseguenza. Sa benissimo che il presidente Trump, nel suo primo viaggio all’estero, come prima tratta sarà in Arabia Saudita, un altro attore che ultimamente è stato assorbito dal “tritacarne” yemenita, ma che ha sempre una certa influenza nel conflitto siriano.

D. – Comunque, in via generale, è stato rimarcato che la lotta contro il terrorismo continuerà: che spazi avranno questi corridoi umanitari, dunque?

R. – I corridoi umanitari si potranno fare e si faranno dove ci saranno le circostanze per farli. Non dimentichiamoci che anche ad Astana ci sono alcune realtà della ribellione che hanno già espresso i loro dubbi e la loro contrarietà all’accordo. Quindi molto dipenderà dalla situazione sul terreno. C’è però un elemento da tenere in considerazione, ovvero il fatto che dopo sei anni di un conflitto straordinariamente feroce, può subentrare anche quello che si chiama “effetto stanchezza”, per tutti gli attori in campo. Vedremo se prevarrà la responsabilità o ancora l’estremismo. 

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I vescovi brasiliani: il Paese è smarrito, vita politica sfigurata

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Il Brasile è "un Paese smarrito, con attori pubblici e privati che ignorano l'etica e senza principi morali, base indispensabile di una nazione che si vuole giusta e fraterna". E’ quanto si legge nella nota diffusa dai vescovi della Conferenza episcopale brasiliana riuniti fino a ieri, ad Aparecida, per la 55.ma Assemblea plenaria. “E 'urgente – si sottolinea nel documento - riprendere il cammino dell’etica come condizione indispensabile affinché il Brasile possa ricostruire il proprio tessuto sociale”. Tra i mali più evidenti, i presuli indicano la violenza, il traffico di droga, la corruzione, l’evasione fiscale, l’abuso di potere economico e politico”.

Necessaria la riforma del sistema politico
E’ inoltre sempre più necessaria – scrivono i vescovi – “una profonda riforma del sistema politico brasiliano”. Lo scenario attuale, in cui la vita politica spesso è sfigurata, porta alla “tentazione di ignorare i politici e governanti, permettendo loro di decidere il destino del Brasile a loro piacimento”. Ma il disinteresse verso la politica – si sottolinea nella nota – favorisce l’aumento dei cosiddetti salvatori della nazione e l’emergere di regimi autocratici. 

Per gran parte della popolazione l’economia globalizzata è un supplizio
L’economia globalizzata – osservano inoltre i presuli – si è rivelata un “autentico supplizio” per la maggior parte della popolazione brasiliana. Quando è il mercato che governa – si legge inoltre nel documento-  lo Stato diventa debole e viene sottomesso ad una perversa logica della finanza.  Il denaro – sottolineano i presuli ricordando quanto scritto da Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium - deve servire e non governare.
 
Giovani senza prospettive. Senza fratellanza la società non ha futuro
Per i vescovi brasiliani è' preoccupante, anche, la mancanza di prospettive per i giovani. Non c'è futuro per una società in cui si dissolve la vera fratellanza. E’ urgente costruire un progetto di nazione, giusta, solidale e fraterna. I vescovi - si legge infine nella nota - sono sempre a disposizione per aiutare a trovare soluzioni al grave momento che vive il Paese. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Togo, vescovi: non c'è giustizia e i politici sono indifferenti

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“La frustrazione della società civile togolese è una bomba a scoppio ritardato pronta ad esplodere alla prima occasione”: è quanto scrivono i vescovi del Togo nel messaggio diffuso in occasione del 57.mo anniversario dell’indipendenza del Paese, celebrato il 27 aprile scorso. “Riconosciamolo: dietro l’apparenza di pace e di tranquillità - si legge nel documento ripreso dall’agenzia Fides - il Togo è malato”. “I suoi figli e figlie sono sempre più delusi: non sanno più quale cammino intraprendere per uscire dalla situazione attuale e arrivare alla pace: il loro avvenire sembra bloccato”.

Alternanza politica, esigenza naturale e democratica
I vescovi sottolineano che il principio dell’alternanza politica “ancor prima che un valore democratico, è soprattutto un’esigenza d’ordine naturale”. Nel 2005 dopo la morte di Gnassingbé Eyadema, che aveva guidato il Paese per 38 anni, è succeduto suo figlio Faure Gnassingbé, che da 12 anni regge le sorti del Paese. I vescovi si dichiarano contrari ad un’estensione del numero dei mandati presidenziali, come sta avvenendo in altri Paesi africani, ad esempio il Burundi.

Inversione della funzione pubblica
La mancanza di una chiara alternanza genera frustrazione tanto più che lo Stato si è dimostrato incapace di offrire una vera giustizia sociale ridistribuendo la ricchezza del Paese. “La radice del male togolese” scrivono i vescovi è “l’inversione della funzione pubblica”: invece di proteggere i poveri, lo Stato favorisce i ricchi che non fanno altro che accrescere i loro beni. “Lo scandalo - ribadiscono i presuli - non è che vi sono ricchi e poveri”. Lo scandalo è nel fatto che le istituzioni, che “dovrebbero instaurare un minimo d’equilibrio, si rinchiudono nell’indifferenza o scelgono il campo dei ricchi e vi si trincerano”.

La popolazione chiede riforme
Nel Paese ferve il dibattito sulle riforme costituzionali, la Conferenza episcopale invita i politici a non perdere questa occasione per adottare le riforme attese dalla popolazione, in particolare la limitazione del mandato presidenziale e il modo dell’elezione del presidente.

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Inghilterra: i vescovi si schierano con i genitori di Charlie

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In Inghilterra, e non solo, ha ricevuto vasta eco il drammatico caso del bambino di 8 mesi, Charlie Gard, che soffre di una rara malattia genetica. L’Alta Corte di Londra, andando contro anche la volontà dei suoi genitori, ha recentemente autorizzato i medici ad interrompere i vitali trattamenti di sostegno. I genitori vorrebbero trasferire il bimbo, affetto dalla sindrome di deperimento mitocondriale, in un ospedale negli Stati Uniti per sottoporlo ad una cura sperimentale. Ma secondo i medici britannici non ci sono speranze di sopravvivenza. La patologia di cui soffre Charlie è una sindrome rara – i casi accertati al mondo sono solo 16 – che provoca il progressivo indebolimento dei muscoli. I giudici dell’Alta Corte di Londra, motivando la loro decisione, hanno scritto che “non si possono fare esperimenti su Charlie se non ci sono ragionevoli margini di speranza”.

Chiesa di Inghilterra e Galles: nutrizione e idratazione non sono cure mediche
Su questo drammatico caso si è espressa anche la Chiesa con un comunicato dell’arcivescovo Peter Smith, presidente del dipartimento per la Responsabilità e la Cittadinanza Cristiana della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. “L’amore dei genitori – si legge nel documento - vuole prendere in considerazione ogni possibile passo e questo noi lo sosteniamo”. La nutrizione e l’idratazione - si sottolinea nel comunicato - non sono né un trattamento né una medicina. “Non dovremmo mai agire – scrive mons. Smith - con l'intenzione deliberata di porre fine ad una vita umana, compresa l’interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione in modo che la morte possa sopraggiungere”. A volte, però, dobbiamo riconoscere – si legge infine nel comunicato - i limiti di ciò che può essere fatto, sempre agendo umanamente al servizio della persona malata fino al momento della morte naturale. (A.L.)

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Bonus mamma, boom di richieste. Rosina: “Aiuti siano stabili”

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Circa 30mila domande nelle prime 36 ore. E’ boom di richieste per il bonus mamma da 800 euro, dopo che l’Inps lo scorso giovedì ha aperto le procedure per l’ottenimento del premio economico, previsto per tutti i bambini nati nel 2017. La somma è concessa in un'unica soluzione in relazione ad ogni figlio nato, adottato o affidato. La domanda può essere presentata via web utilizzando il portale dell’Inps, chiamando il Contact Center al numero 803164 oppure rivolgendosi a un patronato. Per un commento sui reali benefici di questa misura, Marco Guerra ha intervistato Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica della Cattolica di Milano: 

R. – Sono due gli aspetti positivi. Uno è quello economico. Effettivamente è comunque un riconoscimento che viene dato per un evento importante come l’arrivo di un figlio in un periodo economico del Paese non facile e quindi questa scelta di avere un figlio è stata non solo incoraggiata, ma sostenuta, aiutata. Ma poi ha anche un valore simbolico perché vorrà essere l’inizio di un percorso in cui ci sia un’attenzione particolare finalmente, ma continuativa e solida, nei confronti delle coppie che decidono di avere figli. Teniamo presente che noi siamo uno dei Paesi con la più bassa fecondità al mondo; abbiamo raggiunto livelli di nascite tra i più bassi di sempre dall’unità d’Italia in poi e quindi abbiamo bisogno di dare un segnale che lo Stato, che la comunità va ad incoraggiare e va incontro a chi fa questa scelta importante.

D. - Una misura una tantum così, di 800 euro, può incentivare le nascite o è solamente un premio a chi ha avuto il merito di formare comunque una nuova famiglia?

R. - Attualmente è la seconda. Non può incentivare le nascite come misura in sé; può esserlo solo se ha una sua continuità nel tempo e se si affianca e viene rafforzata anche da altre misure. Serve quindi a iniziare un percorso diverso in cui c’è una corenza di aiuti e sostegni che guardano all’aspetto economico ma anche al tema dei servizi o di conciliazione fra lavoro e famiglia. Il caso di altri Paesi che sono intervenuti con politiche ampie ma solide e continuative nel tempo, fanno vedere che solo così si possono incentivare le coppie a realizzare la scelta di formare una famiglia, avere un figlio, e non invece lasciarla in sospeso e posticiparla.

D. - Lei ha accennato anche alla necessità di servizi e strutture. Infatti la conciliazione lavoro-famiglia è importantissima: quindi bisogna proprio reimpostare la società in modo tale da conciliarla con le esigenze famigliari …

R. - Noi continuiamo purtroppo ad avere una copertura di servizi per l’infanzia e anche una rigidità nel loro utilizzo e costi, che effettivamente non stanno aiutando la conciliazione, sicuramente non ai livelli di altri Paesi. Abbiamo poi un part time che è più basso rispetto alla media europea ed è più facilmente imposto che volontario. Quindi abbiamo veramente bisogno di riorientare le politiche a favore delle famiglie. Questo bonus mamma può senz’altro esser di aiuto, ma non può esser la risposta complessiva a un tema che ormai è diventato enorme e che il Paese deve affrontare con tutta l’attenzione che merita.

D. - Lei ha parlato del messaggio simbolico che può lanciare comunque una scelta di investire sulla famiglia anche se non è strutturale. C’è quindi anche l’esigenza di cambiare il piano antropologico e culturale per tornare a fare figli: non è solo una questione economica …

R. - Assolutamente sì e penso che questo sia preliminare a tutto il resto; possono avere successo delle scelte politiche e un piano di policy se si inserisce in un approccio culturale - e se vogliamo antropologico - diverso. Non possiamo continuare a pensare che i figli siano solo un bene privato a carico dei genitori; sono un valore che va a beneficio di tutta la collettività e quindi dobbiamo intenderlo in questo modo. Se invece continuiamo a pensare che la scelta di avere un figlio sia semplicemente un costo privato, non usciremo mai da questa situazione.

D. - Un figlio è un dato sociale, non è un dato individuale, insomma …

R. – Assolutamente. Quindi proprio per questo dobbiamo passare dall’idea del figlio come costo privato alle nuove nascite come valore sociale. La presenza solida delle nuove generazioni può rendere il Paese sostenibile dal punto di vista sociale, della crescita e del welfare. Al contrario, un Paese  sempre più squilibrato, che fa sempre meno figli, rischia di non crescere, di indebitarsi sempre di più, di non essere sostenibile dal punto di vista dei costi sociali e quindi andare verso un piano di declino sia demografico-economico e di diseguaglianze.

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della IV Domenica di Pasqua

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Nella quarta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice:

«Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce … e lo seguono».

Su questo brano evangelico ascoltiamo la riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Gesù è il buon Pastore, che fa uscire le pecore dal recinto e le conduce sulle proprie orme, ai pascoli migliori, salvandole dai briganti spirituali, da chi inganna e toglie vita. Quali sono le orme del Signore? Quale è la porta da attraversare per giungere ai prati più rigogliosi? Quale è l’unica voce che le pecore ascoltano? La seconda lettura di oggi ci offre una chiave ermeneutica del Vangelo. “Cristo patì per voi lasciandovi un esempio,…, insultato non rispondeva con insulti, maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a Colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati sul suo corpo…”. Ecco le orme del Buon Pastore, ecco la porta aperta verso il cielo, ecco la voce divina che il cuore riconosce. Chi ama il nemico, e non si fa giustizia, portando pazientemente i peccati dell’altro, esce dalla cattiva strada e si salva da “questa generazione perversa”, sottolinea la prima lettura degli Atti. Chi, invece, non saluta il vicino per un’ingiustizia subita, o non parla ad un parente per un’eredità contesa, è una pecora smarrita. Chi ripaga un tradimento vendicandosi con la stessa moneta, tradisce il Signore. Chi teorizza anche la violenza per fare giustizia sociale, definendola una liberazione, non ascolta la Sua Voce, e apre la porta a chi arraffa e uccide l’anima e le persone. Il Buon Pastore, però, è pronto ad accogliere chi si pente.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 126

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.