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Sommario del 08/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: a Fatima sarò pellegrino di pace e speranza nel Signore

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A Fatima fervono gli ultimi preparativi per accogliere il Papa il 12 e 13 maggio prossimi. Francesco ha parlato del suo ormai imminente viaggio incontrando stamane in Vaticano la comunità del Pontificio Collegio Portoghese di Roma. Il suo invito è quello di guardare a Maria per crescere nell’amore di Cristo e dei fratelli. Il servizio di Sergio Centofanti

Un augurio di pace e speranza nel Signore: è ciò che desidera portare Papa Francesco nel suo viaggio a Fatima, dove cento anni fa è apparsa la Madonna ai tre Pastorelli:

“L’incontro con la Madonna è stata per loro un’esperienza di grazia che li ha fatti innamorare di Gesù. Come tenera e brava Maestra, Maria introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio come la realtà più bella dell’esistenza umana”.

Il Papa esorta i sacerdoti del Pontificio Collegio Portoghese di Roma ad avere “al di sopra di ogni altro obiettivo” il “conoscere e amare Cristo” cercando di “conformarsi sempre più a Lui fino al dono totale di sé”. Si tratta di fare l’esperienza della presenza d’amore di Dio:

“Un Dio vicino e fedele, come Lo sentirono i Beati Francesco e Giacinta e la Serva di Dio Lucia. Oggi, contemplando la loro vita umile eppure gloriosa, ci sentiamo spinti ad affidarci, anche noi, alle premure della stessa Maestra”.

Cerchiamo rifugio sotto il manto di Maria – è l’invito del Papa – Lei è “una madre che ci prende per mano e ci insegna a crescere nell’amore di Cristo e nella comunione fraterna”:

“Guardate Lei e lasciatevi guardare da Lei, perché è vostra Madre e vi ama tanto; lasciatevi guardare da Lei, per imparare a essere più umili e anche più coraggiosi nel seguire la Parola di Dio”.

Il rapporto con la Madonna - ha affermato il Papa - “ci aiuta ad avere un buon rapporto con la Chiesa: tutte e due sono Madri”. Quindi cita sant’Isacco, l’abate della Stella: “Quello che si può dire di Maria si può dire della Chiesa e anche della nostra anima. Tutte e tre sono femminili, tutte e tre sono Madri, tutte e tre danno vita”:

“Occorre perciò coltivare il rapporto filiale con la Madonna, perché, se questo manca, c’è qualcosa di orfano nel cuore. Un prete che si dimentica della Madre, e soprattutto nei momenti di difficoltà, manca di qualcosa. È come se fosse orfano, mentre in realtà non lo è! Si è dimenticato di sua madre. Ma nei momenti difficili il bambino va dalla mamma, sempre. E la Parola di Dio ci insegna ad essere come bambini svezzati in braccio alla madre (cfr Sal 131,2)”.

Infine, il Papa rivolge la sua preghiera alla Madonna di Fatima perché ci insegni a credere, adorare, sperare e amare come i Beati Francesco e Giacinta e la Serva di Dio Lucia.

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Papa: la fede è in movimento, fa andare avanti senza sbagliare strada

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Guardarsi dal peccato di resistere allo Spirito Santo ma essere piuttosto sempre aperti alle sorprese di Dio. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sulla pagina degli Atti degli Apostoli che narra del confronto tra San Pietro e la prima comunità cristiana riguardo all’apertura ai pagani nella Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti

Lo Spirito Santo muove la Chiesa, fa muovere la comunità cristiana. Papa Francesco ha messo l’accento su questa verità che vediamo in particolare nella lettura degli Atti degli Apostoli.

Dio sempre ci sorprende perché è un Dio vivo e cammina con noi
Lo Spirito Santo, ha affermato, compie miracoli, cose nuove e “alcuni sicuramente avevano paura di queste novità della Chiesa”:

“Lo Spirito è il dono di Dio, di questo Dio, Padre nostro, che sempre ci sorprende. Il Dio delle sorprese … Perché? Perché è un Dio vivo, è un Dio che abita in noi, un Dio che muove il nostro cuore, un Dio che è nella Chiesa e cammina con noi e in questo cammino ci sorprende sempre. E così come Lui ha avuto la creatività di creare il mondo, ha la creatività di creare cose nuove tutti i giorni. Il Dio che ci sorprende”.

Questo, ha osservato, può creare “difficoltà” come accade per Pietro che viene contestato dagli altri discepoli perché avevano saputo che “anche i pagani avevano accolto la Parola di Dio”. Per loro, ha sottolineato, Pietro si era spinto troppo oltre e lo rimproverano perché, secondo loro, era “uno scandalo” fino a dirgli: “Tu, Pietro, la pietra della Chiesa! Dove ci porti?”.

Non resistere allo Spirito Santo, invocando il “si è sempre fatto così”
Pietro, ha così rammentato il Papa, racconta della sua visione, “un segno di Dio” che gli fa “prendere una decisione coraggiosa”. Pietro, ha ribadito, “è capace di accogliere la sorpresa di Dio”. Davanti a tante sorprese del Signore, dunque, “gli Apostoli devono riunirsi e discutere e arrivare a un accordo” per compiere “il passo avanti che il Signore vuole”:

“Sempre, dai tempi dei profeti, ad oggi c’è il peccato di resistere allo Spirito Santo: la resistenza allo Spirito. E questo è il peccato che rimprovera Stefano proprio ai membri del Sinedrio: ‘Voi e i vostri padri avete resistito sempre allo Spirito Santo’. La resistenza allo Spirito Santo. ‘No: sempre è stato fatto così, e deve farsi così’ Non venire con queste novità, Pietro; stai tranquillo … prenditi una pastiglia che ti calmi i nervi… Stai tranquillo … E’ la chiusura alla voce di Dio.  E il Signore, nel Salmo, parla al suo popolo: “Non indurite il vostro cuore come i vostri padri”.

Chiedere la grazia del discernimento per distinguere il bene dal male
Il Signore - ha quindi affermato volgendo il pensiero al Vangelo odierno incentrato sul Buon Pastore - sempre ci chiede di non indurire il nostro cuore. “Quello che il Signore vuole – ha detto – è che ci sono altri popoli” altre greggi “che non appartengono", ma poi "ci sarà un solo gregge e un solo pastore”. Questi che erano giudicati i pagani, “come condannati”, ha ripreso, anche quando diventavano credenti erano ritenuti “credenti di seconda classe: nessuno lo diceva, ma di fatto” lo erano:

“La chiusura, la resistenza allo Spirito Santo; quella frase che chiude sempre, che ti ferma: ‘E’ sempre stato fatto così’. E questo uccide. Questo uccide la libertà, uccide la gioia, uccide la fedeltà allo Spirito Santo che sempre agisce in avanti, portando in avanti la Chiesa. Ma come posso io sapere se una cosa è dello Spirito Santo o è della mondanità, dello spirito del mondo, o è dello spirito del diavolo? Come posso? E’ chiedere la grazia del discernimento. Lo strumento che lo stesso Spirito ci dà è il discernimento. Discernere, in ogni caso, come si deve fare. E’ quello che hanno fatto gli Apostoli: si sono riuniti, hanno parlato e hanno visto che quello era la strada dello Spirito Santo. Invece, quelli che non avevano questo dono o non avevano pregato per chiederlo, sono rimasti chiusi e fermi”.

Le verità della Chiesa vanno avanti e si sviluppano col tempo
Noi cristiani, ha detto ancora, dobbiamo tra tante novità “saper discernere, discernere una cosa dall’altra, discernere qual è la novità, il vino nuovo che viene da Dio, qual è la novità che viene dallo spirito del mondo e qual è la novità che viene dal diavolo”. “La fede – ha soggiunto – non cambia mai. La fede è la stessa. Ma è in movimento, cresce, si allarga”. E riprendendo un monaco dei primi secoli, San Vincenzo di Lerino, il Papa ha sottolineato che “le verità della Chiesa vanno avanti: si consolidano con gli anni, si sviluppano col tempo, si approfondiscono con l’età, perché siano più forti con il tempo, con gli anni, si allarghino con il tempo e vengono più innalzate con l’età della Chiesa”. “Chiediamo al Signore – è stata la sua invocazione finale – la grazia del discernimento per non sbagliare strada e non cadere nell’immobilità, nella rigidità, nella chiusura del cuore”.

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Altre udienze

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Per le altre udienze odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Tweet: Gesù, che ha vinto il peccato e la morte, doni pace ai nostri giorni

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Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Gesù, che ha vinto le tenebre del peccato e della morte, doni pace ai nostri giorni”.

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Specola Vaticana: Conferenza su buchi neri e sfide della cosmologia

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“Buchi Neri, Onde Gravitazionali e Singolarità dello Spazio-Tempo”: il tema di una Conferenza, da domani a venerdì, presso la Specola Vaticana, a Castelgandolfo, nei pressi di Roma. L’evento vuole celebrare l’eredità scientifica del cosmologo e sacerdote belga mons. Georges Lemaître, ritenuto il padre della teoria del Big-Bang, già direttore della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1960 al 1966, anno della sua morte. La Conferenza - organizzata con il contributo dell’Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf) - è stata presentata stamane nella Sala stampa Vaticana, presenti padre Guy Consolmagno, planetologo, direttore della Specola Vaticana, e i cosmologi padre Gabriele Gionti, Alfio Bonanno e Fabio Scardigli. Il servizio di Roberta Gisotti

Cosa è successo nei primi istanti del Big Bang, quando da un Atomo originario avrebbe avuto inizio tutto? Qual è il destino ultimo del cosmo? Quali sono i limiti della moderna cosmologia? Scopo della Conferenza sarà proprio di incoraggiare un proficuo scambio tra cosmologia teorica e osservativa, per capire quali sfide scientifiche potranno essere esplorate nel prossimo futuro. Tra gli scienziati di tutto il mondo ospiti, vi saranno il premio Nobel della Fisica Gerald’t Hooft e Roger Penrose e i cosmologi George Ellis, Andrei Linde e Joe Silk.

“The Observatory was founded in 1891 by Pope Leo XIII, to show the world that the …”

Ha ricordato padre Consolmagno che la Specola Vaticana “è stata fondata nel 1891 da Papa Leone XIII per mostrare al mondo che la Chiesa sostiene la scienza buona. Ma per fare questo – ha aggiunto - è necessario avere una scienza buona”, sperando che  l’incontro di questa settimana “possa rivelarsi come un esempio di scienza veramente emozionante!”.

A rievocare il genio di padre Lemaître, il cosmologo padre Gionti della Specola Vaticana:

“Nel 1927 pubblicò questo famoso articolo nel quale faceva vedere che l’allontanamento delle galassie era dovuto ad una nuova cosmologia, che nasceva da una soluzione delle equazioni della relatività generale di Albert Einstein, che erano state scoperte da poco. Tuttavia, lui fu una persona molto modesta e umile: non pubblicizzò mai abbastanza questa sua scoperta, che è fondamentale”.

Tra i quesiti più attesi nella Conferenza: Cosa accadrebbe se cadessimo dentro un buco nero? La risposta del cosmologo Bonanno, dell’Osservatorio Astrofisico di Catania:

“Una prima risposta che lascia tutti basiti è la seguente: ‘All’interno di un buco nero, lo spazio diventa tempo e il tempo diventa spazio’. Questa può apparire come una battuta: in realtà non è così. Ma questa è la soluzione matematica dell’interno di un buco nero. E poi ci sono altri misteri matematici: sembra, dall’equazione di Einstein, che sia possibile utilizzare i buchi neri per avere una collezione di universi, uno attaccato all’altro. Ora, la domanda è: sono oggetti matematici oppure hanno una dignità scientifica? Speriamo di poter dire qualcosa o di poter intuire qualcosa in questi giorni, alla Specola Vaticana”.

Una conferenza che segna un momento epocale per la moderna cosmologia, ha sottolineato ancora Bonanno:

“La cosmologia moderna ha dei grossi ‘mostri’ contro cui combattere, attualmente. Da una parte, questo oggetto strano che non sappiamo ancora decifrare e che è la materia oscura, per cui appunto gli astronomi rilevano che nelle galassie ci dovrebbe essere una materia aggiuntiva, grazie alla quale spiegare le velocità radiali, come ruotano le galassie, però questa materia aggiuntiva non si vede e non sappiamo ancora la sua natura. In inglese si chiama la dark matter, che è circa il 30 per cento della materia totale dell’universo. E poi, abbiamo il problema della dark energy: nel 1998, dalla misura di alcune supernove di tipo 1A è stato rivelato che l’universo non solo si espande, decelerando, ma in realtà accelera e questa accelerazione – che in fisica è sintomo della presenza di una forza che è contraria alla gravità – non sappiamo ancora cosa sia. Lemaître aveva capito questo oggetto che si chiama energia oscura, ma proprio perché è oscura non sappiamo bene cosa sia. Pensate che l’energia oscura è il 68-69 per cento della massa di energia totale dell’universo: quindi siamo di fronte ad un problema sostanziale per la cosmologia contemporanea”.

Da qui l’importanza di rilanciare di un dialogo fruttuoso nella comunità scientifica, ha spiegato il cosmologo Scardigli del Politecnico di Milano:

“Lo scopo di questa conferenza è esattamente questo: cercare – in qualche modo – di far dialogare o mettere insieme queste due grandissimi costruzioni teoriche della fisica del XX secolo, che sono da una parte la relatività generale e dall’altra la meccanica quantistica, che si parlano ma ancora forse non si capiscono completamente tra di loro, per così dire”.

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Pompei: il card. Montenegro presiede la Supplica alla Vergine

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E’ stato il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas italiana a presiedere stamattina presso il Santuario di Pompei, il rito della Supplica della Madonna del Rosario. Una tradizione che si ripete ogni 8 maggio dal 1883 e che richiama nella città migliaia di fedeli che hanno pregato per la pace e per tutti i popoli, per i poveri, gli ammalati, i migranti, i disoccupati. Il servizio di Adriana Masotti

"O Augusta Regina delle vittorie, o Vergine sovrana del Paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti, avventurati figli vostri, che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un Tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo ….."

Il card. Montenegro, recita alle 12 insieme ai fedeli, la Supplica alla Vergine del Rosario, una preghiera scritta dal beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario e della nuova Pompei, e recitata in questo giorno in tutto il mondo. Ieri all’Angelus Papa Francesco aveva ricordato questa devozione radicata tra la gente sottolineando la necessità di pregare la Vergine in particolare per la pace. Mi raccomando, ha ripetuto, preghiamo il Rosario per la pace. La supplica alla Madonna ha concluso la celebrazione eucaristica. Nella sua omelia il card. Montenegro ha precisato in che cosa consiste la vera devozione a Maria:

"La devozione a Maria è vera non perché si recitano formule o si è fedeli a tradizioni che arrivano da lontano, ma solo se essa – la tradizione – si fa imitazione e sceglie Maria come modello di fede e di vita cristiana”.

Le letture del giorno, spiega il cardinale, parlano infatti della fede e delle opere. Subito dopo l’annuncio dell’apostolo Pietro i suoi ascoltatori si interrogano sul da farsi perché la Parola e la vita entrino in sintonia:

“Che cosa dobbiamo fare? Ce lo chiediamo anche noi. cosa fare perché la nostra fede non rimanga soltanto devozione esterna, non si limiti a qualche celebrazione e non finisca con il canto finale di qualche Messa? Mi rifaccio alle parole scritte da Giovanni. Giovanni scrive: 'Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze e vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?'”.

La fede autentica dunque non può fare a meno delle opere. E la risposta alla domanda: che cosa dobbiamo fare, prosegue il cardinale Montenegro, è questa:

"Amare sino a dare tutto noi stessi per i fratelli. La fede è dono di Dio e il mondo migliore per viverla è farci dono ai fratelli, soprattutto ai più poveri, ai più disagiati, agli ultimi”.

Pensate a quanto bene verrebbe fuori se tutti noi che oggi recitiamo la Supplica alla Madonna di Pompei decidessimo di fare un’opera concreta di carità, sarebbe già una rivoluzione! - ha detto ancora il cardinale - che ha ricordato le tante forme di povertà e di disagio sociale esistenti a fronte di tanti sprechi. E ha concluso: "è vero che non possiamo risolvere i problemi di tutti ma è anche vero che non possiamo rimanere inerti e indifferenti davanti al grido di dolore e di sofferenza dei nostri fratelli”.

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Oggi in Primo Piano



Francia: sarà a Berlino il primo viaggio del neo presidente Macron

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66,10% di Emanuel Macron contro il 33,9% di Marine Le Pen: sono le cifre ufficiali della vittoria del nuovo presidente della Repubblica francese. Di oltre il 25% l’astensione, una cifra definita record. Macron, a 39 anni, diventa il più giovane presidente della storia francese. Francesca Sabatinelli

Avverrà domenica prossima il passaggio ufficiale delle consegne da Francois Holland a Emanuel Macron che farà quindi il suo ingresso all’Eliseo. In attesa dell’insediamento formale oggi lascia la presidenza del suo movimento ‘En Marche!’, mentre stamattina è stato invitato dallo stesso presidente uscente a rendere l’omaggio al milite ignoto, nel giorno del 72mo anniversario dalla fine della seconda guerra mondiale. Ad essere reso noto il primo impegno internazionale del neo capo di Stato francese, che ha previsto una visita a Berlino, così come fece il suo predecessore nel 2012. E proprio dalla cancelliera Merkel sono arrivate parole di forte incoraggiamento a Macron, visto come la speranza di milioni di francesi e anche di molte altre persone in Europa. Per lui ora però si apre la sfida delle legislative di giugno, voto al quale la Francia si presenterà ancora divisa, e Macron ci dovrà arrivare con un governo al quale dovrà iniziare a lavorare da lunedì prossimo. Le difficoltà da affrontare le mette tutte in luce la stampa francese che da destra a sinistra sottolinea il non indifferente dato dell’astensionismo. “Mi batterò con tutte le mie forze contro le divisioni che ci minacciano” ha promesso Macron, al quale spetta anche il difficile compito di frenare la disoccupazione, affrontare la minaccia terrorista e rilanciare un Europa indebolita. Quali dunque le sfide per il giovane presidente? Riccardo Brizzi, docente di Storia Contemporanea all’Università di Bologna:

R. – Le incognite che attendono Macron sono essenzialmente tre: con quale maggioranza governerà all’indomani delle legislative di giugno, che tutti presentano come il terzo e il quarto turno presidenziale. Il fatto di essere senza partito è stato un vantaggio, probabilmente, nella corsa all’Eliseo ma poi dopo, durante la permanenza rischia di essere un handicap. Oggi i sondaggi ci dicono che il Movimento “En Marche” si giocherà la maggioranza in occasione delle elezioni di giugno, ma probabilmente dovrà stringere alleanze. C’è una seconda grande incognita che è legata al fatto se riuscirà o meno a riportare la Francia al centro dell’Europa. Sappiamo che negli ultimi anni l’Europa è stata essenzialmente a guida tedesca: il cosiddetto asse o motore franco-tedesco ha perso uno dei suoi partner, Macron dovrà riuscire a recuperare credibilità a Bruxelles e con i partner. E infine, Macron deve ri-legittimare la funzione presidenziale agli occhi dei francesi. Questa volontà di protesta, di rifiuto, che si è respirata durante la campagna elettorale è dovuta anche alla scarsa credibilità e al crollo di popolarità delle ultime presidenze: sia quella di Sarkozy sia quella di Hollande hanno fallito nel mantenere un rapporto di fiducia con i francesi. Il grande obiettivo di Macron è quello di riavvicinare i francesi alla Repubblica, alla politica e alla democrazia e far loro superare quella sorte di “crisi da declino” nella quale sembrano essere sprofondati da almeno una decina d’anni.

D. – Macron si trova di fronte a una Francia che ha espresso un sentimento di rabbia e di protesta molto forte: il voto ci dice che quattro su dieci hanno votato Front National …

R. – Senz’altro! Il tratto distintivo della campagna elettorale, sin dal primo turno, è stata la protesta, la volontà di rottura con il sistema. Non è una novità in Francia, sono quasi tre decenni che i francesi mostrano questa volontà di rottura con il sistema. Il grande sintomo di questa volontà è legato all’ascesa progressiva del Front National all’interno del sistema politico francese. Da questo punto di vista, la Le Pen esce probabilmente delusa per l’esito elettorale, ma i francesi hanno mostrato questa volontà di rottura schierandosi circa per il 50% per partiti “anti-sistema” cioè, se noi sommiamo i voti alla Le Pen con quelli a Mélenchon a quelli al candidato sovranista Dupont-Aignan e dei due candidati trotzkisti del primo turno, noi arriviamo al 48%. Non deve dunque sorprenderci il fatto che al secondo turno la candidata Le Pen abbia potuto gonfiare ulteriormente i propri voti, arrivando a più del 33% che, ricordiamolo, è praticamente il doppio dei voti ottenuti dal padre nel 2002. Macron, cioè, ha vinto ampiamente ma il cosiddetto “fronte repubblicano”, la logica del “tutti, eccetto Le Pen” ha funzionato meno bene rispetto al 2002.

D. – Un altro dato, certamente non secondario, è la grande percentuale di schede bianche, in Francia non si è vista mai in questo modo. Si parla di circa quattro milioni di schede bianche!

R. – Sì, la scheda bianca è riconducibile essenzialmente alla decisione di uno dei grandi tenori di questa campagna elettorale, cioè Jean-Luc Mélenchon, di non dare indicazioni di voto. Il leader de “La France Insoumise”, Mélenchon all’indomani del primo turno è stato l’unico tra i grandi candidati a non dare indicazioni di voto a favore di Macron. I suoi elettori si sono pronunciati attraverso un referendum interno votando maggioritariamente l’adozione di un atteggiamento – appunto – di scheda bianca in occasione del secondo turno.

Né di destra, né di sinistra, Emanuel Macron, sin dall’inizio della creazione del suo movimento, si è affrancato dagli schieramenti tradizionali. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato a Parigi il prof. François Lafond, politologo della Sorbonne:

R. – Questo significa, come prima cosa, che il mondo politico come l’abbiamo vissuto in questi ultimi decenni forse ha bisogno di essere ricomposto, cioè cambiato. Lui userà sicuramente il suo mouvement, lo cambierà, lo farà funzionare come un partito, ne avrà bisogno, di una maggioranza presidenziale, ma saranno partiti su temi diversi.

D. – L’Europa è stato il suo cavallo di battaglia. Che cosa farà per renderla più forte, concretamente?

R. – Ha già detto, per esempio, sono simboli ma sono simboli importanti, che manterrà il numero degli studenti che fanno l’Erasmus. Ha voglia di rinforzare la zona euro con un presidente della zone che potrebbe anche essere vicepresidente della Commissione, con eventualmente un budget per i 19 Paesi, per iniziare alcune politiche comuni e poi ha parlato anche di un asse franco-tedesco più importante.

D. – Ma è stato, questo risultato, uno stop per il populismo?

R. – Il rischio più grande del populismo, secondo me, è il nazionalismo e in questo senso Macron ha dimostrato che l’Europa è giustamente il migliore strumento che possiamo avere per controllare le pulsioni nazionaliste. Dovrà trovare alcune soluzioni molto concrete per dimostrare che il populismo può essere vinto.

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Gli auguri dei vescovi francesi a Macron: combattere disoccupazione

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Gli auguri a Emanuel Macron sono arrivati dai vescovi francesi, che hanno anche garantito preghiere per accompagnare il neo presidente francese "nella sua impegnativa missione al servizio della Francia in vista del bene comune". Al microfono di Jean-Charles Putzolu, mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia e presidente della Conferenza episcopale di Francia: 

R. – Bon, c’est monsieur Macron qui a été élu de manière importante, malgré tout, …
Macron è stato eletto con un voto importante, visti i risultati. Bisogna sicuramente augurargli di riuscire, per il bene del nostro Paese, altrimenti, sarà la catastrofe! Le tensioni, la ricerca del cambiamento, le incertezze sono tali da rendere necessario un successo. Le elezioni legislative non sono poi tanto lontane, da loro uscirà un nuovo Parlamento. Viviamo un momento di grandi incertezze perché è un momento di grandi cambiamenti. E’ necessario ritrovare una certa saggezza e questo è certo! E poi, siamo consapevoli del fatto che non dobbiamo mettere il nostro Paese nella condizione di essere ingovernabile.

D. – Su una scala di valori, se lei dovesse assegnare delle priorità, quale secondo lei è il punto di primaria importanza, oggi?

R. – Chômage, chômage, chômage. Lutter contre le chômage …
La disoccupazione, la disoccupazione, la disoccupazione: lottare contro la disoccupazione, dare lavoro a tutti, perché sicuramente è questo l’aspetto che è più distruttivo per le persone, per le famiglie, per le prospettive, per i progetti, in particolare per quanto riguarda i giovani che non vedono un orizzonte chiaro. E’ qualcosa che distrugge la fiducia che ora è necessario ritrovare, ma la fiducia la si potrà ritrovare attraverso azioni che producano frutti, frutti per tutti ma, soprattutto, per i più deboli.

D. – Emmanuel Macron si impegnerà ora a “unire” i francesi, questo è emerso dal suo discorso di ieri. La Chiesa di Francia si impegnerà a “unire” i cattolici, finora divisi?

R. – Le combat des idées divise souvent, et tandis que l’initiative dans l’action …
La lotta per le idee spesso separa, mentre l’iniziativa nell’azione avvicina, e sicuramente questa è la strada che dobbiamo avere bene in mente. Ma certo non ci meraviglia che i cattolici siano divisi, perché i cattolici sono in ogni strato sociale, in ogni strato culturale e quindi, rispecchiando la società francese, sono divisi anche se ci sono limiti che non possiamo superare se vogliamo rimanere cattolici, e queste sono barriere che nascono dal Vangelo, dal rispetto dell’uomo, dal rispetto della vita, dal rispetto dell’accoglienza, dell’accoglienza dello straniero, dalla giustizia sociale, dalla ricerca della pace. E tutto questo deve iniziare a livello europeo, inizia dal fatto che sia questa Europa a offrire la solidarietà agli altri Paesi. Questo è chiaro.

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Si è spento il vescovo cinese Wang Chongyi

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Il 20 aprile scorso è deceduto mons. Andrea Aniceto Wang Chongyi, arcivescovo emerito di Guiyang, nella provincia di Guizhou. Aveva 97 anni ed era uno dei vescovi più anziani della Cina Continentale.

Il presule era nato il 26 ottobre 1919 nel villaggio di Huangguoshu, distretto di Zhenning nel Guizhou, da una famiglia di tradizione cattolica. A 13 anni entra nel Seminario minore di Guiyang. Successivamente passa al Seminario intermedio “San Paolo” e poi a quello maggiore “San Pietro”. Ordinato sacerdote il 24 ottobre 1949, è nominato parroco di Meitan e di Zunyi. Durante la rivoluzione culturale è arrestato e costretto ai lavori forzati nel villaggio di Zhenning per nove anni. Nel 1979 torna nella parrocchia di Zunyi e nel 1981 viene nominato parroco della chiesa nord di Guiyang.

Il 4 dicembre 1988 è ordinato vescovo di Guiyang. Con zelo apostolico ha guidato il Popolo di Dio affidatogli. Pastore generoso, preparava con cura gli impegni pastorali. È ricordato anche per la sua gentilezza e la grande cortesia umana. L’8 settembre 2014 aveva rassegnato le dimissioni dall’ufficio episcopale, accolte da Papa Francesco il 4 marzo 2015. Aveva lasciato la guida dell’Arcidiocesi al suo coadiutore, mons. Paolo Xiao Zejiang, da lui stesso consacrato l’8 settembre 2007.

L’arcidiocesi di Guiyang conta attualmente 23 sacerdoti e oltre 40 religiose; i fedeli sono circa 100.000, compresi i numerosi appartenenti a minoranze etniche. I funerali sono stati celebrati il 22 aprile nella cattedrale di Guiyang.

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Giordania: segni di speranza dal campo profughi di Zaatari

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Anche se con alcune violazioni, è sostanzialmente stabile la situazione nelle 4 zone di de-escalation, grazie all’accordo nei giorni scorsi fra Russia, Turchia e Iran. E' poi cominciata l'evacuazione di ribelli e civili dalla zona di Barzeh, il quartiere alla periferia nordorientale di Damasco. Si tratta della prima uscita di ribelli dalla capitale siriana dal 2011. La situazione intanto continua ad essere difficile per le migliaia di profughi fuggiti dalla Siria. Zaatari, in Giordania, è il campo profughi più grande della Regione. Una panoramica nel servizio di Debora Donnini

A Zaatari, uno dei 4 campi giordani, sono accolti più di 80mila profughi. In tutto sono 650mila i siriani fuggiti in Giordania ma solo 120 mila vivono nei campi. Molti però vi cercano, poi, rifugio non trovando lavoro nel Paese. Una realtà di sofferenza ma anche di inizio di una ricostruzione, testimonia il giornalista Vincenzo Giardina, inviato dell’agenzia di stampa DIRE in Giordania, che in questi giorni sta visitando alcune località al confine con la Siria:

“Zaatari è un campo di container di metallo, è sterminato: c’è una collina a poche decina di metri dalla quale è possibile osservarlo in lontananza. Vi sono container dai molti colori ed è curioso perché la zona è un deserto di rocce bianco, ocra, avorio. E’ pieno di polvere. È chiaro che nel campo c’è un’assistenza importante: è gestito con attenzione, con risorse da parte dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati in collaborazione con lo Stato giordano. Quindi ci sono distribuzioni regolari di alimenti. Addirittura ci sono dei sussidi quotidiani; credo che la cifra sia circa di dieci dinari giordani al giorno, che dovrebbero essere circa 16 euro”.

A donare aiuto è senz’altro l’ospedale nel quale è impegnata anche l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Il direttore dell'Agenzia, Laura Frigenti:

“L’Italia è presente in questo campo profughi in due settori. Il primo è l’equipaggiamento e la gestione di un poliambulatorio funzionale, molto efficiente che copre tutto. Qui è l’unica struttura che ha per esempio delle capacità radiologiche e dove l’Italia mantiene anche una fornitura aggiornata di medicinali essenziali. Il secondo è quello delle donne che sono aiutate e assistite dai vari punti di vista”.

Un impegno importante, quello per le donne, specialmente grazie al progetto di UnWomen finanziato, appunto, anche dalla cooperazione italiana. Ancora Vincenzo Giardina:

“Ci sono corsi di formazione, di tessitura e altre attività che garantiscono lo stipendio mensile minimo di 210 dollari al mese, che è una cifra di rilievo qui a Zaatari. Tutto questo per dare speranza a tante donne che magari dopo aver perso un marito, un fratello, dopo essersi ritrovate capo-famiglia in un Paese straniero, per avere la possibilità, un domani in una Siria pacificata, di poter ricominciare”.

Un simbolo di speranza è senz’altro il Parco “Isola di Lampedusa” appena inaugurato in una zona al confine con la Siria: un nome non casuale che accomuna Paesi distanti geograficamente fra loro ma vicini nell’accoglienza ai profughi, come Giordania e Italia. L’uno fin dagli anni ’70 con i palestinesi, poi con gli iracheni e oggi con i siriani, l’altro impegnato da tempo nel Mediterraneo. Un Parco per dire “sì” all’accoglienza di chi fugge da morte e distruzione.

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Elezioni in Algeria: si conferma la maggioranza di governo

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Le recenti elezioni parlamentari in Algeria anno dato nuovamente la maggioranza assoluta ai due partiti di governo: il Fronte di Liberazione (FLN) e il Raduno nazionale per la Democrazia (RND). Possiamo dire che si tratta di un esito che testimonia in generale la stabilità politica del Paese arabo? Giancarlo La Vella ha girato la domanda a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa: 

R. - Per quello che riguarda l’assetto istituzionale certamente sì, però a rendere questa stabilità in qualche modo paradossale è il fatto che in realtà chi ha preso più voti sono stati gli oltre due milioni di schede bianche. Quindi, il "partito della scheda bianca" in realtà oggi è il primo partito del Paese. Ed è questo forse il dato che va analizzato meglio.

D. - Rimane quindi una sorta di sopita insofferenza popolare ?

R. - Sicuramente, perché le elezioni di quest’anno, come già cinque anni fa, offrivano un vasto ventaglio di scelte: ci sono stati oltre 50 partiti in lizza, 160 liste indipendenti. Evidentemente gli elettori non trovano più dei rappresentati che in qualche modo siano in grado di portare avanti le proprie istanze. Malgrado le maggioranze schiaccianti nell’Assemblea nazionale, il parlamento è quanto meno al servizio del governo, non ha una propria iniziativa politica autonoma e quindi è diventato più una camera che registra praticamente la volontà del governo. Nel corso degli anni si è creato un distacco con la popolazione, soprattutto in questi ultimi anni, in cui il Paese ha conosciuto una crisi economica molto forte a causa del crollo del prezzo del petrolio.

D. - L’Algeria, tra i Paesi arabi, è quello che rimane un po’ fuori dalle problematiche che riguardano queste realtà. Questo è merito del governo o ci sono altre motivazioni?

R. - La relativa stabilità dell’Algeria negli ultimi anni -  mentre erano in corso le rivolte negli altri Paesi arabi - è dovuta al fatto che il Paese aveva già vissuto questo stagione di rivolta nel 1988 prima e poi all’inizio degli anni Duemila. In quel periodo l’Algeria aveva già fatto la sua transizione verso il multipartitismo, verso l’apertura a una pluralità di partiti, sia laici che islamisti. E questo spiega la ragione per la quale l’Algeria non ha conosciuto il fenomeno della “Primavera araba”. A questo si aggiunge un altro elemento: l’Algeria aveva, come in parte ha ancora oggi, delle risorse economiche tali, per cui ha potuto in tutti questi anni acquistare il consenso della popolazione attraverso aumenti salariali e distribuzione di reddito.

D. - L’emergenza del terrorismo fondamentalista, in auge nel recente passato, è definitamente risolta?

R. - L’emergenza terroristica in quanto tale è terminata, però rimangono in Algeria, sia al Nord che al Sud, nella zona sahariana in particolare, dei gruppi isolati di terroristi, che agiscono, anche se con meno impatto in termini di vittime o anche semplicemente di risonanza nei media e nell’opinione pubblica. Il problema è che la conformazione del territorio algerino rende quanto mai difficile l’eliminazione totale di questi gruppi e quindi è probabile che, anche nei prossimi mesi, ma anche nei prossimi anni, avremo delle azioni di modesto impatto, ma delle azioni terroristiche sul territorio algerino.

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Nigeria: Boko Haram libera 82 ragazze, 113 ancora prigioniere

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Dopo lunghe trattative sono state liberate 82 tra le ragazze rapite da Boko Haram. Prigioniere dall’aprile del 2014 insieme ad altre 134 studentesse, sono state accolte dal vicepresidente nigeriano nella capitale Abuja. Delle 276 rapite, 57 riuscirono a scappare nelle prime ore, 21 sono state rilasciate ad ottobre con la mediazione della Svizzera e della Croce Rossa internazionale, 113 sono ancora prigioniere. Giorgio Saracino ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso l’Università di Torino. 

R. - La vicenda delle ragazze di Chibok - le studentesse di una scuola secondaria - inizia nel 2014, esattamente il 15 aprile del 2014, quando nella notte nel collegio in cui stavano dormendo hanno fatto irruzione dei militanti di Boko Haram, il gruppo terrorista islamista che agisce nel Nordest della Nigeria, sequestrandone 276.

D. - 82 rilasciate nel weekend scorso, 21 a ottobre. In cambio di chi?

R. - 82 ragazze sono state liberate, altre 21 erano state consegnate in libertà ad ottobre. Per le prime si era detto che la liberazione era uno scambio di prigionieri, ma la notizia era stata smentita, non si era sicuri. Oggi invece è ufficiale che queste 82 ragazze sono ste scambiate con dei miliziani di Boko Haram detenuti nelle carceri nigeriane. Ciò che non si sa ancora - e forse non si saprà mai - è quanti di questi prigionieri siano stati liberati in cambio.

D. - Boko Haram è ancora così forte e presente sul territorio?

R. - Boko Haram esiste ancora. E' molto ridimensionato, nel senso che da oltre un anno una campagna internazionale contro l’organizzazione ha avuto un esito positivo: i territori molto vasti che negli anni precedenti Boko Haram era risuscito a conquistare e a controllare sono stati liberati. Il gruppo oltre tutto si è diviso in due fazioni: non è più in grado di controllare vasti territori. In compenso, però, non ha smesso - anzi ha intensificato - gli attacchi suicidi che solo dall’inizio dell’anno sono più di 30 e che purtroppo, come negli anni passati, vedono come protagoniste quasi sempre delle bambine costrette a farsi saltare in aria nei mercati o in altri luoghi affollati.

D. - Qual è il rapporto, se c’è, di Boko Haram con l’Is?

R. – Più di un anno fa il leader del gruppo aveva proclamato l’affiliazione allo Stato islamico. Aveva annunciato di aver creato un’enclave dello Stato islamico in Nigeria.

D. - C’è il rischio che in questi tre anni qualche ragazza rilasciata sia stata radicalizzata e plagiata?

R. - Questo è un problema che è stato discusso, affrontato. Il rischio c’è ed è stato preso in considerazione. Sicuramente ci sono delle ragazze che sono state plagiate. Nell’ultimo anno è emerso che delle ragazze - probabilmente le più giovani - siano state convertite a forza, sposate a forza e ormai condividano l’ideologia dei mariti.

D. - Qual è il destino di queste ragazze? Che cosa le aspetta?

R. - Vedremo quale sarà la sorte di queste 82 ragazzine. Di sicuro quella delle 21 liberate a ottobre non è delle più rosee, perché da allora ancora non sono ritornate a case. C’è il timore che, rimandate a casa, possano essere vittime di attentati, di violenze. E quindi queste 21 ragazze vivono sotto protezione del governo nigeriano. A quanto pare hanno visto i genitori solamente a Natale e con visite controllate e molto strettamente regolamentate.

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Due nuovi naufragi, 200 dispersi. Del Grande: l'indifferenza uccide

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Due nuovi naufragi al largo delle coste libiche: almeno 113 persone risultano disperse in mare dopo il naufragio di un gommone avvenuto ieri al largo delle coste libiche. Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell'Oim, le operazioni di soccorso sono riuscite a salvare solo sette persone, sei uomini e una donna. C'è anche lo scafista di un gommone tra le circa ottanta vittime di un altro naufragio avvenuto due giorni fa sempre al largo della Libia. Lo hanno raccontato i sopravvissuti, sbarcati ieri a Pozzallo, sentiti su disposizione della Procura di Ragusa. L'alto commissario dell'Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, riferisce in una nota che da venerdì oltre seimila persone hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l'Italia, portando il totale di quest'anno a oltre 43mila e il numero di chi è scomparso a più di 1.150. "Il salvataggio in mare - afferma - è più essenziale che mai" e per questo il ruolo delle Ong nei salvataggi in mare è importantissimo, ma la cosa più urgente è ora cercare di prevenire le partenze, lavorando in collaborazione con i Paesi di origine. Sul protrarsi ormai da quasi vent’anni di queste tragedie dell’immigrazione, abbiamo sentito Gabriele Del Grande, blogger e scrittore, fondatore nel 2006 dell’Osservatorio Fortress Europe sulle morti nel Mediterraneo. L’intervista è di Fabio Colagrande

R. – Penso che l’indifferenza e la mancata ricerca di una soluzione alternativa al problema siano ormai drammatiche. Da 15 anni ormai assistiamo inermi, ogni anno, a questi conteggi e queste stragi in mare che si ripetono dalla fine degli ’90. I morti sono più di 30 mila lungo quelle rotte, non solo quella siriana ma anche quella greca e spagnola. Eppure, ogni anno si continuano a ripetere gli stessi errori, si continuano a chiudere sempre di più le vie legali, ovvero la possibilità di rilasciare dei visti a quelle persone, a quei viaggiatori, a quei lavoratori, e s’incrementa solo la risposta della repressione in mare, del controllo alla frontiera, dei respingimenti … Gli unici risultati che noi vediamo da 20 anni a questa parte sono lo spostarsi delle rotte sui tratti di mare più pericolosi, il crescente cinismo delle mafie sull’altro lato del mare, per cui ormai si imbarcano i passeggeri in condizioni sempre più precarie, e chiaramente poi la conta dei morti si allunga. L’unico modo per fermare questa strage, lo ripeto da anni e non sono il solo, è quello di preveder dei meccanismi più sensati, più pragmatici, di mobilità legale, regolare, cioè dare a quelle stesse persone che oggi si rivolgono al contrabbando libico, la possibilità di ottenere un visto. Perché poi il problema principale è il monopolio della mobilità sud- nord della mafia libica; chiunque voglia viaggiare, voglia spostarsi dall’Africa verso l’Europa ha soltanto quel canale per poterlo fare. Se si sperimentasse, se si aprissero dei canali legali attraverso le ambasciate di tutti i Paesi europei si potrebbe risolvere o quanto meno ridurre molto il fenomeno.

D. - Nel 2016, le Ong secondo i dati Onu, avrebbero salvato più di 46mila persone nel Mediterraneo eppure ora sembra che siano sotto accusa per collusione presunta con gli scafisti …

R. - Mi sembra un delirio. Questa è l’unica parola che mi viene in mente. Credo che le Ong stiano svolgendo un ruolo fondamentale. In mare, in questi anni, hanno salvato decine di migliaia di persone, hanno dato quindi manforte alla Guarda costiera, alla Marina militare. Nonostante un grandissimo dispiego di mezzi, che fa onore alle forze militari italiane che hanno un dispositivo di salvataggio enorme in mare, che ha permesso loro di salvare centinaia di migliaia di persone in questi anni, è solo grazie alle Ong che ne abbiamo potute salvare ancora di più. Per cui è qualche cosa che fa onore non soltanto all’Italia come Paese, all’Europa come continente, ma anche al mondo delle Ong, dei volontari, che si sono mossi in questa direzione. Dopo di che se il grande problema è il fatto che arrivano delle telefonate con richieste di salvataggio, mi sembra che siamo al delirio. Questo non si chiama favoreggiamento: si chiama salvataggio! Salvataggio che tra l’altro è un obbligo; non c’è la possibilità di scegliere se intervenire o meno. In mare per il Diritto marittimo, il salvataggio è un obbligo: chiunque si trovi in zona, in prossimità di una barca in avaria o in difficoltà ha l’obbligo di intervenire. Salvare persone in mare non significa favorire l’immigrazione clandestina, ma significa salvare delle donne, dei bambini, degli uomini e portarli a terra. È un obbligo non soltanto morale ma anche giuridico. Trovo gravissime queste accuse, trovo gravissimo l’atteggiamento di chi a livello politico o altro ci specula sopra per guadagnare un consenso piuttosto che cinque minuti di gloria o di celebrità. Alle persone che salvano vite in mare dovremmo costruire un monumento. Che sia la Guardia costiera, le Ong, i pescatori o le navi mercantili. Veramente tantissimi agenti hanno partecipato al salvataggio. Massimo rispetto per le Ong che hanno scelto di intervenire in quel tratto di mare. Poi, ripeto, se la politica ci tenesse davvero a risolvere il problema, dovrebbe chiedersi non come limitare il salvataggio, ma come aprire canali legali affinché quelle persone non siano più costrette a imbarcarsi.

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Vescovi Venezuela: rispettare la Costituzione, basta repressione

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“Non riformare la Costituzione, ma rispettarla”. Così si apre il comunicato dei vescovi venezuelani in risposta all’iniziativa del governo del presidente Nicolás Maduro di convocare un’Assemblea Costituente per avviare la riforma della Costituzione attualmente in vigore. Una iniziativa che, secondo i vescovi, non risponde alle gravi necessità del Paese e rappresenta un nuovo tentativo di “indebolire lo stato di diritto”. In sette punti, i membri della presidenza della Conferenza episcopale venezuelana affermano che il popolo, in questo momento, ha bisogno di cibo, medicine, libertà, sicurezza personale e giuridica, e pace. “Tutto questo si potrebbe ottenere - si legge nel comunicato - se il governo attuasse le norme previste nel testo costituzionale in vigore e con una maggiore sensibilità di fronte a tanta carestia”.

La riforma è un tentativo di prolungare la permanenza al potere
Oltre alla proposta di riforma costituzionale, i vescovi si riferiscono anche alla “errata” decisione del Tribunale Supremo di Giustizia che ha abrogato le funzioni del Parlamento dando origine alle massicce proteste che da un mese si compiono in tutto il Paese. “I temi presentati dal presidente per appoggiare la sua proposta - scrivono i vescovi - non mirano a risolvere i problemi dei venezuelani, ma a prolungare la permanenza del suo governo al potere”. L’episcopato afferma che la riforma è un “nuovo tentativo di sostituire l’attuale Parlamento eletto dalla stragrande maggioranza rappresentativa del popolo sovrano”. I vescovi ricordano che una riforma simile è stata rifiutata dalla maggioranza della popolazione con il Referendum Consultivo del 2007. “In definitiva - si legge nel comunicato - questa proposta vuole mettere in pratica il Socialismo del XXI secolo”, già avviato dall’allora presidente Chávez, ovvero “un sistema totalitario, militarista, poliziesco, violento e repressivo che ha causato ogni male che oggi subisce il nostro Paese”.

Basta repressione delle proteste
L’episcopato esprime la propria vicinanza alla popolazione che soffre a causa della violenza provocata dal regime. E aggiunge: “In questo ultimo mese, ha mostrato la sua natura repressiva con l’uso eccesivo e inumano della violenza per soffocare le proteste”. Nel comunicato, i vescovi criticano la repressione attuata dalla Guardia Nazionale Bolivariana e dai gruppi armati, conosciuti come “colettivi”, che agiscono con il consenso delle autorità. Dunque, i vescovi incolpano il governo di agire contro persone che hanno il diritto di manifestare il proprio scontento e di protestare pubblicamente nelle strade. “Basta tanta repressione!” è l'esortazione dei presuli, invitando la popolazione a non rassegnarsi ed a protestare senza cadere “nel gioco di chi, generando violenza, vuole condurre il Paese verso scenari di maggiore conflitto per restare potere”.

Giornata di Preghiera per la pace in Venezuela
I vescovi hanno indetto una Giornata di Preghiera per la pace in Venezuela, domenica 21 maggio, nelle chiese e parrocchie di tutto il Paese. Per chiedere al Dio della vita e della pace la fine della repressione delle forze dell’ordine e nuove strade di riconciliazione. Infine, i vescovi ringraziano le parole di vicinanza e di solidarietà di Papa Francesco, pronunciate al Regina Coeli del 30 aprile, e chiedono i fedeli di “crescere nell’ascolto della parola di Dio e nella preghiera in ogni casa, in ogni istituzione ed in ogni comunità cristiana”. (A cura di Alina Tufani)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 128

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.