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Sommario del 10/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: Maria insegna a guardare avanti anche nel buio più fitto

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Maria, “madre di speranza”, ci insegna a guardare avanti anche nel buio più fitto, quando tutto appare privo di senso. Lo ha ricordato stamani Papa Francesco nella catechesi all’udienza generale in Piazza San Pietro, proseguendo il ciclo di riflessioni sulla speranza cristiana. Il servizio di Debora Donnini

“Non siamo orfani: abbiamo una Madre in cielo”, dice Papa Francesco che, nella catechesi, a partire dalla vicenda della Vergine raccontata nei Vangeli, spiega concretamente perché Maria sia madre di speranza:

“Perché ci insegna la virtù dell’attesa, anche quando tutto appare privo di senso: lei sempre fiduciosa nel mistero di Dio, anche quando Lui sembra eclissarsi per colpa del male del mondo. Nei momenti di difficoltà, Maria, la Madre che Gesù ha regalato a tutti noi, possa sempre sostenere i nostri passi, possa sempre dirci al cuore: ‘Alzati. Guarda avanti. Guarda l’orizzonte’, perché Lei è Madre di speranza”.

Il primo “sì” di Maria sarà infatti il “primo passo di una lunga lista di obbedienze”. Donna silenziosa, che non si deprime e non inveisce contro il destino della vita, “che ci rivela spesso un volto ostile”. “E’ invece una donna che ascolta”:

“Non dimenticatevi che c’è sempre un grande rapporto tra la speranza e l’ascolto, e Maria è una donna che ascolta, che accoglie l’esistenza così come essa si consegna a noi, con i suoi giorni felici, ma anche con le sue tragedie che mai vorremmo avere incrociato. Fino alla notte suprema di Maria, quando il suo Figlio è inchiodato al legno della croce”.

Fino a quel giorno Maria era quasi sparita dalla trama dei Vangeli, sottolinea il Papa: si lascia intendere il suo “rimanere muta” davanti al mistero di un Figlio che obbedisce al Padre. Maria riappare però nel momento cruciale quando buona parte degli amici si sono dileguati per la paura:

“Le madri non tradiscono, e in quell’istante, ai piedi della croce, nessuno di noi può dire quale sia stata la passione più crudele: se quella di un uomo innocente che muore sul patibolo della croce, o l’agonia di una madre che accompagna gli ultimi istanti della vita di suo figlio”.

Nel descrivere quel momento, i Vangeli sono estremamente discreti, nota il Papa: non dicono se Maria piangesse o no, dicono semplicemente che “stava”. Sui dettagli di quel momento si sarebbe invece avventata l’immaginazione di poeti e pittori, che hanno regalato quelle immagini, poi entrate nella storia dell’arte e della letteratura. Nel buio più fitto, in quel momento crudele, la Madonna soffriva, ma “stava”, non se ne era andata. Nemmeno lei conosceva il destino di risurrezione che suo Figlio stava aprendo per gli uomini, ma era lì per fedeltà al piano di Dio e anche “per il suo istinto di madre, che semplicemente soffre, ogni volta che c’è un figlio che attraversa una passione”:  

“Le sofferenze delle madri … tutti noi abbiamo conosciuto donne forti, che hanno portato avanti tante sofferenze dei figli …”.

E poi “ritroviamo” Maria come “madre di speranza”, nella prima Chiesa avvolta dalla luce della Risurrezione ma anche dal tremore dei primi passi che doveva compiere nel mondo. In mezzo alla comunità dei discepoli, così fragili - uno aveva rinnegato, molti erano fuggiti, tutti avevano avuto paura - Lei invece, semplicemente, stava lì.

Al termine della catechesi, poi, il Papa rivolge un saluto alla “delegazione dei giovani sacerdoti del Patriarcato di Mosca ospiti del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani”. Dio - dice - “benedica il vostro Paese e l’impegno della Chiesa ortodossa russa per il dialogo tra le religioni e per il bene comune!”.

Ricordata anche la settimana ecumenica promossa dal Movimento dei Focolari, con l’esortazione a proseguire il comune cammino del dialogo tra le religioni e i popoli. Quindi il saluto ai partecipanti all’incontro Family Business Network, promosso dal Dicastero per lo sviluppo umano integrale, e un grazie alla Brigata Sassari e al Raggruppamento Lazio Umbria e Abruzzo dell’Operazione Strade Sicure “per il servizio di sicurezza svolto anche nelle adiacenze della Città del Vaticano e delle Basiliche Papali”.

Infine il suo pensiero va agli argentini che due giorni fa hanno celebrato la Solennità della Patrona dell’Argentina, Nostra Signora di Luján, alla quale Papa Francesco è molto legato. “Il mio cuore – confida – è stato a Luján in questi giorni”. 

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Francesco: a Fatima affiderò alla Madonna le sorti dell'umanità

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Al termine dell’udienza generale Papa Francesco ha ricordato oggi che venerdì e sabato prossimi si recherà pellegrino a Fatima nel centenario delle apparizioni ai tre pastorelli. Scopo del pellegrinaggio – ha sottolineato – sarà “affidare alla Madonna le sorti temporali ed eterne dell’umanità”. Il servizio di Fabio Colagrande

Alla vigilia del suo pellegrinaggio a Fatima, Francesco torna a sollecitare le preghiere alla Vergine e invita i giovani alla recita quotidiana del Rosario:

“Chiedo a tutti di unirsi a me quali pellegrini della speranza e della pace. Le vostre mani in preghiera continuino a sostenere le mie. Voglia la più grande e la migliore delle Madri, vegliare su ognuno di voi lungo tutti i vostri giorni, fino all’eternità”.

Sabato 13 il Papa canonizzerà i due veggenti Francesco e Giacinta, con Lucia testimoni delle apparizioni mariane considerate le più profetiche nella storia moderna della Chiesa. Ma se tutto è stato pubblicato sui contenuti di quelle apparizioni, il messaggio di Fatima resta attuale, come ricordò Benedetto XVI il 13 maggio 2010.

“Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”, affermò Benedetto celebrando la Santa Messa sulla spianata del Santuario mariano. E profezia, secondo la tradizione biblica, non è previsione di un futuro obbligato, ma invito alla conversione. Gli appelli e i segni mostrati ai veggenti restano una chiave per leggere anche il presente. Il teologo Franco Manzi:

“Come le profezie nella Bibbia, così anche le visioni profetiche di Fatima si realizzano ma poi si riattualizzano all’interno della storia, in questo caso della storia della Chiesa; per cui, da un lato ha visto bene il Papa Giovanni Paolo II, quando ha letto l’attentato fallito il 13 maggio di 64 anni dopo: una profezia che si sarebbe avverata, compiuta nella sua stessa vita. E d’altra parte, come ogni profezia all’interno della Bibbia, ma anche all’interno della storia della Chiesa, si riattualizza”.

Fu lo stesso predecessore di Papa Francesco, in dialogo con i giornalisti in volo per Lisbona, a ribadire l’attualità del carisma profetico di Fatima che svela la lotta tra il bene e il male. Il vaticanista Andrea Tornielli:

“Benedetto XVI disse parole molto forti sul peccato all’interno della Chiesa, sulla sporcizia all’interno della Chiesa. Eravamo nel pieno dello scandalo della pedofilia e il Papa disse che il nemico più grande per la Chiesa non è dato da nemici esterni, ma dal peccato al suo interno. E dunque, ecco, inserì anche questa sofferenza della Chiesa in quel momento all’interno del messaggio di Fatima e della necessità di penitenza e di purificazione”.

Anche oggi Fatima resta un’esortazione alla preghiera, alla penitenza per riparare i peccati, un invito alla santità. Il messaggio di Fatima è un richiamo alla conversione, come affermò San Giovanni Paolo II, nel 2000, durante la beatificazione di Francesco e Giacinta nel santuario portoghese.

“Il messaggio di Fatima è un appello alla conversione!”.

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Papa al Celam: lottiamo accanto ai poveri contro la corruzione

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A 300 anni dal miracoloso rinvenimento nel fiume Paraiba in Brasile della statua della Madonna di Aparecida da parte di tre poveri pescatori, il Papa ha inviato un messaggio a tutti i vescovi latinoamericani, riuniti da ieri nella città di San Salvador, per la Plenaria del Consiglio episcopale (Celam) dei 22 Paesi dell’area, dedicata al tema “Una Chiesa povera per i poveri”. Francesco si dice fortemente preoccupato per la corruzione che pervade il continente americano. Il servizio di Roberta Gisotti

Tre secoli dopo quell’evento miracoloso la Signora di Aparecida – scrive il Papa nel suo messaggio reso pubblico dal Celam – “ci fa crescere nella fede e ci immerge in un cammino di apostolato”, di cui Francesco segnala tre aspetti. 

Anzitutto i tre pescatori, uomini poveri con famiglie che vivevano nell’insicurezza del vivere quotidiano, a contatto con la generosità e l’inclemenza del fiume. Un’immagine che riporta – osserva il Papa – alla difficoltà di vita di tanti nostri fratelli. E ciò che più duole – denuncia – è come sia quasi normale vederli fronteggiare “uno dei peccati più gravi che affligge il nostro continente: la corruzione, questa corruzione che spiana le vite sommergendole nell’estrema povertà. Corruzione che distrugge popolazioni intere sottomettendole alla precarietà. Corruzione che, come un cancro, va divorando la vita quotidiana” delle persone.

Il secondo aspetto è Maria, una madre è attenta, che accompagna la vita dei suoi figli. E va dove non si spera. “Nella storia di Aparecida – ricorda il Papa - la incontriamo nel fiume avvolta nel fango. Lì aspetta i suoi figli, lì sta con i suoi figli in mezzo alle loro lotte e ricerche”.

Terzo aspetto è l’incontro di questi uomini con Maria. Infatti, le reti non si riempirono di pesce ma di una presenza che riempì la loro vita e diede loro certezza che nei loro propositi e lotte non erano soli. Reti “che si trasformarono nella comunità”, quella del “popolo credente che si confessa peccatore e salvato, un popolo forte e ostinato, consapevole che le sue reti, la sua vita, sono piene di una presenza che lo incoraggia a non perdere la speranza”.

Da qui l’esortazione di Francesco: “Aparecida non ci porta ricette ma chiavi, criteri, poche grandi certezze per illluminarci, soprattutto, per accendere il desiderio di liberarsi di tutte le cose superflue e ritornare alle radici, all’essenziale, all’attitudine che piantò la fede nella Chiesa primitiva e dopo fece del nostro Continente la terra della speranza”. “Aparecida - ha concluso il Papa - chiede di rinnovare la nostra speranza nel mezzo di tante ‘inclemenze’”. “Quanto dobbiamo imparare – ha detto – dalla fede della nostra gente!”. “Non temiamo di sporcarci per la nostra gente e non temiamo il fango della storia per riscattare e rinnovare la speranza.”

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Francesco a Tawadros: impegno sincero su non ripetizione Battesimo

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Papa Francesco ha indirizzato un Messaggio al Papa copto Tawadros II, definito “caro fratello”, nella ricorrenza del quarto anniversario dell’incontro a Roma il 10 maggio 2013, “ormai ben nota come giorno dell’amicizia tra la Chiesa ortodossa copta e la Chiesa cattolica”.

Rinnovando la sua “profonda riconoscenza per l’ospitalità” ricevuta durante la sua recente visita in Egitto, si è detto “particolarmente grato” per il rafforzamento dell’unità battesimale nel Corpo di Cristo. Un obiettivo raggiunto grazie alla Dichiarazione comune firmata il 28 aprile al Cairo in cui ci si impegna a cercare “con un’anima sola e un cuore solo” - e “in tutta sincerità” - a “non ripetere il Battesimo amministrato in una delle nostre Chiese ad alcuno che desideri ascriversi all’altra”. I vincoli di fraternità tra di noi - afferma  il Papa citando la Dichiarazione - “ci stimolano a intensificare i nostri sforzi comuni, perseverando nella ricerca di un’unità visibile nella diversità, sotto la guida dello Spirito Santo”.

“In questo percorso - prosegue il Papa - siamo sostenuti dalla potente intercessione e dall’esempio dei martiri. Continuiamo dunque ad avanzare insieme nel nostro cammino verso la stessa Mensa eucaristica, crescendo nell’amore e nella riconciliazione”.

Francesco assicura la sua “continua preghiera” per il Papa e “la pace in Egitto e nel Medio Oriente. In questo Tempo pasquale - conclude - chiedo allo Spirito Santo, forza e tenerezza di Dio, di colmare i nostri cuori di grazia e di accendere in essi il fuoco del suo amore. Possa lo Spirito di pace concederci di crescere nella speranza, nell’amicizia e nella concordia”.

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Nomine

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Per consultare le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Tweet: basta una candela accesa per vincere la più oscura delle notti

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In un nuovo tweet pubblicato oggi, il Papa afferma: "Dio è più grande del nulla, e basta solo una candela accesa per vincere la più oscura delle notti".

 

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Oggi in Primo Piano



Somalia. Mons. Bertin: speranze dal nuovo governo

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Non si fermano in Somalia gli attacchi degli estremisti islamici al Shabaab, con l’obiettivo di creare nell’area uno Stato islamico. Ieri 11 persone sono morte in un attentato contro i militari somali nel Sud del Paese. L’altro ieri, almeno cinque persone hanno perso la vita per l’esplosione di un’autobomba nel parcheggio di una caffetteria italiana, nel centro di Mogadiscio. E tre giorni fa, sempre gli islamisti hanno ucciso un soldato americano della missione di assistenza militare nel Corno d’Africa. Gli Shabaab continuano, dunque, a rendere dura la vita della popolazione somala. Ascoltiamo in proposito mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, al microfono di Jean-Charles Putzolu 

R. – Purtroppo è vero, però non bisogna generalizzare né minimizzare la presenza degli Shabaab. Non bisogna generalizzare perché altre parti della Somalia - il Nord-Est, il Nord-Ovest, il Somaliland - sono più sicure, non hanno questa presenza degli Shabaab; non minimizzare vuol dire pensare di aver risolto il problema. É vero che qualche anno fa avevano fatto uscire gli Shabaab, ma li avevano fatti uscire come se fossero un esercito. Di fatto poi alcuni di loro sono rimasti togliendo la divisa dell’esercito e mettendo una divisa, un vestito civile; altri sono tornati. C’è da pensare che magari altri con interessi personali utilizzano il nome “Shabaab” per compiere delle azioni a carattere piuttosto privato. Ma in realtà, è vero, continuano a fare, a creare problemi. A questo si può rispondere con maggiore fermezza da parte del nuovo governo che ha presentato anche delle aperture. Bisogna accompagnare, come si dice, la carota con il bastone.

D. - Proprio il presidente aveva aperto una porta e proponendo l’amnistia. Ma le autorità somale hanno veramente la possibilità di potere agire da sole contro gli islamisti?

R. - No, non hanno la possibilità, non hanno i mezzi e non hanno neanche la fiducia popolare, perché è importante avere i mezzi, avere il sostegno della comunità internazionale ed avere il sostegno della popolazione locale. Questo se lo devono guadagnare evitando la corruzione e lavorando un po’ di più per dare dei servizi alla popolazione, in questo momento colpita dalla siccità.

D. - A proposito di conferenza internazionale, ce ne sarà un’altra domani, giovedì 11 maggio, a Londra. In precedenza abbiamo visto che i risultati  erano scarsi. C’è da spettarsi qualcosa di più?

R. - Facevo il conto delle conferenze internazionali per la Somalia: mi sono fermato alla 18.ma perché mi ero un po’ stancato di tenere il conto. Devo dire che questa nuova conferenza potrebbe avere probabilità di avere più successo, perché siamo all’inizio del mandato del nuovo presidente, Mohamed Abdullahi Farmajo, un uomo che sembra stimato dalla popolazione, che sembra una persona seria che ha messo come priorità la lotta contro la corruzione. Probabilmente questa conferenza potrebbe riuscire nel senso di accompagnare i primi passi di questo nuovo governo. Allora preferirei ancora portare la mia attenzione sulla speranza, pur conoscendo i risultati delle conferenze precedenti.

D. - Ma queste conferenze internazionali, concretamente, che cosa possono dare? Soldi …

R. - Concretamente possono dare anche soldi, perché so che a questa conferenza parteciperanno anche in un modo più numeroso i somali che vivono all'estero. Dunque, potrebbe avere questo lato positivo, ovvero un coinvolgimento maggiore dei somali che potrebbero fornire un aiuto, soprattutto in questo momento drammatico di carestia, per far arrivare quei bisogni, quei soldi, quei viveri di cui si ha bisogno per evitare la morte di tante persone.

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Centrafrica: agguato all'Onu, uccisi quattro caschi blu

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Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha fermamente condannato l’agguato avvenuto in Centrafrica, nel quale hanno perso la vita quattro caschi blu cambogiani della Missione delle Nazioni Unite Minusca. Un casco blu marocchino risulta disperso. Si tratta dell’attacco più sanguinoso ai reparti internazionali dalla fine delle operazioni militari francesi nell’ottobre del 2016. L’azione, che è stata attribuita al gruppo armato anti-Balaka, dà un’immagine del Centrafrica ancora densa di contrasti interni, in cui bisogna ancora lavorare per realizzare una piena pacificazione. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Luigi Serra, esperto di Africa e docente all’Orientale di Napoli: 

R. – E’ un Paese in chiara crisi derivante da divisioni interne, da instabilità economica, direi socioeconomica, a causa anche della lacerazione che il Paese sta vivendo in maniera endogena e indigena: endogena perché sollecitata da forze esterne, che hanno tutto l’interesse a tenere il Centrafrica allineato con le aree di crisi più a nord ben note; indigena perché la spartizione del potere comporta divisioni basate su rapporti di forza fra le fazioni. Il Centrafrica intero avrebbe risorse, avrebbe prospettive di interlocuzione autorevole nei rapporti industriali, commerciali con numerosi partner, inclusa la Cina.

D. – E’ un po’ la storia di tanti Paesi africani: grandi ricchezze naturali, ma incapacità politica di redistribuire queste ricchezze a tutta la popolazione…

R.  – Esattamente. Incapacità politica che, nella fattispecie del Centrafrica, come del Mali o del Niger, della Guinea, va a sposarsi con il grande tasso di corruzione e quindi di adattamento delle forze di volta in volta dominanti in collusione con gli interessi di sfruttamento di quelle ricchezze, a tutto danno delle popolazioni locali, che “galleggiano” su un mare di ricchezze che sarebbero sfruttabili e fruibili in un regime di democrazia e di equa distribuzione delle ricchezze fra le élites e il popolo. Ma questa cosa non accade come fenomeno in questo millennio. Ci sarebbe invece da attendersi un millennio che dovrebbe erigere a motivazione per l’Africa, nei suoi destini, nelle sue aspettative di progresso, due obiettivi: il rispetto della dignità umana e il senso della democrazia, cose non ancora realizzate.

D.  – Quanto gli appetiti internazionali stanno influendo sull’instabilità del Centrafrica?

R. – Moltissimo. I vecchi colonizzatori e i nuovi colonizzatori in nome dell’ultima facies della colonizzazione, che è la mondializzazione, hanno tutto l’interesse a sabotare gli affannosi tentativi di stabilizzazione, così come le speranze di risorgere dalle ceneri coloniali, postcoloniali, perché in questo modo si consente una spartizione fra i grandi del mondo senza lotte dell’intera Africa. Spostiamoci di latitudine e di orizzonte: la ipotizzata quadri-ripartizione della Siria può essere un esempio di queste strategie.

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Sud Sudan: Onu, oltre un milione i bambini costretti a fuggire

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Una protesta per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul collasso dell’economia del Sud Sudan. È quella andata in scena ieri a Juba, mentre si aggrava anche l’emergenza umanitaria, in particolare per i bambini. Ce ne parla Giada Aquilino

Il Sud Sudan è sull’orlo del baratro e studenti e cittadini scendono in strada a Juba e protestano. Pur poggiato su una delle bolle petrolifere più estese dell’Africa, il giovane Paese ha visto crollare la propria economia in particolare dopo la guerra scoppiata a dicembre 2013, con sanguinosi scontri tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i fedelissimi del vicepresidente Riek Machar. Ce ne parla da Nairobi Bruna Sironi, corrispondente della rivista Nigrizia per il Corno d’Africa:

“C’è un’inflazione galoppante per cui succede che si vada al mattino a comprare qualsiasi cosa al mercato e si torni nel pomeriggio e il prezzo del prodotto è già cambiato ed è aumentato. Cento dollari si cambiano adesso a 8.500 scellini: prima della guerra si cambiavano a 350. Nel Paese già c’erano problemi con il cambio della moneta, per via di molta corruzione: i dollari non si trovavano perché venivano in qualche modo controllati dalla leadership che poi giocava sul cambio. Con la guerra, la situazione è precipitata. Intanto è aumentata la corruzione e poi è diminuita vertiginosamente la produzione di cibo. E’ diventato difficilissimo far arrivare le derrate alimentari, anche di prima necessità. Tutto arrivava a Juba dall’Uganda e dal Kenya, adesso le strade sono assolutamente impraticabili o praticabili con molte difficoltà: i camion devono muoversi con una scorta, ci sono molti agguati, il territorio è insicuro. E tutto ciò fa schizzare in alto i prezzi”.

Uno stato di tensione e violenza che si protrae da quasi quattro anni, aggravato da dissensi etnico-politici che nelle ultime ore hanno portato il presidente Salva Kiir a licenziare il capo di stato maggiore dell’esercito: il generale Paul Malong è da molti indicato come uno degli istigatori degli scontri tra etnia Dinka, a cui appartiene lo stesso capo di Stato, e quella Nuer, di cui è esponente Riek Machar. Ancora Bruna Sironi:

“La città di Juba è presidiata dalla polizia, non dall’esercito. Il che fa pensare come il presidente ormai ritenga che l’esercito non lo protegga sufficientemente. L’esercito è fedele a Malong, al capo di Stato maggiore e si può ipotizzare che lui abbia messo in piedi una rete di connivenze all’interno dell’esercito che rispondono a lui e a nessun altro”.

In questo quadro, la situazione umanitaria si fa sempre più precaria: secondo l’Unicef e l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) il numero dei bambini fuggiti dal Sud Sudan ha superato quota 1 milione. Lo spiega Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia:

“Il Sud Sudan fa parte di quei quattro Paesi che oggi vivono la più grave carestia dal 1945, in condizioni quindi disumane: abbiamo delle evidenze di casi di malnutrizione diffusa per circa 250 mila bambini. A questo aggiungiamo che un bambino su cinque è costretto alla fuga dalla propria casa perché il conflitto è devastante e perché soprattutto le parti in causa non trovano un’intesa. Quindi siamo davvero sull’orlo della catastrofe”.

Gravissimo anche il quadro degli sfollati interni, come evidenzia Iacomini:

“All’interno del Sud Sudan fino ad oggi sono mille i bambini uccisi o feriti dal conflitto. Ci sono poi un milione e 100 mila bambini sfollati. La gran parte di questi addirittura non frequenta le scuole. E’ il più alto numero al mondo. E’ una situazione traumatica: questi piccoli subiscono sconvolgimenti fisici, hanno paura, vivono una situazione di stress e rischiano di essere reclutati dai gruppi armati e hanno grandissimi problemi legati allo sfruttamento sessuale e all’abuso. Ma pensiamo anche alla situazione dei Paesi vicini. Gran parte di queste umanità indifese fugge in Paesi come l’Uganda, il Kenya, l’Etiopia, il Congo, attraversando i confini: spesso si tratta di bambini soli, non accompagnati e quindi esposti doppiamente a violenze ed abusi. In questi casi, stiamo cercando di intervenire per dare sostegno alle famiglie, laddove questi bambini si trovino inseriti in contesti familiari; ma dove non ci sono, stiamo cercando di registrarli, di proteggerli e di inserirli all’interno di strutture che possano in qualche modo provvedere - in questa fase - sia alla protezione psicologica sia a quella umanitaria, che vuol dire un’assistenza alimentare immediata”.

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Clima: Trump rinvia decisione su abbandono Accordo di Parigi

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Nessuna decisione in merito agli accordi Parigi sul clima, prima di aver partecipato al G7 di Taormina. Lo ha annunciato il presidente degli Stati Uniti, Trump, che proprio dello smantellamento delle politiche dell’ex presidente Obama in difesa dell’ambiente ha fatto uno dei punti forti della sua campagna elettorale. Una uscita quella degli Usa dagli accordi di Parigi, che potrebbe mettere la parola fine all’intesa. I particolari da Paola Simonetti: 

Consultare i suoi consiglieri, pro e contro alla permanenza degli Stati Uniti nell’accordo sul clima di Parigi, mantenere dunque una posizione di ascolto il cui epilogo, per una decisione finale, sarà il G7 di Taormina, in programma il 26 e 27 maggio prossimi. Queste le intenzioni del presidente Trump, che sembra prendere tempo per una risposta definitiva sull’eventuale abbandono dell’intesa siglata dal suo predecessore, Obama, proprio mentre numerosi appelli a fare marcia indietro sulla decisione di lasciare l’accordo gli giungono da molta parte della comunità internazionale. Un atteggiamento, tuttavia, quello di Trump più formale che sostanziale, secondo Mario Del Pero, docente di Storia degli Stati Uniti all'Istituto di studi politici di Parigi SciencesPo:

“Si mostra una posizione moderata, in una certa misura conciliante, quasi di apertura che stride sia con quello che era stato il programma elettorale del candidato Trump, sia con tutti i primi testi dell’amministrazione Trump, che sta procedendo rapidamente a uno smantellamento di tutte quelle regolamentazioni introdotte con Obama, atte a contrastare il cambiamento climatico attraverso una politica – anche abbastanza severa – di riduzione delle emissioni nocive. E quindi è difficile mettere in asse queste scelte politiche interne con una reale volontà diplomatica di rispettare gli impegni assunti a Parigi nel 2015”.

Ma la strada di Trump per lo smantellamento delle politiche ambientali adottate da Obama, potrebbe non essere totalmente spianata, nonostante l’appoggio di molte lobby territoriali che ne trarrebbero vantaggio su produttività e competitività: anche consiglieri e ministri chiave del presidente statunitense, infatti, sono divisi sull'argomento, tanto da far saltare per la seconda volta alla Casa Bianca una riunione decisiva. Sentiamo ancora Del Pero:

“Dentro l’amministrazione ci sono posizioni diverse. Nel Paese ci sono Stati e municipalità, che conducono le loro battaglie e che hanno agito come gruppi di pressione, come delle lobby abbastanza incisive ed efficaci. Quindi, la deregulation trumpiana in materia ambientale potrebbe cozzare contro un ostacolo con il quale, con tutt’altro schieramento, si è dovuto confrontare lo stesso Obama, cioè le resistenze interne che in un sistema di potere federale, di poteri decentrati come quello americano, può esercitare una qualche influenza. Resta però il fatto che le posizioni di Trump nel negare la realtà o la portata del cambiamento climatico e i rischi per il pianeta, sono diffuse e popolari dentro il mondo repubblicano. Quindi, manca anche l’incentivo politico”.

Un rifiuto, quello degli Stati Uniti a proseguire sulle azioni sancite nella conferenza sul clima di Parigi, che potrebbe essere determinante sull’intesa raggiunta nel 2015, come conclude Mario Del Pero, docente di Storia degli Stati Uniti all'Istituto di studi politici di Parigi CiancPo:

“Se confermata nel tempo, sarebbe una pietra tombale su quell’accordo secondo cui gli Stati Uniti sono la principale potenza inquinante, ed è chiaro che l’assenza degli Stati Uniti fa venir meno una leva sugli altri soggetti, a partire dalla Cina”.

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Brucia camper a Roma, morte tre sorelle rom: s'indaga per omicidio

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Tre sorelle rom di 20, 8 e 4 anni hanno perso la vita questa notte a Roma nel loro camper, in viale Primavera, zona Centocelle. I genitori e i fratelli sono riusciti a scappare prima che le fiamme avvolgessero il mezzo dove vivevano in tredici. Nei pressi del camper sono stati rinvenuti resti di liquidi infiammabili; la Procura di Roma ha aperto quindi un fascicolo per incendio doloso e omicidio volontario. I familiari, già sentiti dalla polizia, hanno dichiarato di aver subito delle minacce. Giorgio Saracino ha parlato con mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma: 

R. - Nel 2011 abbiamo avuto la morte di quattro bambini a Tor Fiscale. Da allora avevamo detto che speravamo fosse l’ultimo fatto doloroso. Ora è ovvio che bisogna mettere la testa in queste situazioni, che bisogna cercare di delle soluzioni. Però non delle soluzioni immediate, veloci; ci vuole una programmazione seria e a lunga gittata che vada da un discorso di attenzione alla persona, ad un discorso culturale, di formazione, lavorativo. Tutto un percorso di accompagnamento per un’etnia che è qui nella nostra città, che non può essere lasciata a se stessa e abbandonata.

D. - Quella che si è adottata fino ad oggi è la politica dei campi. Forse si può fare qualcosa di più in futuro….

R. - Le politiche fatte finora sono state quelle dei campi. Abbiamo sempre detto, non è una novità di oggi, che i campi più che essere una soluzione diventano un problema, perché nel campo non solo c’è una carenza di assistenza, di scolarizzazione, ma c’è anche un luogo di vessazione, quindi di scuola di malaffare. È ovvio che poi anche tra i rom, come tra gli italiani, ci sono diversità di situazione delle persone: ci sono quelli che sono ricchi, quelli che sono poveri, quelli che sono regolari e quelli che tendono a delinquere. Allora bisogna esser presenti per armonizzare quest’etnia e armonizzarla nei confronti della nostra città, perché altrimenti, sia la città che loro, sono penalizzati. Quindi bisognerebbe fare un discorso di armonizzazione generale. Questo è un lavoro lungo, faticoso, impegnativo, ma doveroso e necessario.

D. - Oggi lei sul luogo della tragedia ha incontrato la sindaca Raggi. Che cosa vi siete detti?

R. - Una della cose che ha detto – e che come amministrazione è stato detto più volte e ribadito questa mattina – è che l’intenzione è quella del superamento dei campi. La politica deve interessarsi, deve mettere in piedi questo percorso per arrivare a questo obiettivo. Lei ha detto esplicitamente che il loro intento è quello di superare i campi.

D. – Questo, in qualità di Caritas è anche il vostro auspicio…

R. - Non solamente superare i campi, perché ora non è che si prende un palazzo con tanti appartamenti e si consegnano a questo gruppo. Non basta solamente il mangiare e il dormire, la casa… Ci vuole anche il lavoro e l’educazione, la formazione; è necessario che i bambini vengano avviati ad un processo  di scolarizzazione. Quindi che rimanga sì la loro cultura, ma è una cultura che deve essere costantemente aiutata e supportata. È ovvio che se  rimangono gli ultimi degli ultimi, per sopravvivere devono trovare degli espedienti che poi possono diventare realtà negative nei confronti dell’altra realtà della città. 

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Famiglia. Bersani (La Sapienza): pressioni ideologiche sugli psicologi

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Accesso dibattito nella comunità medico-scientifica, dopo il caso di Giancarlo Ricci, lo psicologo milanese che subirà un procedimento disciplinare per aver sostenuto la centralità delle figure genitoriali materna e paterna in alcuni eventi pubblici. Per lo stesso motivo sarebbero una decina i 'processi' avviati da vari Ordini professionali. Rischia quindi di diventare un tabù l’indagine sui temi dell’omogenitorilità e del gender, il tutto a discapito della libertà di ricerca. Marco Guerra ne ha parlato con il prof. Giuseppe Bersani, docente di psichiatria alla Sapienza di Roma: 

R. – La possibilità di far ricerca esiste, ma esiste anche una certa remora legata al timore che approfondire questo argomento possa in qualche modo significare avvicinarsi ad un atteggiamento di tipo omofobo. Questo è evidentemente infondato sul piano reale. In realtà approfondire l’argomento dell’omogenitorialità vorrebbe dire portare un livello di conoscenza più significativo e completo ad un fenomeno che comunque esiste e che comunque è di grande importanza attuale. Fare ricerca vorrebbe dire dare il giusto peso a quello che sta succedendo e c’è qualche limite concettuale, culturale, molti limiti culturali su questo.

D.  – Sull’omogenitorialità che cosa dicono le ricerche attuali?

R. - Ci sono dati molto eterogenei, molto sparsi, spesso raccolti in modo insufficiente. Va detto che purtroppo spesso sono raccolti in modo da risentire delle pregiudiziali culturali degli investigatori. Quindi, a seconda del fatto che si propenda per una tesi o per un’altra, soprattutto per quella che sostiene che non ci sia nessuna conseguenza psicologica sull’adozione omogenitoriale, i dati vengono proposti in un modo o nell’altro. Insomma esistono dati ma nulla di definitivo.

D. – Affermare che un bambino ha bisogno di un padre e una madre non sembra una forzatura…

R. – Ma certo. Fermo restando, ripeto, che non è affatto in discussione la capacità genitoriale e di amare di una persona omosessuale, ci mancherebbe, non è questo il punto. A me sembra paradossale soltanto il fatto di porsi questo interrogativo, se sia forzato o no parlare di madre o di padre. Qualunque risposta in base al buon senso renderebbe superflua la risposta e la domanda a monte. Diciamo che secoli di studio di psicologia hanno investigato essenzialmente il rapporto primario del bambino nel suo sviluppo con le figure identificative fondamentali, quella maschile paterna e femminile materna. Non tenere conto di questo vuol dire cestinare, così, tout court, secoli di studio ed affidarsi ad un approfondimento conoscitivo, assolutamente viziato da pregiudiziali ideologiche. Parlare di madre o padre è la cosa più semplice, naturale, ovvia che si possa fare. Questo non vuol dire disconoscere o negare l’importanza di altre situazioni, ma il fatto di volere saltare la definizione di madre e padre sarebbe ridicolo se non fosse drammatico.

D.  – Affermare che la sessualità sia condizionata solo dalla cultura e non dalla biologia è la tesi di fondo della teoria gender, secondo cui saremmo guidati solo da stereotipi imposti. Cosa dice la scienza su questo?

R. – La teoria gender è una teoria, non è un modello scientifico, è una teoria conoscitiva fondata essenzialmente su una pregiudiziale ideologica. Tutto quello che di obiettivamente scientifico conosciamo dice esattamente il contrario. Il sesso di un bambino viene determinato già durante la vita uterina da fattori di tipo genetico e ormonale in senso generale. E’ evidente che poi fattori educativi, sociali, culturali, quello che si vuole, possano influenzare lo sviluppo o meno di alcune potenzialità legate al sesso genetico ma la determinazione del sesso è assolutamente biologica: negare questo vuol dire stare a sentire campane ideologiche piuttosto che attenersi all’obiettività conoscitiva scientifica e purtroppo ideologia e scienza vanno esattamente nella direzione opposta.

D. – Cosa bisogna auspicare per la libertà di ricerca?

R. – La ricerca scientifica deve essere libera per definizione: non esiste una ricerca vincolata a pregiudiziali né di tipo conoscitivo né tantomeno di tipo ideologico o culturale. Purtroppo oggi è vero che esiste una pressione contro questa ovvietà, esiste la possibilità di essere tacciati di atteggiamento oscurantista, arretrato, se si approfondisce l’obiettività di alcune situazioni che sono conoscibili in modo obiettivo. La ricerca deve essere assolutamente libera. Quello che si può auspicare è che modelli ideologici e soprattutto politica e pressioni culturali non interferiscano con l’attività dei ricercatori.

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Migrantes: morti nel Mediterraneo, ampliare corridoi umanitari

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“Mentre non si fermano le polemiche politiche sull'aiuto sussidiario delle navi delle dieci Ong nel Mediterraneo, nuovi morti, già 250, tappezzano i fondali del Mare Nostro”. E’ quanto scrive in una nota mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e direttore generale della Fondazione Migrantes, sottolineando che “ancora una volta i più deboli, donne e bambini in cerca di un futuro migliore, sono tra le vittime più numerose”. Complessivamente, sono oltre 1.300 i morti nel Mediterraneo in questi primi mesi dell' anno.

Rafforzare azioni a tutela della dignità e della vita
“Ma c' è un morto subito dimenticato – si legge nella nota - che si aggiunge a questa lista di martiri delle migrazioni, che ancora di più provoca la nostra coscienza: il giovane richiedente asilo maliano, suicida sul traliccio del ponte della stazione di Milano”. Da un anno e mezzo attendeva la risposta alla sua domanda di protezione internazionale. “Tutti questi morti in mare e in stazione – scrive mons. Perego - chiedono non di indebolire, ma di rafforzare alcune azioni a tutela della dignità e della vita delle persone forzatamente migranti”.

Estendere il controllo e il salvataggio nel Mediterraneo
“Queste morti – aggiunge il direttore generale della Fondazione Migrantes - chiedono di estendere il controllo e il salvataggio nel Mediterraneo come prima e costante azione finché il Mare Nostro resterà l'unica via di fuga per le persone migranti”. “Chiedono, questi morti, un impegno deciso e immediato per e con la Libia, per e con i Paesi dell' Africa orientale e subsahariana, per una sicurezza nei loro Paesi e nei viaggi dai loro Paesi, oggi abbandonati ai trafficanti di esseri umani e a multinazionali senza scrupoli”.

Allargare l'esperienza di corridoi e canali umanitari
“Si tratta – sottolinea mons. Perego - di allargare l'esperienza di corridoi e canali umanitari, che le esperienze già in atto dicono possibili e che vedono l'impegno congiunto di istituzioni, società civile e Chiese”. “Chiedono ancora, questi morti, più sicurezza sociale per i migranti accolti in Italia e in Europa, perché per mesi e per anni non subiscano nuove umiliazioni e privazioni”. “Questi morti – conclude il presule - gridano pace, in Medio Oriente, in Africa e in 35 Paesi del mondo da cui sono fuggiti - lo scorso anno 8 milioni di persone - per non morire sotto le bombe e per le armi sempre di più vendute dai Paesi europei”. (A.L.)

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Vescovi: Accordo di Dayton non ha portato giustizia in Bosnia

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“L’Accordo di pace di Dayton ha fermato lo spargimento di sangue, ma non ha generato giustizia ed equità per tutti i cittadini, bensì un conflitto politico costante tra i soggetti nazionali e i politici che rende lo Stato della Bosnia Erzegovina sempre più instabile e senza prospettive”. E’ quanto scrivono i vescovi presidenti delle commissioni Justitia et Pax di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina.

Condizioni per un ritorno sicuro e sostenibile per rifugiati e sfollati
I presuli - rende noto l’agenzia Sir - chiedono che “per tutti i rifugiati e gli sfollati si creino le condizioni per un ritorno sicuro e sostenibile” e chiedono “una riforma costituzionale nel senso del federalismo, del decentramento, della sussidiarietà e della rappresentazione legittima dei popoli costituenti e delle minoranze nazionali”. Salutano con favore il Rapporto del Parlamento europeo del 15 febbraio 2017, che manifesta la volontà di aiutare lo Stato della Bosnia Erzegovina, in modo più efficace, nel quadro del processo “di stabilizzazione e di adeguamento alle strutture europee”.

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Ordinari cattolici di Terra Santa: rispettare diritti dei detenuti

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Nelle carceri israeliane, dal 17 aprile, è in atto uno sciopero della fame da parte dei prigionieri politici palestinesi. Una protesta, secondo il suo promotore Marwan Barghouthi, leader di Al-Fatah in carcere da 15 anni, “per la libertà e la dignità”. Sono circa 1.800 i prigionieri, su un totale di 6.500, che da tre settimane rifiutano il cibo. Gli ordinari cattolici di Terra Santa - riferisce l’agenzia Sir - hanno diffuso nei giorni scorsi una nota in cui si esortano “le autorità israeliane a sentire il grido dei prigionieri, a rispettare la loro dignità umana e ad aprire una nuova porta verso la costruzione della pace”.

Si lavori per la liberazione di ogni essere umano
“I detenuti - si legge ancora nella nota - invocano il rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità, come riconosciuto dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra”. “Come cristiani - si sottolinea inoltre nella nota - siamo inviati a lavorare per la liberazione di ogni essere umano e per la creazione di una società umana in cui ci sia uguaglianza per tutti, israeliani e palestinesi”.

La pastorale nelle carceri israeliane
Prosegue intanto l’impegno della Chiesa cattolica locale nelle carceri di Israele. Un impegno che rientra nella pastorale delle carceri del Patriarcato latino di Gerusalemme, voluta più di 20 anni fa dall’allora Patriarca, oggi emerito, Michel Sabbah. Padre David Neuhaus ne è il responsabile e coordina un team di oltre 10 persone, tra cui sacerdoti, religiosi e religiose e laici: “Attualmente - sottolinea padre Neuhaus - assistiamo un centinaio di detenuti cristiani, tra loro anche donne e qualche ortodosso”. (A.L.)

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Panama: forum mondiale delle religioni per l'infanzia

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Circa 430 leader delle principali religioni del mondo e 60 bambini, provenienti da circa 70 Paesi, insieme ai rappresentanti di organismi internazionali, sono riuniti a Panama City per studiare le azioni da intraprendere per eliminare qualsiasi tipo di violenza contro l’infanzia. Si tratta del V Forum mondiale della rete globale delle Religioni a favore dell’Infanzia (Gnrc), che è stato inaugurato ieri dal vescovo episcopaliano panamense Julio Murray. Obiettivo del Forum, organizzato dalla ong Arigatou International, è costruire un mondo migliore per i bambini e le bambine e sradicare le varie forme di violenza perpetrate contro di loro, come riferisce l’Agenzia Fides.

Assicurare che la pace prevalga e che i bambini siano al sicuro
“Proteggere i bambini dall’estremismo violento, la violenza delle bande armate e il crimine organizzato; coltivare la spiritualità e porre fine alla violenza, allo sfruttamento e agli abusi sessuali sui minori” sono i punti fermi di questo incontro, si legge in un messaggio inviato dal presidente di Arigatou, il reverendo Keishi Miyamoto. Il sacerdote cattolico cileno padre Sidney Fones, incaricato del comitato organizzatore del Forum, da parte sua, ha segnalato che “bisogna capire che tutte le persone hanno un ruolo per assicurare che la pace prevalga e che i bambini siano al sicuro”. “La nostra speranza è che le idee e i risultati di questo incontro generino azioni pratiche e fruttuose per la tutela dei piccoli” ha aggiunto.

Impegno di tutti a costruire un mondo libero dalla violenza contro l’infanzia
Prima dell’incontro principale, 60 bambini e giovani di 13 Paesi hanno preso parte ad un “preforum” nel quale hanno preparato le loro raccomandazioni da presentare alla convention interreligiosa. A conclusione dell’evento, l’11 maggio, i partecipanti firmeranno una dichiarazione con la quale si impegneranno a lavorare tutti insieme per costruire un mondo libero dalla violenza contro l’infanzia. L’incontro religioso in passato si era tenuto a Tokyo, Ginevra, Hiroshima e Dar es-Salam. La Gnrc, fondata nel 2000, comprende membri delle grandi religioni del mondo, come l’ebraismo, l’islam, il cristianesimo, il buddismo, che realizzano programmi regionali e locali con il fine di migliorare la vita dei bambini in America Latina, Africa, Europa, Asia del Sud, Caraibi e Medio Oriente.

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Cile: la Chiesa si prepara alla Giornata del catechista

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Il prossimo sabato, 27 maggio, si celebra in Cile la Giornata nazionale del catechista. L’iniziativa, organizzata dalla Commissione nazionale di catechesi della Conferenza episcopale cilena, quest’anno è incentrata sul tema “La gioia di comunicare la speranza”. Mons. Cristián Caro Cordero, arcivescovo di Puerto Montt e presidente della Commissione nazionale di catechesi, sottolinea che tale tema si lega a quanto più volte affermato da Papa Francesco: “La gioia del Vangelo – dice il presule citando Evangelii gaudium - riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”.

Condividere la gioia della nuova vita in Gesù Cristo
Mons. Cristián Caro Cordero saluta i catechisti, definite “persone piene di speranza e mosse dalla carità”, che si sforzano “di annunciare la fede in Cristo”. L’arcivescovo di Puerto Montt ringrazia inoltre i catechisti per il loro servizio nell’educazione alla fede di migliaia di fratelli e sorelle. “Difendere e promuovere la vita umana, costruire ogni giorno la pace ed essere misericordiosi come il Padre – spiega il presule - sono le tre sfide che il Signore e la Chiesa ci propongono oggi”. L’esortazione – conclude mons. Cristián Caro Cordero - è quella di continuare ad ascoltare, di condividere la gioia della nuova vita in Gesù Cristo. (A.L.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 130

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.