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Sommario del 12/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Fatima: chiedo di unirvi a me come pellegrini di speranza e pace

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Tutto è pronto nel Santuario di Fatima, in Portogallo, per accogliere Papa Francesco che inizia oggi il suo nuovo viaggio apostolico nel centenario delle apparizioni  mariane. Sotto la pioggia battente, in un clima di intensa devozione popolare, centinaia di migliaia di pellegrini di cinquanta Paesi, stanno vivendo questi momenti in un’atmosfera di gioia e preghiera. Prima di lasciare Casa Santa Marta, il Santo Padre ha salutato sei donne con storie personali di sofferenze e disagi. Due di loro sono in stato interessante, altre erano accompagnate dai loro figli. In un tweet il Papa lancia questo invito: “Chiedo a tutti di unirsi a me, come pellegrini di speranza e di pace: le vostre mani in preghiera continuino a sostenere le mie". Ascoltiamo il servizio del nostro inviato a Fatima Fabio Colagrande: 

“Chiediamo scusa alla Vergine, ma noi siamo qui per vedere il Papa”. Una coppia di sposi portoghesi è qui da due giorni, accovacciata ai bordi della piazza in attesa di Francesco. Intanto, presso la Cappellina delle apparizioni, continuano incessanti  celebrazioni, processioni e pellegrinaggi: tutti segni di una devozione popolare intatta dopo un secolo.

“Ringraziamo Dio per la guarigione di Lucas e sappiamo con tutta la fede del nostro cuore che questo miracolo è dovuto all’intercessione dei pastorelli Francesco e Giacinta”. Ieri, alla vigilia dell’arrivo del Papa, in conferenza stampa, il padre di  Lucas Maeda de Oliveira, il bimbo brasiliano la cui guarigione miracolosa ha portato alla proclamazione della santità dei due pastorelli, ha espresso, assieme  alla moglie, la grande gioia per aver contribuito alla canonizzazione che il Papa celebrerà domani. Francesco e Giacinta, due santi bambini, i primi non martiri, che hanno aiutato e benedetto con la loro amicizia un altro bambino.

Seimila uomini per la sicurezza proteggono la spianata del Santuario che sarà teatro della visita papale. Nel primo giorno del suo diciannovesimo viaggio internazionale, Francesco, giunge da Roma, in volo, nel pomeriggio di oggi alla base militare portoghese di Monte Real. Dopo l’incontro privato con il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, si trasferisce in elicottero a Fatima. Subito la visita alla Cappellina delle apparizioni e – dopo cena – la benedizione delle candele e la recita del Santo Rosario che la Vergine di Fatima invitò i veggenti a praticare. Domani, di fronte alla Basilica, il Papa celebrerà la canonizzazione di Francesco e Giacinta Marto, a un secolo esatto dalla prima apparizione mariana di cui furono testimoni con la cugina Lucia, riattualizzandone l’appello alla conversione e alla pace nel mondo.

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Il rettore del Santuario di Fatima: dal Papa parole profetiche di pace

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Tanti i pellegrini giunti da tutto il mondo a Fatima in occasione del viaggio del Papa. Ma con quali sentimenti si sta vivendo questo evento. Fabio Colagrande ha raccolto il commento di padre Carlos Cabecinhas, rettore del Santuario di Fatima e coordinatore dell'organizzazione della visita del Papa: 

R. – Prima di tutto con una grande gioia, la gioia di avere il Papa qui a Fatima in questo momento tanto importante del centenario delle apparizioni; gioia per la canonizzazione dei pastorelli Francesco e Giacinta, ma anche gioia per il desiderio di ascoltare quelle parole profetiche che Papa Francesco ci dà sempre.

D. - Cosa vi aspettate appunto dalle parole del Papa?

R. - Ci aspettiamo che Papa Francesco ci aiuti a leggere il messaggio di Fatima con uno sguardo rinnovato, quindi che ci aiuti a capire l’attualità del messaggio di Fatima davanti ai problemi, ai drammi del mondo di oggi a cui Papa Francesco è sempre particolarmente attento.

D. - Cosa significa per i pellegrini di Fatima la canonizzazione di Francesco e Giacinta?

R. - I pellegrini di Fatima aspettavano questo momento da tanto. E quando c’è stato l’annuncio, mi ricordo di avere annunciato la sua visita anche nella Cappellina delle Apparizioni. C’erano cristiani, pellegrini d’Italia, della Polonia … É stata una gioia grandissima. Quindi è da molto tempo che i pellegrini di Fatima aspettavano questa canonizzazione. Ma direi che non solo loro, ma tanti altri erano in attesa di vedere canonizzati questi due piccoli fratelli che aprono una pagina nuova nel riconoscimento della santità nella Chiesa: finora sono i più giovani santi, non martiri, che la Chiesa canonizza.

D. - La Chiesa, il mondo si aspetta una preghiera forte per la pace qui da Fatima in questi giorni …

R. - Sì, Fatima è un luogo di pace. Il messaggio di Fatima è un messaggio di pace e Papa Francesco ha ribadito molte volte che noi stiamo vivendo in questo momento una Terza Guerra Mondiale a pezzi e quindi anche noi aspettiamo queste forte preghiera del Papa per la pace. Ci sono aspetti che sono sempre presenti nella preghiera dei pellegrini in questo santuario: si prega sempre per il Papa e ogni giorno si prega per la pace. Quindi speriamo che questa visita del Papa possa essere veramente un momento inteso di preghiera per la pace, anche perché il Pontefice ha già detto che sarebbe venuto per pregare per la pace e per rinnovare la speranza.

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Il vescovo di Orense: Fatima resta un messaggio di conversione

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Sul viaggio del Papa a Fatima, Fabio Colagrande ha sentito mons. José Leonardo Lemos Montanet, vescovo spagnolo di Orense: 

R. – Cento anni fa, qui, in questo posto “selvatico”, è apparsa la misericordia del Signore. Era necessario che il Papa della misericordia, Papa Francesco, venisse qui in questo posto anche per la canonizzazione dei pastorelli.

D. - Che importanza ha questa canonizzazione? I primi bambini non martiri che diventano santi …

R. - Credo che nella nostra società, così secolarizzata, questi due ragazzini sono come un simbolo per i tanti ragazzi che oggi cercano modelli di vita che non rappresentano la santità. Per questo credo che sarà molto interessante presentare ai nostri ragazzi, ai nostri bambini, la santità di Giacinta e Francesco.

D. - Infine, qual è l’attualità del messaggio di Fatima?

R. - È sempre attuale perché si può ridurre ad una parola: “conversione”. Conversione e preghiera. Lei sa che la sintesi del messaggio di Gesù, nel suo primo sermone, nel Vangelo, è precisamente questa: convertitevi e diventate creature nuove. Questo è senz’altro il messaggio di Fatima. 

Ma chi sono i fedeli che visitano Fatima? Ascoltiamo Paolo Sametti, della comunità Casa di Maria, laico impegnato nell'accompagnamento dei pellegrini al Santuario di Fatima: 

R. – Sono pellegrini un po’ di tutte le età, che vengono attirati dalla Madonna e dalla figura dei pastorelli.

D. – Che tipo di richieste portano alla Madonna?

R. – Tante persone a volte vengono con richieste di grazie, magari hanno delle situazioni famigliari gravi, a volte malattie… Però tante volte le persone vengono anche senza “grandi” richieste: vengono proprio perché sanno che nei santuari mariani si può vivere un momento di fortissima spiritualità e quindi sono attirati da questo e hanno proprio il desiderio di ritrovare un po’ una pace, una pace che ovviamente viene solo da qui, nei santuari, dall’incontro con la Madonna e quindi attraverso di Lei l’incontro con Dio.

D. – Abbiamo visto fino a ora tarda qui nella spianata del Santuario di Fatima persone in ginocchio sotto la pioggia, proprio accanto alla Cappellina delle Apparizioni, è una delle usanze tipiche qui di Fatima…

R. - Sì, Lucia, ancora pastorella, proprio piccola aveva fatto per prima insieme alle sue due sorelle maggiori il percorso dall’alto della Cova da Iria fino al luogo delle apparizioni in ginocchio, recitando il rosario per chiedere la guarigione della mamma che era gravemente malata. Questa pratica è entrata proprio nella tradizione del santuario.

D. – Da tanti anni frequenta questo santuario, quale idea si è fatta sul messaggio della Madonna di Fatima?

R. – E’ un messaggio importante, esigente, che è particolare perché per certi aspetti ha una portata internazionale: la Madonna ha parlato della Russia, ha parlato di una guerra che sarebbe venuta, però poi è anche personale, nel senso che chiede il rosario, chiede la conversione… Quindi la vedo una cosa a volte molto grande e però anche molto intima, per le persone, per tutti.

D. – E come credente che da tanti anni è a Fatima per pregare e aiutare gli altri a pregare, che significato ha per lei la presenza del Papa?

R. – Il Papa a Fatima è una presenza bellissima, straordinaria, perché è qualcosa che è come se fosse proprio nel messaggio di Fatima. Io ho avuto la grazia di essere qui nel 2000, quando è venuto Giovanni Paolo II, nel 2010 quando è venuto Benedetto XVI, e adesso con Papa Francesco. E’ qualcosa di straordinario perché i pastorelli stessi si sacrificavano tanto per il Papa. E’ come se venisse a casa, è come se oltre il Vaticano avesse anche questa casa, che lo accoglie, un luogo dove si prega tanto per lui. E’ un grande significato e una gioia davvero straordinaria il fatto che venga.

D. -  E il fatto che canonizzi Francesco e Giacinta?

R. – Quella poi è proprio la cosa ancora più bella! C’era tanta attesa, si sperava, quindi è bello ma è esigente anche, perché canonizza due bambini. Non è una cosa solo sentimentale perché questi bambini hanno fatto un cammino di fede straordinario, hanno cambiato la loro umanità, anche se piccoli si sono offerti nella malattia, nella sofferenza, in un modo davvero straordinario. Quindi è molto bello che li canonizzi, però quando uno diventa santo diventa un esempio e quindi è anche una cosa esigente perché in fondo penso che la Chiesa ci chiede in un certo senso anche di seguirli, di fare come loro hanno fatto.

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Papa a Specola Vaticana: non avere paura delle scoperte scientifiche

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La Chiesa non abbia mai paura delle “novità delle scoperte scientifiche”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nel saluto ai Partecipanti all'Incontro promosso dalla Specola Vaticana su “Buchi Neri, Onde Gravitazionali e Singolarità dello Spazio-Tempo”. L’evento ha celebrato l’eredità del cosmologo belga mons. George Lemaître, ritenuto il padre della teoria del Big-Bang, già direttore della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1960 al 1966, anno della sua morte. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Nell’immensità spazio-temporale dell’universo – ha affermato Papa Francesco – noi esseri umani possiamo provare un senso di stupore e sperimentare la nostra piccolezza”. Quindi, ha ripreso le parole di Albert Einstein, per il quale “si potrebbe ben dire che l’eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità”.

Accettare con umiltà le novità delle scoperte scientifiche
Questa affermazione, ha osservato rivolgendosi agli scienziati della Specola Vaticana, sottolinea che “l’esistenza e l’intelligibilità dell’universo non sono frutto del caos o del caso, ma della Sapienza divina”. Il Papa non ha così mancato di incoraggiare la Specola “a perseverare nella ricerca della verità” senza timori:

“Non bisogna mai aver paura della verità, né arroccarsi in posizioni di chiusura, ma accettare le novità delle scoperte scientifiche in atteggiamento di totale umiltà. Camminando verso le periferie della conoscenza umana, si può veramente fare una esperienza autentica del Signore, che è in grado di colmare il nostro cuore”.

Mons. Lemaître esempio di armonia creativa tra scienza e fede
Il Papa, che ha ribadito quanto i temi riguardanti l’universo, siano fondamentali per la scienza ma pure per la teologia ha quindi ricordato la figura di mons. Lemaître e la sua grande eredità per la Chiesa e per la ricerca scientifica:

“Mons. Georges Lemaître, nella sua duplice veste di sacerdote cattolico e di cosmologo, in una incessante tensione creativa fra scienza e fede, ha sempre lucidamente difeso la netta distinzione metodologica tra i campi della scienza e della teologia, visti come ambiti di competenze diverse, che tuttavia si unificarono armoniosamente nella sua vita. Tale distinzione, già presente in San Tommaso d’Aquino, preserva dal generare cortocircuiti che sono nocivi sia alla scienza che alla fede”.

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Oggi in Primo Piano



Siria: martedì a Ginevra nuovo round di colloqui

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Dialogo intra-siriano: si terranno a Ginevra dal 16 al 19 maggio prossimi nuovi colloqui. Lo ha annunciato  l'inviato speciale dell'Onu per la Siria, Staffan de Mistura. Intanto, sul terreno, l’Is sferra una controffensiva a Tabqa contro le milizie curde. Si stemperano invece le frizioni Usa-Turchia sulla decisione americana di dare armi ai curdi. Il servizio di Elvira Ragosta

Per l’inviato speciale Onu de Mistura nel dialogo tra governo e opposizione per la soluzione della crisi siriana serve un approccio più pragmatico. Il prossimo round di Ginevra servirà ad ottimizzare i risultati raggiunti nell’ultimo incontro ad Astana, organizzato da Russia, Turchia e Iran, che ha portato a un'intesa per creare zone di de-escalation nel Paese. "Vogliamo connettere per quanto possibile questi risultati con un orizzonte politico”, spiega De Mistura, sottolineando che il cessate il fuoco o una de-escalation non funzioneranno mai in assenza di un orizzonte politico a lungo termine.

Intanto, sul terreno, ieri i miliziani del sedicente Stato islamico hanno lanciato una controffensiva nel Nord della Siria, a Tabqa, dove sorge una diga strategica, conquistata nei giorni scorsi dalle milizie curde. La lotta all'Is prosegue anche in Iraq: il capo di stato maggiore dell'esercito ha annunciato che le operazioni per liberare la zona di Mosul ancora assediata dai jihadisti si concluderanno entro 2 settimane.

Infine, sul clima teso tra Turchia e Usa riguardo alla fornitura americana di armi ai curdi siriani - considerati terroristi da Ankara - ieri il ministro della Difesa Usa Mattis ha incontrato il premier turco Yildirim. Nel comunicato finale viene ribadita la posizione Usa di difendere la Turchia, alleato Nato. Mattis ha poi confermato che la priorità per l’esercito degli Stati Uniti è sconfiggere l’Is.

Sul nuovo round di colloqui intra-siriani tra governo e opposizione in programma a Ginevra la prossima settimana, Elvira Ragosta ha intervistato Giusy Regina, direttore di Arabapress.eu: 

R. – Intanto, saranno dal 16 al 18-19 maggio, quindi un tempo molto breve rispetto ai precedenti, e de Mistura diceva proprio che voleva fare un approccio molto più pragmatico, questa volta, cioè battere il ferro finché è caldo per ottimizzare alcuni risultati potenzialmente promettenti, proprio dell’incontro di Astana organizzato da Russia, Turchia e Iran. E da questo spunto è venuto fuori che cosa? Innanzitutto, un cessate-il-fuoco che sia più completo e poi la selezione di queste quattro zone di de-esclation nel Paese. Ora, de Mistura vuole che questo cessate-il-fuoco sia attuato completamente, per evitare incidenti violenti, per creare anche un ambiente favorevole per i negoziati.

D. – De Mistura ha sottolineato che il cessate-il-fuoco o una de-escalation non funzioneranno mai in assenza di un orizzonte politico a lungo termine. Dunque, verso quale direzione si potrebbe andare, in questi nuovi colloqui?

R. – Sicuramente, bisognerà trovare una soluzione politica in quanto una vittoria militare sembra non essere – per fortuna – di un immediato futuro; però, connettere i risultati di Astana con un orizzonte politico diventa indispensabile affinché funzioni il cessate-il-fuoco, affinché funzionino le zone di de-escalation.

D. – Quali sono i passi che possono essere intrapresi per aiutare la popolazione siriana?

R. – Le due idee in ballo sono: i corridoi umanitari oppure, appunto, creare queste zone per permettere ai civili di salvarsi dalla guerra. Questa idea, è importante precisarlo, già qualche anno fa fu proposta ma rifiutata dal regime siriano, Iran e Russia e anche l’ex presidente Obama non era d’accordo, in quanto disse che non erano effettivamente “pratiche”. Con l’arrivo di Trump, invece, la politica americana nei confronti del conflitto siriano è cambiata, come sappiamo; e Trump ha riproposto questa idea e questa volta “sorprendentemente” è stata accettata sia da Russia, Turchia, Paesi del Golfo e Giordania, anche se respinta ancora da Iran e dal regime di Assad.

D. – Fuori dall’accordo di Astana, il sedicente Stato Islamico che continuerà a essere combattuto da tutti. E cambiando fronte, nella lotta all’Is, a Mosul, in Iraq, il capo di stato maggiore dell’esercito iracheno ha detto che l’offensiva per liberare i quartieri ancora assediati sarà completata entro le prossime due settimane. Secondo il generale, meno di mille jihadisti sono asserragliati ancora in diversi quartieri occidentali di Mosul, inclusa la città vecchia, facendosi scuso di 450 mila civili: siamo in direttiva d’arrivo, per la liberazione di Mosul?

R. – Stando a quello che dicono il capo di stato maggiore e anche il colonnello James Browning, a capo dei consiglieri americani presso il comando della brigata irachena, sembrerebbe di sì. Intanto, il 4 maggio scorso le forze irachene che fino ad adesso avevano premuto da Sud e da Est, hanno aperto un nuovo fronte da Nord, lanciando questa offensiva appoggiata dagli aerei americani che dai quartieri settentrionali della città hanno mosso verso il centro della città vecchia. Sembra che i miliziani islamisti stiano tentando di mantenersi aperte le strade dei quartieri in loro possesso proprio per poter poi usare le autobombe guidate da attentatori-suicidi, però sembra che – a detta, appunto, del colonnello James Browning – non abbiano né uomini a sufficienza né risorse militari per difendere tutte le posizioni che in teoria hanno. Ovviamente, i civili iracheni continuano a morire e i progressi delle forze governative sul terreno comunque procedono con difficoltà. Mosul resta in effetti l’ultimo bastione del califfato in Iraq e gli uomini di al Baghdadi sembrano decisi comunque a volerlo difendere fino all’ultimo.

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Burundi: morto don Adolphe, sacerdote rapito ad aprile

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Don Adolphe Ntahondereye “è morto a seguito dei maltrattamenti che gli sono stati inflitti e che hanno aggravato il suo precario stato di salute”. E’ quanto ha dichiarato l’arcivescovo di Bujumbura, mons. Evariste Ngoyagoye, ricordando che il sacerdote, deceduto ieri in Burundi, era stato liberato due settimane fa. Il prete, vicario della parrocchia San Francesco Saverio di Gatumba, era stato rapito lo scorso 9 aprile insieme con altre tre persone. Il sequestro - ha ricordato l’agenzia Fides - è stato preceduto da un agguato stradale teso da un gruppo di uomini armati.

La testimonianza di un compagno di prigionia
Un compagno di prigionia di don Adolphe Ntahondereye ha riferito che la prigionia ha duramente segnato il sacerdote precisando che i rapitori li hanno costretti a percorrere a piedi lunghe distanze in zone di montagna. “A causa dello stress accumulato - ha aggiunto - il sacerdote faceva fatica a camminare”. “Se non fossi abituato a fare tutti i giorni a piedi il tragitto Gatumba-Bujumbura - ha concluso il compagno di prigionia del religioso - anch’io non avrei potuto resistere”. (A.L.)

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Europa: petizione di 3 mila esperti a tutela dell'embrione

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Presentata nella sede della Rappresentanza del Parlamento Europeo a Roma una petizione per chiedere all’Europa di non finanziare più attività che distruggono embrioni umani. A firmare il documento circa 3 mila esperti nel campo della medicina e della giustizia. Massimiliano Menichetti he ha parlato con Carlo Casini, fondatore e membro del direttivo della Federazione europea pro-life “One of Us”: 

R. – Le origini dell’Europa parlano di una realtà incardinata sui valori fondamentali dell’umanesimo. L’Europa è nata per pacificare il continente, quindi per non vedere più sangue fraterno nelle sue frontiere interne, ma anche per pacificare il mondo con la sua autorevolezza. Invece tollera e con i suoi soldi addirittura incoraggia lo spargimento di sangue dei figli nel mondo intero. Bisogna ristabilire il valore fondamentale della vita fin dal concepimento e abbiamo voluto che questo fosse detto nella forma di una petizione.

D.  – Cosa chiede la petizione?

R. – Che sia ripresa in considerazione la vecchia iniziativa, “One Of Us, Uno di noi”, firmata da due milioni di cittadini europei, che appoggia la testimonianza di medici e professori universitari, che dicono: è vero, è uno di noi il concepito; e i giuristi che dicono: è giusto proclamarlo, perché è il fondamento della giustizia e non è la forza dei forti, ma è la forza dei deboli.

D. – Dopo la petizione il primo passo concreto quale sarà?

R.  – La prima cosa sarà arrivare a una discussione, prima nella Commissione affari delle petizioni e poi nella plenaria del parlamento. Se ci sarà una discussione, bisognerà ottenere che l’Europa decida di non fornire più soldi alle organizzazioni internazionali e a Stati che distruggono embrioni. Pensi che l’International planned parenthood - una organizzazione internazionale che gestisce la bellezza di 65 mila cliniche per l’aborto in tutto il mondo e che propaganda l’aborto anche nei Paesi dove non è legale, che è stata messa sotto inchiesta negli Stati Uniti, soprattutto per il commercio di parti di feti che faceva - riceve soldi anche dell’Europa. Ma si può ammettere una cosa del genere?

D. – Lo ha anticipato lei, questa petizione è collegata a una raccolta di firme che ci fu nel 2013, “One of Us”, proprio per portare al centro del dibattito europeo l’embrione e ribadire che è una persona. Non andò bene…

R. - Purtroppo è andata male perché la commissione - che pure all’inizio, prima di raccogliere le firme aveva detto: non è in contrasto con il diritto europeo quindi potete andare avanti - una volta ottenuto il risultato – ovvero una petizione firmata da due milioni di cittadini, il doppio del minimo richiesto e il quadruplo per quanto riguarda i Paesi che hanno partecipato -, ha detto di non volersene occupare, motivandolo con il fatto che tutto era già scritto nelle carte, nei trattati, come la dignità dell’uomo… Ma noi chiedevamo proprio che la dignità dell’uomo fosse declinata.

D. - Da lì è partito un ricorso in sede europea. Peraltro l’udienza ci sarà il 16 maggio prossimo, ma avete fondato anche una federazione…

R. – Sì, la Federazione europea “Uno di noi per la vita e la dignità dell’uomo” che riunisce 37 associazioni, con sede a Bruxelles e organizza ogni anno un forum. Quest’anno sarà il 26 e 27 di questo mese, a Budapest. La federazione vuole intanto arrivare a porre la domanda: “Chi è il concepito?”, porla e poi arrivare all’affermazione che è “uno di noi”.

D. - Una battaglia centrale per voi è porre almeno la domanda…

R. – La domanda: “Ma è un essere umano o una cosa, un soggetto o un oggetto?” non se la vogliono porre. Questa domanda fondamentale, in generale, a livello pubblico, si evita, perché si sa che, se si pone questa questione, è già risolta: è un essere umano, non c’è dubbio. E, qualora restasse un dubbio, il principio di precauzione non consente, ad esempio, di sparare contro chi non si sa se è un essere umano o una cosa. Quindi abbiamo già vinto nel far porre la domanda.

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Rogo a Centocelle. Promosse manifestazioni di solidarietà

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Mentre proseguono le indagini sull’origine del rogo, che martedì notte ha provocato nella capitale la morte di tre sorelle Rom, il Consiglio d'Europa scrive al governo italiano auspicando misure urgenti per assistere i sopravvissuti e richiamando l’attenzione sulle cattive condizioni di vita nei campi di tutto il Paese. Intanto a Roma si moltiplicano i gesti di solidarietà. Nel pomeriggio una preghiera verrà recitata proprio sul luogo della tragedia e per domani gli abitanti di Centocelle hanno promosso una manifestazione nel loro quartiere. Ieri sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, si è tenuta una veglia, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Al microfono di Adriana Masotti, ascoltiamo Paolo Ciani della Comunità: 

R. – La Comunità di Sant’Egidio ha voluto dare un segno chiaro, perché di fronte a questa sciagura, frutto della violenza, che ha portato alla morte di tre sorelle - ieri il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, ha parlato di tre figlie di Roma ed è vero, perché sono due bambine e una ragazza nate e cresciute nei nostri quartieri e nelle nostre vie - abbiamo ritenuto necessario fermarci, chiamare tutta la cittadinanza, i Rom, chi voleva esser vicino, le istituzioni perché di fronte a una tragedia così grande bisogna fermarsi, bisogna far silenzio, bisogna pregare come credenti e interrogarci su come possa essere accaduto e perché non deve più accadere.

D. – C’è stata una forte partecipazione alla veglia…

R. – La partecipazione è stata molto grande ed è stata un momento di grande commozione. Era presente la mamma, alcuni fratelli, la zia e poi molti altri Rom e molti cittadini comuni. Abbiamo pensato tutti a queste ragazzine come a nostri figli, e penso che in un momento di tragedia come questo, richiamare un senso di umanità sia molto importante. E poi, il fatto che si trattasse di due bambine e di una giovane Rom è un elemento in più perché spesso nella nostra città, e nelle nostre città, i Rom sono considerati “altro”, sono considerati un “loro” distante da un “noi”. In realtà, il problema è che dobbiamo ricordarci – e ieri è stato un esempio molto bello in questo senso – che siamo tutti un “noi”.

D. – Anche la comunità ebraica romana si è fatta sentire e ha detto che "è un dovere morale non restare indifferenti al dolore e alla sofferenza che colpiscono questa città”. Oggi una preghiera proprio nel quartiere dove sono morte le ragazze, a Centocelle, a cui partecipano anche altre associazioni e cittadini …

R. – E’ stato mons. Marciante, il vescovo del Settore Est della città, dove è accaduta questa tragedia, a volere questo momento perché in questi giorni si sono sentite voci anche diverse, alcune un po’ scomposte, che si sono levate, ma c’è stata anche una grande solidarietà, un grande smarrimento di tante persone: molti hanno portato dei mazzi di fiori, dei messaggi … E quindi, il fatto di riunirsi con il quartiere, con chi vuole partecipare proprio sul luogo della tragedia sarà un modo anche visibile, anche fisico per riunire le persone intorno alla famiglia e intorno a questa tragedia.

D. – Certamente, anche le condizioni di vita di queste persone, di queste famiglie Rom hanno il loro peso; e qui, insomma, entra in gioco il Comune, le istituzioni e tutta la politica che esiste oggi in Italia riguardo ai Rom …

R. – Sì, c’è da interrogarsi di fronte a un nucleo di 13 persone con nove minori che vivono in un camper, nella capitale d’Italia, nel XXI secolo: ecco, dobbiamo interrogarci sul fatto che non si può, nella nostra città, vivere in questo modo. Allora bisogna trovare delle soluzioni. Sui Rom da tempo si parla dell’inserimento abitativo, di superare il modello dei campi che è un modello di segregazione, che è un modello di isolamento: queste persone non sono più nomadi. Il papà delle vittime è nato a Roma, la mamma in Emilia, vivono qui da sempre … Quindi, è chiaro che noi dobbiamo uscire da schemi vecchi, anche di approccio rispetto a queste popolazioni, e lavorare seriamente per un’inclusione sociale che poi premia tutti, perché chi vive meglio in città, fa vivere meglio anche chi gli è accanto.

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Al via ad Assisi, l'Assemblea Nazionale delle Misericordie

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Da oggi al 14 maggio si svolgerà, ad Assisi, l’Assemblea Nazionale delle Misericordie d’Italia. All’evento parteciperanno Governatori e Volontari provenienti da tutta l’Italia. Si parlerà del futuro delle Misericordie, si farà il punto sull’attività svolta e si voteranno il nuovo presidente ed il Consiglio. Grande spazio sarà dedicato ai giovani e alla preghiera. Giorgio Saracino ne ha parlato con Roberto Trucchi, presidente della Confederazione: 

R. – Facciamo attività di soccorso un po’ a tutto tondo. È partito come un servizio che è un po’ quello sanitario, ma si sta sviluppando sempre più nel sociale e nell’accoglienza, nella protezione civile.

D. – Infatti voi siete intervenuti anche per assistere i terremotati del Centro Italia?

R. – Sì, sul terremoto siamo intervenuti fin da subito; già poche ore dopo la prima scossa della fine d’agosto noi eravamo con le nostre squadre nella zona di Amatrice. Abbiamo allestito un campo con cucine, con una parte sanitaria: il punto di assistenza sanitaria nella zona di Amatrice. E continuiamo ancora ad intervenire a sostegno di quelle popolazioni. Abbiamo anche realizzato tre scuole in quelle zone, scuole che hanno dato la possibilità ai ragazzi di riprendere l’attività scolastica. La nostra è un’attività di sostegno a quelle popolazioni - in particolare in questo momento - ma un po’ in tutto il territorio italiano.

D. – Ad oggi cosa avete in mente per il futuro, quali sono i nuovi obiettivi?

R. – Rimanendo saldi sulle radici del nostro movimento e dei valori, vorremmo cercare di continuare con le attività che stiamo portando avanti, ma credo che sia importante che le Misericordie sempre più sviluppino un’attenzione alla lettura dei bisogni che ci sono sul nostro territorio. Noi siamo abituati ad essere quelli del fare - ce l’ha detto anche Papa Francesco nel giugno del 2014 - quindi continueremo questa opera, ma credo che sia anche importante in questa società che va sempre più verso due idee sostanziali - che sono quelle del potere politico e del potere economico - ribadire che c’è molto di più. Ci sono valori quali l’accoglienza, la solidarietà, la passione, che vanno portati avanti. Vorremmo cercare, attraverso tutta una serie di percorsi culturali, di portare avanti anche queste idee, questi obiettivi, per cercare di essere una risorsa per le comunità che rappresentiamo.

D. – Tre giorni quindi ad Assisi per organizzarsi e per pregare. Quali saranno le maggiori attività?

R. – Al di là dell’aspetto assembleare che porterà all’elezione dei nuovi organi che dovranno gestire poi la confederazione nei prossimi 4 anni, abbiamo una serie di appuntamenti. Uno con "G.eMMe", che è una nostra iniziativa nata nell’assemblea dello scorso anno a san Giovanni Rotondo per i giovani - la gioventù delle Misericordie - per costruire un percorso in cui i giovani siano sempre più promotori del movimento, che si facciano portatori anche loro dell’impegno e di idee nel movimento. Ci sarà un momento naturalmente di preghiera: faremo la Santa Messa domenica mattina e sempre domenica mattina ci sarà un momento di ritrovo, di incontro con tutti quei volontari che si sono impegnati nel terremoto.

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A Castel Gandolfo la Settimana Ecumenica dei Focolari

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Si avvia a conclusione la 59.ma Settimana ecumenica promossa dal Movimento dei Focolari a Castel Gandolfo. Un evento che ha visto la partecipazione di oltre 700 persone provenienti da 70 Chiese e Comunità ecclesiali sparse nel mondo per un laboratorio di convivenza che molti nel Movimento amano chiamare una ‘Mariapoli ecumenica’. Il servizio di Stefano Leszczynski

“Camminando insieme. Cristiani sulla via verso l’unità”. E' questo il titolo all’insegna del quale a Castel Gandolfo, cittadina alle porte di Roma, si sono alternati momenti di riflessione, di dialogo e di testimonianza sulla costruzione dell’unità dei cristiani, ma dal basso. Come ci spiega, Peter Detwiler, pastore riformato della Svizzera, che frequenta le Settimane ecumeniche fin dalla prima edizione:

“Con il Movimento dei Focolari ci sono qui anche aderenti, persone che sono forse nuove, persone che conoscono già da tempo questa spiritualità dell’unità. Ma questa è piuttosto una spiritualità del popolo: non siamo a un congresso teologico, ma è la vita che ci unisce. Ascoltiamo esperienze di vita quotidiana. Dall’inizio, l’ecumenismo ha sentito che non si trattava soltanto di cercare o trovare l’unità fra le Chiese, fra i fratelli separati, ma anche trovare l’unità per la pace nel mondo, perché siamo fratelli che vogliono vivere insieme”.

Lo scopo delle settimane ecumeniche è quello di far crollare i muri che separano le Chiese abbattendo pregiudizi e costruendo spazi di dialogo nel perseguimento della pace. Un obiettivo che si iscrive perfettamente nel 500.mo anniversario della Riforma luterana, come spiega Anke Husberg, predicatrice bavarese:

“Ovunque nella nostra Chiesa, da adesso, cioè da maggio e fino alla fine dell’anno, ci sono tantissimi eventi, in Germania, tra le diverse Chiese, soprattutto la Chiesa cattolica e luterana. Ho l’impressione che tanti parlino di Lutero pur non conoscendo bene le Chiese; i nostri vescovi celebrano liturgie insieme, c’è tanta riconciliazione … Anche nel nostro Movimento sento che c’è una bella “scusa” per dialogare ancora più profondamente sull’ecumenismo e di non risparmiarci nemmeno le ferite”.

La centralità del dialogo ecumenico nell’attuale momento storico è del resto ben testimoniata da Papa Francesco che proprio all’insegna del dialogo tra fratelli si è recato in Egitto per visitare la comunità copto ortodossa così duramente colpita nel periodo di Pasqua. Come conferma Rami Yehya Tadros, egiziano e copto ortodosso:

“Quello che posso dire è che veramente non solo il dialogo tra queste due Chiese è dialogo di teologi, dialogo di parole, di esaminare le cose ma anche e piuttosto amore reciproco, quello che veramente mi colpisce tanto: questo amore tra Papa Francesco e Papa Tawadros è amore tra una persona e l’altra, uno prega per l’altro, uno pensa anche all’altro nelle sue preghiere … Questa è una cosa ancora più profonda rispetto magari anche a tanti dialoghi, tanti incontri … però, l’amore reciproco, quello sul quale noi contiamo …”.

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Ucraina, il nunzio Gugerotti: i bambini pregano per la pace

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Papa Francesco nella sua stanza custodisce un’immagine di San Giuseppe che dorme. Sotto questa immagine sono raccolte intenzioni di preghiera provenienti da tutto il mondo. Tra queste, c'è anche un biglietto di bambini ucraini con preghiere per la pace. E’ quanto ha detto, in una intervista rilasciata all’agenzia Sir, il nunzio apostolico in Ucraina, mons. Claudio Gugerotti, che nei giorni scorsi ha incontrato il Pontefice. Il nunzio ha rivelato, in particolare, che il Santo Padre gli ha detto: “Metterò il biglietto con le preghiere dei bambini sotto San Giuseppe perché continuamente possa rivolgere a Dio le preghiere per loro anche quando io dormo”.

Aiuto umanitario fondamentale
A soffrire maggiormente le conseguenze del conflitto - ha spiegato inoltre mons. Gugerotti - sono proprio i più piccoli. “I bambini - ha detto - saranno segnati a vita da quello che hanno visto e stanno tuttora vivendo. Hanno già sulle loro piccole spalle tre anni di bombardamenti continui e una vita da sfollati, nella minaccia continua della guerra. È un’esperienza terribile”. Il nunzio ha anche ricordato che sono stati raccolti diciotto milioni di euro sia tramite la colletta per l’Ucraina lanciata da Papa Francesco lo scorso anno sia con un’aggiunta personale del Santo Padre. “Il Papa - ha affermato il nunzio - sa che l’aiuto umanitario è fondamentale perché consente alle persone di sopravvivere. La carità è la miglior diplomazia”.

Drammatica situazione nella regione del Donbass
Soffermandosi sulla situazione nella regione del Donbass, mons. Gugerotti ha detto infine che lo scenario è preoccupante: “È aumentato il costo dell’elettricità. È in atto un blocco delle merci. La situazione è ancora più drammatica della povertà. Gli anziani faticano a ricevere la pensione ucraina. Ci sono problemi di riscaldamento e, soprattutto, di accesso ai farmaci e alle cure sanitarie. Ora c’è anche il problema dei vaccini per i bambini. Tutti i ponti sono saltati e per raggiungere Lugansk bisogna fare un giro lunghissimo oppure passare per la Russia. Una situazione pesante”. (A.L.)

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Terre des hommes: una Guida per accogliere i migranti minori

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Nove su dieci arrivano da soli sulle coste italiane. Nel 2016 sono stati oltre 17 mila, quasi il 50 per cento in più rispetto al 2015. Parliamo dei minori migranti non accompagnati da familiari, di cui uno su tre - quasi 6 mila - sono scomparsi fuggiti dai centri di prima accoglienza, poco dopo il loro arrivo. Un dramma che non trova risposta nelle istituzioni dello Stato. Tra gli organismi non governativi più attivi su questo fronte di solidarietà è Terre des hommes, che ieri a Palermo ha presentato la nuova “Guida al modello Faro”. Di cosa si tratta? Roberta Gisotti ha intervistato Federica Giannotta, responsabile del progetto: 

R. - Il Progetto Faro è iniziato ormai quasi cinque anni fa e si è premurato di offrire ai minori non accompagnati una presa in carico globale, che fosse attenta sia alla sfera psico-sociale sia invece ai problemi di carattere psicologico: quindi un’attenzione davvero a tutto tondo della persona.

D. – Quali sono attualmente le maggiori disfunzioni dell’accoglienza, da parte delle istituzioni dello Stato?

R. – Noi operiamo in porti, in hot-spot, in centri di prima accoglienza, quindi ovviamente a seconda del luogo dove siamo le problematiche sono diverse. In primo luogo, c'è l’assenza di un'informazione, di un orientamento alla persona in qualunque di questi contesti: nessuno spiega ad un minore che cosa è un porto, chi fa che cosa, dove deve andare per chiedere le cose di cui ha bisogno … è considerato sostanzialmente un numero, un corpo. Se poi guardiamo gli hot-spot, – almeno quello di Pozzallo che noi conosciamo molto da vicino – ormai si sa, non è adeguato ad accogliere, neanche per un giorno, un minore; bisognerà però vedere se i numeri degli arrivi lo permetteranno. E poi, la lunga permanenza della prima accoglienza è il problema principale, permanenza che si prolunga per mesi: siamo arrivati a registrare picchi di 14-16 mesi, che è una cosa assolutamente inammissibile per strutture che sono appunto di accoglienza temporanea. E poi ancora, l’assenza di tutori qualificati, e anche la difficoltà di attivare una procedura di riunificazione con una famiglia o un parente che si trovi in un Paese europeo, legalmente residente. Così pure per i pochi minori che vogliono restare in Italia, nel momento in cui li facciamo fuggire, perché non siamo stati in grado di prenderci realmente cura di loro, ancora una volta il sistema di accoglienza si puo dire è fallito. Quindi è importante questo nostro programma perché ha questa attenzione alla persona, a seconda del momento e del luogo in cui si trova. Cerchiamo di ascoltare e piano piano, passo dopo passo di sviluppare insieme al minore attività e interventi che possano effettivamente rendere utile il tempo – lungo – della prima accoglienza.

D. – Quanti ne avete seguiti in questi cinque anni nel Progetto Faro, e per quanto tempo li avete seguiti, e che fine hanno fatto?

R. – Soltanto l’anno scorso ne abbiamo seguiti più di 2.400 ed oltre 220-230 sono i minori che abbiamo seguito dal punto di vista psicologico, anche con segnalazioni nei casi molto gravi di vulnerabilità ai servizi del territorio, quindi alle Asl e ai Servizi sociali, con i quali c’è un fortissimo raccordo. Che fine fanno? Per lo più, restano nella prima accoglienza: come le dicevo, un’accoglienza che si prolunga per molto tempo. Quindi noi abbiamo scelto in alcuni casi, per esempio, di chiudere un intervento in un determinato centro di prima accoglienza perché dopo due anni di presenza nostra, avevamo anche trasmesso un “know-how” e delle ricadute positive tali per cui il centro avrebbe potuto continuare ormai da solo. Abbiamo anche visto molti minori allontanarsi: arrivare noi la mattina e non trovare quei ragazzi con cui avevamo iniziato un percorso qualche mese prima; ragazzi che stanchi di una non-risposta dal punto di vista istituzionale, quindi stanchi dell’attesa di un trasferimento in comunità definitive, hanno deciso di proseguire il viaggio da soli. Allora lì sì che è un fallimento. Che poi, noi – questi stessi ragazzi – li incrociamo a Ventimiglia, dove siamo presenti con un’altra équipe, che fa in quel caso orientamento al contesto ma anche da supporto legale, perché sono tanti i ragazzi che arrivano dalla Sicilia e dicono di essere fuggiti subito dopo lo sbarco.

D. – Chi finanzia il Progetto Faro?

R. – Fino ad oggi e in tutti questi anni, è sempre stato finanziato da fondi nostri, da fondi privati. Noi stiamo – tra l’altro – dialogando anche con il Ministero dell’Interno per poter avere anche delle risorse quanto meno parziali dal nostro Paese: questo significherebbe senz’altro molto!

D. – Comunque, c’è ancora molto, molto da fare per fronteggiare questo fenomeno in espansione?

R. – Sì: ma c’è da fare ad un doppio livello, nel senso che - io credo - l’Italia abbia già fatto un passo importante con la nuova Legge di riforma approvata, che però noi verificheremo se sarà implementata correttamente, rimanendo sul territorio, per toccare con mano se poi la legge Zampa – che è una buona legge – verrà effettivamente implementata. E dall’altra parte, credo sia importante lavorare al livello di Unione Europea, rispetto alla riforma del sistema-Dublino, perché molti dei problemi che noi abbiamo sul campo derivano dalla 'cattiva' policy europea in materia di immigrazione. Quindi noi come Terre des Hommes abbiamo proprio, in corso di conferenza, presentato anche un “position paper” sulla nostra posizione, rispetto alle proposte di riforma del sistema-Dublino, che attualmente sono sul tavolo di Bruxelles.

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A Roma il premio ai giornalisti per l'Anno della Misericordia

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A Roma premiati i migliori lavori giornalistici dell’editoria ed emittenza locale che hanno avuto come tema l’Anno Santo della Misericordia. Un modo per riaffermare anche il valore che tante testate locali hanno nel far conoscere il Magistero di Papa Francesco. Il servizio di Alessandro Guarasci

Le grandi cerimonie, i Venerdi della Misericordia, ma anche i milioni di pellegrini che hanno attraversato le Porte Sante. Tre premi e cinque menzioni speciali a testate locali e nazionali che hanno raccontato l’Anno Santo. Ad indire il concorso un anno fa il Corecom del Lazio, l’organismo che sovraintende a tv, radio, e web nella regione. Il Giubileo è stato raccontato con gli occhi dei protagonisti, dice il presidente Michele Petrucci:

"I valori che sono l’accoglienza, l’integrazione.... Quindi premiamo una serie di elaborati, una serie di media locali, radio, televisioni e giornalisti che hanno saputo meglio degli altri, a parere della giuria presieduta dal prof. Morcellini, intrepretare questi valori".

E proprio per il presidente della giuria Mario Morcellini, commissario dell’Autorità delle Comunicazioni, l’informazione ha avuto un ruolo importante durante il Giubileo:

"Un insieme di persone, di forze, di valori, di testate più attente di altre, che hanno vissuto il compito della narrazione corretta del Giubileo come un impegno deontologico dei tempi moderni".

E questo nonostante l’informazione locale stia attraversando da una decina di anni a questa parte un momento di crisi, mancano le risorse, ma non le idee. Ancora Petrucci:

"Bisogna ritrovare un nuovo spazio, un nuovo modo di fare informazione locale che deve premiare l’originalità dei contenuti e deve premiare anche la capacità di arrivare con nuovi mezzi - penso al web ovviamente - alla popolazione locale, alla comunità".

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 132

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.