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Sommario del 15/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: non smettere mai di chiedere a Dio il dono della pace

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“In questi tempi travagliati è essenziale ricordare che la pace è un dono che gli uomini non devono mai smettere di chiedere” a Dio: è quanto afferma Papa Francesco in un messaggio rivolto a quanti parteciperanno al 59.mo Pellegrinaggio Militare Internazionale dei Cappellani militari cattolici, che si svolgerà dal 19 al 21 maggio a Lourdes, in Francia. Tema dell’evento, “Dona a noi la pace”. 12mila i militari presenti, provenienti da 40 nazioni.

Nel Messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Pontefice ringrazia tutti coloro che operano per “il ripristino o il mantenimento della pace nel mondo”. Invitando a pregare per la riconciliazione, ricorda “che Dio risponde sempre a questa preghiera dei suoi figli” e “risponde concretamente, suscitando artigiani di pace, di fraternità, di solidarietà”.

Di qui, l’esortazione del Pontefice ai militari affinché guardino a Cristo per vincere “il male e l’odio” ed essere “veri testimoni della verità”. Infine, il Papa esprime vicinanza e sostegno a tutti coloro che sono sotto le armi, “specialmente in condizioni di pericolo” ed affida tutti alla protezione della Madonna di Lourdes.

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I vescovi del Perù dal Papa: Chiesa vicino alla gente che soffre

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in visita ad Limina i vescovi del Perù. Al microfono di Alina Tufani, mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, arcivescovo di Ayacucho e presidente della Conferenza episcopale peruviana. Il presule sottolinea innanzitutto in quale contesto opera la Chiesa del Perù, tra difficoltà economiche e problematiche sociali: 

R. – Non abbiamo passato momenti facili, ci sono molte incertezze a causa delle denunce nell’ambito degli incarichi pubblici, delle catastrofi naturali che abbiamo avuto – il fenomeno del Niño - soprattutto nella zona Nord del Paese. C’è molta disillusione. È un popolo che soffre, ma che crede in Gesù, che ama molto la Chiesa e che chiede al Santo Padre di confermarci nella fede.  

D. – Come affrontare questa problematica sociale? Come essere Chiesa in questo contesto?

R. – La Chiesa ha molta credibilità, nonostante le nostre miserie, le nostre debolezze, i nostri errori. La gente si fida molto della Chiesa. Certamente, c’è una crisi economica molto forte e soprattutto una crisi morale. Ci preoccupa molto l’assenza della famiglia. In seno ad essa, la crisi è sempre più grande, molte madri vengono abbandonate… Ci preoccupa anche molto che negli ambienti politici alcuni vogliano far passare certe “leggi di sottobanco” e una certa emarginazione della Chiesa che invece dovrebbe esprimersi sulla famiglia e sull’educazione. Anzi, la Chiesa ha un accordo molto importante con lo Stato, perché la Costituzione ammette che la nazione è cresciuta ispirata dalla fede nella Chiesa ed è per questo che in tema di famiglia e di educazione deve esserci dialogo e  comunicazione.  

D. – Infatti, è stata molto forte la lotta della Chiesa e delle associazioni cattoliche in difesa della vita e della famiglia…

R. – Effettivamente, a livello politico, per fortuna, queste leggi non sono passate, però ci sono sempre coloro che provano a fare lobby; non mancano quei quattro o cinque che difendono l’ideologia di genere e il matrimonio omosessuale. Si tratta di una minoranza che fa rumore, però fortunatamente c’è la voce della Chiesa che ricorda il significato della famiglia e i valori dell’educazione. Abbiamo momenti difficili, ma c’è comunicazione tra la Conferenza episcopale e il governo. Non possiamo stancarci di dialogare e bisogna far sapere che la Chiesa ha tutta una storia, una voce che bisogna riconoscere.

D. – Che momento socio-economico sta vivendo il Paese?

R. – Ci sono due temi che ci preoccupano molto e che sono peggiorati in seguito alle catastrofi naturali avvenute al Nord - anche se abbiamo ricevuto molta solidarietà e aiuto nazionale e internazionale - perché colpiscono sempre i più poveri. Queste inondazioni, queste catastrofi climatiche il Papa profeticamente le aveva già previste nella Laudato si’. Bisogna avere cura del mondo, bisogna essere solidali con i poveri. Un altro tema sul quale siamo molto sensibili, grazie al magistero di Papa Francesco, è il tema della foresta amazzonica: più del 60 per cento del nostro territorio si trova in questa foresta e ciò comporta grandi distanze, poche risorse, isolamento della popolazione… Le abbiamo voltato le spalle, bisogna essere onesti. Ci sono otto fratelli vescovi in Vicariati Apostolici con territori molto estesi e poco personale, con tante sfide: dobbiamo aiutarli e promuovere generosità e presenza in quelle zone.

D. – Questo mi ricorda che i vescovi, soprattutto nelle zone dove c’è molta ricchezza mineraria, hanno accompagnato molto le comunità, soprattutto quelle indigene, nella protezione dei loro territori dalla attività mineraria estrattiva e da altri tipi di sfruttamento delle ricchezze del Paese. Cosa ha potuto fare la Chiesa?

R. - Fin dall’inizio, svariati fratelli vescovi, nelle zone dove il problema delle estrazioni minerarie è stato trattato con molto disordine, con molta improvvisazione, hanno alzato la voce, e la Conferenza episcopale ha sempre avuto molta cura di quelle zone. Nella storia della Chiesa peruviana è stato molto importante il problema del caucciù, durante il colonialismo, perché è stata la Chiesa stessa ad alzare la voce affinché i nativi delle nostre foreste peruviane non fossero sfruttati. Anche oggi nelle zone minerarie bisogna avere cura che ci sia il rispetto dell’ecologia, delle persone, perché i danni di uno sfruttamento irrazionale sono molto più dolorosi. Non bisogna vedere solo il tema produttivo, ma anche il tema sociale. E in queste zone la Chiesa e la Caritas sono molto presenti. 

D. - Lei parlava della credibilità della Chiesa e, infatti, secondo gli ultimi dati statistici, l’88% della popolazione si professa cattolica. Quel numero però si assottiglia sempre di più e ciò è dovuto molto alla spinta delle sètte e dei gruppi religiosi di origine cristiana. Perché cresce questo fenomeno?

R. – Dove non c’è la presenza della Chiesa arrivano le sètte. Ci stiamo rendendo conto che alcuni gruppi stanno tirando fuori le unghie, perché arrivano con un atteggiamento di vicinanza e di amore, ma dopo non manca l’insulto all’autorità della Chiesa e le diatribe contro tutte le immagini sacre. Allora, anche se noi manteniamo un dialogo ecumenico di grande vicinanza e amicizia, dobbiamo presentare con fermezza quello che è il magistero, quello che è il tesoro della religiosità popolare. Riguardo alla credibilità della Chiesa, ultimamente abbiamo avuto alcune delusioni, alcuni cattivi esempi che i mass-media hanno sfruttato e che hanno minato la Chiesa e alcuni pastori. Per questo bisogna lavorare, per essere buoni pastori con il cuore di Cristo.   

D. – Questo momento d’ombra che vive la Chiesa peruviana, a causa degli abusi sessuali in seno al “Sodalizio della vita cristiana”, quanto ha inciso sulla comunità cattolica?

R. – Ci ha colpito moltissimo, moltissimo, perché i mass-media ingigantiscono e commentano…Certo, la gente è molto rispettosa, ma negli ambienti familiari, negli ambienti di studio e di lavoro si parla di questo tema. Questo ci serve pure come purificazione, perché dobbiamo essere più sensibili, più sinceri, dobbiamo lavorare molto vicino ai più bisognosi e avere cura della vita vocazionale. Dobbiamo essere molto attenti ai bisogni dei fratelli. Il caso del “Sodalizio della vita cristiana” ci provoca molto dolore, perché il caso si stava chiudendo e le ferite invece si sono riaperte: sono arrivate nuove denunce e i Tribunali chiedono nuove indagini. Siamo, dunque, molto preoccupati, ma non possiamo lasciarci andare e dobbiamo esortare i giovani a scommettere su Gesù.   

D. – Lei ha toccato il tema delle vocazioni, della cura delle vocazioni, qual è la situazione?

R. – C’è un crollo enorme di vocazioni. La domenica del Buon Pastore dicevo in cattedrale che adesso siamo pochissimi. Anche se si fa tanto lavoro nelle scuole e nelle famiglie, è un tema difficile. Bisogna chiedere al Signore che ci dica dove è la vetta, dove bisogna lavorare per trovare le vocazioni. Forse oggi i giovani sono più fragili, vengono offerte loro altre aspettative, anche la famiglia non li sostiene. È un momento difficile, però per la mia vocazione, sono un uomo di speranza e devo lavorare.

D. – E cosa possiamo dire dei laici?

R. – Stiamo pagando il clericalismo, che ci sta presentando fattura. Abbiamo avuto un tale atteggiamento clericale: “Questo lo fa solo il sacerdote”, “Questa è missione solo del parroco”. Bisogna invogliare maggiormente i laici che hanno una responsabilità molto grande nell’animazione catechetica, nella parte amministrativa, nell’azione sociale. La Chiesa non è il vescovo, il vescovo la presiede soltanto, sono tutti i fedeli battezzati che si impegnano che fanno la Chiesa. Insisto sulla famiglia: la famiglia è il primo vivaio della vocazione. Nella mia patria, però, su cento bambini che nascono oggi, 70 non hanno famiglia. Per questo la crisi è molto forte. Noi non cadiamo dal cielo, nasciamo in una famiglia. È molto importante la vita in famiglia.

D. – Nell’ambito della Conferenza episcopale qual è il piano pastorale oggi in vigore?

R. – Facciamo ancora fatica a fare un piano nazionale a causa del contesto geografico. Sono 45 le diocesi: la costa ha un ritmo, il Nord un altro, la Cordigliera è un’altra cosa… Un caso tipico: io sono metropolitano e le due diocesi suffraganee sono una a cinque ore e l’altra a 16 ore di distanza, allora è molto più facile incontrarci a Lima. Non è facile un piano nazionale, ma stiamo facendo dei tentativi, la Segreteria generale fa degli sforzi con le Commissioni, le riunioni... Questo è il lavoro della Conferenza episcopale.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Il programma ufficiale del viaggio del Papa a Genova

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La Sala Stampa vaticana ha pubblicato oggi il programma ufficiale della visita pastorale di Papa Francesco a Genova il prossimo 27 maggio.

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Mons. Paglia: famiglia, teoria gender è arretramento culturale

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“Famiglie, educazione e benessere”: è il tema che le Nazioni Unite hanno voluto dare all’odierna "Giornata Internazionale delle Famiglie". Nell’intervista di Debora Donnini, mons. Vincenzo Paglia, gran cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, si sofferma su alcuni temi inerenti la famiglia, a cominciare dai maggiori pericoli a cui oggi è esposta e sulle cose urgenti da fare: 

R. – C’è anzitutto un problema culturale, rappresentato dalla destrutturazione di quel “noi” che è all’origine della stessa istituzione familiare. Nel contesto esasperatamente individualista della società contemporanea, purtroppo, questa dimensione del “noi” è stata ferita radicalmente. Ecco perché è assolutamente urgente ridare dignità alla famiglia come luogo di edificazione della stessa società.

D. – Uno dei temi che si discutono a livello internazionale è la questione del gender. In proposito il Papa ha sottolineato che una cosa è che una persona abbia una tendenza, dicendo che le persone sempre vanno accompagnate; una cosa diversa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. “Queste – ha detto – io le chiamo ‘colonizzazioni ideologiche’”. Ecco, questo tema dell’insegnamento del gender nelle scuole si va sempre più diffondendo…

R. – Il Papa disse già in una delle sue catechesi sulla famiglia che in realtà, questa cosiddetta “teoria del gender” è un arretramento culturale rispetto al bisogno che la società ha di ritrovare la forza della differenza. È la rimozione della differenza ad essere un problema, non la soluzione. Il tema del rapporto tra l’uomo e la donna non si risolve abolendo la dimensione naturale, facendo scattare il pendolo nella prospettiva culturale. L’uomo e la donna devono parlarsi di più, devono ascoltarsi di più, devono volersi bene di più e trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. È in questo senso che si ricompone la differenza come motore della storia. In questo senso il Papa ha ragione doppiamente: non solo non si può imporre ad altri, ancor più se è un arretramento.

D. – Nella nota dell’Onu su questa Giornata si sottolineano le buone pratiche per l’equilibrio tra lavoro e famiglia, per aiutare i genitori nei loro ruoli educativi. Oggi, però, sembra che sempre più importanza venga data all’insegnamento “statale”, invece di riconoscere il ruolo primario dei genitori nell’educazione dei figli…

R. – Credo che sia indispensabile ridare centralità culturale, educativa, alla famiglia appunto come dimensione primaria del tessuto della società. La storia della pedagogia ci mostra quanto sia importante l’articolazione dei rapporti, compresa quella della gerarchia all’interno della famiglia. Certo, la storia ha mostrato anche le inadempienze, le deviazioni: pensiamo ad esempio ad un certo maschilismo, ad una sorta di gerarchizzazione rigida dei ruoli. Ma non c’è dubbio che, aiutati anche dallo sviluppo delle scienze umane, le famiglie devono ritrovare la forza educativa al loro interno con una nuova alleanza anche con la società, con la scuola, con le altre istituzioni come quella del lavoro.

D. – C’è poi un tema che è quello del sostegno economico alle famiglie, che nei diversi Paesi – penso all’Europa – trova applicazioni differenti. Ci sono Paesi dove la natalità è di fatto sostenuta e altri no. Ecco, bisogna tornare a sostenere il valore dei figli per la società anche con aiuti economici seri?

R. – Io credo che sia indispensabile sostenere con l’aiuto economico non solo la dimensione dei figli ma l’intera famiglia, in tutte le sue articolazioni. Ecco, io credo che sia assolutamente indispensabile una riflessione anche sul lavoro delle donne, perché non vengano costrette a scegliere tra lavoro e maternità. Ugualmente, è assolutamente indispensabile sostenere soprattutto in società complicate come le attuali, la genitorialità. E mi riferisco soprattutto alle società occidentali, le quali stanno vivendo spesso una sorta di deserto generativo. Anche il numero dei figli significa il futuro di una società o altrimenti la morte di essa. Ecco perché non legherei in maniera meccanica aiuto economico e figli. Ma non c’è dubbio che un tale legame è indispensabile per favorire una cultura della generazione e del rapporto tra le generazioni.

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Mostra sulla Menorah ai Musei Vaticani e al Museo ebraico di Roma

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Al via da oggi fino al 23 luglio la mostra “Menorà. Culto, storia e mito”. L’esposizione, allestita parallelamente nel Braccio di Carlo Magno dei Musei Vaticani e nel Museo Ebraico di Roma, rappresenta il primo progetto comune tra le due Istituzioni. La mostra racconta la storia della Menorah - la lampada a sette bracci, simbolo identitario del popolo ebraico - attraverso un ricco percorso costellato da circa 150 opere d’arte, tra sculture, pitture, manoscritti e illustrazioni librarie. Luca Collodi ne ha parlato con i curatori dell’esposizione, lo storico dell’arte Francesco Leone, e Arnold Nesselrath, delegato per i Dipartimenti Scientifici e i Laboratori di Restauro dei Musei Vaticani. A Francesco Leone ha chiesto innanzitutto cosa sia la Menorah: 

R. – La Menorah è il mitico, leggendario, candelabro d’oro a sette bracci che il Signore, sul Sinai, ordinò a Mosè di realizzare in un’unica colata di oro purissimo: quella originaria doveva pesare 35 kg. La Menorah ha una storia plurimillenaria, leggendaria, una sorta di Sacro Graal. Fu collocata nel tempio di Salomone nel X secolo avanti l’era cristiana; fu razziata dai babilonesi e ricostruita dal popolo di Israele al ritorno dall’esilio babilonese. Altre vicende più o meno leggendarie, mitiche, hanno interessato questo manufatto. La Menorah fu poi condotta a Roma dal generale Tito nell’anno 71 A.C. dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme avvenuta l’anno precedente. Ma a Roma il candelabro scompare per sempre, razziato forse dai visigoti di Alarico, forse dai vandali di Genserico, per finire forse a Costantinopoli. Da qui, dal momento in cui la Menorah compare e scompare, a Roma nascono una serie di leggende, miti, di vicende rocambolesche che si prolungano fino a tutto il XX secolo. E dunque Roma era ed è il teatro ideale per realizzare questa mostra.

D. – Professor Nesselrath, cosa vedremo in Vaticano e al Museo Ebraico di Roma?

R. – Ripercorriamo la storia della Menorah. Iniziamo con degli elementi autentici: abbiamo un calco dell’arco di Tito, con il rilievo che dimostra l’arrivo della Menorah a Roma. Abbiamo la pietra di Magdala - una grande sensazione – che è stata trovata solo nel 2009.

D. – Professor Nesselrath, la pietra di Magdala è forse il pezzo più significativo della mostra…

R. – E’ la prima volta che esce da Israele grazie alla concessione dello Stato israeliano. È un rilievo della Menorah realizzato ai tempi in cui stava ancora nel Tempio di Gerusalemme. Con il ritratto, naturalmente, dell’imperatore Tito. C’è un rifacimento cristiano della Menorah che viene dal Santuario della Mentorella, nel Lazio. Abbiamo appena disimballato il grande candelabro di Pandabor che è un esempio di come la cristianità ricordava, attraverso i candelabri a sette bracci, le radici ebree. Il simbolo ebreo diventa infatti anche un riferimento cristiano: e questo è un elemento importante rintracciabile in tutta la mostra. Perché in un momento in cui le guerre si giustificano con le religioni, vogliamo far vedere come le religioni non si combattono tra loro ma al contrario si parlino. Un dialogo che può far nascere qualcosa di bello e  costruttivo. Per me è stata una grande emozione vedere il manifesto con la Menorah accanto alla facciata di San Pietro. Credo che questo sia un simbolo molto forte che la mostra romana sulla Menorah trasmette. Per noi è importantissimo questo dialogo, questa convivenza. Nonostante la differente prospettiva, vogliamo infatti arrivare a dire che si può costruire insieme, anche con idee diverse.

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Oggi in Primo Piano



Michel Sabbah: normalizzare rapporti israelo-palestinesi

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La questione della ‘normalizzazione’ dei rapporti tra lo Stato israeliano e quello palestinese è tornata di attualità sulla scena internazionale, dopo quasi 70 anni di conflitto, a seguito di alcune dichiarazioni del movimento palestinese Hamas che per la prima volta si è detto in conflitto “con il progetto sionista e non contro gli ebrei per via della loro religione”. Ma come ‘normalizzare’ una situazione tanto compromessa? A questa domanda risponde un documento dell’Assemblea degli Ordinari cattolici della Terra Santa. Roberta Gisotti ha intervistato il patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah, presidente della commissione Giustizia e pace, che ha redatto la nota, pubblicata ieri: 

“Nell’attuale situazione politica confusa e senza speranza - si legge nel testo - le comunità cristiane, i leader della Chiesa e i singoli credenti, sono richiesti di continuo discernimento. Sono invitati a consultare - prosegue la nota - e a lavorare strettamente per trovare  le vie migliori per testimoniare una società giusta e uguale per tutti, al tempo stesso coltivando relazioni rispettose con tutti i cittadini, con i quali sono chiamati a vivere insieme per una pace giusta e durevole”.

D. - Beatitudine Sabbah, anzitutto che cosa si intende per “normalizzazione”, al di là delle dichiarazioni politiche?

R. – In questa situazione di guerra tra Israele e Palestina vuol dire comportarsi come se non ci fosse la guerra; come se tutte le cose andassero bene e che non ci fosse alcun problema! E’ una situazione di conflitto tra due popoli mai risolta, dove gli israeliani occupano militarmente i territori palestinesi, che dunque non hanno la loro libertà; mentre nello Stato d’Israele, i palestinesi che sono cittadini lì soffrono della discriminazione tra ebrei e non ebrei. Qui ci sono ingiustizie, ci sono migliaia di prigionieri politici, e c’è in Palestina un’economia che non si può sviluppare normalmente … Certo, bisogna avere rapporti con Israele e avere rapporti con la Palestina, fare un dialogo tra ebrei e cristiani, fare un dialogo con i musulmani … Ma in tutte queste attività bisogna avere in mente che si tratta di una situazione non normale e dunque un qualsiasi dialogo deve avere visione di questa anormalità.

D. – Quindi una responsabilità che pesa sulle classi politiche che si sono alternate in tutti questi decenni. Le ultime dichiarazioni che ci sono state da una parte e dall’altra aprono qualche speranza? In questo contesto, quale prezzo hanno pagato e pagano i cristiani?

R. – I cristiani sono palestinesi: quello che pagano i palestinesi pagano i cristiani; siamo cittadini: noi che viviamo nei territori palestinesi siamo sotto occupazione. Il prezzo è quello che pagano tutti: non avere libertà di movimento, se non molto limitata; non avere un accesso normale ai luoghi santi di Gerusalemme, Nazareth eccetera; non avere possibilità economiche normali; avere fame – qualcuno ha fame, non ha lavoro … come il resto della gente. La difficoltà è generale per tutti, per tutti i palestinesi, cristiani o musulmani.

D. – La necessità di risolvere questo conflitto è palese, per risolvere poi anche tutti gli altri del Medio Oriente…

R. – Risolvere sarebbe molto semplice in sé: ciascuno ha la sua casa, Israele ha il suo Stato, la Palestina ha il suo Stato. Ma non c’è la volontà di risolvere, e non c’è nessuna autorità al mondo che possa imporre una soluzione. L’unica autorità che può risolvere è Israele, e Israele dice: “La nostra vita scorre normale, non abbiamo bisogno di risolvere”. Questo è il problema.

D. – Lei a questo punto è proprio scoraggiato …

R. – Scoraggiato, no, perché sono cristiano: scoraggiarsi vuol dire morire. Io non sono morto, sono vivo e sono vivo perché credo in Dio e Dio vuole che noi impariamo a vivere in pace e a fare la pace quanto possiamo: nella parola, nella predica, nelle azioni, nelle attività di resistenza, nelle manifestazioni di massa … ci sono tanti metodi non violenti per dire che bisogna fare la pace. E alla fine, chi lo sa? Speriamo che Dio esaudisca, che Dio muova i cuori perché i cuori umani nessuno può muoverli: solo Dio.

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Vescovi Celam: porre fine alla crisi politica in Venezuela

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Il Consiglio Episcopale Latinoamericano (Celam) ha concluso, ieri, l’Assemblea Plenaria con un forte appello a “trovare soluzioni” per porre fine alla crisi politica, economica e sociale in Venezuela. Svoltasi a San Salvador, la Plenaria dei vescovi del Celam, alla quale hanno assistito anche rappresentanti della Chiesa di tutto il continente americano, ha esortato il popolo venezuelano a “evitare ogni forma di violenza”. Solo in quest’ultimo mese, i morti a causa della forte repressione delle mobilitazioni di protesta sono arrivati a 40, mentre il numero di feriti raggiunge circa 800 civili e oltre 1000 detenuti. Il comunicato episcopale è stato presentato dal presidente e dal segretario del Celam, rispettivamente card. Rubén Salazar e mons. Juan Espinoza, in presenza del presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Padrón.

Soluzioni alla crisi per vie costituzionali
“Facciamo un appello perché si concretizzino urgentemente soluzioni all’attuale crisi per vie costituzionali e salvaguardando i valori democratici”, si legge nel testo pubblicato nell’ambito dell’assemblea generale che si è riunita nella capitale salvadoregna per onorare la memoria del Beato Arnulfo Romero, nel centenario della sua nascita. Il comunicato del Celam, oltre a condannare l’uso della violenza nelle manifestazioni, ha esortato il governo del presidente Nicolás Maduro a “evitare l’uso smisurato delle forze pubbliche” per reprimere le proteste “perché producono solo ulteriore sofferenza e morte”. I vescovi latinoamericani hanno affermato che sono consapevoli “degli aneliti e degli sforzi del popolo venezuelano per vivere in pace, percorrendo i sentieri della libertà, della giustizia e dello sviluppo integrale”.

Vicinanza e solidarietà della Chiesa latinoamericana al Venezuela
I vescovi latinoamericani hanno manifestato la loro “vicinanza, solidarietà e sostegno” al popolo venezuelano. “Ci preoccupa e ci addolora - si legge nel comunicato - la morte, la violenza e la mancanza dei beni di prima necessità, la divisione, la violazione dei diritti umani e infine la sofferenza che ha colpito il popolo venezuelano fino a trasformarlo in soggetto di un’autentica crisi umanitaria”. In questo contesto, i delegati del Celam hanno chiesto alle comunità diocesane dell’America Latina e dei Caraibi di dare il via ad iniziative di carità e di concretizzarle “nonostante gli ostacoli che possano presentarsi”. Inoltre, i vescovi hanno chiesto di “accogliere fraternamente e offrire con generosità condizioni di vita degna ai venezuelani che emigrano verso altre nazioni”. Infine, l’appello dei presuli è andato alle organizzazioni umanitarie internazionali affinché “indirizzino la loro azione e le loro risorse soprattutto verso il Venezuela".  (A cura di Alina Tufani)

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Francia: Macron nomina nuovo premier Edouard Philippe

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Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha nominato primo ministro Edouard Philippe, gollista moderato, e lo ha incaricato di formare il nuovo governo. Intanto per il neopresidente francese oggi il primo impegno internazionale con l’incontro a Berlino col cancelliere tedesco, Angela Merkel. Lo stesso Macron, nei suoi primi discorsi da capo dello Stato, ha parlato della realizzazione di una Francia forte in un’Europa nuova. Ma quali sono le strade percorribili per riformare l’Unione? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Andrea Santini, docente di Diritto Internazionale ed europeo all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Le proposte per un rilancio dell’Unione si sono moltiplicate nel corso degli ultimi mesi, soprattutto in occasione dell’anniversario dei Trattati di Roma celebrato il 25 marzo. Le direzioni da seguire sono diverse, per cui occorrerà lavorare su diversi fronti. Uno di questi è senz’altro il potenziamento dell’unione economica e monetaria. Ci sono varie idee in campo: per esempio, quella di un rafforzamento della capacità di bilancio della zona euro; si tratta di uno dei temi rilevanti. Oltre a questo c’è poi sicuramente il fronte dell'immigrazione: la crisi migratoria degli ultimi anni ormai ha sicuramente posto in evidenza anche delle grosse spaccature tra gli Stati membri ed è assolutamente necessario che, anche a partire dalle proposte che la Commissione ha avanzato negli ultimi mesi, si possano compiere passi in avanti nella costruzione di un’autentica politica europea dell’asilo e dell’immigrazione. Un terzo fronte è quello poi della sicurezza. Gli attentati terroristici degli ultimi anni hanno posto in evidenza l’esigenza di potenziare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione, anche sul versante della cooperazione giudiziaria in materia penale e tra servizi di intelligence, in maniera tale da accrescere la capacità dell’Unione e dei suoi Stati membri di fronteggiare il rischio terrorismo.

D. – Potrebbe tornare sul tavolo anche il discorso di un’Europa “a due velocità”?

R. – Io credo che sia assolutamente inevitabile che torni sul tavolo, perché le prospettive di sviluppo sono tutte ambiziose. Difficilmente potranno tutte trovare consenso da parte di tutti gli Stati membri, considerando anche che prossimamente è destinato ad uscire dall’Ue il Regno Unito ma questo non significa che tra gli altri 27 Stati sarà facile trovare ampi consensi. Quindi senz’altro lo strumento della “cooperazione rafforzata” dovrà essere quello sul quale puntare per poter segnare dei passi in avanti in questi diversi campi. Cooperazioni rafforzate sono d’altra parte concetti richiamati anche proprio nei documenti più recenti, in termini più o meno chiari, più o meno netti e ambigui, con riferimento alla necessità di un’integrazione che debba anche procedere a velocità diverse. Questa tematica ritorna spesso, perché questa è probabilmente una strada inevitabile per poter uscire da questa fase di crisi, ormai prolungata, del progetto di integrazione europea.

D. – Un’Europa nuova potrebbe passare attraverso la parziale restituzione agli Stati membri di una certa sovranità?

R. – Questo processo di integrazione senz’altro in questi ultimi anni ha anche visto un riappropriarsi da parte degli Stati di posizioni di maggior rilievo, potremmo dire. Probabilmente, quello che si deve tenere in conto è che l’Unione Europea deve riuscire a fare di più sulle grandi questioni e, probabilmente, di meno su quelle questioni riguardo alle quali è possibile restituire competenza agli Stati membri, senza che questo nuoccia al processo di integrazione.

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Nord Corea: comunità internazionale condanna nuovo test missilistico

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La Corea del Nord continua a minacciare la stabilità mondiale con i suoi lanci missilistici. L’ultimo, all’alba di ieri, ha percorso un tratto di oltre 700 chilometri prima di cadere nel Mar del Giappone, superando alcuni standard dei test precedenti. Unanime la condanna internazionale. Ne discuterà domani al Consiglio di sicurezza dell'Onu, ma già al Forum sulla Cooperazione in corso a Pechino si delineano diversi atteggiamenti per uscire dalla crisi. Dell’effettivo potenziale nord coreano e delle reazioni internazionali, Gabriella Ceraso ha parlato con Antonio Fiori, docente di Storia e Istituzioni dell’Asia all’Università di Bologna: 

R. – Sono state fatte delle valutazioni che lasciano intendere che si sia trattato di un nuovo vettore in grado di colpire, senza grossi problemi, non solo il Giappone ma anche l’Isola di Guam dove è situata una base militare americana, ponendo dei quesiti oggettivi rispetto all’avanzamento tecnologico del programma balistico nordcoreano.

D. - Questo pone anche un’ipoteca su un eventuale incontro con gli Stati Uniti, ma anche con la Corea del Sud, entrambi i presidenti si erano detti disponibili

R. - Prima di tutto è necessario comprendere se questa offerta reciproca sia credibile o meno. Sinceramente credo che questo esperimento debba essere visto come una sorta di benvenuto al nuovo presidente sudcoreano e alla sua amministrazione per intendere questo: ”É meglio un colloquio perché noi sappiamo essere molto, molto, aggressivi”.

D. - Proprio al Forum sulla cooperazione di Pechino in cui è arrivata la notizia del test, c’è stato un incontro tra le delegazioni del Nord e del Sud. È possibile che si arrivi ad un summit inter-coreano con la logica della risoluzione delle cose?

R. - Sì. Credo che questa sia una cosa plausibile da immaginare. Il nuovo presidente sudcoreano era il capo dello staff di quel presidente progressista sudcoreano, che dal 2003 al 2008 ha cercato fortemente di restituire una sorta di riappacificazione tra le due Coree, naturalmente giungendo a ottimi risultati e anche a cose meno buone; quindi non è sicuramente una strategia perfetta, ma perfezionabile. Io credo comunque che sia un presidente che abbia intenzione di provare a rimettere in piedi un tavolo negoziale e ristrutturare una sorta di colloquio con la Corea del Nord.

D. - E in questo caso siccome Cina e Russia cercano una soluzione politica dall’altra parte Trump e l’amministrazione americana che posizione prenderebbero?

R. - Washington non sarebbe disposta ad appoggiare questa soluzione se non si arrivasse ad uno smantellamento degli armamenti nord coreani.

D. - Invece il Consiglio di sicurezza dell’Onu che è stato richiamato dal Giappone e dagli Stati Uniti a riunirsi, continua ad aver scarso potere?

R. - Non c’è una volontà di negoziazione; c’è una volontà invece sanzionatoria che non porta sostanzialmente a nessun tipo di obiettivo, perché le sanzioni non hanno portato ad un abbassamento della tensione. Hanno probabilmente soltanto reso la Corea del Nord più povera.

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L'arcivescovo di Crotone: sgomenti per illeciti al centro migranti

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Sgominata la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto in provincia di Crotone. Questa mattina, in un'operazione delle forze dell'ordine, sono state fermate 68 persone, molte delle quali appartenenti al clan della ‘Ndrangheta, a seguito di un’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. 36 dei 106 milioni di fondi Ue, che lo Stato ha girato dal 2006 al 2015 per la gestione del centro richiedenti asilo di Crotone, sono finiti in mano alla cosca ‘ndranghetista. Tra i fermati compaiono anche Leonardo Sacco, presidente della sezione calabrese e lucana della Confraternita delle Misericordie, e don Edoardo Scordio, parroco della Chiesa di Maria Assunta. Dalle indagini sarebbe emersa l'infiltrazione della cosca Arena nel tessuto economico crotonese e, in particolare, il controllo mafioso delle attività imprenditoriali connesse al funzionamento dell'accoglienza al Cara di Isola Capo Rizzuto che andava avanti da più di un decennio. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni, malversazione ai danni dello Stato, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e altri reati di natura fiscale, tutti aggravati dalla modalità mafiose. Nel corso dell'operazione anche un sequestro beni milionario. L'attività della Confraternita - ha spiegato mons. Domenico Graziani, arcivescovo di Crotone - non faceva parte dell'attività parrocchiale. Anni fa aveva preteso che fosse nettamente distinta dal punto di vista logistico dall'attività della parrocchia. Ascoltiamo il presule al microfono di Giorgio Saracino

R. – Siamo sgomenti e stiamo facendo ricorso alla preghiera, in considerazione del fatto che stanno soffrendo anche le persone che ancora alla Chiesa manifestano fiducia, manifestano grande disponibilità a seguire le indicazioni di chi si trova a servirli nel nome del Signore. E questa è una sofferenza grande, perché questo nostro popolo meritava di sicuro qualcosa di meglio.

D. – Questo anche perché due persone coinvolte sono uomini di Chiesa …

R. – Fa molto senso il fatto che siano coinvolti un parroco e il presidente delle Misericordie, un giovane di 39 anni. Per come la vedo io, è mancata la chiarezza dell’ispirazione, la regolamentazione dei ruoli. Mi pare che stando a quello che dicono gli inquirenti, il giocattolo si sia rotto loro tra le mani.

D. – Qual è il suo auspicio?

R. – Il mio auspicio è molto semplice: che un parroco che si interessa di problemi umani così intensi riesca a percepire la distinzione che deve esserci tra un aspetto gestionale, un aspetto organizzativo e un aspetto di formazione nel senso puro e profondo che compete quando ci si trova di fronte a fatti di tale rilevanza.

D. – Ma il fatto che due persone di Chiesa siano indagate, porta poi – secondo lei – la popolazione a distaccarsi dalla Chiesa?

R. – Questo pericolo può esserci, di sicuro. Però, dall’altra parte io devo constatare che ci sono persone che proprio di fronte a questa difficoltà, per la fedeltà e la sincerità che hanno avuto nel seguire certe proposte, le hanno seguite per la loro parte con sincerità. Io sono sicuro che queste persone troveranno la forza per superare le situazioni di difficoltà e di sofferenza. Io confido nella capacità di ripresa di un popolo come quello di Isola Capo Rizzuto, che ha dato dimostrazione di essersi saputo elevare al rango di laboratorio di pastorale.

D. – Qualche mela marcia non può rovinare un panorama molto più bello …

R. – No, assolutamente no!

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Plenaria vescovi Usa su libertà religiosa e immigrazione

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La persecuzione religiosa, l’immigrazione e i giovani saranno i temi centrali dell’Assemblea dei vescovi statunitensi, in programma il 14 e 15 giugno ad Indianapolis. La Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti ha definito l’agenda della Plenaria di primavera, nella quale saranno trattati argomenti come gli sviluppi del progetto sull’assistenza sanitaria varato dal governo del presidente Donald Trump e la prima consultazione sul prossimo Sinodo dei Vescovi convocato da Papa Francesco per l’ottobre 2018 e dedicato ai giovani.

Esperti sull’immigrazione alla Plenaria episcopale
L’intervento del vescovo di Las Cruces, Nuovo Messico, e presidente del Comitato internazionale di giustizia e pace, mons. Oscar Cantú, presenterà la situazione di persecuzione religiosa, di genocidio e di violazione dei diritti umani in Medio Oriente. In questo contesto, i vescovi analizzeranno la possibilità di istituire e votare un Comitato permanente ad hoc per la libertà religiosa nel seno dell’episcopato. Inoltre, la stessa Commissione organizzerà un briefing con esperti internazionali per discutere sul problema dell’immigrazione, tenendo conto delle nuove politiche adottate dalla Casa Bianca.

In preparazione del prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani
Saranno invece l’arcivescovo di Philadelphia e presidente della Commissione per i laici, il matrimonio, la famiglia e i giovani, card. Charles Chaput, e il vescovo di Newark e presidente della Commissione per il clero, la vita consacrata e le vocazioni, card. Joseph Tobin, a condurre la discussione sul Sinodo del Vescovi convocato dal Santo Padre, nel 2018, per parlare sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Altri argomenti che saranno trattati durante la Plenaria riguardano un sussidio con orientamenti per la celebrazione dei Sacramenti per persone con disabilità, una raccolta di benedizioni in spagnolo e una nuova traduzione delle disposizioni per la benedizione dell’olio dei catecumeni e degli infermi e del crisma.

Preghiera per le vittime degli abusi sessuali
In risposta all’appello di Papa Francesco, la sera di mercoledì 14 giugno i vescovi statunitensi celebreranno un momento di preghiera e di penitenza per la Giornata internazionale per le vittime degli abusi sessuali da parte del clero. Infatti, a settembre scorso, nel suo discorso alla Plenaria della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, il Santo Padre ha chiesto l’istituzione da parte di ogni Conferenza episcopale di una Giornata di preghiera per i sopravvissuti e le vittime degli abusi sessuali.  (A.T.)

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Panama. Presentato logo Gmg 2019 disegnato da studentessa

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Un cuore stilizzato, una parte del quale forma la lettera “M”. E poi il Canale di Panamá, che simboleggia il cammino del pellegrino che scopre in Maria il tramite per incontrarsi con Gesù; l’Istmo stilizzato, emblema della terra panamense; sulla sinistra la croce pellegrina; a destra, la silhouette della Vergine, accompagnata da cinque punti bianchi, come segni della corona di Maria, ma anche dei pellegrini provenienti dai cinque continenti. Infine, i colori della bandiera del Paese organizzatore. È questo il logo della Giornata mondiale della gioventù 2019, che si terrà a Panamá dal 22 al 27 gennaio 2019.

Logo scelto tra centinaia di proposte
Vincitrice del concorso - riferisce l’agenzia Sir - è Ambar Calvo, ventenne studentessa di architettura all’Università di Panamá. Il logo è stato scelto tra 103 proposte inviate al Comitato esecutivo per la Gmg e al Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita. Ieri la presentazione, nel corso delle celebrazioni che hanno accolto l’arrivo a Panamá della Croce pellegrina del Gmg.

Panama, Paese piccolo dal cuore grande
L’arcivescovo di Panamá, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, ha detto di sentirsi emozionato per il talento dimostrato dai giovani panamensi e in particolare da Ambar, “che è riuscita a captare il messaggio che desideriamo inviare ai giovani del mondo, le ridotte dimensioni del nostro Paese ma anche la grandezza del nostro cuore, aperto a tutti e tutte senza alcuna esclusione, per mano della Vergine Maria, una giovane coraggiosa, impegnata e generosa, che ha saputo dire ‘sì’ di fronte alla chiamata di Dio”.

Giovani, riserva morale della società e della Chiesa
“I giovani sono la riserva morale e umana delle nostre società e della stessa Chiesa - ha aggiunto il presule - sono capaci di trasformarlo completamente e positivamente, rischiando come fece l’adolescente Maria di Nazaret, se solo siamo capaci di insegnare loro ad amare come Gesù ci ha amato”. Dal suo canto, la giovane vincitrice ha spiegato di aver voluto mostrare attraverso il logo “la tenerezza e l’affidamento di Maria” nel momento in cui dice “Sia fatta la tua volontà”.

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Chiesa etiopica: operatori diocesani siano centrati in Cristo

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“Porre Cristo al centro del proprio operato e ricercare costantemente la sua saggezza”: questo l’incoraggiamento rivolto ai coordinatori diocesani del dipartimento Giustizia e Pace in Etiopia che, nei giorni scorsi, hanno partecipato ad un seminario di formazione organizzato dal Segretariato cattolico etiopico (Esc) e svoltosi ad Addis Abeba.

Pregare per rafforzare la fede
Intervenendo all’incontro, il segretario generale dell’Esc, padre Hagos Haysh, ha invitato i coordinatori diocesani ad essere “agenti del ministero della pace e della riconciliazione della Chiesa cattolica”, ribadendo che “lavorare alla costruzione della pace richieda rigorosamente di mettere Cristo al centro”. “Lavorando come agenti di pace e di riconciliazione – ha detto padre Haysh – dobbiamo costantemente cercare il coraggio e la saggezza attraverso la luce di Cristo, dobbiamo pregare e rafforzare la nostra fede”.

La sapienza di Dio
Infatti, è “attraverso la sapienza che Dio ci concede che possiamo riconoscere le realtà sociali dei nostri tempi e servire, di conseguenza, i fedeli. E questo è ciò che ci distingue da altri lavoratori del settore sociale”. Per questo, ricordando l’importanza di tutelare anche le persone più deboli ed indifese, padre Hagos ha sottolineato che chi opera in favore della pace, della riconciliazione e della giustizia deve essere costantemente aggiornato sulle leggi vigenti nel Paese, così da offrire il giusto servizio a partire da una prospettiva corretta.

Venti anni di attività
Molto attivo nel Paese da oltre 20 anni, il dipartimento Giustizia e Pace in Etiopia ha al suo attivo risultati importanti, come l’operato portato avanti all’interno del Consiglio interreligioso nazionale per la costruzione della pace ad ogni livello. Tra i temi affrontati durante il seminario, le sfide attuali che vivono i giovani ed il degrado morale della società. (I.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 135

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.