Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 17/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: l'incontro con Gesù risorto trasforma la tristezza in gioia

◊  

“Il nostro Dio non è inerte” ma “sogna la trasformazione del mondo” e l’ha realizzata nel mistero della Risurrezione. Lo ha ricordato Papa Francesco stamani all’udienza generale in Piazza San Pietro. Il Papa ha dedicato la catechesi alla figura di Maria Maddalena, proseguendo il ciclo di riflessioni sulla speranza cristiana. Il servizio di Debora Donnini: 

L’incontro con Gesù risorto trasforma la nostra tristezza in gioia, come avvenne per Maria Maddalena. Lo sottolinea Papa Francesco che, nella catechesi, ricorda come la vita dell’uomo cambi dopo aver visto il Signore.

Dio chiama per nome ognuno di noi e ci aspetta
Nel Vangelo si narra di una prima visita al Sepolcro dopo la quale la Maddalena ipotizza che il corpo di Gesù sia stato trafugato. Nel suo tragitto verso il Sepolcro, “si rispecchia la fedeltà di tante donne che sono devote per anni ai vialetti dei cimiteri, in ricordo di qualcuno che non c’è più”, afferma Francesco sottolineando che "i legami più autentici non sono spezzati nemmeno dalla morte”. C’è, poi, una seconda visita della Maddalena quando incontra il Maestro che la chiama per nome. Il Papa evidenzia la bellezza che la prima apparizione sia avvenuta in modo così personale: “C’è qualcuno che ci conosce, che vede la nostra sofferenza”. Intorno a Gesù ci sono tante persone che cercano Dio ma la realtà più prodigiosa è che è anzitutto Dio a preoccuparsi per la nostra vita:

“Ogni uomo è una storia di amore che Dio scrive su questa terra. Ognuno di noi è una storia di amore di Dio. Ognuno di noi Dio chiama con il proprio nome: ci conosce per nome, ci guarda, ci aspetta, ci perdona, ha pazienza con noi. E’ vero o non è vero? Ognuno di noi fa questa esperienza”.

Il nostro Dio è un sognatore
I Vangeli descrivono la felicità di Maria: la Risurrezione, infatti, non è data col “contagocce” ma è una cascata che investe tutta la vita. E il Papa esorta a immaginare cosa significhi, con il bagaglio di delusioni e sconfitte che ognuno di noi si porta nel cuore, che c’è un Dio vicino, che ci chiama per nome:

“Gesù non è uno che si adatta al mondo, tollerando che in esso perdurino la morte, la tristezza, l’odio, la distruzione morale delle persone… Il nostro Dio non è inerte, ma il nostro Dio – mi permetto la parola – è un sognatore: sogna la trasformazione del mondo, e l’ha realizzata nel mistero della Risurrezione”.

La vita cambia dopo l’incontro con il Signore
Alla fine Maria è invitata a portare l’annuncio ai fratelli, da donna prima in balìa del maligno è diventata “apostola della nuova e più grande speranza”:

“Ho cambiato vita perché ho visto il Signore! Adesso sono diverso da prima, sono un’altra persona. Sono cambiato perché ho visto il Signore. Questa è la nostra forza e questa è la nostra speranza”.

L'incontro con il Risorto trasforma la tristezza in gioia
La Maddalena è dunque colei che insegna a perseverare nel cercare l’incontro con il Risorto:

“A non permettere all’amarezza della morte ‎e ‎del lutto di spegnere in noi il desiderio di incontrare Gesù; e a lasciare che il ‎Suo ‎incontro trasformi la nostra tristezza in gioia e a trasformarci in suoi testimoni. ‎L’incontro con il Risorto ci risuscita e ci ‎aiuta a far risuscitare gli altri dai sepolcri oscuri dell’incredulità”. ‎‏

La vicinanza alle vittime di Rigopiano
In Piazza San Pietro il Papa rivolge un pensiero anche al Comitato Vittime di Rigopiano, fra loro familiari e superstiti della tragedia verificatasi lo scorso gennaio, quando una valanga ha travolto un hotel della località abruzzese dopo nuove scosse di terremoto nell’area. Saluta, poi, anche i veterani del Secondo Corpo d’armata polacco, giunti in Italia per l’anniversario della Battaglia di Montecassino. “Saluto voi tutti combattenti qui presenti, che nel corso della II guerra mondiale avete lottato per la libertà del vostro Paese e delle altre nazioni”, dice auspicando che l’impegno e il sacrificio della vita possa fruttificare con “la pace nell’Europa e in tutto il mondo”. In conclusione il ricordo di San Pasquale Bylon, di cui oggi si celebra la memoria liturgica, patrono delle Associazione Eucaristiche.

inizio pagina

Il futuro dell'Europa nell'udienza del Papa ai vescovi della Comece

◊  

Il futuro dell’Europa al centro, ieri pomeriggio a Casa Santa Marta, dell’udienza del Papa alla presidenza della Commissione degli episcopati della Comunità europea, la Comece. La delegazione era guidata dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, e presidente dell’organismo. Il servizio di Giada Aquilino

L’emergenza migranti, la dimensione sociale dell’Europa, le diverse visioni dell’Unione Europea, minacciata da disgregazione ed estremismi. Sono alcuni dei temi che caratterizzeranno il congresso “Ripensare l’Europa”, che si terrà a Roma dal 27 al 29 ottobre prossimi. Ad organizzarlo la Commissione degli episcopati della Comunità europea, la cui presidenza è stata ricevuta dal Papa a Casa Santa Marta: al centro dell’incontro proprio il futuro del Vecchio Continente, tema caro a Francesco, come egli stesso ha sottolineato nell’udienza ai capi di Stato e di governo europei per i sessant’anni dei Trattati di Roma, nel marzo scorso. L’argomento sarà al centro del congresso d’autunno, come spiega mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, vicepresidente della Comece:

“Il Papa desidera questo incontro e che ci sia molto dialogo tra le istituzioni ecclesiali e tutti coloro che hanno a cuore l’Europa, quindi anche alcuni politici, proprio perché la nostra Europa ha bisogno di uno slancio, di uno sguardo sul futuro. Il Papa è davvero interessato a far sì che l’Europa giochi il suo ruolo strategico anche all’interno di questo mondo globalizzato, perché c’è un’economia maggiormente sociale che altrove non c’è e occorre sviluppare: il Papa è molto preoccupato per la disoccupazione giovanile: conosce tutti i dati statistici dei vari Paesi. Ecco, ha bisogno quest’Europa di risorgere, quasi essere rifondata”.

Già nella sua visita alle istituzioni comunitarie a Strasburgo, nel novembre 2014, Francesco richiamò la necessità di restituire dignità al lavoro. Oggi un’altra emergenza tutta europea è quella della crescita dei populismi, messa in evidenza dalle ultime elezioni. La riflessione del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, e presidente della Comece, intervistato da padre Bernd Hagenkord:

“Deswegen wollen wir…
Noi della Comece vogliamo sottolineare la necessità di un'Europa sempre più sociale. Questo lato sociale dell'Unione deve diventare sempre più visibile, anzi dovrebbe costituire una nuova colonna della collaborazione. Lì vedo qualche tensione davanti a noi, tensioni che non saranno deboli. Ma non ci sono alternative alla collaborazione. Questo costerà qualcosa a tutti, non ci potrà essere un vincitore: solidarietà significa portare insieme le debolezze, ma anche i punti di forza. Sarà quindi un decennio pieno di tensioni per il futuro dell'Europa. Adesso, nei prossimi anni, si deciderà se l'Europa si frammenterà in interessi nazionali oppure se farà uno sforzo per una visione comune del futuro”.

L’Europa è “in pericolo di sciogliersi”, ha ricordato Francesco nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal viaggio in Egitto. È questa l’attualità europea entrata pure nelle discussioni dei delegati Comece, riunitisi a marzo a Bruxelles per la loro Plenaria. Ce ne parla l’altro vicepresidente dell’organismo, mons. Rimantas Norvila, vescovo di Vilkaviskis, in Lituania:

“Oggi abbiamo non solo diversi punti di vista ma anche alcune divisioni, Est-Ovest, Sud-Nord, tradizioni di vari Paesi, tante domande che toccano famiglia e vita. Tutto ciò arriva insieme. Poi ci sono l’immigrazione e l’emigrazione in Unione Europea, questo è evidente. I valori, allora, devono essere quelli di una costruzione insieme di un futuro d’Europa, dialogando tra le varie nazioni, i politici e la Chiesa, che non vuole rimanere fuori da questo contesto, assieme al dialogo tra le religioni, tra i vari ambienti sociali: tutto questo porta ad un’unione e ad una vita migliore”.

inizio pagina

Da Papa Francesco i malati di Huntington per non nascondersi più

◊  

Papa Francesco incontrerà domani un gruppo di pazienti affetti dalla malattia di Huntington, assieme ai loro familiari, ai medici e al personale sanitario provenienti da tutto il mondo. Si tratta di una malattia neurodegenerativa e rara, che genera vergogna e stigma. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Perché la malattia di Huntington non rimanga più nascosta. E’ per questo che domani i pazienti del Sud America, dove l’infermità è più diffusa, incontreranno il Papa, per portarla alla luce, per raccontare le loro tragedie, per far sì che chi ne soffre non debba anche vivere lo stigma e la solitudine, causati dai sintomi della malattia che includono movimenti involontari e scoordinati, problemi a livello cognitivo e di natura psichica. Per la malattia di Huntington, neurodegenerativa ed ereditaria, non esiste cura, l’udienza dal Papa segnerà anche la prima volta che un leader mondiale la riconosce. I pazienti che domani incontreranno Francesco arrivano dal Venezuela e da altri Paesi del Sud America dove l’incidenza è fino a mille volte superiore rispetto ad altre parti del mondo. Il riconoscimento del Papa è un importante passo per la comunità di persone affette dalla malattia di Huntington, spiega la senatrice a vita Elena Cattaneo, dell’università di Milano, professoressa di farmacologia e ricercatrice che lavora su questa malattia:

“La speranza è che si possa accendere una luce - e sicuramente sarà così - attraverso il messaggio del Santo Padre. Una luce sulla necessità di queste persone, di questi malati, delle loro famiglie che affrontano una malattia che prende tutta la famiglia. È una malattia genetica, ereditaria, neurodegenerativa, è una malattia che porta purtroppo al senso di discriminazione. Paga una forte ingiustizia perché è una malattia motoria, i movimenti diventano incontrollabili, la mimica facciale si altera, poi diventa una malattia psichiatrica. Nel tempo ci siamo accorti che queste famiglie si chiudono negli angoli del mondo. In America Latina l’incidenza della malattia è altissima, in Occidente è uno su diecimila, lì sono sette casi su mille. Si arriva in Venezuela, vicino al Lago Maracaibo, e in questi paesini si trovano intere famiglie, intere genealogie dove il gene è passato di generazione in generazione proprio perché sono messi ai margini della società. Quindi, è una chiamata a raccolta di tutti! Saremo in tantissimi ad aspettare ed ascoltare il messaggio del Papa. La speranza è che questo evento diventi un evento che cambi la vita di molte persone. Penso che l’abbia già cambiata, perché queste persone non erano mai uscite dal loro piccolo villaggio, dal loro piccolo paesino, e domani saranno in prima fila ad ascoltare il Santo Padre. È una malattia nascosta perché questi movimenti involontari di braccia e corpo che si muovono come se fossero sconnesse l’uno dall’altro, movimenti molto forti che sembrano quasi di aggressività, la mimica facciale con tutti i muscoli del viso che si muovono in modo indipendente l’uno dall’altro, queste manifestazioni cliniche hanno portato questi malati ad essere nel tempo additati come posseduti dal maligno, quasi fossero indemoniati e quindi a chiudersi in se stessi come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi”.

Accanto ai ricercatori, ai pazienti e alle loro famiglie è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, per sottolineare il ruolo della Chiesa cattolica a sostegno delle persone che vivono con la malattia di Huntington:

“La Santa Sede si è interessata a questa malattia già in passato, non bisogna dimenticare che nel 2000, già la Pontificia Accademia delle Scienze, con il premio più importante che assegna – il Premio Pio XI – aveva premiato due giovani ricercatori inglesi che avevano iniziato questo percorso che tra l’altro è ancora in azione, in funzione, e che probabilmente avrà orizzonti molto lontani, perché per ora una cura effettiva di stampo non dico globale, ma almeno significativa, ancora non esiste. La Santa Sede perciò era già presente ma io penso che adesso con Papa Francesco soprattutto il tema della disabilità della sofferenza che non è solo fisica ma anche culturale e spirituale, sia un po’ al centro dell’attenzione e quindi in questo caso è un impegno che volentieri dobbiamo assumere e continuare a vivere a livello ecclesiale”.

All’incontro di domani ci sarà la presenza di inviati da New York, la cui diocesi, guidata dal cardinale Thimothy Dolan, registra la presenza di una struttura che si prende cura di 80 persone affette da questa malattia. L’augurio del Papa e della Santa Sede, così come ha scritto lo stesso cardinale Dolan in un messaggio al cardinale Ravasi, è che per questi malati “possa cominciare una nuova era, quando finiranno il senso di vergogna e le stigmatizzazioni che li circondano”.

inizio pagina

Card. Hummes: un Sinodo per l’Amazzonia, segno di vicinanza agli indigeni

◊  

“Il Santo Padre ci ha detto che vorrebbe un Sinodo per i popoli amazzonici”. E’ quanto affermato da mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, arcivescovo metropolita di Ayacucho e presidente dei vescovi peruviani, intervistato dall’Osservatore Romano in occasione della visita ad Limina. Proprio su questa importante notizia confidata dal presule peruviano, Cristiane Murray ha intervistato il cardinale Cláudio Hummes, presidente della Rete Ecclesiale Pan-amazzonica (Repam): 

R. - Questa è una notizia molto importante nella direzione di una Chiesa più inculturata, con un volto più amazzonico, una Chiesa impegnata nella difesa dell’Amazzonia che rischia di essere distrutta, devastata, degradata! Prima di tutto ci sono pochi missionari in Amazzonia. C’è una grande mancanza di presenza più vicina ai popoli indigeni soprattutto all’interno dell’Amazzonia. Questa presenza fisica della Chiesa attraverso i sacerdoti, diaconi è molto precaria. Gli indigeni si lamentano di questo, vorrebbero che la Chiesa sia più vicina; forse una volta era più vicina, però oggi per tanti motivi questa presenza è diminuita. Inoltre c’è la questione dell’inculturazione: dare un volto amazzonico, vuol dire una Chiesa che è inculturata nelle culture originarie del luogo. C’è un lungo cammino da fare e un Sinodo potrebbe incoraggiare, indicare delle vie in questo senso... potrebbe, prima di tutto, incoraggiare questo processo di inculturazione. Sarebbe un momento senz’altro molto fruttuoso per la Chiesa in Amazzonia.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Venezuela: 48 morti da inizio proteste, è emergenza umanitaria

◊  

Continuano le violenze in piazza in Venezuela, dove da inizio aprile sono morte 48 persone nelle proteste contro il presidente in carica Nicolas Maduro. Prevista per oggi una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per affrontare la situazione, mentre nel Paese continua l’emergenza umanitaria dovuta anche alla crisi economica, tanto nelle città quanto nel crescente numero di rifugiati. Il servizio di Michele Raviart

Sono circa 30 mila i venezuelani che hanno lasciato il loro Paese per la crisi e sono ora ammassati alla frontiera con il Brasile. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha inviato una missione di osservatori per monitorare la situazione. Tra le persone fuggite oltreconfine, centinaia appartengono alle popolazioni indigene. 400 di loro vivono in condizioni precarie nei dintorni di Manaus, nell’Amazzonia brasiliana, e tra di loro, negli ultimi mesi tre bambini sono morti di polmonite. Situazione al collasso anche a Pacarima, al confine, dove scuole e ospedali locali non riescono a gestire l’afflusso di venezuelani, in un clima dove non mancano minacce xenofobe e sfruttamento della prostituzione. In Venezuela la crisi economica sta avendo ripercussioni sulla salute dei cittadini. Riferisce l’Unicef che rispetto allo scorso anno sono morti il 30 per cento di bambini in più entro il primo anno d’età e il 64 per cento in più delle donne durante la gravidanza o entro le sei settimane dal parto. Difficile anche la vita quotidiana nelle città, come spiega da Caracas il prof. Francisco Pellegrino dell’Università Cattolica Andrés Bello, intervistato da Emanuela Campanile:

"C’è tanta paura per la nostra quotidianità perché bisogna fare lunghe file per ottenere il pane, devo prendere dei provvedimenti varie settimane prima per poter tenere lo zucchero, il latte, il caffe … E comunque mi manca sempre qualcosa. E mi reputo una persona fortunata. Vorrei trasmettere invece la disperazione della casalinga che non trova il pane, non si trovano farmaci su un campione di 40 farmacie della capitale. Quindi non oso pensare all’interno del Paese dove la percentuale di assenza di medicine per curare il diabete o l’ipertensione è quasi del cento percento!"

inizio pagina

Afghanistan: Is rivendica attacco a tv di Stato di Jalalabad

◊  

Questa mattina a Jalalabad, in Afghanistan, un commando di quattro uomini ha attaccato la sede della tv di Stato. Due attentatori si sono fatti esplodere e altri due sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Sei i feriti. Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato l’azione, mentre nel Paese continua la lotta anche contro i Talebani. Massimiliano Menichetti ha intervistato Marco Lombardi, professore di Sociologia e Comunicazione presso l’Università Cattolica e direttore del centro per lo studio del terrorismo dell’ateneo milanese: 

R. – Stanno nettamente peggiorando le cose, come ci si stava aspettando. L’attacco di oggi a Jalalabad: siamo a Est dell’Afghanistan, ai confini con il Pakistan, quindi in quell’area in cui Daesh o Is sta cercando di penetrare da un paio di anni. Ricordiamoci anche che è quell’area sulla quale gli americani hanno lanciato recentemente quella che hanno chiamato “la madre di tutte le bombe”, proprio per andare ad attaccare l'Is in quella zona. In questi ultimi mesi, la penetrazione di Daesh è aumentata in maniera significativa proprio per costruirsi e raggiungere quella sua roccaforte nelle aree non controllate sul confine afghano-pakistano e dall’altra ha cambiato decisamente strategia, andando a ingaggiare per la prima volta con una certa sistematicità le forze afghane.

D. – Cosa dicono i numeri sulle stime dei combattenti?

R. – La stima è variabile: gli americani parlano di 800 combattenti di Daesh in Afghanistan; il governo afghano parla di 1500-2000 – staremo a vedere. Ma certo c’è una forte dinamizzazione in quel teatro, con un incremento dell’instabilità e dell’incertezza: un po’ il lascito di ormai 15 anni di guerra.

D. – Nel frattempo l’Afghanistan annuncia la riconquista del distretto di Konduz, dove il combattimento in questo caso è contro i Talebani, quindi la lotta anche contro i Talebani è tutt’altro che finita?

R. – Non è mai assolutamente finita. Dobbiamo considerare l’Afghanistan come una struttura – anche se dal piano del combattimento e degli interessi a macchia di leopardo – molto diversificata tra le diverse zone: e questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto: ultimamente, in particolar modo, c’è una grande difficoltà a capire quali siano chiaramente i rapporti tra Daesh e i Talebani. C’è una certa confusione, diciamo così, sul campo. E’ del tutto probabile che ci siano anche alleanze tattiche opportunistiche, come il terrorismo ha sempre saputo fare …

D. - … anche se sono però in conflitto tra loro …

R. – Il nemico unisce molto di più di quanto ci si possa aspettare dal punto di vista delle dichiarazioni. Quindi tutte le analisi mettono un punto di domanda su quale sia il reale rapporto tra le due componenti, anche se formalmente in conflitto.

D. – La Nato ha di fatto ribadito la disponibilità ad inviare forze sul terreno in Afghanistan; già il presidente Trump si era detto pronto all’invio di 3-5 mila uomini sul territorio. Qual è lo scenario, secondo lei?

R. – Non mi preoccupa l’aumento dei militari sul campo, ma questi devono essere accompagnati da una logica politica forte, da una prospettiva politica forte; altrimenti si va avanti a reiterare zone di conflitto per decenni, come è stato fatto finora.

D. – Ma il governo centrale sembra perdere terreno sempre più: mancanza di rappresentatività e quindi mancanza di forza …

R. – Il governo centrale afghano è fallimentare; d’altra parte, ogni sostituzione violenta di governo è stata un fallimento, negli ultimi 30 anni: dal Nord Africa al Centro Asia passando per l’Iraq o quant’altro, questo interroga tutti.

D. – Cosa è auspicabile?

R. – Serve andare verso nuove forme di governo globale; serve che le Nazioni Unite o assumano un nuovo ruolo o diventino nuove istituzioni condivise; invece in realtà in questo momento la governance globale è di per sé una lotta di conflitto tra pochi, in cui anche il terrorismo è un oggetto del conflitto e spesso uno strumento degli interessi politici.

inizio pagina

Repubblica Centrafricana: oltre 130 morti nel Sud-est del Paese

◊  

Oltre 130 persone hanno perso la vita durante un attacco ad Alindao, nel sud-est della Repubblica Centrafricana. A Bangassou, dove nei giorni scorsi sono stati uccisi sei caschi blu, non si ha ancora un bilancio preciso dei civili morti e feriti. Il conflitto in atto vede protagonisti gruppi armati non ben identificati: l’esercito non è in grado di ristabilire l’ordine. Sulla situazione attuale nella città di Bangassou, Giorgio Saracino ha sentito Federica Nogarotto, Direttore Risorse Umane terreno e Medical Support di Medici Senza Frontiere: 

R. – A partire dallo scorso fine settimana, dopo alcuni momenti di tensione, che duravano già da alcune settimane, sono scoppiati violenti combattimenti nella città di Bangassou, nella Repubblica Centrafricana, che hanno costretto la popolazione civile ad abbandonare le proprie case; parliamo dello sfollamento di diverse migliaia di persone. Inizialmente queste persone si sono rifugiate all’interno di una moschea e nelle ultime ore sono riuscite a spostarsi in un altro luogo dove noi riusciamo ad accedere.

D. - Come siete organizzati sul territorio?

R. - Medici Senza Frontiere ha, a Bangassou, un ospedale da molti anni. È una struttura che ha diversi livelli di cure, inclusa la chirurgia. Quindi fortunatamente siamo riusciti ad assistere - anche se con moltissime difficoltà - la popolazione che stava fuggendo. All’ospedale abbiamo ricevuto più di 70 feriti negli ultimi quattro, cinque giorni. Il numero di feriti è proprio la testimonianza di quanto violenti siano gli scontri che la città sta subendo in questi ultimi giorni. Le violenze sono molto elevate, la popolazione è veramente spaventata; molte persone sono traumatizzate, sono sotto shock, cercano di fuggire ma non possono farlo. Quello che sentiamo e che vediamo, sono colpi di pistola, colpi di machete; vediamo case saccheggiate, incendiate…

D. - In questa situazione voi di Medici Senza Frontiere che tipo di lavoro riuscite a fare sul territorio?

R. - In questo momento siamo 24 ore su 24 all’ospedale, che fortunatamente per il momento è rispettato: la zona in cui si trova è considerata assolutamente neutra e imparziale nella risposta all’aiuto della popolazione. Tutte le parti - per ora - lo stanno rispettando portando lì i feriti, donne che devono partorire, persone che hanno bisogno di cure immediate. Appena sarà possibile muoversi, lo faremo verso le zone dove normalmente allestivamo delle cliniche mobili. Cercheremo di andare a vedere anche il resto della popolazione.

D. - Quindi qual è il vostro appello? Che cosa chiedete?

R. - Gli sfollati hanno bisogno di un rifugio. Chiediamo di nuovo a tutte le parti in conflitto di consentire l’assistenza medica urgente ai civili e ai feriti, quindi di poter dare accesso alla popolazione e che questa possa venire all’ospedale senza rischiare la vita.

inizio pagina

Sud Sudan: Onu, appello per 1,4 miliardi di dollari per rifugiati

◊  

L'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e il Programma alimentare mondiale (Pam) hanno lanciato oggi un appello ai donatori per aumentare il sostegno ai rifugiati in fuga dal Sud Sudan: il conflitto, la siccità e la carestia hanno causato l'esodo di oltre 1 milione di persone nei Paesi confinanti ed 1 miliardo e 400 mila di dollari sono necessari per fornire loro assistenza fino alla fine del 2017. Entro la fine dell'anno, il numero dei rifugiati fuggiti dal Sud Sudan potrebbe superare i 2 milioni, afferma l'Onu. Circa la metà dei rifugiati sono minori. "Il conflitto ed il peggioramento delle condizioni umanitarie in Sud Sudan stanno spingendo un numero record di persone ad abbandonare le loro case", ha detto l'Alto Commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi. Fino ad ora gli aiuti hanno coperto solo il 14 per cento delle necessità, ha denunciato il direttore esecutivo del Pam, David Beasley. Questo “è inaccetabile”, ha deprecato. (R.G.)

inizio pagina

Istat: in Italia crescono le diseguaglianze, calano le nascite

◊  

Un Paese vecchio, l’Italia, fatto di impiegati e di pensionati, e un Paese in cui aumentano le diseguaglianze. Lo dice il Rapporto annuale 2017 dell’Istat presentato stamattina nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio dal presidente dell’Istituto, Giorgio Alleva. Ancora in calo le nascite. E di fronte ad una ripresa moderata dell’economia, a subire di più gli effetti della crisi sono le famiglie degli stranieri. Il servizio di Adriana Masotti

"La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi". E’ da questa analisi che si muove la mappa socio-economica dell'Italia tracciata dal Rapporto Istat: le diseguaglianze tra classi sociali aumentano, ma anche quelle all'interno di esse e a causa della frammentazione del mondo del lavoro si va perdendo l’identità stessa di “classe”. L'Italia è un Paese sempre più vecchio: la quota di individui di 65 anni e oltre ha raggiunto il 22 per cento, collocando il Paese "tra quelli a più elevato invecchiamento al mondo".

Complesse le dinamiche istruzione/occupazione: per l'Istat giovani con alto titolo di studio sono occupati in modo precario, e tra gli esclusi dal mondo del lavoro sono sempre più gli immigrati, a cui spesso non viene riconosciuto il titolo di studio conseguito. In tutto circa 5 milioni quelli residenti in Italia soprattutto al Centro Nord: romeni, albanesi e marocchini i più numerosi.

A proposito ancora di diseguaglianze, l’Istat rileva che la spesa per consumi delle famiglie ricche, della 'classe dirigente', è più che doppia rispetto a quella dei nuclei all'ultimo gradino della piramide disegnata dall’Istituto cioè 'le famiglie a basso reddito con stranieri'. Capacità di spesa ridotta significa anche meno opportunità.

Capitolo tempo libero: un sogno per le donne, che se sono casalinghe lavorano 49 ore settimanali, e in genere per gli adulti e per i gruppi sociali a basso reddito. Non così tra i giovani, i maschi più delle ragazze, ma a seconda del reddito delle famiglie cambia la qualità del modo di viverlo: i giovani della classe dirigente svolgono più frequentemente attività culturali, sportive, corsi extra scolastici e dedicano meno tempo alla tv, che invece occupa buona parte del tempo libero dei giovani che vivono in famiglie a basso reddito.

Le fratture che caratterizzano il Paese vengono confermate: "persiste il dualismo territoriale: è nel Mezzogiorno infatti che sono più presenti gruppi sociali con profili meno agiati". Infine, nel 2016 si è registrato un nuovo minimo delle nascite (474mila) e al 1 gennaio di quest’anno la popolazione residente si attesta a  60,6 milioni. Il numero medio di figli per donna è di 1,34, il saldo naturale cioè la differenza tra nati e morti segna nel 2016 il secondo maggior calo di sempre (-134mila), dopo quello del 2015.

inizio pagina

Città del Messico: aggredito sacerdote in Cattedrale

◊  

Grave episodio di violenza contro un sacerdote messicano, accoltellato ieri nella cattedrale di Città del Messico. Il religioso padre Miguel Angel Machorro, 55 anni, è stato aggredito da un uomo che lo ha ferito con arma appuntita, al termine della celebrazione della Messa, davanti a decine di fedeli, che assistevano al rito e a turisti, che erano in visita nella cattedrale metropolitana, la più grande dell’America Latina. Il sacerdote è riuscito a liberarsi e l’aggressore è fuggito ma è stato poi catturato e identificato come John Rock Schild, un cittadino straniero, dichiaratosi prima di nazionalità francese e poi statunitense. Al momento non si conoscono i motivi del brutale attacco. Padre  Machorro è stato soccorso e trasportato in elicottero in ospedale, dove le sue condizioni permangono critiche. (A cura di Roberta Gisotti)

inizio pagina

La scomparsa di Antonio Papisca, difensore dei diritti umani

◊  

E’ morto improvvisamente ieri mattina Antonio Papisca, docente emerito di Relazioni internazionali all'Università di Padova, noto come uno dei principali difensori dei diritti umani dei nostri giorni. Aveva 80 anni. Venerdì 19 maggio alle 10.30 il funerale nel Duomo di Padova. "Con lui, il popolo della pace perde una delle sue guide più significative, uno dei suoi animatori più instancabili - scrive Flavio Lotti, Coordinatore della Tavola della pace, commentando la sua scomparsa - i suoi insegnamenti e le sue lezioni sono stati il punto di riferimento del pacifismo politico cresciuto in Italia a partire dagli anni ’80". “Antonio, dal carattere schivo, era un uomo straordinario, animato da una grande fede in Dio e nella persona umana", prosegue Lotti.

Studioso, ricercatore, impegnato sul fronte della pace
Insigne studioso nel campo della protezione internazionale dei diritti umani e della democrazia, intellettuale impegnato in tutti quei movimenti della società che generano cambiamento, partecipazione, impegno trasformatore, il prof. Papisca credeva fortemente nelle istituzioni e nella via istituzionale alla pace. Nel 1982 aveva fondato il Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli. 'Dal quartiere all’Onu' amava dire, descrivendo efficacemente il campo d’azione dei costruttori di pace: dal piccolo al grande, dal locale al globale. "Per questo sin dagli anni ’80, scrive ancora Lotti, ha promosso l’impegno degli Enti Locali e delle Regioni per la pace e i diritti umani con una miriade di idee, campagne, documenti, proposte di legge, ordini del giorno, studi, rapporti, appelli, libri e articoli. Grazie a lui la nostra idea di pace è diventata 'positiva', i diritti umani sono diventati la bussola del nostro impegno culturale e politico, il nostro ripudio della guerra è diventato più consapevole e radicale”.

Il cordoglio della presidente della Camera 
In una nota in cui esprime la tristezza per la notizia della morte di Papisca, la presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini scrive: "Animato da impegno civile ed entusiasmo - che ho avuto anch'io modo di apprezzare in tante iniziative comuni - è stato un punto di riferimento fondamentale, in Italia e in Europa, per la promozione di una cultura della pace, della democrazia e dei diritti della persona e dei popoli".

La sua scomparsa, una grande perdita per l'Università di Padova
“Con Papisca se ne va un punto di riferimento internazionale per i diritti umani e non solo, una grande perdita per tutta la comunità universitaria", ha dichiarato Rosario Rizzuto, rettore dell'Università di Padova che ricorda il comune riconoscimento attribuitogli di aver svolto “un ruolo fondamentale nella promozione e nella tutela dei diritti della persona e dei popoli, attraverso lo studio, l'insegnamento e l'impegno civile”.

inizio pagina
Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 137

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.