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Sommario del 22/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa alle Pie discepole: non unitevi ai profeti di sventura, siate gioiose

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“Una sequela triste è una triste sequela!”: da qui l’invito del Papa ad essere sempre gioiose, rivolto stamane alle Pie discepole del Divin Maestro, ricevute in udienza in Vaticano in occasione del Capitolo generale della Congregazione, fondata da don Giacomo Alberione, in corso a Roma dal 30 aprile al 28 maggio sul tema “Vino nuovo in otri nuovi”.  Siate attente e in ascolto degli uomini e delle donne di oggi, ed evitate - ha raccomandato nel suo discorso Francesco alle religiose - “i profeti di sventura”, che fanno danno alla Chiesa. E' stata suor Micaela Monetti, nuova superiora generale delle Pie Discepole del Divin Maestro, a introdurre con un saluto l'udienza odierna. Ascoltiamo le parole del Papa nel servizio di Roberta Gisotti

“Grazie, sorelle, per quello che siete, per quello che fate e per come lo fate, anche qui nella Città del Vaticano. Grazie tante!”.

Sparse nei cinque Continenti, in 27 Paesi, le Pie discepole del Divin Maestro, ramo contemplativo della Famiglia Paolina, nella sede di Pietro curano l’adorazione eucaristica nella cappella del Santissimo Sacramento, lavorano nell’ufficio liturgico, offrono servizi ai pellegrini ed operano come centraliniste. Che il Capitolo generale, ha augurato loro il Papa, vi porti “frutti, anzitutto, di comunione” nella vostra Congregazione, “coltivando l’attenzione e l’accoglienza reciproca”:

“…bandendo dalle comunità le divisioni, le invidie, i pettegolezzi; dicendosi le cose con franchezza e con carità”.

Frutti di comunione nella Famiglia Paolina e con gli altri carismi, tutti “al servizio dell’evangelizzazione, rimanendo fedeli alla propria identità”, combattendo “in ogni modo l’autoreferenzialità”. Frutti di comunione anche “con gli uomini e le donne del nostro tempo”:

“Negli interrogativi e nelle attese degli uomini e delle donne di oggi troviamo indicazioni importanti per la nostra sequela di Cristo”.

Se il “Capitolo è tempo di ascolto del Signore”, che “parla attraverso i segni dei tempi”, mediante i fratelli, ha ricordato Francesco, occorre un “confronto sereno e senza pregiudizi tra i propri progetti e quelli degli altri”, in un “tempo di grandi sfide” per i consacrati:

“… se vogliamo che la nostra vita sia pienamente significativa per noi stessi e per le persone che incontriamo”.

“Davanti a noi si apre un mondo di possibilità”, che la cultura odierna presenta “tutte come valide e tutte come buone”:

“Ma se non vogliamo cadere vittime della cultura dello zapping e, a volte, di una cultura di morte, dobbiamo incrementare l’habitus del discernimento, formarci e formare al discernimento”.

Quindi un invito alla gioia, che “allontana da noi il cancro della rassegnazione, frutto dell’accidia che inaridisce l’anima”:

“Per favore, suore rassegnate no! Gioia. Ma il diavolo dirà: 'Ma siamo poche, non abbiamo vocazioni'; e così si allunga la faccia, giù, giù, giù… e si perde la gioia, e finiamo in quella rassegnazione. No, non si può vivere così: la speranza di Gesù Cristo è gioia”.

Una gioia “autentica, non autoreferenziale o autocompiaciuta”, dove traspare “la bellezza” “di seguire Cristo”.

“Una sequela triste è una triste sequela!  

Ed ancora la “responsabilità” della “speranza”, di cui rispondere “a chiunque ce ne domandi ragione”.

"La speranza che non delude non si basa sui numeri o sulle opere, ma su Colui per il quale nulla è impossibile”.

Infine, un invito:

“Non unitevi ai profeti di sventura, che tanto danno fanno alla Chiesa e alla vita consacrata; non cedete alla tentazione dell’assopimento – come gli apostoli nel Getsemani – e della disperazione”.

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Francesco: in un cuore chiuso non può entrare lo Spirito Santo

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Solo lo Spirito Santo ci insegna a dire: “Gesù è il Signore”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che dobbiamo aprire il cuore per ascoltare lo Spirito Santo e così poter dare testimonianza di Gesù Cristo. Il servizio di Alessandro Gisotti

“State tranquilli, non vi lascerò orfani”, vi invierò un “avvocato”, lo Spirito Santo, per difendervi davanti al Padre. Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal lungo discorso di Gesù ai suoi discepoli nell’Ultima Cena. In particolare, il Papa ha messo l’accento proprio sul Paraclito, lo Spirito Santo, che – ha osservato – ci accompagna e “ci dà la sicurezza di essere salvati da Gesù”.

Lo Spirito Santo, dono di Gesù, è il compagno di cammino della Chiesa
Solo lo Spirito Santo, ha ripreso, “ci insegna a dire: ‘Gesù è il Signore’”:

“Senza lo Spirito, nessuno di noi è capace di dirlo, di sentirlo, di viverlo. Gesù, in altri passi di questo discorso lungo, ha detto di Lui: ‘Lui vi condurrà alla Verità piena’, ci accompagnerà verso la Verità piena. ‘Lui vi farà ricordare tutte le cose che io ho detto; vi insegnerà tutto’. Cioè, lo Spirito Santo è il compagno di cammino di ogni cristiano, anche il compagno di cammino della Chiesa. E questo è il dono che Gesù ci dà”.

Aprire il cuore allo Spirito Santo, altrimenti non può entrare
Lo Spirito Santo, ha detto, è “un dono: il grande dono di Gesù”, “quello che non ci fa sbagliare”. Ma dove abita lo Spirito, si chiede il Papa? Nella Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, incontriamo la figura di Lidia, “commerciante di porpora”, una che “sapeva fare le cose” alla quale “il Signore le aprì il cuore per aderire alla Parola di Dio”:

“Il Signore le aprì il cuore perché entrasse lo Spirito Santo e lei venisse fatta una discepola. E’ proprio nel cuore, dove noi portiamo lo Spirito Santo. La Chiesa lo chiama ‘il dolce ospite del cuore’: è qui. Ma in un cuore chiuso non può entrare. ‘Ah, e dove si comprano, le chiavi per aprire il cuore?’. No: è un dono anche quello. E’ un dono di Dio. ‘Signore, aprimi il cuore perché entri lo Spirito e mi faccia capire che Gesù è il Signore’”.

Questa, ha ribadito, è una preghiera che dobbiamo fare in questi giorni: “Signore, aprimi il cuore perché io possa capire quello che Tu ci hai insegnato. Perché io possa ricordare le Tue parole. Perché io possa seguire le Tue parole. Perché io arrivi alla verità piena”.

Chiediamoci se il nostro cuore è davvero aperto allo Spirito
Cuore aperto, dunque, “perché lo Spirito entri, e noi, ascoltare lo Spirito”. Io, ha proseguito, “farò due domande soltanto che si possono prendere da queste due Letture”:

“Prima: io chiedo al Signore la grazia che il mio cuore sia aperto? Seconda domanda: io cerco di ascoltare lo Spirito Santo, le sue ispirazioni, le cose che Lui dice al mio cuore perché io vada avanti nella vita di cristiano, e possa testimoniare anche io che Gesù è il Signore? Pensate a queste due cose, oggi: il mio cuore è aperto, e io faccio lo sforzo di sentire lo Spirito Santo, cosa mi dice. E così andremo avanti nella vita cristiana e daremo anche noi testimonianza di Gesù Cristo”.

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Il Papa riceve il presidente irlandese Michael D. Higgins

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Papa Francesco ha ricevuto oggi il Presidente d’Irlanda, Michael D. Higgins, che ha poi incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

"I cordiali colloqui - riferisce la Sala Stampa vaticana - hanno esordito evocando i costruttivi rapporti che uniscono la Santa Sede e l’Irlanda, e la loro collaborazione. Ci si è poi soffermati su alcune tematiche di comune interesse, quali la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della sua dignità in ogni stadio e condizione di vita, la questione migratoria e l’accoglienza dei rifugiati, la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Una speciale attenzione è stata rivolta ai giovani e alle famiglie. E’ stata poi rilevata l’importanza dei criteri etici nell’affrontare le sfide che la globalizzazione comporta, soprattutto a livello economico. Infine, si è avuto uno scambio di vedute circa le prospettive future del progetto europeo".

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I vescovi del Guatemala dal Papa: potenti lobby contro la Chiesa

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina i vescovi del Guatemala in visita "ad Limina”. Al centro del colloquio le sfide della Chiesa guatemalteca nella società attuale.  Ascoltiamo in proposito il presidente di questa Conferenza episcopale, mons. Gonzalo De Villa y Vásquez, vescovo di Sololá-Chimaltenango. L’intervista è di Alina Tufani:

R. – Siamo una Chiesa che ha un passato recente di martiri. Trenta-trentacinque anni fa c’è stata una grande persecuzione avvenuta nel contesto di un conflitto armato interno e il 23 settembre di quest’anno sarà beatificato il primo martire del Guatemala di quell’epoca. Prima avevamo vissuto le persecuzioni dei regimi liberali che, all’inizio del XX secolo, avevano cacciato il clero e i religiosi. In questo periodo la religiosità popolare era stata mantenuta viva dai laici e dalle comunità indigene. A metà  del XX secolo, la Chiesa guatemalteca ha iniziato a ricevere missionari che nell’arco di poco più di una generazione hanno dato molto: grazie a loro è aumentata la presenza del clero, in particolare in quelle regioni del Paese dove i sacerdoti erano assenti in pianta stabile da oltre 50 anni. Verso la fine degli anni 70 è iniziato questo nuovo periodo di persecuzione con tanti martiri. Negli ultimi anni la Chiesa in Guatemala ha invece avuto diverse benedizioni: è cresciuto il numero delle vocazioni, abbiamo più seminaristi e ordinazioni sacerdotali di quanti ne abbiamo mai avuti nella nostra storia.  Per altro verso, è anche vero che abbiamo visto molti fratelli allontanarsi dalla Chiesa cattolica soprattutto per entrare in gruppi pentecostali e questo è uno dei problemi della Chiesa guatemalteca oggi.

D. - La Chiesa guatemalteca è sempre stata molto impegnata nella difesa dei diritti umani nel Paese, le cui violazioni durante il conflitto sono spesso rimaste impunite …

R. - Il tema dei diritti umani è stato importante per la Chiesa in anni in cui parlare di diritti umani era molto complicato nel Paese e in questo senso la sua voce è stata quella che si è sentita di più. Ovviamente parliamo dei diritti umani fondamentali, a cominciare da quello alla vita, ma anche della libertà di espressione, del diritto di non essere perseguitati per le proprie opinioni politiche, e dei diritti sociali, come quelli all’educazione e alla salute. La risposta dello Stato ai bisogni della popolazione nel campo della salute, dell’educazione e del lavoro continua però ad essere debole e insufficiente e questo genera tanti problemi. È anche vero che negli ultimi anni la Chiesa si sta confrontando con i fautori di diritti apertamente in contrasto con la dottrina cattolica. Mi riferisco all’ideologia di genere, all’aborto, al matrimoni omosessuali. Non sono stati legalizzati in Guatemala, ma la pressione in questo senso è alta. La lotta della Chiesa per i diritti umani, evidentemente, si svolge su un piano diverso da quello di queste organizzazioni.

D. - Qual è l’azione pastorale della Chiesa guatemalteca per contrastare queste lobby?

R. - La verità è che facciamo quello che possiamo, ma siamo come Davide contro Golia. Queste organizzazioni hanno un grande potere economico, una grande capacità di penetrazione nei media e godono dell’appoggio delle agenzie delle Nazioni Unite per un imporre a un Paese piccolo con un governo debole un’agenda politica orientata all’approvazione di tali leggi. Tutto questo impone un enorme sforzo alla Chiesa, ma continuiamo a lottare per la vita. È  chiaro che quando parliamo della difesa della vita, non ci riferiamo solo all’aborto - come pensano molti cattolici - ma anche alla dignità della vita delle persone che quando nascono hanno diritto di non soffrire di denutrizione infantile e di vivere in modo decente.

D. - Uno dei fronti sui quali è impegnata la Chiesa è anche la difesa dei popoli indigeni - che sono la grande maggioranza della popolazione guatemalteca - la difesa dei loro territori e della loro cultura dalle multinazionali straniere.  Com’è la situazione oggi?

R. – Di fatto il Guatemala è un Paese prevalentemente indigeno. Io sono vescovo di una diocesi in cui il 93% della popolazione è indigeno e la stragrande maggioranza del clero e dei seminaristi è indigena, quindi vivo questa situazione quotidianamente. In effetti, la questione delle industrie estrattive ha generato polarizzazioni, resistenze e conflittualità e la Chiesa è intervenuta su questo tema. Ma bisogna guardare anche all’altra faccia della medaglia: negli ambienti popolari si è diffusa una sorta di avversione contro qualsiasi investimento straniero e neanche questo aiuta. Ad esempio, sul tema delle centrali idroelettriche la Chiesa non è contraria. Noi vescovi abbiamo detto che è energia pulita, più economica, anche se è vero che occorre considerare e rispettare i diritti delle popolazioni locali. Non possiamo però neanche opporci a tutto quello che porta sviluppo, come nel caso dell’energia idroelettrica. Eppure ci sono voci contrarie e spesso dietro a chi invoca i legittimi diritti delle popolazioni locali, ci sono altri gruppi di pressione con interessi più loschi, come ad esempio i narcotrafficanti. La questione è complessa. Non è solo una questione di diritti degli indigeni, perché credo che la cosa più importante sia difendere i diritti di tutta la popolazione di svilupparsi, educare i figli e migliorare il loro tenore di vita.

D. - C’è poi la questione dell’emigrazione…

R. - Sì, l’emigrazione è una realtà importante: ci sono oltre 3 milioni di guatemaltechi negli USA, di cui, mi sembra, il 75% sono senza documenti. Ma grazie alle rimesse degli emigrati, nel nostro Paese entrano milioni di dollari: solo l’anno scorso sono entrati 7mila milioni, pari a più di sette volte i proventi delle esportazioni di caffè. Si tratta di denaro che va a tutto il Paese e non si concentra come per le esportazioni. Quindi “esportiamo” persone e questo ha anche conseguenze drammatiche sulle famiglie, perché se è vero che avere un familiare negli Stati Uniti migliora il tenore di vita, capita che uomini sposati emigrino e mettano su un’altra famiglia. Alcuni magari continuano ad inviare soldi alla famiglia di origine in Guatemala, altri nulla. A questo punto la famiglia è distrutta. Abbiamo bambini e adolescenti che crescono senza la presenza del padre, che soffrono ed è più facile che prendano una cattiva strada. Il tema dell’emigrazione ci preoccupa molto e  non dobbiamo trascurarlo: in questo devo riconoscere il grande ruolo svolto da mons. Ramazzini, che conosce molto bene il tema della mobilità umana. Ma sì, è un dramma. 

D. - Molte persone pensano che un possibile ritorno massiccio di centroamericani nei propri Paesi di origine potrebbe causare un’emergenza umanitaria. È d’accordo?

R. - Sì, ma anche se è cresciuto il numero dei deportati dagli Stati Uniti per adesso non ho l’impressione che ci sia stata una crescita significativa in questi 3-4 mesi di presidenza Trump, anche se è vero che è diminuito il numero di ingressi  in quel Paese. Certo, se arrivassero un milione di deportati in un solo colpo la crisi umanitaria sarebbe assoluta.

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Il Papa apre oggi l'assemblea generale Cei

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Papa Francesco apre oggi pomeriggio nell’Aula del Sinodo in Vaticano la 70.ma assemblea generale della Conferenza episcopale italiana che individuerà la terna di candidati per la successione al presidente uscente, il cardinale Angelo Bagnasco. Dopo il saluto del porporato alle 16,30, il Papa offrirà una breve introduzione, aprendo il dialogo riservato con i vescovi.

Domani l’assemblea procederà all’elezione della terna di candidati che verrà consegnata al Papa. Si confronteranno, quindi, sul tema principale di questa Assemblea: “Giovani, per un incontro di fede”.  Tra gli altri argomenti all’ordine del giorno, il cammino di preparazione verso la prossima Settimana Sociale (Cagliari, 26-29 ottobre 2017), le norme circa il regime amministrativo dei tribunali ecclesiastici in Italia e una serie di adempimenti di carattere giuridico-amministrativo.  Mercoledì , alle 8.30, i vescovi concelebreranno l’Eucarestia nella Basilica di San Pietro.  Giovedì 25 maggio, alle 13.30, nell’atrio dell’Aula Paolo VI si svolgerà la conferenza stampa conclusiva.

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Altre udienze

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Per le altre udienze odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Il Papa a Casal Bernocchi: non allontaniamo da noi lo Spirito Santo

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Ieri pomeriggio Papa Francesco si è recato in visita pastorale alla parrocchia di San Pier Damiani ai Monti di San Paolo, a Casal Bernocchi, nella periferia Sud di Roma. Il Pontefice, giunto poco dopo le 15.30, ha incontrato i bambini e i ragazzi del catechismo, dialogando con loro. Poi il saluto ai neobattezzati e alle loro famiglie, ai malati, alla Comunità Neocatecumenale e ai poveri assistiti dalla Caritas. Quindi le Confessioni e la Santa Messa. Il servizio di Giancarlo La Vella

Una visita a tutto tondo quella del Papa, a cominciare dal dialogo con i bambini. Domande  semplici, spontanee, curiose, che hanno toccato anche aspetti fondamentali del cammino di fede: “Come possiamo seguire Gesù? Come possiamo aiutare a salvare il mondo?”.

“Con la preghiera! Possiamo aiutare Gesù a salvare il mondo?”.
“Siii!!! (bambini).
“Benissimo. Un’altra cosa: rispettando le persone, anche quello che non mi vuole bene. Vedete con quante cose possiamo aiutare Gesù a salvare il mondo?”

Poi l’affettuoso saluto del Papa agli ammalati e alle famiglie con bambini battezzati. “Sono  gioielli – ha detto Francesco – I figli sono il dono più bello che Dio dà a una persona. Io prego perché voi sappiate portarli avanti e curarli bene, accompagnarli, farli felici".

Con i membri del Cammino Neocatecumenale, il Pontefice ha affrontato il tema della missione, un compito al quale anche i laici, in virtù del Battesimo, sono chiamati. Ma – sottolinea il Papa – essere missionari non vuol dire fare proselitismo.

Per favore, non siate proselitisti, ma evangelizzatori. Papa Benedetto ha detto una frase che non dobbiamo dimenticare: ‘La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione’, cioè per testimonianza, per servizio. Siate i servitori di tutti e così le cose sono belle”.

Quindi il toccante incontro con i poveri assistiti dalla Caritas, in cui il Papa ha evidenziato quale sia la vera ricchezza della Chiesa:

I poveri sono il tesoro della Chiesa. E quando la Chiesa si dimentica dei poveri, io direi che celebra male l’Eucaristia o non la celebra davvero. La Chiesa, i preti, i vescovi, il Papa devono prendersi cura dei poveri, di quelli che la società scarta”.

Nella Messa, commentando a braccio il Vangelo di Giovanni sull’annuncio di Gesù agli Apostoli dell’imminente discesa su di loro dello Spirito Santo, Francesco ha sottolineato che lo Spirito, il Paraclito, l’Avvocato, che ci difende dal maligno, è anche in noi. Il cristiano deve operare nel mondo, lasciandosi ispirare da Lui, lontano da chiacchiere, maldicenze e competizione. Ci sia d’esempio la Madonna – afferma ancora il Papa – che ha schiacciato il serpente".

“Chiediamo questa grazia: custodire lo Spirito Santo che è in noi. Non rattristarlo. E che il nostro atteggiamento davanti a tutti – ai cristiani e ai non cristiani – sia un atteggiamento di dolcezza e di rispetto, perché lo Spirito Santo agisce così con noi: con dolcezza e rispetto”.

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Oggi in Primo Piano



Trump in Arabia Saudita e Israele: portare la pace nella regione

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"Abbiamo un’opportunità rara di portare stabilità e pace nella regione". Lo ha detto il presidente Donald Trump arrivato stamani in Israele dove davanti al premier, Netanyahu ha ribadito" il legame indissolubile" che unisce i due Paesi. Da parte sua il premier israeliano ha sottolineato che Israele cerca la pace. Ieri Trump ha fatto tappa in Arabia Saudita. Qui ha incontrato i rappresentanti di una cinquantina di Paesi musulmani ed è stata annunciata la creazione di una struttura regionale di lotta contro il finanziamento del terrorismo. Il servizio di Debora Donnini

Sei Paesi del Golfo faranno parte del Centro per la condivisione di informazioni sul finanziamento di gruppi come il sedicente Stato islamico e al Qaeda. E’ l’accordo raggiunto fra Washington e Ryad. Una cooperazione storica che porterà stabilità in Medi Oriente e debellerà il terrorismo islamico, ha detto ieri il presidente americano in un forte discorso. Quella che gli Usa propongono è un’alleanza su valori comuni. Senza precedenti l’attacco del re saudita Salman contro l’Iran qualificato come il Paese alla testa del terrorismo nel mondo. Pronta la risposta di Teheran che chiede agli Stati Uniti di smettere di fornire armi a quelli che definisce come i “principali sponsor del terrorismo". Per una valutazione della cooperazione fra Stati Uniti e Paesi del Golfo, sentiamo Andrea Margelletti, presidente del Ce.S.I., Centro Studi internazionali:

R. – La speranza è che alle parole seguano i fatti, e che vengano tagliate tutte quelle ambiguità che in qualche misura hanno permesso a numerose realtà sunnite di radicalizzarsi. Questo potrebbe essere un importante passo in avanti. Probabilmente i reali del Golfo hanno compreso che era in gioco la loro stessa sopravvivenza politica.

D. – Trump si inserisce appunto nella lotta per la leadership nell’area, tra l’Arabia Saudita, storico alleato, e l’Iran sciita, sostenendo i primi a scapito dei secondi…

R. – I Paesi del Golfo sono in grado di iniettare massicce dosi di miliardi di dollari nell’economia statunitense, cosa che per una serie di ragioni l’Iran non potrebbe, e probabilmente non vorrebbe neanche fare qualora ne avesse le possibilità. E naturalmente, sulla base di questo si gioca una parte importante delle alleanze politiche. Quello che diventerà molto, molto complesso per l’amministrazione statunitense, dopo le recenti elezioni in Iran che hanno visto una vittoria del fronte dei moderati di Rohani, sarà continuare a seguire la letteratura “gli iraniani sono i cattivi del mondo” per fare un piacere ai Paesi del Golfo e anche a Israele.

D. – La nascita di questo centro dei sei Paesi del Golfo può essere positiva nella lotta al terrorismo?

R. – Può essere positiva se non diventa un centro per focalizzare le attività contro gli sciiti. In questo momento, nel totale disinteresse mediatico mondiale, si continua a combattere una lotta durissima - una guerra civile durissima - in Yemen, dove da una parte c’è la minoranza sciita, supportata più o meno clandestinamente dagli iraniani, e dall’altra parte i sunniti, supportati in maniera evidente da truppe aeree e quanto altro del mondo arabo. Se questa alleanza diventerà un’alleanza contro il terrorismo sarà un fatto eccezionale.

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Nord Corea: annunciata produzione di massa di un nuovo missile

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Sempre alta la tensione in Estremo Oriente. Nonostante i moniti internazionali, il regime comunista nordcoreano non solo continua i suoi test missilistici, ma intensifica i suoi programmi militari. Da Mosca e Pechino arriva l'invito a non esasperare le tensioni nella penisola coreana. Ce ne parla Sergio Centofanti

ll leader nordcoreano Kim Jong-un ha approvato oggi la produzione su vasta scala di un nuovo missile a medio-lungo raggio denominato Pukguksong-2 (KN-15), all'indomani della conferma dell’ennesimo test balistico rivendicato come un ''grande successo''. Il missile, lanciato ieri, ha coperto una traiettoria superiore ai 500 km prima di finire nel Mar del Giappone. Scopo del lancio – riferisce l’agenzia ufficiale - era la verifica di tutti gli indici tecnici in vista dell’uso di questa arma strategica  nelle diverse condizioni di guerra.

Domani si riunisce d’urgenza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu per valutare l’escalation militare del regime comunista. Ma Pyongyang non si ferma. L’intensificazione di programmi militari è stata decisa nonostante un quarto della popolazione nordcoreana, 6 milioni di persone, sia praticamente ridotta alla fame dall’economia più isolata del mondo.

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Siria: ripreso controllo di Homs, ribelli trasferiti ad Idlib

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Nel 2011 era diventata la città simbolo della rivolta contro Bashar al Assad, da ieri è di nuovo nelle mani delle forze del regime. Homs, la terza città della Siria, ormai allo stremo dopo l’imponente offensiva governativa del 2014, è tornata interamente sotto il controllo lealista: evacuato infatti anche Al-Waer, l'ultimo quartiere in mano ai combattenti, in base ad un accordo di resa condizionata che prevede il trasferimento obbligato dei ribelli armati, degli oppositori politici e dei loro familiari. Ce ne parla Shady Hamadi, giornalista e scrittore italo siriano, la cui famiglia è originaria proprio di Homs. L’intervista è di Giada Aquilino

R. – L’esercito lealista, sostenuto da Hezbollah e anche da altre milizie sciite irachene, ha ripreso il controllo dell’ultimo quartiere che era in mano all’opposizione, Al-Waer, nella periferia di Homs. Tutta la città era già sotto il controllo delle forze lealiste da quando i ribelli hanno abbandonato la parte della città vecchia dopo almeno tre anni di assedio.

D. - Come sono stati questi anni?

R. - Questi anni per quanto riguarda la città vecchia sono stati difficili, perché molta gente è morta di fame, però gli altri hanno resistito per lungo tempo, assediati e isolati da tutto il resto della Siria. La stessa cosa vale per il quartiere Al- Waer.

D. - Qual è la situazione umanitaria in questo momento?

R. - È difficile, come è difficile in tutta la Siria. Certamente ad Homs è più facile l’arrivo, ad esempio, dei container umanitari. Il grande problema è l’inflazione crescente che c’è sui beni di prima necessità: una volta il pane costava 20 lire al chilo, oggi il prezzo è decuplicato, se non di più. Quindi le condizioni economiche sono molto critiche.

D. - Ci sono notizie di ribelli evacuati altrove. Dove si trovano in questo momento? E chi sono?

R. - Sono ragazzi, giovani, famiglie originarie di Homs che hanno imbracciato le armi dopo le prime proteste e la repressione che ne è seguita da parte del governo. Sono stati evacuati verso Idlib, ma c’è da sottolineare il fatto che non è la prima volta che intere aree, con intere popolazioni - stiamo parlando di migliaia di persone – vengono sfollate verso il Nord del Paese, a Idlib. Questo porta ad un vero e proprio cambiamento demografico: la Siria sta mutando nella sua composizione popolare. Una vera e propria ‘pulizia’. Significa che i legami storici che c’erano tra le varie comunità stanno mutando ed è probabile che non ritorneranno più ad essere quelli che erano prima. Ci sono ormai milioni di persone che hanno cambiato la loro sede naturale, cioè dove vivevano prima. Oggi c’è una nuova Siria con la quale noi dovremo fare i conti e non sapremo se il risultato sarà buono o invece peggiore di quello di oggi.

D. - Ci sono notizie provenienti dall’Iraq di sospetti test chimici su cavie umane portati avanti dal sedicente Stato islamico. Ci sono notizie in tal senso anche in Siria?

R. - Non in questo senso. Secondo me, invece, c’è una notizia che è urgente sottolineare, cioè le milizie irachene sciite che fanno parte della coalizione che sta tentando di liberare la città di Mosul dall’Is hanno detto: “Dopo la liberazione di Mosul, varcheremo il confine con la Siria e sosterremo il governo siriano nella ripresa del controllo dell’intero territorio”. Questo significa che andiamo verso un scontro settario ancora più forte, con le milizie irachene sciite che entreranno all’interno del territorio siriano.

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La Svizzera abbandona il nucleare per le rinnovabili

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Il popolo svizzero ha approvato, con referendum, la “Strategia energetica 2050” promossa dal governo e varata dalla maggioranza del Parlamento per la dismissione del nucleare. Un pacchetto che prevede l'applicazione a tappe di una serie di misure per ridurre il consumo di elettricità, aumentare l'efficienza energetica e promuovere la produzione da fonti rinnovabili.

In Europa ci sono 186 centrali nucleari
Secondo i dati di ENS (European Nuclear Society), aggiornati a novembre 2016, nel Vecchio Continente ci sono 186 centrali nucleari, concentrate in 17 Paesi. Altre 15 risultano in costruzione Bulgaria, Finlandia, Francia, Russia, Slovacchia e Ucraina. In seguito alla tragedia di Fukushima, la Germania ha chiuso otto impianti e si è impegnata a terminare l’attività degli altri siti entro il 2022.

La sfida impossibile delle scorie nucleari
Uno dei nodi principali è lo stoccaggio del materiale radioattivo delle centrali nucleari perché, denuncia il prof. Andrea Masullo, presidente del Comitato scientifico di Greenaccord, esistono scorie “a bassa intensità”, che “in poco più di un secolo si spengono”. Ci sono, però, “scorie contenti transuranici come il plutonio”, che rappresentano per ora una “sfida insensata e impossibile perché questi materiali devono essere conservati e controllati per oltre 100 anni” e la “civiltà umana ha 12mila anni”. Spesso ci dimentichiamo questo piccolo dato: 100mila anni è un’eternità, è un tempo che va ben oltre la nostra civiltà. 

Leggi l'intervista integrale sul nucleare al prof. Andrea Masullo, presidente comitato scientifico di Greenaccord oppure ascolta: 

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 142

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.