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Sommario del 23/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il dolore del Papa per la strage di Manchester: barbaro attacco

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Un “attacco barbaro”, una “violenza senza senso”: così il Papa definisce la strage avvenuta ieri a Manchester, costata la vita ad almeno 22 persone. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, Francesco esprime il suo profondo dolore per l’attentato che ha causato una così “tragica perdita di vite”. Elogia “i generosi sforzi del personale di emergenza e di sicurezza e assicura le sue preghiere per i feriti e per quanti sono morti”. Rivolge, quindi, un pensiero particolare “ai bambini e ai giovani che hanno perso la vita e alle loro famiglie”, invocando le benedizioni di Dio per la pace, la guarigione e la forza su tutta la nazione.

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Papa: passare da stile di vita tiepido ad annuncio gioioso di Gesù

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Tante persone consacrate sono state perseguitate per aver denunciato atteggiamenti di mondanità: lo spirito cattivo preferisce una Chiesa senza rischi e tiepida. Lo afferma Papa Francesco nell’odierna omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. E a due anni dalla beatificazione, il Papa ricorda mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso dagli squadroni della morte legati al regime militare per aver denunciato le violenze contro i poveri. Il servizio di Debora Donnini

Bisogna passare da uno stile di vita tiepido all’annuncio gioioso di Gesù. E’ l’esortazione di Papa Francesco che nell’omelia ripercorre il capitolo 16.mo degli Atti degli Apostoli. Vi si narra di Paolo e Sila a Filippi. Qui una schiava che praticava la divinazione comincia a seguirli e, gridando, ad indicarli come “servi di Dio”. Era una lode ma Paolo sapendo che questa donna era posseduta da uno spirito cattivo, un giorno, seccatosi, scacciò lo spirito. Paolo - nota Papa Francesco - capì che “quella non era la strada della conversione di quella città, perché tutto rimaneva tranquillo”. Tutti accettavano la dottrina. Ma non c’erano conversioni.

Tanti perseguitati per aver detto la verità
Questo si ripete nella storia della salvezza: quando il popolo di Dio era tranquillo, non rischiava o serviva  - non “dico gli idoli” - ma “la mondanità”, spiega Francesco. Allora il Signore mandava i profeti che venivano perseguitati “perché scomodavano”, come lo fu Paolo: capì l’inganno e cacciò via questo spirito che, pur dicendo la verità - cioè che lui e Sila erano uomini di Dio - era però “uno spirito di tepore, che faceva la Chiesa tiepida”. “Nella Chiesa - afferma - quando qualcuno denuncia tanti modi di mondanità è guardato con occhi storti, questo non va, meglio che si allontani”:

“Io ricordo nella mia terra, tanti, tanti uomini e donne, consacrati buoni, non ideologi, ma che dicevano: ‘No, la Chiesa di Gesù è così…’ – ‘Questo è comunista, fuori!’, e li cacciavano via, li perseguitavano. Pensiamo al beato Romero, no?, cosa è successo per dire la verità. E tanti, tanti nella storia della Chiesa, anche qui in Europa. Perché? Perché il cattivo spirito preferisce una Chiesa tranquilla senza rischi, una Chiesa degli affari, una Chiesa comoda, nella comodità del tepore, tiepida”.

Lo spirito cattivo entra sempre dalle tasche
Nel capitolo 16.mo degli Atti si narra, poi, che i padroni della schiava si sono arrabbiati: avevano perso la speranza di guadagnare soldi perché la donna non poteva più divinare. Il Papa sottolinea, infatti, che “il cattivo spirito entra sempre dalle tasche”. “Quando la Chiesa è tiepida, tranquilla, tutta organizzata, non ci sono problemi, guardate dove ci sono gli affari”, dice Francesco.

Passare da stile vita tiepido a annuncio gioioso di Gesù
Ma oltre ai “soldi” c’è un’altra parola sulla quale il Papa si sofferma nella sua omelia, ed è “gioia”. Paolo e Sila vengono trascinati dai padroni della schiava davanti ai magistrati che ordinano di farli bastonare e poi gettare in prigione. Il carceriere li porta nella parte più interna della prigione, si racconta nella parte del capitolo 16 proposto dalla Liturgia odierna. Paolo e Sila lodavano Dio. Verso mezzanotte viene una forte scossa di terremoto e si aprono tutte le porte del carcere. Il carceriere stava per togliersi la vita perché sarebbe stato ucciso se i prigionieri fossero scappati ma Paolo lo esorta a non farsi del male perché – disse – “siamo tutti qui”. Allora il carceriere chiede spiegazioni e si converte. Lava le loro piaghe, si fa battezzare e – racconta la Prima Lettura - “fu pieno di gioia”:

“E questo è il cammino della nostra conversione quotidiana: passare da uno stato di vita mondano, tranquillo senza rischi, cattolico, sì, sì, ma così, tiepido, a uno stato di vita del vero annuncio di Gesù Cristo, alla gioia dell’annuncio di Cristo. Passare da  una religiosità che guarda troppo ai guadagni, alla fede e alla proclamazione: ‘Gesù è il Signore’”.

Questo è il miracolo che fa lo Spirito Santo. Il Papa esorta quindi a leggere il capitolo 16.mo degli Atti per vedere come il Signore “con i suoi martiri” fa andare avanti la Chiesa:

La Chiesa non abbia paura di annunciare Gesù e cacciare via gli idoli
“Una Chiesa senza martiri dà sfiducia; una Chiesa che non rischia dà sfiducia; una Chiesa che ha paura di annunciare Gesù Cristo e cacciare via i demoni, gli idoli, l’altro signore, che è il denaro, non è la Chiesa di Gesù. Nella preghiera abbiamo chiesto la grazia e anche ringraziato il Signore per la rinnovata giovinezza che ci dà con Gesù e abbiamo chiesto la grazia che lui conservi questa rinnovata giovinezza. Questa Chiesa di Filippi è stata rinnovata e divenne una Chiesa giovane. Che tutti noi abbiamo questo: una rinnovata giovinezza, una conversione del modo di vivere tiepido all’annuncio gioioso che Gesù è il Signore”.

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Papa alla Cei: aperti, umili e in comunione. Grazie al card. Bagnasco

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Si è aperta ieri pomeriggio in Vaticano l’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana che dovrà portare all’elezione del nuovo presidente. La prima giornata è stata caratterizzata dalla presenza del Papa che nel suo discorso ha invitato i vescovi a camminare insieme. Alessandro Guarasci

E’ apparso subito chiaro che Papa Francesco voleva un confronto schietto, genuino con i vescovi italiani. Un’assemblea che parlerà di giovani, lavoro, evangelizzazione e che dovrà individuare i candidati alla successione del presidente uscente, il cardinale Angelo Bagnasco. 

Grazie al card. Bagnasco, ha avuto pazienza con me
“Vorrei ringraziare lui per questi dieci anni di servizio alla presidenza e anche ringraziarlo per la pazienza che ha avuto con me, perché non è facile lavorare con questo Papa. Lui ha avuto tanta pazienza e lo ringrazio tanto”, ha affermato il Papa.

Il nuovo meccanismo prevede che i vescovi scelgano una terna di candidati alla presidenza, ma poi l’ultima parola spetterà a Francesco. Il Papa ha ricordato il suo rapporto col cardinale Bagnasco e la sua visita di sabato a Genova:

"Posso dire che ci vogliamo bene ed è un'amicizia bella. Soltanto ho ha una paura: quanto mi farà pagare sabato prossimo per entrare a Genova? (risate dell'assemblea, ndr)", "Si prepari, si prepari", ha risposto il card. Bagnasco. "I genovesi non fanno nulla..." ha aggiunto il Papa. "Sconti, niente", ha precisato Bagnasco.

Confronto aperto
Poi un momento privato, tra il Papa e i vescovi, chiuso alla stampa, all’insegna del confronto. Ma prima Francesco ha precisato:

"Quando quello che presiede non permette il dialogo, semina il chiacchiericcio e questo è peggio. Dialoghiamo tra noi: sono disposto anche a sentire opinioni che non siano piacevoli a me, con tutta libertà".

Nel discorso consegnato ai giornalisti, il Santo Padre ha invitato tutti alla massima franchezza: "Vi auguro - ha detto - che queste giornate siano attraversate dal confronto aperto, umile e franco. Non temete i momenti di contrasto: affidatevi allo Spirito, che apre alla diversità e riconcilia il distinto nella carità fraterna".

Attenzione alle chiusure
Francesco ha detto che "respiro e passo sinodale rivelano ciò che siamo e il dinamismo di comunione che anima le nostre decisioni. Solo in questo orizzonte possiamo rinnovare davvero la nostra pastorale e adeguarla alla missione della Chiesa nel mondo di oggi; solo così possiamo affrontare la complessità di questo tempo, riconoscenti per il percorso compiuto e decisi a continuarlo con parresia".

Ma il Papa ha anche messo in luce che "questo cammino è segnato anche da chiusure e resistenze: le nostre infedeltà sono una pesante ipoteca posta sulla credibilità della testimonianza del depositum fidei, una minaccia ben peggiore di quella che proviene dal mondo con le sue persecuzioni". 

Dal card. Bagnasco attenzione ai giovani
Il cardinale Bagnasco ha ricordato uno dei temi fondamentali di questa l’assemblea, la formazione dei giovani:

“Le loro condizioni di vita, la loro capacità di stare insieme e il loro desiderio di costruire il domani ci interpellano e chiamano in causa la nostra responsabilità educativa e testimoniale; l’incontro con loro ci aiuta a riscoprire ogni giorno il primato di Dio nella nostra vita per pensare e agire in quella libertà che nasce dalla verità".

La successione alla guida della Cei
"Questa Assemblea è chiamata - ha detto il cardinale - ad eleggere una terna con cui contribuire alla nomina del nuovo Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Assicuro fin d’ora la volontà di tutti nel riconoscerlo e sostenerlo in questo servizio a beneficio delle nostre Chiese, mentre personalmente La ringrazio per la fiducia che mi ha accordato in questi anni".

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Scelta la terna per la guida della Cei. Ultima prolusione del card. Bagnasco

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I vescovi italiani hanno scelto la terna di nomi da sottoporre al Papa per la nomina del nuovo presidente della Cei. Oltre al cardinale arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, sono mons. Francesco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, e il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. La scelta è avvenuta durante l'assemblea della Cei in corso in Vaticano fino a giovedi. Ora sarà Francesco a decidere la guida dei vescovi italiani. E oggi ultima prolusione del cardinale Angelo Bagnasco da presidente della Cei. Il porporato ha messo in guardia dal populismo che pervade l’Europa, ed è tornato a chiedere più tutele per le famiglie e i giovani. Alessandro Guarasci

Il cardinale Bagnasco disegna il quadro di un’Italia che fa fatica ad uscire dalla crisi. Disoccupazione e povertà, crisi della natalità sono fenomeni che condizionano la società italiana, ma non solo.

Attenzione al populismo
Il populismo, figlio di “una democrazia apparente” in tutta Europa, prende piede: “Ci si chiede, pertanto, se serva veramente la gente, oppure se ne voglia servire; se intenda veramente affrontare i problemi o non piuttosto usarli per affermarsi. Con questo, il populismo non può essere snobbato con sufficienza: va considerato con intelligenza, se non altro perché raccoglie sentimenti diffusi che non nascono sempre da preconcetti, ma da disagi reali e, a volte, pure gravi”.

Non sostenere la famiglia è suicida
Ed ancora, la famiglia. “Quante volte abbiamo messo in guardia dalle derive antropologiche: esse, in nome dell’uomo, lo negano con costumi e leggi che sembrano rispettare la libertà, ma in fondo sono convenienti all’economia – dice il cardinale all’assemblea - Le famiglie, sul piano sociale, si sentono sostanzialmente abbandonate: sono urgenti politiche familiari consistenti nelle risorse e semplici nelle condizioni e nelle regole. Non sostenere la famiglia è suicida”.

Demografia in caduta libera
Ne consegue che ad oggi è sempre più difficile fare figli. Il cardinale mette in luce che “basterebbe, a questo proposito, accennare – e l’abbiamo fatto infinite volte – alla caduta libera della demografia: non è possibile che le politiche familiari siano sempre nel segno di piccoli rimedi, quando sono necessarie cure radicali. E che dire del dramma della disoccupazione? Il compito di mantenere le nostre aziende e di crearne di nuove è certamente di molti. Ma la politica in solido ha la responsabilità primaria non delegabile di creare le condizioni di possibilità e di incentivare in ogni modo la geniale capacità dei nostri lavoratori”.

Attenzione ai giovani
La classe politica, fa capire il cardinale, deve guardare di più ai giovani: “Molte volte abbiamo sollecitato la politica e la società civile perché abbiano una più giusta e concreta attenzione verso di voi: l’educazione integrale, l’accesso al lavoro, l’ascolto della vostra età, leggi che abbiano a cuore il futuro della società, un futuro che siete anzitutto voi stessi, … Tutto questo e altro ancora ci sta a cuore”.

Gli altri vescovi presenti all’assemblea, soprattutto dopo il dialogo col Papa ieri, assicurano la loro attenzione al mondo giovanile. L’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro:

“Conferma una dimensione di vicinanza, di essere amici, di stare insieme con loro. E’ chiaro, non tutti sacerdoti lo possono fare, se uno ha 80 anni non è che può farlo. Però che ci sia questo sguardo, questo cuore, questa attenzione. E poi richiamando l’esempio della tradizione italiana, anche, di far trovare loro lavoro, di sviluppare lavoro”.

Mons. Stefano Mainetti, vescovo di Montepulciano:

“Essere semplici, guardare l’essenza del Vangelo con molta fiducia nello Spirito Santo. Non ci sono problemi insormontabili per lo Spirito Santo”.

L’incontro di ieri col Papa è stato uno stimolo per tutti, dice l’arcivescovo di Matera Giuseppe Caiazzo:

“Ci ha incoraggiato molto come vescovi, anzi ha fatto un passaggio dove ha messo in evidenza che è molto più difficile il lavoro che noi dobbiamo fare all’interno delle diocesi con il clero, con i laici, che non il lavoro che lui deve fare da Papa nel rapporto con noi come vescovi. Per cui incontriamo molte più difficoltà noi che non lui”.

Sulla stessa linea l’arcivescovo vescovo di Norcia Renato Boccardo:

“Nel dialogo con i vescovi si sono affrontate diverse questioni di pastorale pratica ordinaria. Qualcuno dei vescovi diceva: facciamo noi con il Papa quello che i nostri sacerdoti fanno con noi. Dunque questo dialogo, questa riflessione, questo mettere in luce i problemi, le difficoltà, le fatiche dell’evangelizzazione e sentire il Papa che si mette con semplicità al livello di un vescovo diocesano e che dice: ‘Quando io ero in Argentina facevo…. Mi è successo di incontrare … E allora…’. E’ dunque il Papa che condivide la sua esperienza personale, che diventa un arricchimento per tutti noi”.

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Il Papa ai vescovi del Guatemala: siate missionari

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E' stato un dialogo intenso e familiare: così mons. Álvaro Leonel Ramazzini Imeri, vescovo di Huehuetenango, descrive l'incontro avuto ieri con il Papa dai vescovi del Guatemala, in occasione della loro visita ad Limina. Ascoltiamo il presule al microfono di Patricia Ynestroza

R. – Innanzitutto, è stato un messaggio di grande vicinanza: lo stile con il quale abbiamo fatto questo incontro, e anche il modo di parlare del Papa ci ha mostrato la sua preoccupazione per quello che facciamo, ci ha incoraggiato a mantenere lo spirito missionario, a non perdere la speranza … Poi abbiamo parlato anche del bisogno di approfondire maggiormente la formazione dei nostri seminaristi che sperano un giorno di essere ordinati sacerdoti. Lui ha insistito anche su questo. E' rimasto molto contento quando gli abbiamo detto che la Chiesa del Guatemala cerca di continuare a camminare seguendo l’indirizzo che ci siamo dati quando ci siamo riuniti ad Aparecida, in Brasile.

D. – Com’è la situazione della Chiesa nel Paese?

R. – La situazione della Chiesa è quella che va sulla linea di quanto dichiarato dai vescovi nella V Conferenza dei vescovi dell’America Latina e dei Caraibi ad Aparecida, in Brasile: cioè, noi siamo consapevoli di essere in un permanente stato di missione e perciò la Chiesa del Guatemala sostiene con forza e anche con molta speranza questa volontà di far diventare le nostre comunità comunità missionarie. Dall’altro lato, continuiamo i lavori pastorali normali: l’attenzione alle comunità e poi anche la promozione delle vocazioni alla vita sacerdotale: in questo anno abbiamo un numero maggiore di seminaristi rispetto agli anni scorsi! E questo per noi anche è un segno di speranza. E poi adesso stiamo preparando anche il Congresso missionario del Guatemala che si terrà alla fine dell’anno 2018, come continuazione di questo spirito di vivere la missione, di essere veramente comunità di discepoli e missionari come il Signore ci vuole. Quindi io credo che la situazione della Chiesa sia anche una situazione molto impegnativa nel senso di avere lo spirito di trovare una soluzione ai gravissimi problemi economici, politici e sociali che abbiamo. In Guatemala, è aumentato il livello della povertà, è aumentato il livello di violenza di quei gruppi che si chiamano le “maras”, è aumentata l’insicurezza, è aumentata l’emigrazione verso gli Stati Uniti e in tutto questo la Chiesa prende una posizione molto forte: di stare in mezzo al popolo, di andare con il popolo e poi di illuminare la situazione con il nostro magistero.

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Caritas: la visita del Papa a Genova è evento di Grazia

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Grande attesa a Genova per la visita del Papa sabato prossimo. Un programma molto intenso, che vedrà Francesco abbracciare la Chiesa genovese e le tante realtà che compongono il tessuto sociale della città della Lanterna. Momento centrale sarà la Santa Messa nell’area della Fiera del Mare. Massimiliano Menichetti ha intervistato il condirettore della Caritas di Genova, Francesco Catani

R. – Ci aspettiamo una parola del nostro pastore su una cosa che gli è sempre stata a cuore: la vicinanza agli ultimi, alle persone più povere, più semplici, che è ovviamente anche la missione della Caritas. La visita movimenta tante persone, magari anche lontane dalla Chiesa, che sono però avvicinabili attraverso la carità. Abbiamo avuto molti segni in questi anni, in questo senso, nelle nostre mense, dove persone lontane dalla Chiesa si sono avvicinate attraverso la carità, attraverso il servizio agli ultimi. Confidiamo proprio in questa presenza del Pontefice che smuova i cuori di tutti, anche di chi non parteciperà alla Messa ma avranno l’eco delle sue parole, attraverso i giornali, la radio, la televisione. La visita è un evento di grazia, importante per la nostra diocesi e per la Caritas in particolare.

D. – Al Santuario di Nostra Signora della Guardia, il Papa pranzerà con i poveri, i rifugiati, i senza fissa dimora e i detenuti. Un po’ il centro del vostro lavoro, un po’ un presentarvi a Francesco…

R. – Sì, questa cosa sarà molto riservata. E le poche persone che andranno lì, della Caritas e degli altri enti, lo fanno solo come accompagnatori: non ci sarà nessuna presentazione particolare, ma solo la vicinanza.

D. – Nel vostro cuore che cosa porterete?

R. – Portiamo questo desiderio: che le parole del Papa siano veramente un evento di grazia, che tocchino il cuore di tante persone.

D. – Che cosa si aspetta da questa visita?

R. – Mi aspetto che la città sia in qualche modo scossa da questo evento, dalle parole del Papa alle persone dell’Ilva che sono in difficoltà, ai giovani, ai religiosi..

D. – Siete impegnati a fianco degli ultimi: quali sono le emergenze della città?

R. – Sono, soprattutto in questo momento, emergenze abitative: cioè molte persone perdono la casa perché non riescono più a pagare il mutuo. Le persone non ce la fanno più quindi perdono la casa; la casa viene venduta all’asta. Altri vengono sfrattati perché non riescono a pagare l’affitto. Affitti che non sono calati in proporzione alla diminuzione dei valori delle case. Poi anche molti immigrati hanno difficoltà. La possibilità di lavorare come assistenti degli anziani si è saturata. Molti italiani sono tornati a fare questo lavoro; i familiari tengono gli anziani e non chiedono una persona esterna. Quindi anche questo tipo di lavoro, che dalla fine degli anni ‘90 ha caratterizzato Genova, in questo momento sta ristagnando. Noi abbiamo le elezioni del sindaco il prossimo mese, quindi confidiamo che la prossima amministrazione rilanci determinate situazioni: il porto, le infrastrutture, il terziario; in qualche modo bisogna rilanciare il lavoro, che poi è il motore del reddito, e quindi il contrasto principale alla povertà.

D. – Voi come Caritas come intervenite in queste criticità?

R. – Abbiamo 36 centri di ascolto dove lavorano oltre 500 volontari, che sono presenti in tutti i quartieri. Quindi sono il primo tramite al quale le persone, le famiglie soprattutto, si rivolgono per essere aiutate. C’è una presa in carico da parte del centro di ascolto, che poi può coinvolgere altri enti che sono in rete con noi: la “Fondazione Antiusura”; il “Centro di Aiuto alla Vita”; la San Vincenzo – la famiglia vincenziana – con la quale collaboriamo stabilmente, e così via.

D. – Genova è stata storicamente, anche per il porto, un crocevia di popoli e di opportunità: è ancora così? O adesso è un po’ schiacciata dalle difficoltà, più che dalla prospettiva di futuro?

R. – Da un lato ci sono elementi di criticità, ma dall’altro ci sono anche elementi di speranza. Credo che la voglia di far tornare Genova una città che dà possibilità alle persone ci sia in tanti. Una città che non sia più a rischio di alluvioni, con le opere grosse che si stanno facendo; una città che abbia la possibilità di rilanciare l’industria, che è stata pesantemente colpita dagli anni ‘70 in poi. Abbiamo anche delle cose di eccellenza, come l’Istituto italiano di tecnologia… Queste cose possono fare da “motorino di avviamento” per una rinascita della città. Speriamo che i tempi migliori ritornino e ce lo auguriamo con tutto il cuore.

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Oggi in Primo Piano



Manchester: l'Is rivendica il massacro dei giovanissimi

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Reazioni da tutto il mondo dopo il nuovo attacco terroristico che ha colpito il Regno Unito e che ha causato 22 morti e 59 feriti: è il bilancio provvisorio delle vittime dell’attentato suicida alla Manchester Arena, durante il concerto di ieri sera della cantante americana Ariana Grande. Tra le vittime molti i giovanissimi. Il servizio di Giancarlo La Vella

Il terrore e la paura tornano in Europa. La firma ancora una volta è del sedicente Stato Islamico. E la comunità internazionale esprime vicinanza alla Gran Bretagna dopo il nuovo attentato, il più grave nel Paese dopo quello alla metropolitana di Londra del 2005, nel quale perirono 27 persone. Il terrorista, che è rimasto ucciso, è entrato in azione alla fine dello spettacolo, azionando un ordigno imbottito di chiodi, in modo da causare il più alto numero di vittime. Il bilancio delle vittime è ancora provvisorio: vi sono ancora una decina di dispersi e diversi feriti sono in condizioni gravissime. Si registrano, intanto, continui blitz e arresti della polizia per bloccare altri terroristi coinvolti nell’episodio dell’Arena o che potrebbero mettere in atto altri attentati. Dopo l’attentato, la premier May ha riunito il comitato d’emergenza e ha parlato di atto vigliacco. Il presidente americano Trump ha detto: “Giovani uccisi da malvagi perdenti”. Vicinanza e solidarietà dal premier italiano Gentiloni. Spavento e costernazione per il neo presidente francese, Macron, che ha sottolineato: “La lotta al terrorismo andrà avanti”. L’arcivescovo di Westminster, card. Vincent Nichols, ha commentato: “Dio converta il cuore di chi fa il male”. Christopher Altieri ha intervistato mons. John Stanley Kenneth Arnold, vescovo di Salford:

“Noi andiamo avanti, ma oggi lo facciamo nella consapevolezza che ci sono vittime e persone traumatizzate da questo evento: ora dobbiamo prenderci cura di loro e aiutarli in qualsiasi modo sia necessario. Non dobbiamo permettere che la vita della nostra comunità venga spezzata da questi eventi”.

L’Europa intera è in stato d’allerta. Sui motivi di questa nuova offensiva terroristica sentiamo Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (CESI):

R. – La guerra di gruppi jihadisti contro chi li combatte sia in Europa sia nelle loro aree di interesse: questa è la chiave di lettura.

D. – Perché ancora una volta la Gran Bretagna?

R. – In Gran Bretagna vi è – come in altri Paesi europei – una presenza rilevante di persone di origine islamica di seconda, terza generazione, o anche di più, o anche – come nel caso dell'attentato al Ponte di Westminster – di convertiti e quindi, naturalmente è più facile trovare un estremista in mezzo a mille persone, piuttosto che in mezzo a dieci.

D. – A questo punto è opportuno che ogni Paese, soprattutto quelli più a rischio, si muova autonomamente o ci vuole un disegno antiterrorismo comune di tutta l’Europa?

R. – Il fatto che l’Europa continui a non essere un soggetto politico unito è una disgrazia per tutti noi. Continuiamo ad avere politiche di sovranità e questo continua a portarci soltanto maggiori criticità e vulnerabilità. O gli europei capiranno che per affrontare un problema comune occorre avere una soluzione comune, e che solo una strada spinta fortissima e rapida verso l’integrazione potrà limitarci i danni, altrimenti faremo tante, tante telefonate di questo tipo.

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Trump dal Medio Oriente a Roma, domani l'incontro con il Papa

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Pace e dialogo in Medio Oriente. E’ il messaggio che il presidente Usa Donald Trump lascia nei suoi discorsi e nei suoi gesti a Gerusalemme e poi a Betlemme, rinsaldando il legame con Israele ma sollecitando anche entrambe le parti al raggiungimento di un compromesso. Un viaggio, quello di Trump, che da stasera fa tappa a Roma - domani l'incontro con il Papa - e che terminerà al G7 di Taormina nel fine settimana dopo aver affrontato tutti i dossier più importanti per la Casa Bianca. Il servizio di Gabriella Ceraso

Una Roma blindata accoglie Donald Trump in serata, con aree di sicurezza intorno al Vaticano, al Quirinale e a Villa Taverna ai Parioli. Prima di atterrare nella Capitale però, il presidente Usa ha portato a termine una serie di incontri cruciali a Gerusalemme e a Betlemme. Pace sempre in primo piano: “Non saremo arbitri ma facilitatori” aveva detto Trump prima di partire, “il negoziato” ha ribadito in sostanza in corsa, spetta alle parti, “noi comunque lo appoggeremo”. Al fianco di Israele,contro l’Iran e con il plauso saudita, la linea che sembra prevalere è comunque quella della soluzione regionale mentre solo il presidente palestinese ha di nuovo parlato della soluzione a due Stati. Il parere sul futuro di Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all'università di Firenze,

“Le due cose non sono incompatibili, perché se si arrivasse a due Stati ci dovrebbe essere una sorta di cornice regionale. Quello che è da una parte nuovo ma da una parte è anche vecchio è che gli Stati del Golfo sono fortemente interessati a riconoscere Israele, se Israele farà un accordo con i palestinesi. Rimane aperto tutto il resto: l’Iran, la Siria eccetera. Ma per Israele sarebbe uno sbocco politico-economico di estremo rilievo. Però, per far questo il governo dovrebbe accettare un ritiro dai Territori, e soprattutto di condividere Gerusalemme. Questo, al momento, pare impossibile”.

La visita alla città vecchia di Gerusalemme, l’omaggio privato al Muro del Pianto e poi al Memoriale dell’Olocausto, infine il colloquio col Papa: è possibile che l’America con Trump stia puntando, come sostengono alcuni analisti, anche sul dialogo tra le fedi per la soluzione mediorientale? Ancora Maria Grazia Enardu:

“Trump non è tale da avere un simile disegno. Che si punti a un minimo di stabilizzazione, questo è politica; ma tutto il resto non è l’ambiente in cui questo si possa fare”.

Ma come viene letta in patria la missione di Trump e quanto Trump presidente si distanzia in gesti e parole dal candidato? Lo abbiamo chiesto a Giampiero Gramaglia, consigliere dell'Istituto Affari Internazionali:

I discorsi di Trump ricevono molta attenzione, però questa missione non è in grado di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica rispetto alle vicende di politica interna. Non vedo un grande segnale di discontinuità tra il Trump candidato e il Trump presidente. Certo, il Trump candidato parlava più chiaramente di ‘terrorismo integralista islamico’ e lasciava intendere che gli Stati Uniti di Trump sarebbero stati relativamente disinteressati a quanto avveniva in Medio Oriente, mentre il Trump presidente appare disponibile a lasciarsi coinvolgere per la ripresa dei negoziati di pace. Però, sono dichiarazioni; i comportamenti restano conflittuali, con una parte del mondo islamico. Non mi pare che Donald Trump stia imparando a fare il buon presidente. Sta imparando alcuni opportunismi del mestiere”.

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India, devastata cappella di Fatima. Gracias: vergogna per tutti

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In India amarezza, ma soprattutto preoccupazione, per l’attacco da parte di una folla di un centinaio di persone, alla cappella di Nostra Signora di Fatima, inaugurata pochi giorni fa a Godamakunta, nella villaggio di Keesara, in Andhra Pradesh. Francesca Sabatinelli

E’ stata quasi interamente devastata la cappella di Nostra Signora di Fatima, inaugurata il 13 maggio scorso nel centenario delle Apparizione della Madonna di Fatima. A una settimana di distanza un gruppo di fanatici indù l’ha assaltata, distruggendo statue di Gesù e dalla Madonna, ornamenti, oggetti, quadri e seggiole. Un segnale preoccupante, che testimonia l’ostilità nei confronti dei cristiani e che, soprattutto, arriva da una municipalità, quella di Hyderabad, normalmente estranea a fatti di questo genere. Dolore è stato espresso dall’arcivescovo di Hyderabad, mons. Thumma Bala, per il quale “questo atto di dissacrazione, di vandalismo e la distruzione delle statue ferisce in modo profondo i sentimenti religiosi della chiesa cattolica”. Il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay:

“E’ stata una brutta esperienza, sono in contatto con l’arcivescovo di Hyderabad, ho parlato con lui: era una cappella e non era in corso alcuna preghiera. E’ arrivato un gruppo di persone e ha distrutto una statua, il Crocifisso, ha disturbato le persone che erano lì. Queste cose non fanno bene alla nazione. Si tratta di un piccolo gruppo, eppure questi eventi rappresentano una vergogna per tutti noi. Ogni tanto si verificano questi incidenti, ma sono contento che questa volta il governo abbia reagito subito: circa 15 persone sono finite in carcere. Il governo ha promesso appoggio per le attività della Chiesa. La ricchezza dell’India sta proprio nel fatto che abbiamo tante religioni, tante culture, tante lingue, l’intolleranza fa male alla nazione, è una vergogna per tutti. Io condanno fortemente questo incidente, speriamo che rimanga un gesto isolato”.

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Vescovi Bolivia: legge su aborto è sconfitta per la società

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Una sconfitta di tutta la società boliviana e un passo avanti per la cultura della morte. Così la Ceb, Conferenza Episcopale Boliviana, in una nota diffusa dal suo ufficio stampa, denuncia  l’approvazione, lo scorso venerdì 19 maggio in Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, del controverso articolo 157 della Proposta di Legge del nuovo Codice Penale che di legalizza l’aborto, giustificandolo in caso di povertà, nel caso in cui la madre sia una studentessa, in  presenza di malformazioni fetali o quando la gravidanza sia conseguenza di stupro o incesto o coinvolga una bambina o un adolescente. Secondo i vescovi del paese latinoamericano la decisione della Commissione ignora le richieste di centinaia di migliaia di cittadini che negli ultimi mesi hanno manifestato il proprio dissenso con manifestazioni e lettere.

Una sconfitta per tutti
“Fedeli alla missione profetica della Chiesa – scrivono i presuli -  insistiamo sul fatto che un’eventuale approvazione di questa Proposta di legge rappresenta una sconfitta per tutti: questa decisione infatti mostra ai nostri figli un paese che non affronta i propri problemi rispettando e custodendo la vita e la dignità dei più vulnerabili come i bambini e le donne, ma preferisce risolvere tali sfide eliminando gli innocenti”. “E’ questo – si chiedono – il vivere bene che perseguono i nostri governanti?”.

Un male come l’aborto resta tale, anche se legalizzato
L’episcopato boliviano ricordando l’insegnamento della Chiesa Cattolica ribadisce il primato della coscienza sopra ogni legge ingiusta perché “un male resterà tale anche se legalizzato”. In quest’ottica, l’ultima parola è quella di ogni singola persona ed “è nostro obbligo morale – affermano i presuli – custodire e far prevalere il diritto all’obiezione di coscienza”. 

Custodire l’obiezione di coscienza
Il comunicato della Ceb infine esorta i fedeli e tutte le persone di buona volontà a perseverare nella preghiera personale e comunitaria al Dio della Vita, perché questa legge non sia approvata e perché tutti possano continuare a vivere secondo la propria coscienza. (A cura di Paolo Ondarza)

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Belgio. No dei vescovi a eutanasia per malati psichiatrici

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La risposta alle sofferenza dei malati psichiatrici non terminali è la vicinanza e l’offerta di cure palliative non l’abbandono. È quanto scrivono i vescovi belgi che ribadiscono il fermo no della Chiesa a ogni forma di eutanasia, legale in Belgio anche per le persone affette da disturbi mentali.

La ferma presa di posizione del superiore generale dei Fratelli della Carità
I presuli intervengono così nel vivace dibattito suscitato nel Paese da un documento pubblicato di recente sul sito del ramo locale dei Fratelli della Carità, che apre per la prima volta all’iniezione letale nelle strutture sanitarie gestite dalla congregazione “solo se non c’è altra possibilità di fornire una ragionevole prospettiva di cura per il paziente”.  Una posizione dalla quale ha preso subito le distanze il superiore generale fratel René Stockman che l’ha definita “incompatibile con la visione della congregazione”, sollecitando l’intervento della Conferenza episcopale.

Essere vicini e non abbandonare i malati psichiatrici
In una nota diffusa lunedì, i vescovi belgi riaffermano il loro apprezzamento “per l’esperienza e le cure premurose delle tante persone alle quali sono affidati pazienti affetti da malattie psichiatriche gravi” e di essere “consapevoli di quanto difficile e delicato sia l’accompagnamento di persone che si trovano in situazioni difficili e disperate”. Ma come per tutti i casi di eutanasia, ribadiscono di non potere condividere che essa sia praticata su malati psichiatrici non terminali: “Sappiamo che la sofferenza psichica può essere immensa e che una persona può trovarsi in una situazione di disperazione e senza alcuna prospettiva. Ma è proprio in questa situazione – sottolinea con forza l’episcopato - che bisogna essere vicini e non abbandonarli. Questo implica la possibilità di proporre cure palliative appropriate”.

A rischio i fondamenti stessi della nostra civiltà
La nota ricorda che il tema dell’eutanasia solleva interrogativi non solo tra i cristiani, ma in tutta la società: “Si tratta di domande fondamentali come: che cosa ci rende umani? cosa rende una società umana?  Cosa è veramente il progresso? Esiste un limite e un divieto applicati dalle origini del vivere insieme degli uomini, violarli significa minare i fondamenti stessi della nostra civiltà”, ammoniscono quindi i vescovi belgi che esortano in conclusione a una “grande prudenza e a continuare il dialogo su queste delicate questioni”. (A cura di Lisa Zengarini)

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25 anni da Capaci: il ricordo di Falcone e delle vittime di mafia

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Gli uomini passano, le idee restano. La famosa frase di Giovanni Falcone è stata ripresa oggi dal presidente italiano Sergio Mattarella che, a Palermo, nell’Aula bunker del carcere dell’Ucciardone, ha ricordato i giudici Falcone e Borsellino, a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Da Palermo, Alessandra Zaffiro

Nel 25° anniversario, Palermo ricorda le vittime delle stragi di Capaci e via D’Amelio nelle quali persero la vita i giudici Giovanni Falcone, la moglie, anche lei magistrato, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinari, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Protagonisti di questa giornata di commemorazioni, su iniziativa della Fondazione Falcone e del Miur, 70.000 studenti, dalle elementari all’università, che partecipano alla manifestazione #PalermoChiamaItalia per dire “no” a tutte le mafie e alla criminalità organizzata.

Questa mattina nel capoluogo siciliano è approdata la nave della legalità con un migliaio di studenti. Alcuni di loro hanno raggiunto l’aula bunker del carcere Ucciardone, dove si celebrò il Maxi Processo a Cosa nostra istruito da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e dagli altri giudici del pool antimafia e nella quale, all’arrivo del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato intonato l’Inno di Mameli seguito da un lungo applauso.

"Con l’assassinio di Falcone e quello di Borsellino, già allora considerati da tanti, non soltanto in Italia, simbolo e riferimento nella lotta a Cosa nostra - ha detto il Capo dello Stato nell’aula bunker - sembrava che, insieme al dolore, prevalesse lo scoramento. Che il sacrificio di tante persone, cadute nella lunga lotta alla mafia, si rivelasse inutile. Che la mafia, piegata e sconfitta nel Maxiprocesso, si fosse rialzata, prendendosi la rivincita e, con essa, il suo perverso potere. Ma la paura e la sfiducia non hanno avuto la prevalenza. La società civile, a partire da quella siciliana, ha acquisito, da quei giorni, una consapevolezza e una capacità di reazione crescenti; e destinate a consolidarsi nel tempo".

"Falcone, come Borsellino, come tanti altri servitori delle istituzioni, caduti in Sicilia o altrove, erano straordinari nel loro impegno ma si sentivano, ed erano, persone normali – ha proseguito il Presidente Mattarella - le doti di tenacia, di coraggio, di intuizione, di intelligenza, di rigore morale erano presenti in loro in grande misura. Ma i loro sono stati comportamenti che ogni persona, ciascuno di noi, può esprimere, compiendo scelte chiare e coerenti. Quegli uomini, oggi, costituiscono punti di riferimento. Ma devono essere, soprattutto, esempi. Falcone, che prevedeva che prima o poi avrebbero tentato di ucciderlo, ebbe a dire ’gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali, e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini’. E’ un richiamo per tutti, soprattutto per chi assume responsabilità istituzionali. Mi rivolgo particolarmente a voi, ragazzi. Oggi, e per il futuro, le idee, la tensione morale di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino, camminano anche sulle vostre gambe, sulle vostre idee, sui vostri comportamenti. Vi auguro di esserne come oggi sempre consapevoli”.

"La grande capacità di Falcone e Borsellino - ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso nel suo intervento sempre nell’aula bunker - era quella di saper resistere. Un giorno Giovanni, con aria triste, mi disse: ’Vedrai un giorno capiranno’. E oggi hanno capito". "Come 25 anni fa Palermo ha chiamato e l’Italia è la scuola hanno risposto - ha detto la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli - abbiamo fatto scuola in viaggio e questa è una cosa molto importante. Venticinque anni fa molti di voi non erano neanche nati ma leggere e ricordare aiuta a capire la mafia. La mafia si può sconfiggere e abbiamo cominciato a farlo ma attenzione perché la mafia si trasforma ed è per questo che la cultura della legalità è fondamentale".

Per Sergio Lari, procuratore generale di Caltanissetta e fino a pochi mesi fa a capo della Procura della Repubblica nissena, che ha la competenza territoriale per numerose e delicate indagini anche sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, “la più grande eredità che ci ha lasciato Falcone, non dimentichiamolo, è stata la costruzione della normativa antimafia, sui collaboratori di giustizia, sulla Dia, sulla Dna, sulle Dda, sul 41 bis. Su questa normativa abbiamo costruito in questi 25 anni tutti i successi conseguiti contro la mafia. Se oggi la mafia è in ginocchio lo dobbiamo proprio a Giovanni Falcone”.

Nel pomeriggio i consueti cortei di giovani che da Via D’Amelio e dall’Aula bunker raggiungeranno l’Albero Falcone in via Notarbartolo, davanti al palazzo in cui abitava il magistrato e dove alle 17,58 sarà eseguito il Silenzio in onore delle vittime. "I cittadini di Palermo hanno fatto crescere l’albero di Falcone. Quando tutto sembrava finito, sono stati in molti a lasciare un loro messaggio sotto l’albero di via Notarbartolo e questo ci ha dato speranza". Lo ha detto la sorella del giudice ucciso 25 anni fa a Capaci, Maria Falcone, mostrando un albero in terracotta realizzato dagli studenti della scuola "Giovanni Falcone" di Napoli. "Sembravamo sconfitti, ma non è così – ha aggiunto -  grazie all’impegno di tutti".

A sottolineare il valore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è padre Cosimo Scordato, teologo, rettore di San Francesco Saverio nel difficile quartiere dell’Albergheria a Palermo. Don Scordato, oltre ad aver nel tempo testimoniato l’impegno della Chiesa contro la mafia, conosceva personalmente Borsellino, frequentatore della sua parrocchia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – Vorrei offrire una considerazione di carattere ecclesiale per imparare a guardare queste persone proprio in quanto Chiesa. Papa Giovanni Paolo II allora usò un’espressione molto interessante, parlò di ‘martiri per la giustizia’. Credo che questa sia una prospettiva molto bella per dare un alone quasi religioso alla testimonianza di queste e di tante altre persone che sul fronte del loro servizio quotidiano – giudici, servitori dello Stato, impiegati, poliziotti, scorte – sono fedeli al proprio impegno, accettando anche di correre rischi che compromettono la propria vita. Questa è un’esperienza da beatitudine, questa è un’esperienza evangelica, beati coloro che soffrono per la giustizia.

D. – Lei è autore di un libro “Dalla Mafia liberaci o Signore”. Come sta reagendo oggi la Chiesa al peccato di mafia?

R. - Credo che ci sia stato un crescendo nella coscienza della Chiesa che ha portato alle prese di posizione ufficiali delle Conferenze episcopali, dei Papi che hanno condotto all’esplicita scomunica, il massimo atto di presa di distanza da parte della Chiesa rispetto al fenomeno mafioso e a tutte le sue contiguità. Maturata questa inconciliabilità tra Vangelo e fenomeno mafioso, dobbiamo ulteriormente maturare il percorso che deve trasformare sempre più la Chiesa per renderla terreno non praticabile dei mafiosi, in nessun modo, un terreno dove loro si sentano estranei, dove si sentano fuori luogo a stare in mezzo alla comunità, non perché noi non vogliamo accogliere anche il mafioso che si pente, anzi è quello che desideriamo, ma perché deve esser chiarissimo questo taglio tra ciò che la comunità cristiana vive dall’interno - le scelte dei poveri, del servizio, della libertà, della donazione - e il fuori luogo del mafioso che, invece, cerca il contrario, vuole dominare, cerca ricchezza, vuole imporsi sugli altri, vuole manomettere la vita sociale e compromettere qualsiasi di percorso di sviluppo.

D. - Quello che negli anni è stato più volte ripetuto è che è mutata la modalità stragista della mafia, la modalità di morte della mafia. Oggi esiste il rischio vita? Voi sacerdoti che denunciate sia la mentalità mafiosa sia il fenomeno mafioso, correte il rischio? O è diverso l’agire della mafia e non uccide, ma colpisce in altro modo?

R. - Purtroppo entrambe le reazioni sono possibili. Il fenomeno mafioso, in alcune frange, è ancora aggressivo,  frontale, cerca di guadagnare la presenza nel territorio in tutti i modi. Per cui anche a una reazione civile potremmo avere una controreazione violenta e aggressiva. I rischi ci sono sempre. Bisogna avere la lucidità di capire fino a che punto deve essere un rischio personale o c’è bisogno forse di un maggiore coinvolgimento dell’istituzione, dell’aspetto repressivo da parte dell’istituzione. Dobbiamo perennemente essere grati a questi nostri martiri, inoltre va ricordato il lavoro che hanno fatto le scuole, la Chiesa, le istituzioni, tutta una serie di pubblicazioni di film, di libri, che hanno tenuto viva la memoria di questi nostri martiri. Questo ha favorito una conoscenza di seconda mano - se vogliamo - ma altrettanto efficace.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 143

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.