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Sommario del 24/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa incontra Trump: impegno comune per la vita e la pace

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Con la partenza dell’Air Force One da Roma verso Bruxelles si conclude la prima visita di Stato del presidente Usa, Donald Trump. Circa 18 ore in tutto, aperte dall’incontro più atteso, quello con Papa Francesco in Vaticano con al centro la promozione del dialogo interreligioso e del negoziato politico in favore della pace e  l’impegno comune a favore della vita e della libertà religiosa. Poi il corteo presidenziale ha raggiunto il Quirinale e infine Villa Taverna per un vertice con il premier Gentiloni. Ripercorriamo la giornata nel servizio di Gabriella Ceraso: 

La visita di Donald Trump in Italia è iniziata ieri sera con l’arrivo nella residenza dell’ambasciatore Usa a Roma a Villa Taverna ai Parioli, una della aree più blindate della capitale, che è stata sorvolata sin dalle prime ore di oggi da elicotteri e bonificata nei punti del passaggio del corteo presidenziale, sorvegliato da cecchini. L’appuntamento più atteso in Vaticano, per il primo incontro con Papa Francesco voluto dallo stesso Trump. Alle 8.20 l’auto blindata della coppia presidenziale è entrata dal varco del Perugino mentre già la piazza San Pietro si riempiva di fedeli per l’Udienza generale, cui il Papa non ha voluto rinunciare. Quindi l’arrivo nel piazzale di San Damaso.

Qui, secondo la prassi ufficiale, il picchetto della Guardia svizzera e l’accoglienza sorridente del Prefetto della Casa Pontificia mons. George Genswein; quindi l'ingresso nel Palazzo Apostolico e il trasferimento alla seconda Loggia fino alla biblioteca privata del Pontefice. All’apertura della porta l’attesa stretta di mano con la foto di rito e le prime parole, davanti ad un pool ristretto di giornalisti, prima che il colloquio per trenta minuti proseguisse in privato. Toni “cordiali” ha riferito il portavoce della Sala Stampa Greg Burke in cui è stato espresso “compiacimento per le buone relazioni bilaterali”:

"Nonchè il comune impegno a favore della vita e della libertà religiosa e di coscienza. Si è auspicato una serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, impegnata a servizio delle popolazioni nei campi della salute, dell'educazione e dell'assistenza agli immigrati".

Grande attenzione, ha aggiunto Burke anche ai temi d'attualità internazionale, prima fra tutte la promozione della pace nel mondo:

"Tramite il negoziato politico e il dialogo interreligioso, con particolare riferimento alla situazione in Medioriente e alla tutela delle comunità cristiane".

Al termine del colloquio il presidente Donald Trump ha presentato al Papa la moglie Melania, che ha ricevuto una speciale benedizione per un rosario che aveva tra le mani, la figlia Ivanka e il genero Jared Kushner; quindi le foto di rito e lo scambio dei regali ufficiali. Tra i doni del Papa al presidente una copia dei suoi documenti magisteriali "Evangelii gaudium", "Amoris laetitia" e "Laudato sii", e una copia del Messaggio per la Giornata della pace del 2017 autografato personalmente dal Pontefice. Francesco ha benedetto anche altri rosari che gli sono stati portati su un vassoio e alla fine ha donato a tutti i presenti la medaglia del pontificato.

"Non dimenticherò ciò che lei mi ha detto" avrebbe affermato Donald Trump al termine dell'udienza, prima di raggiungere nella prima Loggia del Palazzo apostolico, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano e l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. La coppia presidenziale ha poi visitato la Cappella Sistina e la Basilica di S.Pietro. Intorno alle 11.00 il trasferimento di Trump al Quirinale per un incontro di lavoro tra le delegazioni italiane e statunitensi: al centro i temi della sicurezza e dei rapporti con Nato ed Europa. Ultima tappa a Villa Taverna per il confronto con il premier Gentiloni in vista del G7 di venerdì a Taormina sui dossier più caldi, in primis la questione migratoria e l'impegno antiterrorismo.

La first Lady ha invece raggiunto l'ospedale Bambino Gesù, dove ha incontrato i piccoli pazienti nei reparti e nella ludoteca, intrattenendosi con i bambini ricoverati di nove nazionalità diverse, che le hanno regalato: un libro fotografico sulla vita del nosocomio;  una statua di legno raffigurante una Madonna  realizzata da un artigiano di Bangui in Centrafrica, dove il nosocomio vaticano ha preso in carico la ristrutturazione dell'ospedale pediatrico locale; e  un disegno con la scitta in inglese "Tutti i bambini del mondo sono uguali". Melania Trump si è poi recata nella capella dell'ospedale, dove si è raccolta in preghiera. "Siamo contenti, ha detto la presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc -  di poter presentare alla First Lady degli Stati Uniti un ospedale di riconosciuta eccellenza clinica e scientifica, accreditato a livello internazionale, inserito all’interno del sistema italiano di sanità pubblica e gratuita. Ma soprattutto siamo contenti di poter rappresentare anche un modo di essere Chiesa molto caro a Papa Francesco. La realtà di una Chiesa che cura e accoglie i più deboli, i bambini gravemente malati, i bambini con malattie rare, provenienti da ogni parte del mondo”.

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Francesco: terapia della speranza inizia ascoltando

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La comunità cristiana non vive in una “cittadella fortificata” ma va per la strada, ascolta le storie di tutti e poi offre la testimonianza dell’amore. Lo ha detto Papa Francesco all’udienza generale, stamani, in Piazza San Pietro. Proseguendo il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana, Francesco ha concentrato la sua riflessione sull'incontro dei discepoli di Emmaus con Gesù e ha ricordato che anche nei momenti più brutti, Dio cammina sempre con noi. Infine, è tornato ad invocare la pace per “la cara terra ucraina”. Il servizio di Debora Donnini

E’ un incontro rapido quello di Gesù con i discepoli di Emmaus nel quale però c’è “tutto il destino della Chiesa”, sottolinea Papa Francesco all’udienza generale. Una vicenda significativa, dunque, per capirne la missione:

“Ci racconta che la comunità cristiana non sta rinchiusa in una cittadella fortificata, ma cammina nel suo ambiente più vitale, vale a dire la strada. E lì incontra le persone, con le loro speranze e le loro delusioni, a volte pesanti. La Chiesa ascolta le storie di tutti, come emergono dallo scrigno della coscienza personale; per poi offrire la Parola di vita, la testimonianza dell’amore, amore fedele fino alla fine. E allora il cuore delle persone torna ad ardere di speranza”.

Quando incontrano Gesù, i discepoli di Emmaus fuggivano da Gerusalemme. Dopo la sua morte in croce, erano delusi, convinti di essersi lasciati alle spalle una sconfitta che non avevano immaginato. Prima della Pasqua, infatti, erano pieni di entusiasmo, pensando che Gesù avrebbe manifestato la sua potenza ma la Festa si era invece trasformata nel giorno più doloroso della loro vita. E allora Gesù inizia la sua “terapia della speranza”

"E questo che succede in questa strada è una terapia della speranza. Chi la fa? Gesù. Anzitutto domanda e ascolta: il nostro Dio non è un Dio invadente. Anche se conosce già il motivo della delusione di questi due, lascia a loro il tempo per poter scandagliare in profondità l’amarezza che li ha avvinti. Ne esce una confessione che è un ritornello dell’esistenza umana: 'Noi speravamo, ma… Noi speravamo, ma …'".  

Quante tristezze, quanti fallimenti, quante speranze poi deluse nella vita di ciascuno, rileva Francesco, ma Gesù camminando con le persone sfiduciate, “in maniera discreta”, riesce a ridare speranza. E parla prima di tutto con le Scritture dove non si trovano “fulminee campagne di conquista”:

“La vera speranza non è mai a poco prezzo: passa sempre attraverso delle sconfitte. La speranza di chi non soffre, forse non è nemmeno tale. A Dio non piace essere amato come si amerebbe un condottiero che trascina alla vittoria il suo popolo annientando nel sangue i suoi avversari. Il nostro Dio è un lume fioco che arde in un giorno di freddo e di vento, e per quanto sembri fragile la sua presenza in questo mondo, Lui ha scelto il posto che tutti disdegniamo”.

Poi il segno di cosa deve essere la Chiesa: come ha spezzato il pane, Gesù “spezza” la nostra vita e la offre a tutti, “perché – sottolinea – non c’è amore senza sacrificio” .

Tutti nella vita vivono momenti bui nei quali sembra ci sia solo un muro davanti ma Francesco ricorda che “Gesù è sempre accanto a noi per ridarci speranza”, dicendoci: “Vai avanti, io sono con te”. Questo “il segreto della strada che conduce a Emmaus”: anche attraverso le apparenze contrarie, Dio non smetterà mai di volerci bene:

“Dio camminerà con noi sempre, sempre, anche nei momenti più dolorosi, anche nei momenti più brutti, anche nei momenti della sconfitta: lì è il Signore. E questa è la nostra speranza: andiamo avanti con questa speranza, perché Lui è accanto a noi camminando con noi. Sempre”.

Al termine della catechesi, Francesco invoca la pace "per la cara terra ucraina", salutando un gruppo di ucraini, che hanno partecipato al pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes. Nel rivolgersi, poi, ai pellegrini provenienti da Siria, Terra Santa e Medio Oriente, sottolinea che tante persone vivono come i discepoli di Emmaus, “con il cuore spezzato a causa delle guerre”. Solo Il Risorto, dice, può riaccendere nell’umanità delusa “la fiamma della speranza che non delude mai”. Ai pellegrini italiani, infine, ricorda l’odierna memoria di Maria Ausiliatrice, “aiuto dei cristiani”.

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Card. Bassetti nuovo presidente Cei: nessun programma, solo collegialità

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Il cardinale Gualtiero Bassetti è il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana. Al termine della Santa Messa di stamattina nella Basilica Vaticana, nell’ambito dei lavori della 70.ma Assemblea generale dei vescovi italiani, è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente uscente, a dare la notizia della nomina dell’arcivescovo di Perugia - Città della Pieve da parte di Papa Francesco. Nelle scorse ore i presuli avevano indicato la terna di nomi da sottoporre al Pontefice per la scelta finale. Il servizio di Giada Aquilino

Le famiglie disagiate, i poveri, i carcerati, i malati. Sono le realtà di estrema sofferenza a cui il cardinale Gualtiero Bassetti, fin dai primi giorni in cui ha vestito la porpora, nel febbraio 2014, ha rivolto la propria attenzione, così come fece già all’indomani del suo ingresso nella diocesi perugina, il 4 ottobre 2009. Niente “programmi”, solo un grazie al Papa per la fiducia, un intento di “collegialità” nel lavoro da compiere e uno sguardo alla realtà, chiarisce subito il neo presidente della Cei nella sua dichiarazione stamani nell’atrio dell’Aula Paolo VI in Vaticano, con cui – dice – vuole aprire il “cuore”. Riferisce proprio di un segno “piccolissimo”, ricevuto con la notizia della nomina, ma il “più importante”, perché venuto da ragazzi che lottano contro la tossicodipendenza:

La telefonata della comunità di Mondo X
“Una telefonata affettuosa dei ragazzi di Mondo X di Padre Eligio, che mi hanno detto: ‘Continua ad essere un papà per noi’. Ecco, veramente, l’ho ritenuta la raccomandazione più importante: ‘Continua ad essere un papà per noi’”.

Il Papa crede nei sogni dei 'vecchi'
Il pensiero “riconoscente” va a Francesco, per il “coraggio” che - afferma - ha mostrato nell'affidargli questa responsabilità “al crepuscolo” della sua vita:

“Io il 7 di aprile di quest’anno ho compiuto 75 anni. È davvero un segno che il Santo Padre crede alla capacità dei vecchi di sognare. Anche i vecchi avranno dei sogni e delle visioni”.

Nessun programma, lavorerò coi vescovi
Ricorda di essere vescovo da 23 anni e ora guarda semplicemente alla nuova missione affidatagli:

“Io non ho programmi preconfezionati da offrire, perché nella mia vita - da quando cominciai a essere giovane prete con gli scout - sono sempre stato abbastanza improvvisatore. Intendo lavorare con tutti i vescovi, grato per la fiducia che mi hanno assicurato e per l’abbraccio affettuoso, anche di stamani, che è avvenuto nella sacrestia della Basilica di San Pietro”.

Da Francesco, invito a vivere la collegialità
D’altra parte il mandato di Francesco ai vescovi italiani è chiaro, sottolinea:

“Il Papa ci ha raccomandato all’inizio della Conferenza episcopale di condividere tempo, ascolto, creatività e consolazione. Queste parole sono già un programma formidabile per potere lavorare. È quello che cercheremo di fare insieme, noi vescovi. Anche perché il Papa continuava a raccomandarci: ‘Vivete la collegialità’, ‘camminate insieme’, il vivere la collegialità e il camminare insieme è la cifra che ci permetterà di interpretare la realtà - la realtà del mondo, la realtà della nostra Chiesa - con gli occhi e il cuore di Dio. Collegialità e camminare insieme”.

La biografia
Nato nel 1942 a Popolano, nel comune di Marradi, in provincia di Firenze ma nella diocesi romagnola di Faenza-Modigliana, Gualtiero Bassetti viene ordinato sacerdote nel 1966. Nel capoluogo toscano diviene rettore prima del Seminario Minore, poi di quello Maggiore, fino ad essere negli anni Novanta vicario generale dell'arcidiocesi. Il 9 luglio 1994 viene eletto da San Giovanni Paolo II vescovo di Massa Marittima-Piombino; quindi nel 1998 è trasferito alla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, che guiderà per undici anni, fino alla sede arcivescovile perugina, con la nomina da parte del Papa emerito Benedetto XVI. Sarà poi Papa Francesco, il 12 gennaio 2014, ad annunciarne la nomina a cardinale, creandolo tale nel Concistoro del 22 febbraio 2014. Già vice presidente della Cei, dal 2009 al 2014, il cardinale Bassetti ha confidato di sentirsi incoraggiato dalle parole del suo predecessore alla guida dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, a cui - racconta - si sente legato da “sincera amicizia” e che gli ha augurato di “essere se stesso”: una raccomandazione che, nelle parole del cardinale Bassetti, diventa un desiderio “profondo”.

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Auguri del Papa al presidente dell’Argentina per la festa nazionale

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Si celebra domani in Argentina la Festa nazionale della Repubblica. Per questa occasione, il Papa ha inviato un telegramma di felicitazioni al presidente Mauricio Macri, estese a tutta la popolazione argentina, chiedendo al Signore che accompagni l’amato Paese “nel suo sviluppo materiale e spirituale, propiziato da un clima di serenità. Pace e rispetto reciproco”. (R.G.) 

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L'attesa di Francesco a Genova. Mons. Granara: risveglierà fiducia e gioia

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Sabato prossimo Papa Francesco sarà in visita pastorale a Genova. Un programma molto fitto che lo vedrà anche al Santuario della Madonna della Guardia, uno dei luoghi mariani più famosi d’Europa. Le origini di questo luogo risalgono al 29 agosto del 1490 quando la Vergine apparve ad un umile contadino, Benedetto Pareto, chiedendo che fosse eretto un tempio in suo onore. Qui il Papa dialogherà con i giovani e pranzerà con 150 persone: poveri, detenuti, profughi e vittime di tratta. Antonella Palermo ha chiesto a al Rettore mons. Marco Granara dove nasce questo santuario: 

R. – In cima ad un picco di quasi mille metri, in mezzo alle nebbie e alle intemperie una cappella poteva essere veramente superflua. Ma, questa cappella fatta di pietre vive, come dice la Lettera di Pietro, è il simbolo di una Chiesa che deve essere ricostruita, punto di riferimento per la gente, dove poi l’incontro con Dio ricostruisce coscienze, comunità cristiane, ideali civili …

D. - Chi arriva al santuario ogni anno come pellegrino?

R. - Arriva circa mezzo milione di persone; gente comune, grandi personaggi.  A Genova tutti fanno riferimento alla Guardia, sia l’industriale che è in crisi con la sua azienda che le squadre di calcio e soprattutto le famiglie con guai di salute, di accordo, di speranza di fiducia.

D. - Che legame c’è tra questo luogo e l’esperienza dei migranti?

R. - I nostri contadini, modestissimi, quando qui era c’era fame sono andati a cercare un pezzo di pane nei posti dove alla fine dei conti c’era più terreno, ad esempio in Argentina. Lì abbiamo almeno dieci santuari della Guardia, tutti fatti da famiglie di migranti arrivati lì, con la fame nelle ossa, e responsabili della fede dei figli, hanno dato il via a questa presenza religiosa. Chiedevano ai missionari di allora, i salesiani: “Se voi venite a dirci la Messa, noi vi facciamo la chiesa”. Oggi ci sono grandi chiese con grandi scuole: a Bernal c’è un grande Santuario della Guardia con 2500 studenti, Nostra Signora della Guardia, fatto dalla famiglia Pedemonte. È un nome genovese.

D. - Papa Francesco è reduce dal pellegrinaggio al Santuario di Fatima; conosciamo tutti molto bene la sua spiccata devozione mariana. Questa tappa al Santuario della Guardia assume un significato ancora più forte …

R. - Qui i giovani, popolazione del futuro in una regione vecchia fondamentalmente, non trovano lavoro, devono andar via. Questa tappa ha una serie di valenze non solo religiose, ma umane, sociali tutte da riscoprire e da rilanciare. Poi ci sarà il simbolico  pranzo con i poveri; è una Chiesa che deve aprirsi ad un mondo fatto di scarti umani prodotti da un sistema infame. Mettere nel cuore del suo pellegrinaggio il Santuario della Guardia, il santuario dei poveri, dei contadini, e il pranzo con i poveri mi sembra che già di per sé sia una notizia.

D. - Cosa è previsto dal menù?

R. - Mangerà del cibo molto essenziale, tra l’altro fatto da una nostra cooperativa, che abbiamo messo insieme qualche anno fa proprio per valorizzare il lavoro debole, fatta anche di persone più giovani che erano senza lavoro e che hanno messo in moto questo tipo di accoglienza.

D. - Quali sono le sue aspettative personali da questo incontro con Papa Francesco?

R. - Un bagno di responsabilità, di fiducia e di gioia, coma porta lui e come porta Gesù quando lo prendiamo sul serio.

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Mons. Auza: solo con la pace flussi migratori ordinati

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Il numero complessivo dei migranti che attraversano le frontiere ha raggiunto, nella storia, livelli record. Il fenomeno delle migrazioni è una realtà complessa, in cui bisogni e aspettative di quanti sono coinvolti in questo fenomeno dovrebbero portare ad una maggiore solidarietà. E’ quanto ha affermato mons. Bernardito Auza, osservatore permantene della Santa Sede all'Onu di New York,  intervenendo lunedì scorso, ad un incontro intitolato: “Global compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare”. Nella prima parte del suo discorso, mons. Auza si è soffermato sul tema dello sviluppo sostenibile. È necessario – ha detto - un cambiamento di atteggiamento verso i migranti e i rifugiati. Si deve passare dalla paura e dall’indifferenza ad una cultura dell’incontro.
 
Il Global Compact per le migrazioni è un’occasione unica
La responsabilità e la ripartizione degli oneri devono tener conto della ricchezza e del livello di sviluppo di un Paese. La crisi economica persistente – ha aggiunto il presule - limita le possibilità di una risposta di un singolo Stato alle emergenze. La piaga della siccità in alcune parti del mondo riduce, inoltre, la possibilità di fornire assistenza umanitaria ad un numero crescente di rifugiati e di sfollati. In questo contesto - ha osservato il nunzio - è indispensabile il coinvolgimento attivo dei partner internazionali. Papa Francesco – ha proseguito - ci ricorda che lavorare insieme per un mondo migliore richiede che i Paesi si aiutino a vicenda, in uno spirito di cooperazione. L’iniziativa promossa dall’Onu del Global Compact per le migrazioni – ha sottolineato mons. Auza - è un'occasione unica per sviluppare politiche coordinate e investimenti.
 
Le migrazioni siano una scelta
Nella seconda parte del suo intervento, l’Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu si è soffermato sul legame tra crisi umanitarie e migrazioni. La Santa Sede – ha affermato - ribadisce che ad ogni persona deve essere assicurato il diritto a restare nel proprio Paese in un contesto contraddistinto dalla pace e dalla sicurezza economica. Le persone – ha aggiunto il presule - non si sentiranno costrette a lasciare le loro case se vengono assicurate le condizioni per una vita dignitosa e se le cause dei flussi migratori sono adeguatamente affrontate. Se il diritto a restare nel proprio Paese precede quello ad emigrare, i flussi migratori diventeranno volontari, regolari e sicuri. E di conseguenza – ha sottolineato il nunzio – tali flussi diventano anche più gestibili e sostenibili. Quando il diritto a rimanere in un Paese viene rispettato – ha sottolineato - migrare diventa una scelta e non una decisione obbligata.
 
Solo la pace garantisce flussi migratori più sostenibili
Nel mondo – ha inoltre ricordato mons. Auza - più della metà dei rifugiati, dei migranti forzati e degli sfollati interni sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi a causa di conflitti e di violenze. Quando arrivano nello Stato di destinazione, invece di trovare un luogo sicuro, devono fare i conti in molti casi con discriminazione, nazionalismo estremo, razzismo e mancanza di politiche chiare che regolino il sistema di accoglienza. Il modo più efficace per arrestare i flussi migratori forzati – ha spiegato mons. Auza - è dunque porre fine alle guerre e ai conflitti. Tra le cause delle migrazioni – ha ricordato - ci sono anche la povertà estrema, la mancanza di beni e servizi di base, il grave degrado ambientale e le catastrofi. Si devono quindi aiutare le popolazioni in difficoltà nei loro Paesi. Questa - ha concluso mons. Auza - è la via più efficace anche per arginare drammatiche forme di sfruttamento. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Mons. Urbanczyk all'Onu: educazione e famiglia per ridurre criminalità

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“La mancanza di opportunità di lavoro e di altre forme di marginalizzazione alimentano le attività criminali”: così mons. Janusz S. Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede, è intervenuto durante  nella Commissione delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e la giustizia penale. Il servizio di Giorgio Saracino

“Bisogna focalizzarsi sulle strategie di prevenzione e integrazione: partecipazione pubblica, politiche sociali ed educazione”: ha esordito così mons. Janusz s. Urbanczyk davanti alla Commissione delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine e la giustizia penale. Bisogna garantire lo stato di diritto; è necessario uno sforzo da parte di tutta la società, per essere uniti e coordinati. La cooperazione e la partnership sono fondamentali per la prevenzione del crimine – ha continuato il presule – la famiglia e le organizzazioni, scolastiche e religiose, sono alla base della formazione dell’individuo, e quindi della società. È la famiglia il luogo in cui, sin da subito, l’uomo inizia a formarsi, a conoscere i valori della virtù e della carità. Si cresce e si impara. Ma troppe volte le famiglie sono colpite da vari problemi: la povertà, l’eccessivo consumismo, il culto delle apparenze, i ritmi di vita frenetici. Tutti fattori che, se portati agli eccessi, rovinano i legami familiari. Ripartire da qui, quindi, per promuovere il bene comune ed abbattere la criminalità. E infatti, ha proseguito mons.Urbanczyk , “il miglioramento delle condizioni socioeconomiche e la prevenzione della criminalità, sono due concetti strettamente connessi: lavorare sul primo, vuol dire operare sul secondo”. Società quindi, famiglia, ma anche organizzazioni sociali e religiose: da qui si deve ripartire, secondo il presule, per lottare per la pace, per la fratellanza e la cura dei più deboli. “Un' educazione in un’ottica rispettosa e il dialogo sincero con gli altri rappresentano il modo migliore per costruire insieme il futuro”: recuperando le parole di Papa Francesco pronunciate durante il suo viaggio in Egitto, l’arcivescovo ha rilanciato l’appello ai leader politici di non lasciare i giovani ai margini della vita pubblica, per integrarli, per riconoscere il loro grande potenziale.

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Vero sviluppo con sistemi sanitari forti: così mons. Jurkovič all'Oms

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La promozione della salute “è un aspetto fondamentale del progresso dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” e rappresenta una componente “necessaria per la stabilità socio-economica”. Lo ha sottolineato ieri, a Ginevra, mons. Ivan Jurkovič, capo della delegazione della Santa Sede alla 70.ma Assemblea Mondiale della Salute. Il presule ha indicato, in particolare, una priorità: quella di instaurare “partnership che consentano di allineare la ricerca e lo sviluppo in ambito sanitario alle richieste e alle esigenze globali della salute, al fine di garantire un maggiore accesso ai farmaci essenziali per tutti”.

Si forniscano cure accessibili a tutti
Sistemi sanitari deboli - ha aggiunto - “continuano ad essere un ostacolo in molti Paesi”. E’ necessario “offrire interventi efficaci e accessibili per la prevenzione e le cure per tutti”.  L’assistenza sanitaria - ha detto l’arcivescovo  -  deve essere garantita in particolare alle “persone più bisognose, in estrema povertà e più disagiate delle nostre società, inclusi i migranti e i rifugiati”. In molti Paesi - ha affermato inoltre mons. Jurkovič - le organizzazioni religiose e le altre istituzioni basate sulla fede assumono una responsabilità significativa per i sistemi sanitari e devono pertanto essere incluse nella formulazione di politiche in materia”.

Sviluppo sostenibile con sistemi sanitari forti
Il capo della delegazione della Santa Sede alla 70.ma Assemblea Mondiale della Salute ha ribadito poi che la centralità della persona non può essere messa in discussione. I sistemi sanitari - ha osservato l’arcivescovo - devono porre “la persona umana e i suoi bisogni fisici, emotivi e spirituali, al centro della cura fornita, nel pieno rispetto della sacralità della vita umana in tutte le sue fasi”. “Sistemi sanitari forti e resilienti - ha detto il presule - sono infatti un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile”. “La salute - come ha affermato Papa Francesco ai medici del Cuamm il 7 maggio del 2016 - non è un bene di consumo, ma un diritto universale per cui l’accesso ai servizi sanitari non può essere un privilegio”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Card. Filoni in Guinea: nella debolezza confidare nello Spirito

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“Per Dio non è importante se le nostre azioni avranno risultati, importante è avere coraggio, non stancarsi mai di dare testimonianza della nostra fede e lasciarsi guidare dalla forza dello Spirito Santo". Così il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, questa mattina ad Ebebiyn, nella Guinea Equatoriale, durante la Messa con la presa di possesso del nuovo titolare della diocesi, mons. Miguel Angel Nguem Bee. Il prelato, 47 anni, superiore provinciale dei Salesiani, è stato ordinato vescovo dallo stesso porporato, lo scorso 20 maggio a Mongomo. “Il Santo Padre – ha detto il card. Filoni – lo ha scelto perché, sebbene giovane, è persona con una valida esperienza di vita sacerdotale e di preparazione umana e spirituale”.

Credere sempre nell’azione della grazia
L’augurio del prefetto a mons. Nguem Bee è stato quello di “credere” sempre nell’azione della Grazia, di non scoraggiarsi e come san Paolo, forti dell’incontro con Cristo, di porre tutta la fiducia in Lui. “Spesso i risultati non si vedono subito – ha detto il card. Filoni  - allora bisogna dare tempo per la loro crescita. Siamo spesso tentati dal bisogno di vedere  risultati delle nostre opere, al punto che qualcuno si domanda se vale la pena fare qualcosa quando non siamo sicuri di ottenerne”.  

La forza della Chiesa viene dall’Alto
“La forza della Chiesa – ha proseguito – la forza del cattolicesimo in Guinea e nella diocesi di Ebebiyn è la forza che viene dall’Alto. Questa forza è più potente delle nostre possibilità, è capace di trasformare i nostri sforzi che sembrano poco promettenti in un fiume di grazia”. Il porporato ha indicato come modello l’annuncio del Vangelo fatto dai santi Pietro e Paolo: “Tutto fu opera dello Spirito Santo che agiva in loro e attraverso di essi. Abbiate il coraggio di lasciarvi guidare dalla potenza e dai doni dello Spirito!”.

Guardare a Maria Ausiliatrice quando ci sentiamo deboli
Rivolto al neo vescovo di Ebebiyn il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha indicato la Madonna, nell’odierna festa di Maria Ausiliatrice, quale madre sempre sollecita ad ascoltare e ad offrire “il suo materno aiuto, in particolare quando vengono momenti scoraggiamento o di paura, quando ci sentiamo deboli davanti alle sfide che sembrando più grandi delle nostre possibilità”. (a cura di Paolo Ondarza)     

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Oggi in Primo Piano



Manchester, identificate tutte le vittime. Paese in massima allerta

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Sono state identificate tutte le 22 vittime della strage di Manchester. Lo ha comunicato la polizia della città inglese. Una ventina i feriti giudicati ancora in condizioni estremamente critiche. Le indagini continuano a tutto tondo attorno alla figura del 22enne kamikaze, già conosciuto dai servizi segreti britannici e dalla polizia. Francesca Sabatinelli 

Salman Adebi non può non aver ricevuto aiuto. E’ ormai questa la convinzione degli inquirenti, che stanno cercando di delineare la rete del terrore dietro al giovane autore della strage all’Arena di Manchester. Tre gli arresti in città, dopo il primo di ieri, quello del fratello del terrorista che, con le sue dichiarazioni, avrebbe dato una svolta alle indagini. Di Adebi, la cui pericolosità in passato era stata segnalata alle autorità dalla stessa famiglia, sembra ormai accertato un recente viaggio in Libia, forse per l’addestramento, e non si esclude un suo passaggio anche in Siria. Accanto al suo nome ora compare anche quello del possibile reclutatore, anche lui rientrato dalla Siria. In tutta la Gran Bretagna l’allerta resta altissima, così come ovviamente a Manchester, dove polizia e forze antiterrorismo continuano a compiere raid, di oggi la perquisizione in un appartamento nel centro città. Un migliaio i soldati dislocati solo a Londra, circa 4mila in tutto il Paese. Sono stati compiuti “buoni progressi” nelle indagini, ha dichiarato il ministro degli Interni, Rudd, che ha anche precisato che le autorità Usa avrebbero garantito che non vi saranno più fughe di informazioni riservate. L’identità dell’attentatore, infatti, era stata rivelata ai media proprio dagli statunitensi. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università del Sacro Cuore di Milano:

R. – Stiamo assistendo a una moltiplicazione e a una diversificazione non solo degli strumenti ma anche degli obiettivi e delle località in cui gli attentati vengono compiuti, e questo proprio per cercare di sfuggire più facilmente alla rete di prevenzione. Dobbiamo andare avanti e cercare di capire bene come sia potuto succedere, ma allo stesso tempo va riconosciuto che la sicurezza per chiunque, sempre e dovunque e comunque è un obiettivo utopistico e irrealizzabile: non c’è attività umana che non sia esposta a rischio e anche questo fa parte, purtroppo, del novero dei rischi in questo momento. Credo che il messaggio che va detto con molta chiarezza sia che siamo vulnerabili, ma non inermi.

D. – Non si è tranquilli da nessuna parte, ma forse la militarizzazione dell’Europa in realtà non servirebbe comunque a nulla …

R. – La militarizzazione è un pezzo di una strategia complessiva. E’ ovvio che bisogna aumentare la sorveglianza video, la sorveglianza elettronica, la presenza sul territorio e quindi in questo senso la militarizzazione ha una sua utilità. Vanno messe in atto attività di anti-radicalizzazione che è lo step immediatamente precedente all’arruolamento, però bisogna anche essere molto franchi: l’integrazione, l’accoglienza eccetera, queste cose rispetto al terrorismo e alla prevenzione del terrorismo hanno un’efficacia quasi zero. L’integrazione serve a evitare che si aumenti il bacino delle possibili reclute, ma quelli che hanno deciso di radicalizzarsi sono già radicalizzati, sono magari già passati alla lotta armata. Non è che se facciamo politiche di maggiore integrazione cambiano idea. L’integrazione serve per limitare il bacino dei potenziali, ma non serve a niente contro gli effettivi. E, seconda cosa, va chiarito che l’integrazione è un valore che va perseguito perché la società che integra è una società migliore di una società che non integra. Ma non illudiamoci che se diventiamo tutti più buoni e comprensivi abbiamo risolto il problema, perché chi abbiamo di fronte ha una sua idea politica, ha una sua concezione che non si interfaccia con la nostra, di quelli che ritengono che l’utilizzo della violenza contro gli inermi sia una cosa inaccettabile. Su questo bisogna essere molto franchi. Il punto principale è che i Paesi da cui queste persone originano sono in gran parte Paesi governati da autocrazie, più spesso anche cleptocrazie, quindi da sistemi totalmente illiberali e corrotti che impediscono il cambiamento di quelle società e quindi impediscono di integrarsi lì, in quelle società, nella libertà. E rendono il messaggio della violenza l’unica soluzione possibile, secondo alcuni, e quindi l'ideologia islamista radicale come appetibile. Solo la trasformazione di quei regimi consentirà che le società si sviluppino, che queste ideologie di morte diventino obsolete e che quindi alla fine non siano neanche più interessanti per la diaspora e i figli della diaspora di queste regioni. Quindi è lì che va sostenuto il cambiamento.

D. – Negli ultimi anni si è parlato molto dei foreign fighters: stiamo assistendo adesso a questo fenomeno di ritorno. Foreign fighters radicalizzatisi in Europa, andati a fare i combattenti in zone di conflitto che ora tornano …

R. – E certo. E infatti, questo è un problema di difficilissima soluzione. Quando ci trovammo di fronte al primo fenomeno rilevante di foreign fighters, la soluzione che gli Stati Uniti pensarono – e che tuttora è in piedi, non dimentichiamocelo! – è Guantanamo. Non sono i soldati di un esercito sconfitto che ha capitolato, e non sono però neanche dei criminali che devono scontare una pena alla fine della quale possono essere rimessi in libertà. E’ gente che ormai è passata dall’altra parte, totalmente, in maniera identitaria. La risposta – evidentemente piena di lacune e non accettabile dal punto di vista giuridico – fu Guantanamo: il limbo. Ma questo non si può fare. L'unica cosa che si può fare è sorvegliarli, vanno sorvegliati, vanno tenuti sotto osservazione. Ma non è che ci siano grandi alternative. Nella speranza, poi, che appena commettono un reato – che non sia di questo tipo, ovviamente, ma minore – possano essere perseguiti e condannati dopo un regolare processo. Ma finché non sono sconfitti i problemi all’origine, non avremo un esercito allo sbando: avremo soldati in sonno, infiltrati, sempre e comunque. Non potremo mai fidarci di un ex-foreign fighter, finché quell’ideologia “tira”. Conviveremo a lungo, purtroppo, con questa minaccia che non ha nessuna chance di sconfiggerci – questa è un’altra cosa che va chiarita – se facciamo le mosse giuste. Le mosse giuste sono evitare di dire “ok, governa i tuoi come vuoi”: l’autodeterminazione è dei popoli, non è l’autodeterminazione dei tiranni. E questo è un punto che non va dimenticato …

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24 maggio, Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina

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Ricorre oggi la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. "Preghiamo con i cattolici in Cina, affidiamoci a Maria, per avere la grazia di sopportare con pazienza e vincere le difficoltà con l’amore", così in un tweet Papa Francesco che ha ricordato la Giornata anche all’udienza generale. Oggi - ha detto - nel giorno della Madonna di Sheshan, protettrice della Cina, vorrei salutare specialmente i pellegrini di Hong Kong. Già domenica scorsa al Regina Coeli, Francesco aveva annunciato: “Il prossimo 24 maggio ci uniremo tutti spiritualmente ai fedeli cattolici in Cina, nella ricorrenza della Beata Vergine Maria ‘Aiuto dei Cristiani’, venerata nel Santuario di Sheshan a Shanghai”.  Il servizio di Adriana Masotti

E’ un appuntamento che da 10 anni ricorre ogni 24 maggio e a lanciare l’iniziativa è stato Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi del 2007. Francesco, domenica, ai fedeli della Cina ha detto: “Alziamo lo sguardo a Maria nostra Madre, perché ci aiuti a discernere la volontà di Dio circa il cammino concreto della Chiesa in Cina e poi ancora: “Maria ci incoraggia ad offrire il nostro personale contributo per la comunione tra i credenti e per l’armonia dell’intera società”. Al nostro microfono padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) e sinologo:

“Papa Benedetto, dieci anni fa, scrisse la famosa Lettera ai cattolici di Cina e poi l’anno dopo compose addirittura una preghiera che si concludeva così: 'Nostra Signora di Sheshan, sostieni l’impegno di quanti in Cina, tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare'. E Papa Francesco domenica scorsa ha ricordato proprio questo impegno: offrire un contributo personale per la comunione tra i credenti e per l’armonia dell’intera società. Questo accenno di Papa Francesco all’armonia dell’’intera società cinese è un richiamo molto tempestivo e molto importante, perché sappiamo quanto difficile sia il dialogo tra la Santa Sede e la Cina. Ecco, io credo che sia importante, come diceva sia Papa Benedetto sia ora Papa Francesco, che tutta la Chiesa si unisca ai cattolici cinesi in questo impegno di chiedere a Maria l’aiuto sia per poter ottenere che i fedeli in Cina vivano la loro fede integralmente, sia che possano contribuire con la loro testimonianza di vita a favorire la crescita di una armoniosa società in Cina dove c’è il pericolo che ci siano tanti contrasti e contrapposizioni”.

Sempre al Regina Coeli, Papa Francesco ha raccomandato ai cattolici cinesi di non dimenticare “di testimoniare la fede con la preghiera e con l’amore, mantenendoci aperti, ha detto, all’incontro e al dialogo, sempre”. Ma come vivono i credenti e in che modo cresce la Chiesa in Cina?  Ancora padre Lazzarotto:

“La Chiesa è viva in Cina. Nonostante tante restrizioni, i cattolici sono presenti in numero considerevole. È difficile avere statistiche esatte, aggiornate. Però è un fatto che in Cina oggi i cattolici possono frequentare le chiese; e quindi per la Pasqua, per esempio, ci sono stati migliaia di nuovi battesimi nelle varie chiese e parrocchie della Cina. Quindi è una realtà che ha molte facce, molti aspetti anche contraddittori, perché in Cina oggi prevale, nella società purtroppo, una grande diffusione della corruzione e questo rischia di contaminare anche la vita della Chiesa. Però c’è anche speranza che Papa Francesco, con il cardinale segretario di Stato Parolin, con lo sforzo di dialogare, possa arrivare a far comprendere al governo cinese che non ha niente da temere dalla Chiesa, che la Chiesa non ha nessun progetto contro la società che vive in Cina; solo vuole uno spazio di libertà che permetta ai cristiani di essere cristiani come in tutto il mondo”.

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Filippine: presidente Duterte impone legge marziale a Mindanao

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Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha imposto la legge marziale nell’isola di Mindanao. La decisione è stata adottata dopo l’insurrezione armata del gruppo fondamentalista “Maute”, branca locale del sedicente Stato islamico. I miliziani hanno anche assalito una Chiesa e preso in ostaggio un sacerdote nella città di Marawi. Lo stesso presidente Duterte ha reso noto che i jihadisti avrebbero decapitato il capo della polizia a Malabang. Giancarlo La Vella ha intervistato padre Gianni Re, missionario del Pime da anni nelle Filippine: 

R. – Questo gruppo avrebbe dichiarato alleanza con l’Is e di conseguenza le preoccupazioni sono un po’ aumentate, tanto più che nei mesi scorsi si sono verificate altre azioni in altre parti di Mindanao. Purtroppo Mindanao ha una storia fatta di questi continui scontri, tentativi di dialogo, tentativi di trovare soluzioni al problema dei rapporti tra il governo e questi gruppi musulmani e tra cristiani e musulmani. E' una situazione che si protrae da 40-50 anni. Ogni tanto ci sono esplosioni di scontri armati; si è giunti fino alla guerra.

D. – In che modo l’opinione pubblica filippina prende questa svolta del presidente Duterte di imposizione della legge marziale?

R. - La dichiarazione della legge marziale: questo lui lo aveva già minacciato diverse volte soprattutto parlando di questo gruppo, Maute, in particolare, ma anche con Abu Sayyaf. Ora ha imposto questa legge marziale. Bisognerà vedere nei prossimi giorni concretamente cosa vorrà dire, come verrà implementata. Lui però avrebbe detto che si tratta di una legge marziale dura. Non è escluso che magari nel prossimo futuro possa essere estesa a tutte le Filippine. Adesso bisognerà veder anche la reazione dei politici, pur sapendo che molti sono sostenitori del presidente. Ad esempio, al Congresso ed anche al Senato lui ha una grande maggioranza. Quindi, siccome la legge marziale va approvata dal Congresso, nei prossimi giorni lui dovrebbe spiegare le motivazioni della sua decisione e in base a queste vedremo le reazioni degli altri politici e così si potrà avere un’idea un po’ più chiara di quelli che possono essere i piani del presidente.

D. - Le realtà cattoliche delle Filippine, come anche la vostra, le missioni, come stanno vivendo questa fase?

R. - Per il momento nella quasi totalità dei posti delle Filippine la situazione sembra abbastanza tranquilla. Marawi, essendo a stragrande maggioranza musulmana, è sempre stata un punto di tensione; ma si cerca sempre di intavolare qualche tipo di dialogo con i musulmani, per cercare di avere dei punti in comune per portare avanti un discorso di pace, di sviluppo economico e di progresso in quelle zone. 

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Venezuela. Da aprile 55 i morti nelle proteste anti-Maduro

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In Venezuela sale a 55 il numero delle proteste contro il presidente Nicolas Maduro da inizio aprile. Intanto, un secondo magistrato dell'Alta Corte respinge il progetto di Assemblea Costituente portato avanti da Maduro, che ha firmato ieri il decreto per stabilirne le modalità di elezione. Il servizio di Elvira Ragosta

Continuano le proteste in Venezuela e si aggiorna il numero delle vittime. Gli ultimi dati diffusi dalla Procura nazionale parlano di 8 morti negli scontri che si susseguono da lunedì nello stato occidentale di Barinas. Nonostante le proteste di piazza, quasi giornaliere in diverse città del Paese, il presidente Nicolas Maduro intende portare avanti il suo progetto di Assemblea Costituente. Un' Assemblea composta da 540 membri, che - ha annunciato ieri la responsabile del Consiglio nazionale elettorale - saranno eletti a fine luglio. Intanto, un secondo magistrato della Corte suprema respinge la riforma Maduro: “Questa Costituente non ci rappresenterà legittimamente, dice Marisela Godoy, giudice del Tribunale supremo di giustizia, e porterà solo altro sangue e altri orrori". Contrario anche il 73% dei venezuelani, secondo i dati diffusi ieri a Caracas da un sondaggio dell’agenzia demoscopica Datincorp, per cui più del 50% degli intervistati ritiene che andare a nuove elezioni sia l’unica via d’uscita dalla crisi che attanaglia il Paese. E di “riforma truffa” a parlato anche l’ex candidato presidenziale dell’opposizione, Henrique Capriles.

Sulla difficile situazione nel Paese, Elvira Ragosta ha intervistato Roberto Da Rin, inviato del Sole 24 Ore in America Latina: 

R. – La situazione è sempre molto critica e la contrapposizione tra opposizione e governo è frontale. Gli spazi di dialogo si stanno esaurendo ormai da tempo; il discorso di Maduro di pochi giorni fa, se possibile rende ancora più frontale la contrapposizione, perché questa riforma costituzionale evidentemente ribalta gli equilibri istituzionali del Paese e quindi getta un’ombra sugli spazi molto angusti di dialogo.

D. – Intanto, proseguono le proteste contro Maduro e gli scontri: 55 le vittime in 53 giorni di manifestazioni dall’inizio di aprile; le ultime nei giorni scorsi nello Stato occidentale di Barinas…

R. – E’ una situazione destabilizzata in modo cronico. C’è addirittura qualche analista politico che ha parlato di cronicizzazione della crisi venezuelana, come a dire che potrebbe profilarsi uno scenario tipo quello della Siria, senza possibilità di arrivare a una soluzione in tempi ragionevoli. Naturalmente, in tutto ciò si innesta anche una crisi sociale molto grave e persino alimentare, poi mancano le medicine. Il governo italiano ha proposto di inviare gratuitamente dei medicinali salvavita ma non è stato bene accolto … E quindi la situazione è davvero critica. Una crisi che è in parte imputabile anche agli aspetti economici: il prezzo del petrolio di cui il Venezuela è grande esportatore è a livelli bassi e gli analisti prevedono che si manterrà su livelli bassi. Quindi non ci sono prospettive rosee.

D. – Inoltre, c’è un’inflazione altissima. Vista questa situazione economica, c’è il rischio di bancarotta per il Venezuela?

R. – C’è questo rischio, effettivamente, il rischio di default, come accadde in Argentina nel 2001, ovvero il Paese potrebbe non essere più nelle condizioni di pagare le cedole ai sottoscrittori di obbligazioni e quindi dovrebbe dichiarare bancarotta. In verità, questa ipotesi per adesso è stata scongiurata nel senso che il governo Maduro finora le ha regolarmente pagate, l’ultima in aprile, quindi un mese fa. La prossima scadenza importante è prevista tra ottobre e novembre e si tratta di 3,5 miliardi di dollari. Questo sarà un banco di prova cruciale per capire la sopravvivenza politica della presidenza Maduro e per avere qualche informazione in più riguardo al futuro del Paese.

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A Cannes mons. Viganò incontra il regista Wim Wenders

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Nell’ambito del “Festival sacro della bellezza” organizzato ogni anno a Cannes affiancando quello Internazionale del cinema, si terrà domani alle ore 12 nella Chiesa di Notre-Dame de Bon Voyage, vicina al famoso Palazzo del Cinema, un incontro tra mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della segreteria per la comunicazione, e il regista tedesco Wim Wenders, sul tema “Cinema e spiritualità”. Il servizio di Luca Pellegrini

Al Festival di Cannes non ci sono soltanto tappeti rossi, star del cinema, applausi e critiche rivolte ai più importanti registi del mondo che accettano la competizione, discussioni e mercato, le attenzioni dei media ai mondi dell’arte e dell’effimero, e produttori che guardano al futuro del cinema con progetti che iniziano proprio lì il loro percorso. A Cannes si è ritagliato un proprio spazio, in questi giorni vorticosi di proiezioni, il “Festival Sacré de la Beauté” (Festival sacro della bellezza) che prevede, tra gli appuntamenti in programma, una tavola rotonda sulla responsabilità proprio dei produttori di realizzare film di spessore culturale, un incontro di preghiera offerto a tutti gli attori e ai professionisti del cinema, alcune proiezioni e concerti. Per aprire il Festival è stato organizzato un incontro speciale e particolare, quello tra il Prefetto della Segreteria per la comunicazione mons. Dario Edoardo Viganò e il regista tedesco Wim Wenders.  Parleranno di “Spiritualità e cinema”. Il confronto sarà profondo: le due personalità abitano mondi diversi ma molti temi e interessi li avvicinano, oltre che una profonda e antica amicizia. Mons. Viganò spiega lo spirito che animerà questa conversazione.

R. – L’incontro nasce in occasione dei 70 anni del Festival di Cannes ed è un incontro che riunisce la giuria ecumenica, la Conferenza episcopale, molti produttori, molti registi e questo dialogo con Wim Wenders vuole proprio cercare di capire come il Cinema, la settima arte, sa anche aprire percorsi per ciò che dal visibile conduce all’invisibile, a quell’invisibile che è fatto di passione, di sentimento, che è fatto appunto di quella esperienza del religioso, molto spesso non cristianamente determinato, ma che invece nei film di Wenders ha un atteggiamento e una determinazione fortemente cristiana. Pensiamo ad esempio agli angeli di Wenders, che sono così lontani dal cascame devozionale e invece provengono direttamente da Dante, da Riłke, dall’esperienza della letteratura biblica. Quindi è un dialogo che cerca di scoprire proprio come l’intelaiatura della narrazione cinematografica può attrarre lo sguardo, l’intelligenza e il cuore dello spettatore per intraprendere cammini che sanno indicare l’orizzonte trascendente.

D. - Wim Wenders nella cinematografia è molto attento all’uomo e a tutto ciò che l’uomo fa di bene o può fare di male. Questa attenzione all’umano di Wenders poi in qualche modo si apre alla trascendenza?

R.  – A me pare proprio di sì. Penso, ad esempio, anche alle riflessioni che Wenders ha fatto con i documentari di questo ultimo periodo - che è esattamente una narrazione di forte carica poetica - che sanno dialogare con i movimenti del cuore. Dunque è un umano che sa almeno aprire lo sguardo su ciò che rimanda e rimanda all’esperienza di Dio, all’esperienza della bellezza, all’esperienza del vero, all’esperienza del bene. E in fondo è un’attenzione all’umano molto diversa ma non contrapposta, per esempio, alla Palma d’oro del 2016. Penso appunto a Ken Loach, “Io, Daniel Blake”, dove, anche lì, c’è un racconto delle periferie umane, di un sottoproletariato, quello che in qualche modo è l’erede di Pierpaolo Pasolini, ma che mostra come, attraverso la denuncia rispetto alla burocrazia che molto spesso schiaccia chi è disgraziato, può accendere una storia di speranza, grazie all’atteggiamento del perdono e della misericordia. Quindi mi pare che tutto ciò che è indagine profonda dell’umano in qualche modo è anche apertura allo Spirito.

D. – Lei ha frequentato in qualità di presidente dell’ente dello spettacolo per tanti anni la Mostra del Cinema di Venezia e ora si appresta a incontrare Wenders in un festival così importante, come Cannes. Secondo lei la Chiesa riesce a ritagliarsi in questi avvenimenti, che sono anche molto mondani, un suo spazio per dire e per portare la propria idea?

R. – Credo che l’esperienza di un uomo, di una donna di Chiesa, è l’esperienza anzitutto di un testimone. Certo, un testimone non abitato dalla stessa logica mondana e quindi che sa offrire ciò che ha, ovvero il bene prezioso del Vangelo che è un abbraccio spalancato nei confronti di ogni uomo e di ogni donna, è un Vangelo che non giudica, è un Vangelo che accoglie, che costruisce ponti e tutto questo in una competenza che permette dialogo, a volte simpatia, che sfocia in amicizia e, perché no, in alcuni progetti comuni come, ad esempio è avvenuto con Wim Wenders, per un film che è stato annunciato qualche giorno fa a Cannes, “Papa Francesco un uomo di parola”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 144

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.