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Sommario del 26/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa nomina mons. De Donatis nuovo vicario della Diocesi di Roma

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Papa Francesco ha accolto la rinuncia presentata dal cardinale Agostino Vallini quale Suo Vicario Generale per la Diocesi di Roma e Arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano ed ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico mons. Angelo De Donatis, vescovo titolare di Mottola, finora Ausiliare di Roma, elevandolo in pari tempo alla dignità arcivescovile. Ce ne parla Alessandro Gisotti

Nel suo saluto al Vicariato, mons. Angelo De Donatis ha sottolineato che il suo servizio sarà quello di "annunciare la misericordia di Dio con la parola e la vita" nonchè "di custodire e promuovere la comunione ecclesiale": "la misericordia - ha affermato - è la Pentecoste dei nostri giorni". "Chiedo - ha proseguito il nuovo vicario per la Diocesi di Roma - il dono di saper ascoltare in profondità sempre".

63 anni, di origini pugliesi, mons. Angelo De Donatis è nato il 4 gennaio del 1954 a Casarano, provincia di Lecce e diocesi di Nardò‑Gallipoli. Alunno prima del Seminario di Taranto e quindi del Pontificio Seminario Romano Maggiore, il presule ha compiuto gli studi filosofici alla Pontificia Università Lateranense e quelli teologici presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito la Licenza in Teologia Morale. Ordinato sacerdote nel 1980, dal 28 novembre 1983 è incardinato nella diocesi di Roma. Tra i suoi incarichi, oltre che in varie parrocchie romane e come insegnante di religione, è stato addetto alla Segreteria Generale del Vicariato, archivista della Segreteria del Collegio Cardinalizio.

Dal 1990 al 1996, è stato inoltre direttore dell'Ufficio Clero del Vicariato di Roma; dal 1990 al 2003, direttore Spirituale al Pontificio Seminario Romano Maggiore e Assistente per la diocesi di Roma dell'Associazione Nazionale Familiari del Clero. E' stato membro del Consiglio Presbiterale Diocesano e del Collegio dei Consultori. Nel 1989 è stato ammesso all'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme con il grado di Cavaliere. Nella Quaresima del 2014, per volere di Papa Francesco, ha tenuto le meditazioni per gli Esercizi Spirituali della Curia Romana. E' stato infine nominato vescovo ausiliare di Roma il 14 settembre del 2015.

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Papa alle Piccole Missionarie della Carità: non abbiate frontiere

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"Siate missionarie senza frontiere”,” libere”, “creative” e “docili allo Spirito Santo”, con nel cuore la “gioia dell’evangelizzazione”. E’ l’esortazione che il Papa ha rivolto oggi alla Piccole Suore Missionarie della Carità, l’Istituto fondato da Don Orione, ricevute in udienza in coincidenza con il loro dodicesimo Capitolo generale. Un’occasione quella odierna per Francesco per ribadire cosa è richiesto ad un missionario e proporre alle religiose come esempio di servizio e missione l'icona della Visitazione. Il servizio di Gabriella Ceraso

A “nome della Chiesa” e di tanti “poveri e malati fisici e psichici, vi ringrazio per il vostro lavoro". Sono le prime parole che Francesco rivolge alle suore accogliendole nell’Aula del Concistoro, ricordando le scuole, le case per anziani, gli oratori e i piccoli Cottolengo in cui lavorano con una duplice vocazione: ”evangelizzare” e “servire”.

Siate missionarie senza frontiere con nel cuore la gioia di Cristo
Da qui il suo primo invito:

“Siate missionarie senza frontiere. A tutti, ma specialmente ai poveri, nei quali siete chiamate a riconoscere la carne di Cristo, portate la gioia del Vangelo che è Gesù stesso. A tutti mostrate la bellezza dell’amore di Dio che si manifesta nel volto misericordioso di Cristo. Con questa bellezza riempite il cuore di quanti incontrate. La vicinanza, l’incontro, il dialogo e l’accompagnamento siano il vostro metodo missionario. E non lasciatevi rubare la gioia dell’evangelizzazione”.

Missionarie con lo sguardo del Buon Pastore, che nongiudica ma è compassionevole
Missione e servizio ai poveri, prosegue il Papa, vi “aiutano a superare i rischi dell’autoreferenzialità”, vi fanno assumere” la dinamica del dono”, dell’uscire da voi stesse: discepole di Gesù, proiettate “all’incontro con il Maestro” e con la ”cultura in cui vivete”. Quindi il Papa approfondisce i lineamenti del missionario:

”Al missionario è richiesto di essere una persona audace e creativa. Non vale il comodo criterio del ‘si è fatto sempre così’... non vale. Ripensate gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi della vostra missione (cfr EG, 33). Stiamo vivendo un tempo in cui è necessario ripensare tutto alla luce di ciò che ci chiede lo Spirito. Questo esige uno sguardo speciale sui destinatari della missione e sulla realtà stessa: lo sguardo di Gesù, che è lo sguardo del Buon Pastore”.

E’ uno sguardo che “non giudica”, ma è di “vicinanza”, di “fede profonda”, di rispetto e di compassione, uno sguardo che vi “renderà”, spiega il Papa, "coraggiose e creative" alla ricerca di "strade nuove per far arrivare a tutti la Buona Notizia che è Cristo".

Il missionario è libero da comodità, accidia e mondanità
Al missionario è richiesto anche di essere una “persona libera”, "non mi stancherò mai di ripeterlo", dono le parole del Papa:

“Il missionario non può mettersi in cammino con il cuore pieno di cose (comodità), con il cuore vuoto (accidia) o in cerca di cose estranee alla gloria di Dio (mondanità). Il missionario è una persona libera da tutte queste zavorre e catene; una persona che vive senza nulla di proprio, solo per il Signore e il suo Vangelo; una persona che vive in un cammino costante di conversione personale e lavora senza sosta alla conversione pastorale”.

Missionario è anche una persona “abitata dallo Spirito Santo”, osserva il Papa, “siate anche voi”, è il suo invito, “in questo senso, docili, lasciandovi guidare, condurre sospingere dallo Spirito”.

Perfette nella misericordia annunciate il perdono del Padre
E come missionarie, aggiunge ancora Francesco, con una “spiritualità fondata totalmente su Cristo”, siate " "perfette nella misericordia":

“Il vostro carisma di serve dei poveri vi chiede di esercitare la profezia della misericordia, cioè di essere persone centrate in Dio e nei crocifissi di questo mondo. Lasciatevi provocare dal grido di aiuto di tante situazioni di dolore e di sofferenza. Come profeti della misericordia annunciate il perdono e l’abbraccio del Padre, fonte di gioia, di serenità e di pace (cfr Misericordiae Vultus, 2)”.

La famiglia di Don Orione sia unita e collaborativa
"Nessuno nella Chiesa cammina in solitaria", ricorda ancora il Papa; quindi, congedandosi, invita la famiglia di Don Orione ad essere unita e collaborativa e alle Piccole Suore Missionarie della Carità propone, come esempio di missione e servizio, “l’icona della Visitazione”: come Maria in cammino, piene di gioia, torna a chiedere il Papa, "annunciate a uomini e donne di oggi che Dio è amore e può colmare di significato il cuore di chi lo cerca e si lascia incontrare da Lui”.

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Francesco: il cristiano ha lo sguardo in Cielo e i piedi nel mondo

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Il posto del cristiano è il mondo per annunciare Gesù, ma il suo sguardo è rivolto al Cielo per essere unito a Lui: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

La Galilea, luogo del primo incontro con Gesù
Le Scritture - osserva Papa Francesco nell’omelia - ci indicano tre parole, tre luoghi di riferimento del cammino cristiano. La prima parola è la memoria. Gesù risorto dice ai discepoli di recarsi in Galilea: qui c’è stato il primo incontro con il Signore. E “ognuno di noi ha la propria Galilea”, laddove Gesù si è manifestato per la prima volta, lo abbiamo conosciuto e “abbiamo avuto questa gioia, questo entusiasmo di seguirlo”. “Per essere un buon cristiano è necessario sempre avere la memoria del primo incontro con Gesù o dei successivi incontri”. E’ “la grazia della memoria” che “nel momento della prova mi dà certezza”.

Lo sguardo al Cielo e i piedi nel mondo
Il secondo punto di riferimento è la preghiera. Quando Gesù ascende al Cielo - spiega il Papa - non si stacca da noi: “Fisicamente sì, ma è sempre collegato con noi per intercedere per noi. Fa vedere al Padre le piaghe, il prezzo che ha pagato per noi, per la nostra salvezza”. Dunque, “dobbiamo chiedere la grazia di contemplare il Cielo, la grazia della preghiera, il rapporto con Gesù nella preghiera che in questo momento ci ascolta, è con noi”:

"Poi ce n'è un terzo: il mondo. Gesù prima di andarsene – lo abbiamo sentito ieri nel Vangelo dell’Ascensione – dice ai discepoli: ‘Andate nel mondo e fate discepoli’. Andate: il posto del cristiano è il mondo per annunciare la Parola di Gesù, per dire che siamo salvati, che Lui è venuto per darci la grazia, per portarci tutti con Lui davanti al Padre”.

Memoria, preghiera e missione
Questa – ha osservato il Papa – è “la topografia dello spirito cristiano”, i tre luoghi di riferimento della nostra vita: la memoria, la preghiera, la missione, e le tre parole per il nostro cammino, Galilea, Cielo e mondo:

“Un cristiano deve muoversi in queste tre dimensioni e chiedere la grazia della memoria: ‘Che non mi dimentichi del momento che tu mi hai eletto, che non mi dimentichi dei momenti che ci siamo incontrati’, dire al Signore. Poi, pregare, guardare il Cielo perché Lui è per intercedere, lì. Lui intercede per noi. E poi andare in missione: cioè, non vuol dire che tutti devono andare all’estero; andare in missione è vivere e dare testimonianza del Vangelo, è fare sapere alla gente come è Gesù. E questo, con la testimonianza e con la Parola perché se io dico come Gesù è, come è la vita cristiana e vivo come un pagano, quello non serve. La missione non va”.

La vita cristiana è gioiosa
Se invece viviamo nella memoria, nella preghiera e in missione - conclude Francesco - la vita cristiana sarà bella e sarà anche gioiosa:

“E questa è l’ultima frase che Gesù ci dice oggi nel Vangelo: ‘Quel giorno, il giorno nel quale voi vivrete la vita cristiana così, saprete tutto e nessuno potrà togliervi la vostra gioia’. Nessuno, perché io ho la memoria dell’incontro con Gesù, ho la certezza che Gesù è in Cielo in questo momento e intercede per me, è con me, e io prego e ho il coraggio di dire, di uscire da me e dire agli altri e dare testimonianza con la mia vita che il Signore è risorto, è vivo. Memoria, preghiera, missione. Che il Signore ci dia la grazia di capire questa topografia della vita cristiana e andare avanti con gioia, con quella gioia che nessuno potrà toglierci”.

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Altre udienze

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Per le altre udienze odierne del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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La visita di Papa Francesco a Genova

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La città della Lanterna aspetta l’arrivo del Papa che domani, appena sorgerà il sole, inizierà il suo viaggio per le vie di Genova cercando il cuore di ogni fedele portando la luce di Cristo. E come sempre sarà una grande festa. Mentre si stanno ultimando i preparativi, bandiere gialle e bianche già colorano il porto delle grandi gru e i cartelloni che ritraggono il volto sorridente del Papa danno appuntamento a domani.

Una città pronta ad accogliere il Papa
In aeroporto arriverà intorno alle 8.15 e ad attenderlo ci sarà anche il sindaco Marco Doria il quale ribadisce che “Il Papa troverà una città pronta ad accoglierlo, in cui il Pontefice sarà a contatto con mondi diversi che fanno tutti parte integrante della comunità genovese”.

Una Chiesa discreta, umile, laboriosa
Il primo e atteso incontro sarà quello con il mondo del lavoro allo stabilimento dell’Ilva, poi in Cattedrale il Papa si stringerà attorno ai vescovi e ai religiosi della Regione Ecclesiastica Ligure. Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa, sottolinea che Francesco troverà “una Chiesa discreta, com’è il carattere dei genovesi e nello stesso tempo molto laboriosa, con il desiderio e l’impegno di stare vicino alla gente nelle proprie comunità, senza svolazzi particolari, senza proclami – con la discrezione del carattere genovese - e quindi operativa”.

Un bagno di responsabilità, fiducia e gioia
Alle 12.00 ci sarà l’appuntamento con i giovani al Santuario di Nostra Signora della Guardia, che veglia sulla città da oltre 500 anni. Lì pranzerà con i poveri, i rifugiati, i senza fissa dimora e i detenuti. Il Papa porterà “un bagno di responsabilità, di fiducia e di gioia - evidenzia il rettore, mons. Marco Granara - come porta Gesù quando lo prendiamo sul serio”.

La carezza di Gesù all’ospedale Gaslini
Tanto atteso anche l’incontro, nel pomeriggio, con i piccoli pazienti ed i genitori dell’ospedale pediatrico “Giannina Gaslini”. Il Papa li ha salutati mercoledì tramite l’emittente parrocchiale “Radio fra le note”: “Vengo per stare un po' vicino a voi - dice - ascoltarvi e portarvi la carezza di Gesù”. Una carezza riflessa nell’amore del parroco del Gaslini, padre Aldo, che da sempre mette "il cuore accanto al cuore” dei piccoli pazienti e delle loro famiglie. Il Papa entrerà nel reparto di rianimazione e di terapia intensiva, un po’ il nucleo dell’ospedale. "Forse - dice il presidente dell’ospedale Pietro Pongiglione - è il reparto più impattante dal punto di vista emotivo”.

L’abbraccio di Genova al Papa
Il centro della visita pastorale in città sarà nel tardo pomeriggio quando il Papa presiederà la Santa Messa nell’area della Fiera del Mare, nel Piazzale Kennedy. Tutta Genova pregherà con il Papa ed ascolterà le sue parole che aiuteranno a “guardare avanti - dice il cardinale Bagnasco - Vogliamo stringerci attorno a lui” e dirgli che “gli vogliamo bene”. Proprio come il logo scelto per la visita del Papa che raffigura il profilo della città e un grande abbraccio. (L'inviato a Genova Massimiliano Menichetti) 

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Bagnasco: il Papa a Genova incontrerà una Chiesa vicina alla gente

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Aspettiamo il successore di Pietro con gioia e gratitudine. Così il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d'Europa, che domani accoglierà il Papa in visita alla città della Lanterna. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti ha chiesto al porporato quale Chiesa incontrerà Francesco: 

R.  – Una Chiesa discreta, com’è il carattere dei genovesi e nello stesso tempo molto laboriosa, con il desiderio e l’impegno di stare vicino alla gente nelle proprie comunità, senza svolazzi particolari, senza proclami - con la discrezione del carattere genovese - e quindi operativa.

D. – Lei ha detto: mi auguro che il Papa porti una spinta alla missionarietà…

R. – Perché la missionarietà fa parte della Chiesa. La Chiesa o è missionaria o non è se stessa. Inoltre in questo anno, come conseguenza del Congresso eucaristico dell’anno scorso, è in atto una particolare iniziativa missionaria, chiamata “Missione dei giovani ai giovani”: circa un centinaio di ragazzi genovesi si sono preparati alla missione, ad annunciare il Vangelo nei diversi ambienti di vita - università, scuola, lavoro, il mondo del tempo libero, dello sport - appunto ai giovani. Quindi una missione di settore, se vogliamo dire così, che è in atto e vedremo i risultati.

D. – Il porto di Genova evoca la partenza, l’accoglienza, le gru, il lavoro. Due temi, quello dei migranti e del lavoro, molto cari alla città e anche complessi da dipanare. Come si affronta questo?

R.  – Ho vissuto vicino al porto, nei vicoli di Genova, da bambino. Il porto è il biglietto da visita di Genova: le gru, questi grandi strumenti di lavoro, tipicamente portuali sono veramente l’identità della città. Certamente c’è molta altra industria manifatturiera e servizi, il turismo che sta crescendo, però il porto è fondamentale. Il porto era in grave crisi, adesso ci sono dei segnali di superamento, di sviluppo, promettenti. C’è una grande storia di vicinanza della Chiesa genovese al mondo del lavoro perché l’associazione “Armo” - l’assistenza religiosa, morale, al mondo del lavoro - purtroppo è stata abolita ma è continuata a Genova con un piccolo nucleo di cappellani, di sacerdoti, che con puntualità, tutte le settimane vanno e sono conosciuti da tutti, a tutti i livelli. Questo ha creato un clima di fiducia, di simpatia, fra il mondo del lavoro, di qualunque appartenenza politica, ideologica, e la Chiesa genovese, tanto che con l’arcivescovo c’è un rapporto di confidenza, di fiducia e di rispettosa collaborazione.

D. – Genova ha più migranti di tutta la Liguria. E’ una delle sfide?

R. – Solo le nostre strutture ne stanno accogliendo quasi 300 e non sono soltanto accolti, quindi la prima accoglienza, ma sono soprattutto avviati ad un processo di integrazione attraverso la conoscenza della lingua, che è alla base, ma anche attraverso scuole di lavoro, avviamento, laboratori di lavoro, come la falegnameria, l’edilizia, la sartoria, l’agricoltura, sperando che questo sia un processo di vera integrazione. Il risultato finora è molto positivo.

D. – Che cosa si aspetta da questa visita del Papa e cosa gli dirà?

R. – Aspettiamo le sue parole, i gesti, ciò che vorrà dire con la sua persona. E questo ci sarà più che sufficiente per guardare avanti. Vogliamo stringerci attorno a lui. Io dirò semplicemente quello che Genova ha mostrato in questi mesi e che mostrerà e cioè che gli vogliamo bene.

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Il sindaco di Genova: città pronta ad accogliere il Papa

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Tutta la città vive in sintonia con il Papa il tema dell’accoglienza. Così il sindaco di Genova, Marco Doria, in vista della visita del Papa, domani. “Tutto è pronto, sottolinea il primo cittadini, in questa città da sempre crocevia di popoli”. Il nostro inviato a Genova Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. – Il Papa incontrerà una città pronta ad accoglierlo, in cui il Pontefice sarà a contatto con mondi diversi che fanno tutti parte integrante della nostra comunità. È un elemento simbolico molto forte che il Pontefice arrivi in una città da cui, tra Ottocento e Novecento, sono partite centinaia di migliaia di persone: italiani che andavano nel continente americano soprattutto, nel Nord e nel Sud America, a costruirsi una vita, da qualche decennio invece in questa città stanno arrivando persone da altri continenti.

D. – Per quanto riguarda il tema immigrazione il Comune è il prima linea…

R. – Non ci siamo mai tirati indietro e la nostra azione si è sempre ispirata a quei principi e a quei valori di rispetto della persona, della dignità della persona umana, sui quali sento una grandissima consonanza con le parole più volte pronunciate dal Santo Padre. Abbiamo molti richiedenti asilo e ricordo, con grande orgoglio devo dire, un recente accordo che ho avuto il piacere e l’onore di sottoscrivere con il cardinale arcivescovo Bagnasco. Un accordo con il quale il Comune di Genova mette a disposizione della Curia dei suoi immobili, in modo da creare un grande centro di accoglienza e di solidarietà.

D. – Una delle tappe del Papa è quella all’Ilva. Qui viene richiamata un po’ tutta la questione lavoro: come vanno le cose?

R. – È una realtà con luci ed ombre, perché comunque da anni ormai si sta protraendo una crisi la cui durata nessuno avrebbe potuto prevedere così lunga nel 2007-2008, quando si è manifestata per la prima volta. In generale c’è un problema di mancanza di lavoro per molti giovani. Ci sono anche però dei segnali positivi: Ansaldo Energia è una realtà produttiva che va bene; il cantiere navale va bene; la siderurgia – l’Ilva – ha vissuto anni complicatissimi a Taranto, e ovviamente per tutto il gruppo.

D. – Genova è un po’ atipica quando si parla di periferia: che vuol dire?

R. – A Genova questo tema delle periferie è particolare, perché è una città che nella sua forma attuale nasce come aggregazione a centri che avevano una loro autonomia. Le periferie quindi hanno delle caratteristiche che non sono immediatamente assimilabili alle classiche periferie urbane di “città cintura” come Milano o Torino. Ovviamente in alcuni specifici punti della nostra città il tema della periferia, inteso in senso lato, sociologico, è un tema che esiste e noi ci siamo molto impegnati per la riqualificazione delle cosiddette “periferie urbane” che sono zone di disagio sociale. Abbiamo guardato a queste aree consapevoli che i temi della cosiddetta “sicurezza” si risolvono garantendo al meglio l’inclusione sociale.

D. – Lei che cosa dirà al Papa?

R. – Sono in imbarazzo a dovergli dire qualcosa. Intanto gli darò un benvenuto caloroso in una città che lo attende! Gli manifesterò la mia totale solidarietà per questo magistero che sta portando avanti con un’enorme sensibilità. E gli dirò che il tema dell’accoglienza - che io desidero si esprima calorosa nei suoi confronti - è un po’ un simbolo e una sfida di come le nostre società e le nostre comunità debbano essere accoglienti, perché ritengo che Papa Francesco faccia davvero molto in questo mondo, perché tali siano.

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Papa: istituzioni rispettino vita. Gambino: no a cultura dello scarto

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“Il futuro delle nostre società richiede da parte di tutti, specialmente delle istituzioni, un’attenzione concreta alla vita”, così il tweet odierno di Papa Francesco che coincide con l’apertura dei lavori, a Roma, del XV Convegno nazionale di Scienza e Vita. "Rosso come l’amore, accanto alla persona malata tra scienza dedizione e normalità" è il tema della due giorni che vedrà confrontarsi scienziati, giovani ricercatori, studiosi, operatori sanitari e anche testimonial del mondo dello spettacolo riguardo al rapporto umano tra medico, paziente e familiari. Marco Guerra ne ha parlato con il direttore di Scienza e Vita, Alberto Gambino

R. - Lo spirito è quello di mettere al centro il malato, il malato che non ha solo bisogno di una cura, di una terapia, per poter guarire ma accanto a questa ha bisogno di un’attenzione, di una vicinanza, di una dedizione: quando si è malati, certamente, si vuole uscire da questo stato di malattia ma soprattutto si vuole attenzione, si vuole una particolare dedizione e anche vicinanza da parte delle persone più care. Questo è “Rosso come l’amore” e cioè è proprio l’espressione amore che fa capire qual è l’altra faccia delle esigenze del malato che non è soltanto la cura fisica ma anche una cura al proprio essere che passa attraverso l’amore, passa attraverso la dedizione, perché il malato non ha solo una sofferenza fisica ma anche psicologica e spesso anche una sofferenza interiore. E’ proprio questa rete, che potremmo chiamare di solidarietà, lo strumento più efficace per talvolta anche convivere con la malattia e per convivere anche con una piena dignità c’è bisogno dell’aiuto degli altri: da soli non ce la si fa.

D.  – Questa riflessione avviene a pochi giorni dalla discussione in Senato sul testo del fine vita, dopo il passaggio alla Camera: la vostra riflessione riguarda anche questo Ddl?

R.  – Certamente riguarda anche questo Ddl perché l’attuale disegno di legge che ora va in Senato sul fine vita, sul testamento biologico, ha una debolezza che è quella di burocratizzare il rapporto medico-paziente a tal punto di ritenere spesso prevalenti anche le dichiarazioni del paziente, ma non il paziente che è in piena consapevolezza, il paziente che attraverso un testamento biologico si immagina ora per allora di non poter sopportare certe terapie, di non poter andare in certe situazioni, ma lo dice in un momento in cui ancora non è malato. Allora, nel momento in cui si rende rigida questa dichiarazione, questa disposizione, come se fosse un diktat, si va a svilire il ruolo del medico che invece in scienza e coscienza potrebbe trovare delle soluzioni che magari sono inibite proprio da queste dichiarazioni anticipate. Quindi è un tema molto delicato perché come effetto collaterale potrebbe indurre a una sorta di abbandono dei malati al loro destino perché il medico nel deresponsabilizzarsi implicitamente non è neanche sottoposto a una responsabilità civile e penale, e invece lo sarebbe se non assecondasse fino in fondo le dichiarazioni del paziente.

D. – “Il futuro delle nostre società richiede da parte di tutti, specialmente delle istituzioni, un’attenzione concreta alla vita”. Così il tweet odierno di Papa Francesco che suona come un’esortazione alla classe politica e alla società civile…

R. – Devo dire un tweet nella pienezza del magistero di Papa Francesco che ha sempre posto l’attenzione su quella che lui ha definito la “cultura dello scarto” e lo scarto talvolta, anzi purtroppo spesso, comincia proprio nell’ambito della fragilità della vita: la vita nascente, la vita nel suo stadio terminale e ovviamente tutta la vita che c’è in mezzo quando riguarda la disabilità, quando riguarda situazioni patologiche che sono croniche e vanno avanti. Quindi l’attenzione alla vita significa attenzione alla democrazia perché alla base di ogni democrazia e alla base direi della pace c’è il rispetto della vita umana. 

D.  – Dialogare con i giovani è un altro degli obiettivi dichiarati di questo convegno: come si può arricchire la coscienza dei giovani con la cultura della vita?

R. – Questo è davvero cruciale perché la gioventù odierna, i “nativi digitali” scindono la loro vita quotidiana da una sorta di realtà virtuale che talvolta non è per niente virtuale ma è semplicemente una realtà lontana da loro, fatta purtroppo di traffico di organi, fatto di bambini che muoiono in mare, di attentati che vengono visti come lontani… Dobbiamo in tutti i modi risvegliare le coscienze dei giovani. Noi nel convegno ci proviamo anche con delle testimonianze: c’è il regista di “Braccialetti rossi”, c’è il campione della nazionale di calciatori amputati, c’è un grande tenore… Tutta una serie di personalità che hanno a che fare con la fragilità, con la sofferenza e in un modo comunicativo, al passo col XXI secolo, vogliono trasporla verso l’attenzione di più giovani.

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Oggi in Primo Piano



Nuova strage di cristiani in Egitto: almeno 28 morti

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Nuova strage di cristiani in Egitto. Almeno 28 copti che viaggiavano in autobus nel Sud del Paese sono stati uccisi da un gruppo di uomini armati che indossavano divise militari. Tra le vittime ci sono anche bambini. Una ventina i feriti, di cui alcuni in gravi condizioni. L'attacco è avvenuto a Minya. Gli assalitori hanno bloccato il bus, sono saliti a bordo e hanno iniziato a sparare mentre uno di loro filmava il massacro, ha poi raccontato un testimone. I copti si stavano recando in pellegrinaggio nel Monastero di San Samuele. L’attentato avviene a meno di due mesi da quello della Domenica delle Palme, quando i terroristi massacrarono 48 fedeli durante la Messa a Tanta e Alessandria. Mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto-cattolico emerito di Guizeh, ha lanciato ai nostri microfoni un appello ai grandi del mondo riuniti a Taormina perché fermino il traffico di armi e di droga e isolino i Paesi che appoggiano i terroristi. Su questo ennesimo massacro di cristiani in Egitto - che il nunzio al Cairo, mons. Bruno Musarò, interpellato dal Sir, definisce "vile" - ascoltiamo il padre comboniano Alberto Sanchez al Cairo al microfono di Stefano Leszczynski

R. – Veramente, è una situazione che provocherà adesso ancora più malessere nella comunità cristiana, ma anche in quella musulmana, perché comunque anche i nostri fratelli musulmani soffrono per questi avvenimenti. Per tutta la società egiziana questo ha anche una ripercussione di insicurezza e di malessere.

D. – C’era stato un grande entusiasmo, subito dopo la visita del Papa, per la possibilità di avviare un dialogo: chi compie questi gesti vuole attaccare questa strada del dialogo in maniera molto diretta?

R. – Sì, certamente. Ma non dobbiamo dimenticare che questo può capitare ovunque. Abbiamo anche appena visto, qualche giorno fa, quello che è successo a Manchester, e adesso vediamo questi attentati qui, in Egitto. Quindi, nessun Paese è fuori dal pericolo del terrorismo: il terrorismo, però, è quello che sta facendo tanto male alla società moderna, anche perché sono persone con un certo livello di ignoranza nei riguardi dell’apertura, del dialogo … Non si può dialogare con un fondamentalista!

D. – Cosa si può dire della zona dove è avvenuto questo nuovo attentato?

R. – E’ una zona con una forte presenza cristiana, dove la Chiesa lavora anche molto sul sociale: cristiani e musulmani in dialogo; quindi, è una zona fortemente integrata. Ci sono anche piccole cellule che fanno tanto male alla società.

D. – Cresce la paura, quindi, nella comunità cristiana dell’Egitto, ma anche nella società musulmana, per quelle che possono essere le ripercussioni sull’intero Paese di una situazione di tensione?

R. – Cresce la paura, cresce la tensione, cresce anche un po’ la sfiducia: il giorno prima dell’inizio del Ramadan, questo è un colpo anche per la società islamica, perché proprio un giorno prima di questa grande festività, quando si deve cercare la fratellanza, l’amore, il dialogo, la pace, proprio un giorno prima capita questo tipo di evento …

D. – Potrebbe essere utile adesso, in questo momento, una dichiarazione – ad esempio – da parte di al Azhar come centro rappresentativo dell’Islam moderato?

R. – Secondo me, devono farlo e proprio prima della festa devono chiarire questa situazione: che il fondamentalismo non è parte della religione, né del Corano. Non è parte di una religione che anche dà impulso ai valori della pace, del dialogo, dell’integrazione e dell’accettazione. Quindi, secondo me al Azhar potrebbe anche contribuire a creare questa idea di aprire la mentalità dei musulmani in tutto il mondo perché dicano: “Questo non fa parte dell’Islam. La violenza non è parte della religione”.

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G7 a Taormina. Le Ong: concretezza su migrazioni e fame

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Tra imponenti misure di sicurezza, 7000 gli uomini messi in campo, si è aperto stamattina a Taormina il G7 a presidenza italiana. Dopo la cerimonia inaugurale e la prima foto di famiglia alle 11.30 al Teatro Greco, i leader hanno dato il via al confronto politico. In agenda: terrorismo, clima, commercio, immigrazione. "Al G7 chiediamo risultati, sappiamo che non sarà un confronto semplice”, ha detto il premier Paolo Gentiloni. "Non c'è dubbio che è il più difficile dei G7”, ha ribadito Donald Tusk, presidente del Consiglio Ue. Numerosi gli appelli delle associazioni umanitarie perché il Vertice prenda decisioni concrete. Al microfono di Adriana Masotti, Marco De Ponte, portavoce di Agire, rete che raccoglie nove Ong: 

R. - E' molto facile dire che i vertici internazionali sono solo strette di mano e non servono a niente, però in realtà quando funzionano si prendono degli impegni, si allocano risorse. In particolare sulla questione del diritto al cibo, ad esempio, il G8 che si tenne all’Aquila, otto anni fa, allocò 22,5 miliardi di dollari e quindi ci furono conseguenze positive per la lotta alla fame, ma il lavoro è ancora enorme. Quindi esiste una fortissima preoccupazione che si guardi la punta dei piedi piuttosto che l’orizzonte. Quindi noi diciamo “No: questo vertice è un’opportunità che non va mancata”. Purtroppo sappiamo che i leader entrano al Vertice senza un accordo, anzi sappiamo che questa dichiarazione finale di domani potrebbe essere regressiva rispetto agli accordi già presi per esempio in sede di Nazioni Unite. Quindi facciamo un appello accorato al fatto che non è il caso di tornare indietro per rispondere magari agli istinti che tendono a chiudere i Paesi occidentali rispetto al resto del mondo; invece, bisogna continuare sulla strada degli investimenti. In particolare siamo preoccupati per la crisi alimentare in Africa Orientale.

D. - A creare scetticismo, forse, è la constatazione di differenze tra le impostazioni politiche dei vari leader. Pensiamo a Stati Uniti e Unione Europea, ad esempio …

R. - Senz’altro. Non c’è solo timore, purtroppo c’è una constatazione dello stato dei negoziati sino a questa mattina. Sappiamo che la divisione è forte. Noi riteniamo comunque - siccome il G7 funziona con una dichiarazione finale del presidente di turno - che l’Italia debba fare la propria parte ed eventualmente anche esporre quelle che sono le differenze prendendo però degli impegni in prima persona. Sul tema dell’immigrazione, per esempio, noi sottolineiamo una volta di più il fatto che ciò che preoccupa le opinioni pubbliche occidentali in realtà riguarda 200mila persone, ma le migrazioni nel mondo riguardano 65 milioni di persone! Sfide enormi che Paesi con molte meno risorse affrontano come se fosse normalità. C’è una questione molto importante sull’Agenda del G7: la parità di genere. Ricordiamo per esempio che le donne in tutto il mondo posseggono solo l’uno percento delle terre coltivabili legalmente; sappiamo che la parità di genere è una questione di giustizia, ma anche di ritorno economico. Insomma, sono tante le questioni sul tappeto. Se non c’è accordo tra questi sette leader del mondo occidentale, poi nei prossimi anni diventerà molto più difficile trovare accordi anche più ampi per esempio con la Russia, con la Cina su questioni come quella del clima.

D. - Come a ogni G7 anche a Taormina si svolgerà il controvertice, promosso dai movimenti “No G7”. Qual è la sua importanza secondo lei?

R. - Certo, ci sono anche coloro che ritengono che il G7 non abbia una legittimità perché è un gruppo di Paesi che si radunano senza un processo democratico dietro, quindi con interessi che riguardano solo loro. Però sicuramente Action Aid e le altre organizzazioni di Agire non si schierano contro il G7: schierarsi contro una riunione non ha alcun senso; ciò che ha senso è pretendere che questa riunione di Stati faccia veramente la sua parte, che non ci si fermi ai sorrisi o alle strette di mano, ai tacchi più meno a spillo delle signore … Qui si parla di cose serie! Il Vertice deve avere dei frutti tangibili, devono esserci degli accordi sui temi che abbiamo trattato prima. Non si tratta di essere pro o contro: si tratta di far funzionare le cose nell’interesse del Pianeta.

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Filippine: islamisti ancora a Marawi, popolazione in fuga

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È ancora critica nelle Filippine la situazione a Marawi, sull'isola di Mindanao, da martedì nelle mani del gruppo islamista Maute, che ha giurato fedeltà al sedicente Stato islamico: molti dei 200 mila abitanti sono fuggiti verso la vicina Iligan. Scontri, con un bilancio di una quarantina di vittime, si sono registrati nelle ultime ore tra miliziani e forze del governo di Manila. Il presidente Rodrigo Duterte ha imposto la legge marziale. Secondo i militari, il leader del gruppo islamico sarebbe ancora nascosto in città. Sulla situazione a Marawi, Giada Aquilino ha intervistato Paolo Affatato, responsabile della redazione asiatica dell’agenzia Fides: 

R. – Si combatte anche in modo molto violento, la città è stata occupata da oltre 500 terroristi che hanno messo in fuga gli abitanti. La maggior parte della popolazione è stata evacuata, ma è vero anche che diverse famiglie sono rimaste intrappolate, chiuse nelle loro case. E dopo questa azione, l’esercito filippino è giunto in forze e si è stanziato alle porte della città per poterla liberare. Sta combattendo una guerriglia porta a porta, casa per casa, contro i cecchini in diverse zone di Marawi.

D. - C’è quindi anche un’emergenza umanitaria in corso…

R. - Le famiglie evacuate dall’esercito sono adesso sistemate alla meglio nei villaggi vicini oppure nei campi profughi allestiti in modo improvvisato; ci sono anche associazioni della società civile che si stanno occupando di questi profughi, di queste famiglie spaventate. Sappiamo che Marawi ha una popolazione di circa 200 mila abitanti, a maggioranza musulmana ma anche con una componente cristiana.

D. - Come la comunità cristiana sta affrontando l’emergenza?

R. - La comunità è rimasta sorpresa e scioccata da questo attacco anche perché è stata toccata direttamente. I militanti hanno preso di mira anche la cattedrale e l’episcopio, hanno fatto irruzione nella cattedrale e hanno rapito un sacerdote. Si tratta di padre Teresito Sugano, il vicario della prelatura territoriale. Con lui, sequestrati anche 15 laici che erano in chiesa, nella festa della nunziatura intitolata a Maria aiuto dei cristiani. Sono tuttora ostaggi nelle mani dei terroristi e c’è grande preoccupazione per la loro sorte, anche perché attualmente sono in corso combattimenti e non ci sono negoziati. Quindi la situazione è davvero precaria.

D. – Chi sono gli islamisti del gruppo Maute?

R. – E’ un piccolo gruppo che si è staccato dal più noto gruppo di Abu Sayyaf, islamisti presenti nel sud delle Filippine da alcuni decenni. Fanno parte di quella ribellione islamica che da più di 30 anni agita questa zona. E’ un’area dove vive una consistente minoranza musulmana - sappiamo che sono oltre 5 milioni di persone - che ha avuto storicamente un desiderio di autonomia, di indipendenza, e che ha anche trattato con il governo di Manila: si sono formati negli anni alcuni gruppi guerriglieri, che poi sono scesi a patti. Parte di questi gruppi, di queste ribellioni, ha scelto una strada più violenta e sono nate diverse fazioni negli ultimi anni. Una di queste è il gruppo Maute, che ha trovato l’etichetta, il brand dello Stato islamico. E’ stato facile per i miliziani del Maute giurare fedeltà all’Is: ci sono molti tentativi di fare propaganda da parte dello Stato islamico, che sta guardando al sudest asiatico come un’area fertile per poter continuare i suoi disegni di violenza e di terrorismo.

D. - Cosa comporta sul terreno l’imposizione della legge marziale voluta da Duterte?

R. – Duterte ha paventato di poterla estendere non solo all’isola di Mindanao ma a tutta la nazione. Sarebbe un provvedimento molto grave. Possiamo dire che la maggior parte degli osservatori e dei filippini spera che questo non accada. Vediamo anche quello che sta accadendo a Manila, nella parte nord dell’arcipelago, con la nota campagna antidroga lanciata dal presidente filippino, che ha causato oltre 8 mila morti: ha già suscitato timori e preoccupazioni nella società civile filippina ma anche nella comunità internazionale.

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Tragedie del mare. Centro Astalli: Europa risolva dramma migranti

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Il tema dell’immigrazione torna in questi giorni drammaticamente in evidenza con i recenti naufragi in Mediterraneo. Decine le vittime, centinaia i migranti tratti in salvo. Ancora una volta l’Europa, alle prese anche con il problema della sicurezza e della lotta al terrorismo, è chiamata ad operare delle scelte risolutive. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Donatella Parisi, responsabile comunicazione del Centro Astalli: 

R. – Quello che noi chiediamo all’Europa, alle istituzioni nazionali e sovrannazionali è di creare alternative legali e sicure all’attraversata del Mediterraneo, che oggi è esclusivo monopolio dei trafficanti. Ci sarebbero delle possibilità alternative e praticabili, che eviterebbero la morte di migliaia di innocenti. Esortiamo Bruxelles a non rimanere indifferente, di attivarsi creando politiche di accoglienza e integrazione, che giovino sia alle persone, che scappano da guerra e persecuzione e che hanno diritto ad arrivare in Europa, sia agli europei stessi.

D. – C’è quindi il problema drammatico di salvare vite in mare; e poi, c’è il dopo: l’accoglienza e l’inserimento – per chi ne ha diritto – in Europa …

R. – Sì, certo: sono due problemi diversi e collegati. Per quanto riguarda il salvataggio in mare, servono alternative: il salvataggio dev’essere l’emergenza, dev’essere la soluzione che si mette in atto in un caso straordinario; non può diventare la regola. I migranti devono potere avere una via legale per entrare in Europa. Una volta arrivati in Europa, ci si deve far carico dell’accoglienza e dell’integrazione di queste persone e se ne deve far carico l’Europa intera: l’Unione Europea deve avere un progetto comune su questo. Oggi Italia e Grecia sono le azioni dell’Unione Europea, che sopportano il peso maggiore di questo flusso migratorio, che, se fosse equamente distribuito, non sarebbe un peso per nessuno. Tutti gli Stati possono e devono fare la loro parte: questo allenterebbe moltissimo la pressione e il fenomeno diventerebbe quindi non più un’emergenza, ma un tema gestibile e che può essere trasformato in risorsa in termini demografici e occupazionali, di crescita di tutta l’Unione Europea.

D. – Un altro tema che sta venendo in luce in questi giorni è quello di aiutare le persone con progetti di sviluppo nei Paesi di provenienza …

R. – La cooperazione allo sviluppo è una chiave fondamentale per costruire processi di pace e di vita sostenibile in Paesi in cui queste condizioni non ci sono. Pensiamo, appunto, all’Africa e a grandi aree dell’Asia. Ovviamente, siamo favorevoli a progetti di cooperazione allo sviluppo, soprattutto da parte di un Paese come l’Italia, che ha una tradizione lunga e forte. Quello che ci preoccupa è che la cooperazione allo sviluppo non diventi contenimento dell’immigrazione in cambio di sostegno alle economie emergenti: questo rappresenterebbe un errore in termini politici, perché purtroppo i dati ci dicono che la mobilità umana di fatto non può essere mai completamente contenuta e che la cooperazione allo sviluppo richiede una collaborazione fattiva da tutte le parti e deve avere come obiettivo lo sviluppo della società civile come priorità assoluta.

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Al Policlinico Gemelli incontro sulla medicina personalizzata

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Sono oltre 850 i ricercatori impegnati ogni giorno nella Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma per individuare cure e terapie su misura del singolo paziente. E’ dedicata proprio alla Medicina personalizzata la VI giornata per la Ricerca promossa dell’Università Cattolica, che è stata celebrata ieri con un convegno al Policlinico Agostino Gemelli. Il servizio di Marina Tomarro

Una medicina creata a misura di paziente che vuole ridurre gli effetti collaterali della terapia e aumentarne l’efficacia positiva. E’ la medicina personalizzata a cui è stata dedicata la Giornata per la ricerca. Ascoltiamo Rocco Bellantone, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica:

R. – Pensare alla persona più che alla sua malattia. Lo ha ricordato il Papa qualche tempo fa, quando ci ha detto che pensavamo troppo alle malattie e poco alle persone che soffrivano ... e ha ragione. Ed è quello che ormai sta venendo fuori nella ricerca mondiale in cui con la scoperta del genoma è ormai chiaro che ci si deve dedicare alla persona e non alla sua malattia perché ogni malattia è diversa a seconda della persona che colpisce. E’ ovvio, poi, a quel punto, un approccio diagnostico e terapeutico che ormai non può più prevedere un unico specialista ma tutto un team che lavora assieme per affrontare quella persona che soffre, non quella malattia.

E forte è l’impegno del Policlinico Gemelli, nei confronti della ricerca biomedica, con oltre 320 progetti di ricerca no profit e 175 sperimentazioni cliniche con l’obiettivo di migliorare i percorsi terapeutici per patologie come tumori, malattie cardiovascolari, e diabete. Ascoltiamo ancora Rocco Bellantone:

R.  – Quando io mi sono laureato, ammalarsi per un linfoma, avere una leucemia, voleva dire avere una condanna a morte. Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, queste malattie si curano e quelli che adesso sono i farmaci più efficaci sono i farmaci biologici personalizzati, che non solo curano meglio ma non danno tutti gli effetti collaterali e le complicanze che davano le chemioterapie con farmaci antiblastici.

Ma l’assistenza sanitaria deve essere non solo un bene garantito a tutti, ma soprattutto in grado di rispondere alle esigenze dei pazienti come ha spiegato il premio Nobel per l’Economia Amartya Sen:

R - La domanda che ci dobbiamo porre è non se è possibile realizzare l’assistenza sanitaria universale, perché  quella è possibile ovunque, pensiamo alla Cina o alla Thailandia, ma la cosa importante è sapere a che livello possiamo garantirla, cioè quanto può essere moderna, informata, efficiente e sensibile alle esigenze dei pazienti. E naturalmente può essere sempre perfezionata ma dobbiamo individuare bene, ciò che può essere reso  davvero migliore e non peggio.

E l’accesso al sistema sanitario, diventa anche la base dell’uguaglianza civile. Ascoltiamo ancora Amartya Sen:

R - Io credo questo, perché la salute è l’aspetto prioritario e centrale della vita umana. E non ci sono mai state più disuguaglianze nella storia quanto quello dell’accesso alle cure sanitarie. Poi se perfezioniamo questo accesso, diventa superiore anche la qualità della forza lavoro e questo fa crescere anche l’economia più di ogni altro fattore. Quindi occorre una sanità universale, garantita a tutti come anche un’istruzione garantita, perché dobbiamo riconoscere i diritti basilari di tutti gli esseri umani a tutto il mondo.

Alla base della medicina personalizzata c’è  la tutela della dignità della persona, come spiega mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione:

R. – Dobbiamo dire che più la ricerca avanza e più riesce anche a trovare la verità sulle singole persone e più si arriva anche all’efficacia della cura. Non dimentichiamo che tante volte noi diciamo – quando prendiamo dei farmaci – che mettiamo cose che non conosciamo in un corpo che conosciamo ancora di meno. Bene: più la ricerca scientifica arriva a conoscere il mistero che noi rappresentiamo, e più compiamo quella relazione di bene e di bontà di cui ognuno ha bisogno.

D. – Ricerca, etica e fede: questi tre termini, come si coniugano?

R. – Si coniugano in una complementarietà. La fede sostiene la ricerca, la promuove, la desidera perché la fede è sempre in relazione con il bene della persona, e quindi è inevitabile che la ricerca, la scienza nel momento in cui corrispondono con coerenza alla loro stessa natura, spingano a identificare anche quella domanda di senso a cui poi la fede è chiamata a dare risposta.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 146

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.