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Sommario del 27/05/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco all'Ilva di Genova: il lavoro è una priorità umana

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Il Papa è a Genova e tanta è l’emozione nella città della Lanterna. Il grande faro che domina la città oggi sembra risplendere per indicare la via con la forza della fede e la luce di Cristo portata da Francesco. Il Papa è atterrato all’aeroporto della città intorno alle 8.15 ed è stato accolto dal card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e dalle autorità civili, il presidente della Regione Liguria, da Giovanni Toti, il Prefetto Fiamma Spena, il sindaco, Marco Doria e dal direttore dello scalo, Paolo Sirigu.

Bagnasco: crisi del mondo del lavoro
Il porporato, dopo aver ringraziato il Papa, ha ribadito quanto la Chiesa sia attiva e vicina al mondo del lavoro genovese sin dal 1943, “tanto che pubbliche autorità conferirono al Cardinale Arcivescovo, Pietro Boetto, il titolo di Defensor Civitatis”. Ha parlato della crisi del mondo del lavoro e ricordato che la prima tappa di questo pellegrinaggio all’Ilva è “emblematica” di questo contesto.

Il Lavoro è un priorità umana
“Il lavoro è una priorità umana e pertanto, è una priorità cristiana, una priorità nostra”. Lo ha scandito subito il Papa nel suo discorso sotto il gigantesco capannone dell’Ilva dove è stato allestito un piccolo palco. Si è detto commosso nel vedere il porto da cui partì migrante il padre.

3500 lavoratori abbracciano il Papa
La prima tappa del viaggio di Francesco è con 3500 lavoratori dell’Ilva assiepati dietro le transenne che hanno cercato un suo sguardo, tra gli applausi, gli hanno stretto le mani, confidato pensieri ed affidato messaggi. Ferdinando da imprenditore, Micaela come sindacalista, Sergio impegnato in un cammino di formazione promosso dai cappellani, e Vittoria come disoccupata, hanno confidato al Papa paure e difficoltà e chi hanno chiesto a nome di tutti chiarezza e vicinanza.

Il Papa d’acciaio
Il "Papa d’acciaio”, come lo chiamano qui, ha risposto - più volte interrotto dagli applausi - sapendo che ad ascoltarlo c’erano i 13mila lavoratori dell’intero gruppo Ilva, i 40mila dell’indotto e più in generale tutto il mondo del lavoro. Ha parlato dell’importanza della figura dell’imprenditore “fondamentale di ogni buona economia”.

L'imprenditore non "venda" la sua gente
“Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. “Nessun buon imprenditore - ha aggiunto - ama licenziare la sua gente”, perché “chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore: è un commerciante. Oggi vende la sua gente, domani … vende la dignità propria”. Centrale è poi "riconoscere le virtù dei lavoratori e delle lavoratrici”.

L’economia senza volti della speculazione
Ha parlato poi di un'economia “astratta”, senza “volti” che specula solamente, da "temere", che è incapace di amare aziende e uomini, incapace di costruire. “A volte il sistema politico - ha proseguito - sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro”. Francesco ha puntato il dito contro “regolamenti e leggi pensati per i disonesti” che “finiscono per penalizzare gli onesti”.

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro
Ha ha citato il primo articolo della Costituzione, “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, e il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per ribadire che la dignità è fondata nel lavoro e non nel mero guadagno. Ha lanciato quindi il monito a stare attenti agli speculatori e alle leggi che li favoriscono, perché “alla fine lasciano la gente senza lavoro”.

Il ricatto sociale
Ha condannato quello che ha definito il “ricatto sociale”, ovvero il lavoro fatto di orari massacranti, malpagati, il lavoro nero. “Lavorando - ha detto - noi diventiamo più persona”. Per il Papa gli “uomini e le donne si nutrono del lavoro: con il lavoro sono unti da dignità. Per questa ragione, attorno al lavoro si edifica l’intero Patto sociale”.  

Senza lavoro non c’è dignità
Ha invocato ancora una volta il “lavoro per tutti”, senza il quale ha affermato “non c’è dignità”, ha rifiutato la logica di uno Stato che manda in pensione senza preoccuparsi della sopravvivenza di chi ha faticato per una vita, poi ha guardato ai giovani ribadendo che “un assegno statale, mensile, che ti faccia portare avanti una famiglia non risolve il problema. Il problema va risolto con il lavoro per tutti”.

Meritocrazia legittima diseguaglianza
“L’impresa è prima di tutto cooperazione, mutua assistenza, reciprocità” – ha continuato – condannando le logiche competitive e i criteri cosiddetti “meritocratici” che strumentalizzando i doni di ognuno favoriscono una “legittimazione etica della diseguaglianza”. La meritocrazia per il Papa comporta un cambiamento della cultura della povertà, dove il povero è considerato “un demeritevole e quindi un colpevole”. E se la povertà è colpa del povero – ha affermato - i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa”.

Lavoro schiavistico se toglie il tempo libero
Poi è tornato a condannare il traffico illegale di armi, la pornografia, i giochi di azzardo, ma anche tutti quei lavori che non lasciano tempo per vivere: “Gli schiavi non hanno tempo libero - ha detto - senza il tempo della festa, il lavoro torna lavoro schiavistico, anche se superpagato. Poi è tornato ha dire che “nelle famiglie in cui manca il lavoro del lunedì, non è mai pienamente domenica”.

L’idolo del consumismo
Francesco ha anche messo in guardia dal  “consumo” che è “idolo del nostro tempo”. Un consumo che promette anche attraverso i “grandi negozi, aperti 24 ore al giorno, la salvezza, la vita eterna”. Ricordando invece che il valore del lavoro che è frutto di fatica, non è finalizzato al mero consumo, ma è “il centro di ogni patto sociale” che regge anche la democrazia e non un mero "mezzo per poter consumare”. 

 

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Il Papa alla Chiesa ligure: siate “uomini di incontro” con Dio e la gente

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“Senza rapporti con Dio e con il prossimo niente ha senso nella vita di un prete”. E’ il richiamo che Papa Francesco ha rivolto nel suo lungo dialogo con i vescovi e i membri del clero della Liguria, avvenuto nella Cattedrale di San Lorenzo. Il Pontefice ha messo l’accento sulla centralità della testimonianza nella vita dei consacrati, rifuggendo mondanità, carrierismo e mormorazioni. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un lungo appassionato dialogo con il clero ligure. Papa Francesco si è confrontato a tutto campo con sacerdoti e religiose della Liguria, rispondendo diffusamente alle quattro domande che gli sono state rivolte nella cattedrale di San Lorenzo gremita di consacrati. Il Papa ha innanzitutto messo l’accento sullo stile di Gesù per vivere un’intensa vita spirituale. Gesù, ha osservato il Papa, era sempre con la gente di giorno, mentre la sera era sempre in preghiera, “per essere con il Padre”. Di qui, Francesco ha messo in guardia dal diventare “un prete statico” impegnato solo perché tutto sia risolto, “tutto in ordine”, con gli orari a posto. “Una vita così strutturata – ha avvertito – non è una vita cristiana”.

Sacerdoti siano uomini di incontro con Dio e con il prossimo
Il parroco, ha soggiunto, non può avere “uno stile di imprenditore”. Stare con la gente, stare con il Padre. Questo, ha ribadito, è quello che ci insegna Gesù: “tutto si deve vivere in questa chiave dell’incontro":

“Dovete, voi sacerdoti, esaminarvi su questo: sono un uomo di incontro? Sono uomo di tabernacolo? Sono uomo di strada? Sono uomo di orecchio, che sa ascoltare? O quando incominciano a dirmi le cose, io: ‘Sì, sì questo è così, così e così…’. Mi lascio stancare dalla gente? Questo era Gesù. Non ci sono formule; non ci sono formule di quelle, altre formule. Gesù aveva una chiara coscienza che la sua vita era per gli altri: per il Padre e per la gente, non per sé stesso. Si dava, si dava: si dava alla gente, si dava al Padre nella preghiera. E la sua vita anche l’ha vissuta in chiave di missione: io sono inviato dal Padre per dire queste cose”.

Ecco perché, ha detto ancora, bisogna lasciarsi “guardare dal Signore” quando siamo davanti al Tabernacolo, senza pregare “come un pappagallo” perché così si perde solo tempo. “Senza rapporti con Dio e con il prossimo – ha sottolineato – niente ha senso nella vita di un prete”. Forse, ha constatato amaramente il Papa, si farà “carriera”, ma il cuore rimarrà “vuoto”.

Attenti alle mormorazioni: distruggono la fratellanza sacerdotale
Rispondendo alla seconda domanda, Francesco ha così rivolto il pensiero al tema della “fraternità”, una parola – ha osservato con una battuta – che “non si quota nella borsa dei valori”. Il Papa ha messo l’accento sul rischio dell’ “autosufficienza”, di essere “un prete google o wikipedia” che pretende cioè di sapere tutti. Ha così evidenziato che le mormorazioni e le chiacchiere, che “spellano” il fratello, sono le peggiori minacce alla fraternità in un presbiterio e a volte arrivano fino a infangare candidati all’episcopato:

Il nemico grande e contro la fratellanza sacerdotale è questo: la mormorazione per invidia, per gelosie o perché non mi cade bene o così … O perché la pensa in un’altra maniera, e dunque è più importante l’ideologia che la fratellanza; anche più importante l’ideologia che la dottrina: ma dove siamo arrivati? Pensate. E’ vero che la mormorazione o il giudicare male i fratelli è un ‘male di clausura’, come si chiama: quanto più siamo chiusi nei nostri interessi, tanto più critichiamo gli altri. E mai avere la voglia di avere l’ultima parola: l’ultima parola sarà quella che viene fuori da sola o la dirà il vescovo, ma io dico la mia e ascolto quella degli altri”.

Il Papa non ha quindi mancato di consigliare i formatori dei seminaristi di allontanare quanti chiacchierano, perché se non si correggono rappresentano “un’ipoteca sulla fratellanza presbiteriale”.

Consacrati siano disponibili ad andare dove c’è più bisogno
Papa Francesco si è quindi soffermato sul binomio diocesanità-disponibilità. Tutti, ha detto, siamo “inseriti nella diocesi” e questo “ci salva dall’astrazione, dal nominalismo, da una fede” che “vola nell’aria”. Di qui, ha rivolto l’attenzione al carisma delle Congregazioni che, ha detto, “sono un regalo per la Chiesa”. Al tempo stesso, ha però commentato, bisogna vedere sempre il carisma “incarnato in posti concreti”, per “amare la gente concreta”. Una concretezza che chiede anche “disponibilità”:

“Una disponibilità ad andare dove c’è più rischio, dove c’è più bisogno, dove c’è più necessità. Non per curare se stessi: per andare a donare il carisma e inserirsi dove c’è più necessità. La parola che uso spesso è periferie, ma io dico tutte le periferie, non solo quelle della povertà: tutte. Anche quelle del pensiero: tutte. Inserirsi in quello. E queste periferie sono il riflesso dei posti dove è nato il carisma primordiale. E quando dico disponibilità, anche dico revisione delle opere”.

Di qui l’incoraggiamento del Papa ad essere disponibili “ad andare oltre” a domandarsi se il proprio carisma sia necessario in una diocesi o bisogna lasciarla per andare in un’altra con disponibilità e “senza avere paura dei rischi”.

Infine, Francesco ha affrontato il tema delle crisi vocazionali. Innanzitutto, ha detto, c’è una crisi che tocca tutta la Chiesa, “tutte le vocazioni”, anche il matrimonio. Tuttavia, ha aggiunto, bisogna domandare al Signore cosa fare, cosa cambiare: “Imparare dai problemi” e “cercare una risposta”. Né ha mancato dal mettere in guardia da fenomeni gravi come “la tratta delle novizie”, “uno scandalo”.

E’ la testimonianza che attira le vocazioni, serve conversione missionaria
Per far crescere le vocazioni, ha quindi osservato, bisogna soprattutto puntare sulla “testimonianza”, “testimonianza di gioia, anche nel modo di vivere”. Testimoniare per la scelta che Gesù ha fatto. D’altro canto, ha avvertito, la mondanità, la contro-testimonianza provocano “certe crisi vocazionali”:

Ci vuole una conversione pastorale, una conversione missionaria. Vi invito a voi, a prendere quei passi dell’Evangelii gaudium che parlano di questo, sulla necessaria conversione missionaria, e questa è una testimonianza che attira vocazioni. Poi, le vocazioni ci sono, Dio le dà. Ma se tu – prete o consacrato o suora – sei sempre occupato, non hai tempo di ascoltare i giovani che vengono, che non vengono … ‘Sì, si: domani …’. Perché? I giovani sono noiosi, eh? E sempre vengono con lo stesso … Se tu non hai tempo, vai a cercare un altro che lo ascolti. Ascoltarli. E poi, i giovani sempre in movimento: metterli in una strada missionaria”.

“La testimonianza – ha detto – questa è la chiave” per vincere le crisi vocazionali. Una testimonianza che non ha bisogno di parole, ma che attraverso l’amore sappia attrarre la gente.

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Papa ai giovani: andate a 'missionare', non escludete mai nessuno

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La missione cambia lo sguardo di ognuno di noi, perché ci coinvolge in prima persona con chi soffre ed è nel dolore, scoprendo così il volto del Signore. Così il Papa al termine della mattinata nell’incontro, al Santuario della Madonna della Guardia, con i giovani della missione diocesana. Il Pontefice, parlando sempre a braccio, ha pure salutato i detenuti del carcere di Genova, che hanno seguito l’evento in collegamento televisivo. Il servizio di Giada Aquilino

Vivere in missione, testardi nella speranza, con amore e coraggio, guardando la sofferenza e il dolore degli altri perché “Gesù è in ognuno di noi”. Questa l’esortazione di Papa Francesco ai giovani di Genova e delle altre diocesi liguri, nel Santuario della Madonna della Guardia, dove i ragazzi gli parlano della loro missione, quella dei giovani ai giovani, dal titolo “gioia piena”, nata dopo il Congresso eucaristico nazionale ospitato, come ricorda nel saluto il cardinale Angelo Bagnasco, l’anno scorso proprio a Genova. Si susseguono le domande, a partire da Chiara che saluta a suo modo il Pontefice:

“Che bello, Santità, averla qui”.

La ragazza chiede un consiglio su come essere missionari verso i coetanei, specialmente quelli che sono vittime della droga, dell'alcool, della violenza, dell'inganno del maligno. Il Papa invita a provare la vera gioia che “nasce dal cuore”: andare in missione, dice usando il termine “missionare”, significa “lasciarsi trasformare dal Signore” e guardare con occhi nuovi, non turistici:

“E’ una tentazione, per i giovani, essere turisti; ma non dico fare una passeggiata là o dall’altra parte: quello è bello! No: guardare la vita con occhi di turisti, cioè superficialmente, e registrare fotografie per guardarle più avanti. Questo vuol dire che io non tocco la realtà, non guardo le cose che succedono. Non guardo le cose come sono. La prima cosa che io risponderei, per vostra trasformazione, lasciare questo atteggiamento di turisti per diventare giovani con un impegno serio con la vita”.

È la missione che ci purifica, aggiunge:

“La missione ci coinvolge tutti, come popolo di Dio, ci trasforma: ci cambia lo sguardo, ci cambia il modo di andare per la vita, da turista a coinvolgersi, e ci toglie dalla testa quell’idea che ci sono gruppi, che ci sono nella Chiesa i puri e gli impuri: tutti siamo figli di Dio. Tutti peccatori e tutti con lo Spirito Santo dentro che ha la capacità di farci santi”.

Mai escludere, mai isolare, mai ignorare e anche mai aggettivare chi ci è accanto: la nostra società, spiega, tende a disprezzare l’altro, ma solo Dio può dare giudizi. Invita quindi a farsi prossimo, toccare con mano, il dolore degli ultimi:

“Amare è avere la capacità di stringere la mano sporca e la capacità di guardare gli occhi di quelli che sono in situazione di degrado e dire: ‘Per me, tu sei Gesù’”.

Questa, sottolinea, è la “pazzia” della fede, della Croce di Cristo, dell’annuncio del Vangelo. Esorta i giovani ad avere il coraggio dei navigatori liguri e a cercare la verità, stando attenti “a quello che ci vendono”, anche nei media: serve - prosegue - la capacità di guardare l'orizzonte, al di là dei “venditori di fumo”. Infine il pensiero, ancora una volta, ai migranti:

“E’ normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? E’ normale che tanti, tanti Paesi – e non lo dico dell’Italia, perché l’Italia è tanto generosa – chiudano le porte a questa gente che viene piagata e fugge dalla fame, dalla guerra, e questa è gente sfruttata e questa gente viene a cercare un po’ di sicurezza? E’ normale? Se non è normale, io devo coinvolgermi perché questo non succeda”.

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Il pranzo del Papa con profughi e senzatetto

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Dopo l’incontro con i giovani presso il Santuario della Madonna della Guardia, il Papa ha pranzato con 120 persone: tra di loro poveri, rifugiati, senza fissa dimora e detenuti. Ognuno con una storia difficile fatta di violenza ma anche di riscatto grazie alla fede come nel caso di Giovanni, uno slovacco che da anni dorme in strada. La nostra inviata a Genova Antonella Palermo ha raccolto la sua emozione per questo pranzo: 

R. - Ci fa molto piacere, molta emozione. E ringraziamo specialmente la Comunità di Sant’Egidio per questa opportunità che ci ha dato perché mai avremmo pensato di essere vicini al Papa e di mangiare con lui.

D. – Quando avete incontrato Sant’Egidio?

R. – Nel 2013 o 2014. Stavamo dormendo per strada e ci hanno portato un panino. Poi abbiamo raccontato loro quanto ci è successo. In pratica ci hanno quasi ammazzato per strada: ci sono quattro persone che ora sono in carcere. Stavamo dormendo dentro una tenda, io, mia moglie, suo fratello e sua cognata, sono venute quattro persone con le spranghe e ci hanno quasi ammazzato.

D. – Voi che rapporto avete con la fede?

R. – Ci ha salvato la vita. Noi siamo ancora sempre per la strada, anche dopo quello che ci è successo ma devi chiedere sempre a Dio: “Proteggici da queste persone cattive”.

Al pranzo con il Papa anche Fadil, un profugo camerunense di fede islamica, fuggito dalla violenza di Boko Aram. A Genova ha ritrovato la serenità dopo un lungo viaggio in mare nel quale almeno 50 persone hanno perso la vita. L’intervista è dell’inviata Antonella Palermo

R. – Sono partito dal Camerun il 12 febbraio 2014. Ho impiegato due anni ad arrivare in Italia: sono passato per il Ciad; dopo sono arrivato in Libia e da lì in Sicilia. Sono arrivato a Genova tre giorni dopo con un pullman. Sono fuggito dal mio Paese perché gli estremisti di Boko Haram hanno ucciso i miei genitori e mio fratello per strada. Ho ricevuto tantissime minacce e violenze anche in prigione. Quando sono arrivato in Sicilia posso dire che ho trovato delle persone molto affettuose.

D. – Chi ti ha fatto fare questo attraversamento di mare?

R. – Siamo arrivati con una barca: eravamo 150 ragazzi. Più di 50 sono morti in mare.

D. – Che effetto ti fa l’idea di incontrare il Papa?

R. – Il Papa per me è una personalità grandiosa: è come un simbolo. Quando ho appreso che avrei pranzato con il Papa, per me è stato come un sogno diventato realtà. Quindi sono molto contento e felice.

D. – Quindi tu ti senti accolto qui…

R. – Sì, perché ho trovato una nuova famiglia e sono molto felice. Ne approfitto per ringraziare il popolo italiano: li ringrazio molto.

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Il Papa: preghiamo per i copti, uccisi per non aver rinnegato la fede

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Uccisi per difendere la loro fede. Sono morti per questo i copti trucidati ieri in Egitto e Francesco ha espresso il suo dolore nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova. L’attentato, rivendicato oggi dal sedicente Stato islamico, ha causato 29 vittime, a loro e ai feriti, il Papa ha dedicato una preghiera. Ascoltiamolo nel servizio di Francesca Sabatinelli

"Fratelli e sorelle, vi invito a pregare insieme per i nostri fratelli copti egiziani che sono stati uccisi perché non volevano rinnegare la fede. Insieme a loro, ai loro vescovi, a mio fratello Tawadros, vi invito a pregare insieme in silenzio e poi un’Ave Maria. E non dimentichiamo che oggi i martiri cristiani sono più dei tempi antichi, dei primi tempi della Chiesa. Sono di più".

Le parole di dolore del Papa seguono la forte condanna espressa ieri da Francesco, in un telegramma inviato al presidente egiziano Al Sisi, a firma del cardinale Segretario di Stato Parolin, in cui il Papa aveva definito "barbaro attacco" quello condotto da un gruppo di uomini armati contro i copti che viaggiavano su un autobus, nel sud dell’Egitto, nella provincia di Mynia, per recarsi nel Monastero di San Samuele. 29 finora i morti, tra loro anche bambini, una ventina i feriti, molti dei quali in gravi condizioni, vittime di un "atto di odio insensato", "un violento oltraggio", così Francesco nel messaggio con il quale aveva espresso la sua solidarietà ai colpiti e, in modo particolare, a "quei bambini che hanno perso la vita".

A migliaia oggi hanno partecipato ai funerali delle vittime dell’attacco, rivendicato dal sedicente Stato islamico che, da diversi mesi, colpisce la minoranza cristiana dei copti. L’Is aveva del resto anche la paternità dei due attentati kamikaze contro due chiese copte, nella Domenica delle Palme, a Tanta e ad Alessandria, così come di quello dello scorso dicembre al Cairo, tutti con decine di vittime. Immediata la reazione del governo egiziano che ha condotto attacchi contro campi jihadisti di Derna, nella vicina Libia. “Non c’è sicurezza per i cristiani” hanno denunciato i familiari delle vittime, mentre Al Sisi ha chiesto al presidente Usa Trump di assumere la guida della lotta contro il terrorismo globale. Unanime la condanna internazionale alla quale si è unita anche quella, importante, della prestigiosa Istituzione dell’islam sunnita, l’Università di Al Azhar, il cui grande imam Ahmed Al-Tayeb ha definito ‘inaccettabile’ l’attentato. Padre Giuseppe Scattolin, missionario comboniano, studioso di mistica islamica, da anni al Cairo:

R. – Siamo di fronte ad un fenomeno molto vasto, quello che noi chiamiamo il fondamentalismo islamico. Dico che la comunità cristiana è evidentemente una piccola comunità, non crea un problema alle società islamiche, anzi! il musulmano normale li accetta volentieri. Però – appunto – noi non siamo di fronte ad un Islam normale, ma ad un Islam fondamentalista. Che vuol dire questo? È qui che secondo me noi manchiamo tutto questo fenomeno: le cause del fondamentalismo islamico non sono attuali, sono prima di tutto delle cause storiche. L’ideologia dove nasce? Questi fondamentalisti si rifanno alle fonti islamiche, quindi è lì che occorre un serio ripensamento anche da parte nostra, cioè vedere cosa c’è dietro tutto questo fenomeno, quali sono le sue radici, le sue cause e i fattori che lo incrementano. Loro hanno degli ideali in testa che sono stati elaborati lungo la storia islamica e che, attualmente, sono manovrati da questi movimenti per una serie di scopi. Prima di tutto nell’Islam non è un fenomeno nuovo la conquista del potere, chi si dichiara legittimo discendente o erede del Profeta ha il diritto del potere, le violenze all’interno dell’Islam, tra le varie fazioni islamiche, sono storiche. Quindi, questo connubio tra religione, violenza e politica, purtroppo è una realtà. Così come noi abbiamo fatto un po’ al tempo del Giubileo, con Papa San Giovanni Paolo II, quella che hanno chiamato la “purificazione della memoria storica”, ossia il riconoscimento della violenza che c’è stata, occorre che i musulmani molto illuminati e sinceri facciano anche questa riflessione storica: la violenza non è nuova.

D. – Il fatto che abbia subito preso posizione una importante istituzione come al-Azhar, il cui grande Imam al-Tayeb ha definito “inaccettabile” questo attacco, potrebbe avere un significato importante?

R. – Indubbiamente, Al-Azhar rappresenta un’autorità morale essendo una delle università più qualificate nell’interpretare la legge islamica. Però, naturalmente, non basta una dichiarazione. Quello su cui insisto molte volte è che occorre una revisione di base del pensiero islamico, quello che molti musulmani chiamano il “rinnovamento”, la “riforma” del pensiero islamico in cui, tenendo presenti i vari fattori, si esclude la violenza, anche se nel passato c’è stata; si condanna la violenza e si sviluppa un Islam aperto all’incontro e al dialogo con le altre religioni e civiltà. E questo dovrebbe essere fatto a livello prima di tutto scolastico, a livello di ‘media’, che molte volte sono dominati da figure molto fondamentaliste e, soprattutto, a livello di predicatori nelle moschee. C’è tutto un lavoro culturale da fare. Io insisto molto su questo: l’Islam ha bisogno di una cosa che potremmo chiamare “rivoluzione culturale”. E noi dovremmo aiutare a liberare l’Islam da questo connubio di religione e politica per andare a sviluppare un Islam più umano, potremmo dire più aperto, fondato su un vasto consenso degli intellettuali musulmani, questo il punto che direi che manca molto: contrastare il pensiero violento con un altro pensiero che venga messo a disposizione di tutti.

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Solidarietà ai copti dalle Chiese di tutto il mondo

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Dopo i messaggi di cordoglio e di preghiera di Papa Francesco, della Chiesa ortodossa copta guidata da Papa Tawadros II e del Patriarcato copto cattolico di Egitto, si sono moltiplicate in queste ore le espressioni dolore, solidarietà e condanna delle Chiese di tutto il mondo per l’ennesimo attacco terroristico contro la comunità cristiana egiziana ad opera di fondamentalisti islamici.

I vescovi degli Stati Uniti e il Patriarca Kirill
La Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) deplora lo spargimento di tanto sangue innocente e tuttavia, ricordando le parole di Papa Francesco durante il suo recente viaggio in Egitto, sottolinea che “nonostante il dolore sia insopportabile”, l’unità dei cristiani cresce più forte e che “questa unità è la via della pace”. Di attacco “vigliacco contro persone innocenti” parla anche il Patriarca ortodosso russo Kirill che nel suo messaggio di cordoglio esprime l’auspicio che “gli egiziani non permettano a nessuna forza di distruggere la pace e la concordia nel Paese”

Il pastore Olav Fykse-Tveit, Segretario generale del WCC
“È sconvolgente che questo attacco sia stato diretto contro persone che erano in pellegrinaggio di pace e che sia l’ennesimo atto di violenza e persecuzione contro un popolo”, scrive da parte sua il pastore Olav Fykse-Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese (WCC). “Di fronte a una tale brutalità – aggiunge - la famiglia umana, tutti i popoli di fede e di buona volontà, devono stare insieme e impegnarsi a rispettare e curare gli uni gli altri, a proteggersi e impedire il ripetersi di tale violenza”. Il Consiglio mondiale delle Chiese si appella quindi al Presidente Abdel Fattah al-Sisi, ai leader religiosi e ai governi della regione affinché agiscano “rapidamente e con coraggio per salvaguardare i diritti religiosi fondamentali di tutte le fedi, per garantire la sicurezza di fronte alla violenze e garantire giustizia a tutte le persone”.

Il Primate anglicano Justin Welby
Con il “cuore rotto dal dolore”, anche il Primate della Chiesa anglicana Justin Welby, si unisce nella preghiera per “il popolo e la nazione dell’Egitto, per la pace e per un rifiuto unanime di queste terribili azioni”. “In questo momento di profonda sofferenza – aggiunge - ci impegniamo a pregare per coloro che sono morti, per chi è stato ferito e per coloro che hanno perso i propri cari. Preghiamo che tutti possano sperimentare la presenza di Dio in questo momento oscuro e trovare la forza per stringersi al Redentore, che è Gesù Cristo”. Il pensiero dell’arcivescovo di Canterbury va quindi a Papa Tawadros II che “guida la chiesa ortodossa copta, con saggezza e coraggio, fede salda e fermezza”.

La solidarietà della comunità ebraica con la comunità copta
Anche gli ebrei sono vicini alla comunità ortodossa copta in Egitto e piangono per le vittime e le loro famiglie. È il presidente del Congresso ebraico Mondiale Ronald S. Lauder a condannare l’attacco contro il bus pieno di pellegrini copti diretti al Monastero di San Samuele in un comunicato ripreso dall’agenzia Sir: “È straziante – scrive - vedere che i cristiani in Medio Oriente vivono nel pericolo e nella incertezza senza ricevere però l’attenzione o la preoccupazione internazionali che meritano. Invito i leader musulmani a parlare in loro difesa, fare tutto il possibile per proteggerli contro questo terrore e frenare la violenza settaria. I musulmani in tutto il mondo oggi cominciano il mese sacro di Ramadan, un momento di preghiera e di carità. Spero – conclude Lauder - che questo Ramadan sia un mese di pace per i musulmani e non musulmani”.

La comunità di Sant’Egidio
“Occorre, in questo difficilissimo passaggio storico, non lasciare soli i copti egiziani, far sentire la solidarietà di tutte le Chiese e dei credenti di tutte le religioni e percorrere ogni strada possibile per uscire al più presto da questa terribile spirale di violenza”. Così, in un comunicato, la Comunità di Sant’Egidio che “si stringe attorno alla Chiesa copta di Egitto” e parla di “una violenza cieca” il cui unico obiettivo  è “seminare terrore e morte”.

Da dicembre 75 copti assassinati dai terroristi islamici
Dal dicembre scorso sono oltre 75 i membri della comunità copta (pari a circa il 10% circa della popolazione egiziana) ad essere morti sotto i colpi dei terroristi islamici. Fra questi le vittime delle stragi della Domenica delle Palme, perpetrate dall’Isis contro la chiesa copta di Mar Girgis nella cittadina di Tanta (con 27 morti e 78 feriti) e la cattedrale di San Marco ad Alessandria (con 16 morti) e quelle dell’attacco contro la cattedrale copta di San Marco in Abassiya, al Cairo, l’11 dicembre. (A cura di Lisa Zengarini)

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



G7: nessun accordo sul clima. Usa fuori dalla dichiarazione finale

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Il vertice G7 di Taormina ha visto i grandi del mondo confrontarsi sulle emergenze globali del momento, come il terrorismo, l’immigrazione, il protezionismo economico. Porte chiuse al dialogo invece sulla salvaguardia del clima, sulla base degli impegni presi due anni fa a Parigi. In una dichiarazione congiunta si è preso atto della difficoltà di giungere ad una posizione comune, in seguito a quella assunta dall’amministrazione statunitense di Trump, che rischia di bloccare un accordo faticosamente raggiunto dalla comunità internazionale. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Antonio Ballarin Denti, docente di Fisica dell’ambiente all’Università Cattolica: 

R. – Questo rappresenta indubbiamente un ostacolo e un rischio ad una realizzazione piena dell’accordo, perché gli Stati Uniti hanno notevole peso dal punto di vista del contributo che potrebbero dare alla riduzione delle emissioni di gas serra: contribuiscono a circa un quarto delle emissioni di tutto il pianeta. Ed inoltre ovviamente questo rappresenterebbe un disincentivo forte anche di altri Stati che avevano sottoscritto l’accordo un po’ sull’onda dell’entusiasmo generale, in qualche modo obbligati a non restare isolati nella comunità internazionale. Ciò sarebbe un fatto estremamente dannoso, perché la rincorsa che il mondo sta facendo per fermarsi ad una deriva del clima non superiore a due gradi rispetto alle epoche preindustriali rischia di essere effettivamente compromessa anche se solo un partner del peso degli Usa dovesse ritirarsi dall’accordo.

D. – Lei ritiene che la tutela del clima vada fatta capillarmente, con l’impegno dell’intera comunità internazionale, o è più importante che le grandi potenze industriali operino in tal senso?

R. – Io credo che occorra, perché la deriva climatica possa essere fermata prima di un punto di non ritorno, da un lato un accordo politico forte a livello Onu per i prossimi decenni; dall’altro lato, occorre un impegno di tutte le comunità locali e di tutti gli attori economici presenti nel mondo: quindi le imprese, i grandi consumatori di energia e gli enti locali come Regioni, Comuni. E infine occorre che si muovano anche le comunità di base della nostra società: oserei dire gli individui, le famiglie, le comunità sociali di base tra cui le associazioni e tutti quelli che possono dare un contributo individuale entro un quadro di riferimento che significativamente è stato definito dagli impegni di Parigi.

D. – Si ha la sensazione che si stia perdendo di vista il fatto che tutte le problematiche globali sono legate le une alle altre: per esempio non tutelare il clima vuol dire anche favorire migrazioni…

R. – Certamente. Direi che è difficile trovare una sintesi più chiara di ciò che lega oggi l’ambiente, il clima, i poteri sociali e economici del pianeta, inclusi i fenomeni migratori, quanto l’Enciclica “Laudato Si’”. Nel primo capitolo, che è il capitolo descrittivo dello stato ambientale e sociale del pianeta, si evince che il clima condiziona tutta una serie di altri problemi ambientali. E d’altro canto i problemi di carattere ambientale sono strettamente connessi alla situazione sociale del pianeta. Perché se non si raggiunge un equilibrio sostenibile tra economia, strutture portanti della società basate sulla inclusione e la coesione e rispetto e protezione della natura, il sistema non sta in piedi. Quindi il fenomeno migratorio si inserisce in questa logica. E il clima sta peggiorando una situazione di criticità agricola, agroalimentare, sociale, in alcune regioni del mondo quali il centro dell’Africa e le regioni subsahariane. E di conseguenza, sommando questo elemento di pressione a quelli della guerra, della fame e delle carestie endemiche, spinge decine di milioni di persone verso i flussi migratori.

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Siria: morti oltre 100 civili in raid della coalizione a guida Usa

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Sono oltre 100 i civili uccisi, tra cui circa 40 bambini, in una serie di raid condotti dalla coalizione internazionale a guida Usa contro il sedicente Stato islamico sulla città di Mayadin, in Siria, nella zona orientale della provincia di Deir Ezzor. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, le vittime sono principalmente le famiglie dei miliziani dell'Is. A Mayadin, non lontana dalla frontiera con l'Iraq, si sono infatti concentrati nelle ultime settimane molti civili, familiari di miliziani dell'Is in fuga da Raqqa.

Sempre l'Osservatorio nazionale per i diritti umani riferisce che ci sarebbero anche diverse famiglie di jihadisti marocchini. Il bombardamento della coalizione ha suscitato l’intervento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra'ad Al Hussein che ha esortato le forze aeree di "tutti i Paesi che operano in Siria a meglio distinguere tra obiettivi militari legittimi e i civili". Zeid ha quindi ricordato che “tutte le parti in conflitto devono rispettare l'obbligo di adottare ogni misura possibile per risparmiare la popolazione civile dagli effetti del conflitto armato”.

Solo giovedì scorso, il Pentagono aveva ammesso che altri 105 civili erano morti a Mosul, in Iraq, nel marzo scorso, a seguito di bombardamenti su postazioni del Califfato. Fonti militari americane avevano quantificato alla fine di aprile in 396 il totale dei civili morti nei raid in Siria e Iraq a partire dal 2014. Intanto, sul fronte dei combattimenti si segnala che le forze governative siriane hanno ripreso il controllo della strada che collega la capitale Damasco a Palmira. Con l'appoggio degli alleati russi le forze siriane sono riuscite ad allontanare i jihadisti da una vasta zona desertica dopo violenti scontri.

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della Solennità dell'Ascensione

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Nella Solennità dell’Ascensione, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù risorto dice ai discepoli:

“Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Cristo incarnandosi ha unito a sé per sempre la natura umana, e con la propria Ascensione in cielo alla destra del Padre, rende partecipi anche noi di questa altissima condizione celeste, col corpo e con l’anima. Fin dai primordi della creazione, il prestigio dell’uomo appare superiore a quello di ogni altra creatura, persino superiore alla nobiltà degli angeli fedeli. L’Ascensione di nostro Signore conferma e amplifica la portata della nostra chiamata ad essere divinizzati, anche col corpo, parte integrante della nostra identità. Questa solennità contiene la promessa del ritorno di Gesù nella gloria, per giudicare i vivi e i morti e assegnare a ciascuno il Paradiso o l’Inferno, secondo le opere compiute sulla terra. Potremmo chiamarla la festa solenne della Signoria di Cristo al di sopra di ogni potere, e, al contempo, la festa solenne della nostra dignità. La liturgia ci aiuta, oggi, ad alimentare la consapevolezza della preziosità di ogni persona e ad orientare le scelte concrete che incidono sulla sua promozione nei vari ambiti dell’esistenza. Alla dignità di ogni uomo, dal concepimento alla morte naturale, non si può anteporre nulla: né cultura, né economia, né progresso, nemmeno la difesa dell’ambiente e tantomeno il precetto religioso fine a sé stesso: “Il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 147

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.