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Sommario del 01/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Quaresima è speranza, ma non si va in paradiso in carrozza

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La Quaresima, che inizia oggi Mercoledì delle Ceneri, è tempo di penitenza ma anche di speranza, un tempo che accompagna alla Pasqua, alla Resurrezione del Signore che ha salvato l’uomo dalla schiavitù del peccato. Lo ha detto Francesco all’udienza generale, in un'assolata Piazza San Pietro, spiegando anche ai fedeli che, come era solito dire Don Bosco, “non si va in paradiso in carrozza”. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Quaresima, cammino verso la Luce del Signore Risorto
La Quaresima è un “cammino di speranza”, quaranta giorni che prendono “luce dal mistero pasquale”, il periodo verso il quale sono orientati. Francesco presenta questo tempo di preparazione alla Pasqua come il cammino verso il Signore Risorto, “che è la Luce”,  che chiama “ad uscire” dalle tenebre:

“La Quaresima è un periodo di penitenza, anche di mortificazione, ma non fine a sé stesso, bensì finalizzato a farci risorgere con Cristo, a rinnovare la nostra identità battesimale, cioè a rinascere nuovamente 'dall’alto', dall’amore di Dio (cfr Gv 3,3). Ecco perché la Quaresima è, per sua natura, tempo di speranza”.

L'Esodo, l'uscita dalla schiavitù verso la libertà e la salvezza
Il Papa richiama il Libro dell’Esodo, che racconta l’uscita degli Israeliti dall’Egitto, la loro condizione di schiavitù, di popolo oppresso costretto ai lavori forzati. L’esodo verso la Terra della libertà che gli ebrei vivranno attraverso il deserto guidati da Mosé, incaricato dal Signore, durerà simbolicamente 40 anni, durante i quali il Signore dà loro la legge, per educarli ad amare Lui e ad amarsi tra loro come fratelli. 40 anni, spiega il Papa, è “il tempo di vita di una generazione” la quale, nonostante la tentazione del ritorno in Egitto, giunge alla Terra promessa:

"Tutto questo cammino è compiuto nella speranza: la speranza di raggiungere la Terra, e proprio in questo senso è un “esodo”, un’uscita dalla schiavitù alla libertà. E questi 40 giorni sono anche per tutti noi un’uscita dalla schiavitù, dal peccato, alla libertà, all’incontro con il Cristo Risorto. Ogni passo, ogni fatica, ogni prova, ogni caduta e ogni ripresa, tutto ha senso solo all’interno del disegno di salvezza di Dio, che vuole per il suo popolo la vita e non la morte, la gioia e non il dolore"

Non si va in paradiso in carrozza
“La Pasqua di Gesù è il suo esodo”, continua il Papa, un esodo con il quale Lui apre la via “per giungere alla vita piena, eterna e beata” e la apre arrivando fino “alla morte di croce”, è il suo sangue a salvare gli uomini “dalla schiavitù del peccato”:

"Ma questo non vuol dire che Lui ha fatto tutto e noi non dobbiamo fare nulla, che Lui è passato attraverso la croce e noi “andiamo in paradiso in carrozza”. Non è così. La nostra salvezza è certamente dono suo, ma, poiché è una storia d’amore, richiede il nostro “sì” e la nostra partecipazione al suo amore, come ci dimostra la nostra Madre Maria e dopo di lei tutti i santi". 

La conversione è un cammino da rinnovare sempre
E’ questa la dinamica del tempo di Quaresima, l’esodo di Cristo che apre agli uomini la strada del deserto dietro di Lui:

"Lui è tentato per noi, e ha vinto il Tentatore per noi, ma anche noi dobbiamo con Lui affrontare le tentazioni e superarle. Lui ci dona l’acqua viva del suo Spirito, e a noi spetta attingere alla sua fonte e bere, nei Sacramenti, nella preghiera, nell’adorazione; Lui è la luce che vince le tenebre, e a noi è chiesto di alimentare la piccola fiamma che ci è stata affidata nel giorno del nostro Battesimo".

La Quaresima è dunque «segno sacramentale della nostra conversione», del cammino “dalla schiavitù alla libertà”, un cammino da rinnovare sempre – conclude il Papa – in cui si forma la speranza che, forgiata dalle prove, dalle tentazioni, dalle illusioni, dai miraggi, è forte e salda ”sul modello di quella della Vergine Maria, che in mezzo alle tenebre della passione e della morte del suo Figlio continuò a credere e a sperare nella sua risurrezione, nella vittoria dell’amore di Dio”.

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Francesco: degrado ambientale è sempre unito a ingiustizia sociale

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Messaggio di Papa Francesco per la Campagna di Fraternità promossa dalla Chiesa brasiliana per la Quaresima. Quest'anno, l'appuntamento si svolge sul tema degli ecosistemi e sulla difesa della vita. Occorre prendere coscienza – ha detto il Pontefice – che il degrado ambientale è sempre accompagnato dall’ingiustizia sociale e a pagare sono i più deboli. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il Creatore - scrive il Papa nel messaggio - è stato prodigo con il Brasile concedendo una diversità di ecosistemi di “straordinaria bellezza”. Ma purtroppo – aggiunge – sono anche presenti i segni di aggressione alla creazione e di deterioramento della natura. La Chiesa in Brasile, per quanto riguarda il rispetto e la cura dell’ambiente e dei poveri, è stata “una voce profetica”.  Non solo – sottolinea il Papa – la Chiesa ha richiamato l’attenzione sulle sfide e sui problemi ecologici, ma ha anche indicato le sue cause e, soprattutto, i modi per superarli.

E’ necessario prendersi cura del creato e promuovere relazioni fraterne
Tra le tante iniziative e azioni promosse dalla Chiesa, Papa Francesco ricorda che già nel 1979 la Campagna di Fraternità, manifestando preoccupazione per le questioni ambientali e per i comportamenti umani in relazione ai doni della natura, era incentrata sul tema: “Preservare ciò che è di tutti”. L’obiettivo della Campagna di quest’anno – spiega il Pontefice – traendo ispirazione dal versetto biblico “Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”, è di “prendersi cura del creato, in modo speciale degli ecosistemi del Brasile, dei doni di Dio e di promuovere relazioni fraterne con la vita e la cultura dei popoli, alla luce del Vangelo”.

Il degrado ambientale è sempre accompagnato dall’ingiustizia
Non possiamo non considerare – aggiunge il Papa - gli effetti del degrado ambientale, l’attuale modello di sviluppo e la cultura dello scarto che si abbatte sulla vita delle persone. Questa Campagna ci invita a contemplare, ammirare, ringraziare e rispettare “la diversità della natura che si manifesta nei diversi ecosistemi del Brasile – un vero dono di Dio – attraverso la promozione di relazioni rispettose” dei popoli che vivono in tali contesti. Questa – sottolinea Francesco - è una delle più grandi sfide in tutte le parti della terra, perché “il degrado ambientale è sempre accompagnato dall’ingiustizia sociale”.

Dai popoli indigeni si può apprendere un modello di sviluppo sostenibile
I popoli indigeni, originari di ciascun ecosistema, sono un chiaro esempio “di come la convivenza con la creazione può essere rispettosa”, feconda e misericordiosa. E’ necessario conoscere e imparare da questi popoli il loro modo di rapportarsi con la natura. Così – conclude il Papa – è possibile trovare un modello sostenibile che possa essere una valida alternativa al desiderio sfrenato di profitto che esaurisce le risorse naturali e danneggia la dignità dei popoli. Ogni anno - ricorda infine il Papa - la Campagna di Fraternità si svolge nel tempo della Quaresima. E' un invito a vivere con maggiore consapevolezza la spiritualità pasquale. 

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Marie Collins lascia la Commissione per la tutela dei minori

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La signora Marie Collins lascia da oggi l’incarico presso la Pontificia Commissione per la tutela dei minori da lei ricoperto sin dall’istituzione, nel 2014. Nel suo incontro con il cardinale Sean O’Mally, presidente della medesima Commissione, nonché nella lettera di dimissioni diretta a Papa Francesco, che le ha accettate, la Collins sottolinea “la sua frustrazione per la mancanza di cooperazione con la Commissione da parte di altri uffici della Curia Romana”.

Alla signora Collins è giunto il ringraziamento del Papa, così come del cardinale O’Malley e degli altri membri della commissione, grati per lo straordinario contributo della signora al lavoro a favore delle vittime e dei sopravvissuti degli abusi da parte di esponenti del clero. Il porporato ringrazia anche la Collins per la decisione di continuare nella sua collaborazione con la Commissione con un ruolo educativo. Durante la riunione plenaria del prossimo mese, ha quindi anticipato il card. O’Malley, la Commissione discuterà delle preoccupazioni espresse da Marie Collins.

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Oggi in Primo Piano



Bimbi a coppia gay. Fragnelli: egoismo adulti contro interesse minori

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"Il desiderio legittimo che ognuno può avere, non deve mai diventare necessariamente un diritto. Il bene dei bambini richiede, secondo il buon senso universale, una famiglia dove il papà e la mamma si integrano con armonia ed efficacia per l'amore dei figli". Così il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, sulla decisione della Corte d'Appello di Trento che per la prima volta ha riconosciuto in Italia a due uomini la possibilità di essere padri di due bambini nati all'estero grazie all’utero in affitto. La sentenza va contro i pronunciamenti di diverse istituzioni europee e legittima la pratica dell’utero in affitto che rende le donne e i bambini oggetto di un lucroso mercato. Riguardo alle drammatiche ripercussioni sul piano antropologico e umano, Marco Guerra ha intervistato mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia: 

R. – Quando Papa Francesco parla dell’udito del cuore che va affinato, sicuramente mette il dito nella piaga dell’utero in affitto e di tante altre situazioni. È importante che l’adulto si lasci plasmare dalle situazioni reali dei minori e non pensi soltanto ai propri interessi, magari sostenuti dal fatto che c’è una società di ricchi che presume di poter utilizzare tutto e di poter ottenere tutto con il denaro. Queste sono strane conquiste che negano la civiltà della quale siamo figli, la civiltà da cui l’Europa è stata plasmata e vanno verso una solitudine globale, anche di questi bambini per i quali invece si pensa di portare una soluzione, ma sono soluzioni giuridiche che non riconoscono e che non sanno accogliere l’udito del cuore dei piccoli.

D. - Papa Francesco ha ribadito che i bambini hanno diritto ad avere un papà ed una mamma …

R. - La voce del Papa che per altri versi è sempre molto ascoltata in altri contesti, in altre situazioni, in questo campo non viene presa seriamente in considerazione perché è una voce controcorrente. Ma io credo che il Papa si faccia portavoce della natura stessa dell’essere umano, non di questa involuzione culturale di questa “presunta civiltà” che va in una direzione opposta a quello che è il diritto superiore, l’interesse superiore di ogni minore. Stiamo costruendo - noi occidentali - una struttura, un’impalcatura che, a mio parere, ha bisogno di essere ripensata nelle sue caratteristiche giuridiche perché è una giurisprudenza che non ha preso sul serio le coordinate antropologiche e filosofiche in base alle quali si arriva a certi obiettivi, a certi esiti. L’auspicio è che la voce del Papa venga anche considerata in nome di tutti i bambini del mondo ricco come del mondo povero, altrimenti non stiamo costruendo il bene comune, il bene di tutti.

D. - Lo stravolgimento delle figure genitoriali è anche una sfida per la Commissione Cei sulla Famiglia che lei presiede …

R. - Certo, la Commissione ha deciso di lavorare molto sul capitolo dell’educazione dei figli, cioè riscoprire quel senso originario che possa dare degli orientamenti alla società nella quale viviamo: non imporre nulla a nessuno, lasciare certamente liberi tutti gli uomini e le donne, ma neanche permettere che ci sia un capovolgimento. Come Commissione vogliamo proprio rinforzare questo, trovare le risorse che ci sono in ogni famiglia e anche essere vicini a quanti sono nelle difficoltà per quel che riguarda l’educazione dei figli, proprio perché la cultura individualistica che abbiamo a lungo alimentato ha reso difficili i sentieri della comunione. La ricchezza della proposta cristiana proprio nel dono della comunione, che viene dall’esperienza di un Dio comunione e di una identità personale che matura nella comunione con un padre e una madre e nella comunione con le figure multiple che poi ci sono nella crescita.

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Pakistan: sei anni fa l'uccisione di Shahbaz Bhatti

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Il 2 marzo di sei anni fa il Pakistan perdeva, per mano dell’estremismo islamico, il ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti. Uomo di profonda fede cattolica, ma anche politico di grande respiro, che della difesa dei più deboli aveva fatto uno stile di vita, ha lasciato una cruciale eredità per il cammino dei diritti umani e civili, ma nel Paese resta ancora molta strada da fare, soprattutto sul fronte della legge sulla blasfemia, come sulla difesa delle minoranze. Paola Simonetti: 

Un ideale di vita e politica che “non era una semplice idea, seppure nobile ed elevata. Era ciò che i cristiani hanno di più caro, ovvero Cristo stesso”. Così Shahbaz Bhatti, ministro per le e minoranze del Pakistan, ucciso ad Islamabad il 2 marzo del 2011 ad opera di estremisti islamici, descriveva il suo cammino di battaglia per i più deboli, per gli ultimi del suo Paese. Una battaglia che, per sua stessa ammissione, non aveva mai voluto abbandonare, persino a rischio della sua vita: “Voglio servire Gesù – ribadiva – da uomo comune”. Un profilo umano e politico, il suo, a cui il fratello, Paul Bhatti, ha voluto rendere omaggio di recente con la pubblicazione del libro “Shahbaz. La voce della giustizia”, edito da San Paolo. Pagine - scrive il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella sua prefazione al libro - “scritte con le lacrime agli occhi e con un velo di amarezza, mitigate però dalla certezza che la fede di Shahbaz non è mai venuta meno”. Ma il pensiero e la voce di Bhatti, secondo Mobeen Shahid, professore del pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense, sono stati carichi anche di qualcosa di più:

“Io da cattolico e amico, l’ho conosciuto da vicino, penso che sia appropriato considerare Shahbaz Bhatti come voce della speranza, in quanto il suo esempio – come ripreso anche nella prefazione del cardinale Parolin – nel suo servizio in politica ha dato la possibilità alle minoranze religiose di sperare ancora un’altra volta nel Pakistan, che è la loro Nazione”.

Un’eredità, quella di Shahbaz Bhatti, tuttavia molto concreta anche sul fronte strettamente politico, che ha fornito al Pakistan strumenti importanti sul fronte dei diritti civili, come spiega ancora Shahid:

“Non ha solamente dato possibilità di rappresentanza alle minoranze religiose con quattro seggi al Senato, ma ha lavorato anche per aumentare il numero dei parlamentari nei Parlamenti regionali da cui si ‘selezionano’ i senatori. Questa è una rappresentanza che mancava. Poi ha dato spazio anche ai luoghi di preghiera per i prigionieri non musulmani nelle prigioni statali e quando fu nominato presidente della Commissione per la revisione della blasfemia si è impegnato per vedere non solo il bene delle minoranze religiose, ma ha cercato di mettere in evidenza anche le ingiustizie vissute dai cittadini di fede islamica del Pakistan!".

Ma nel Paese resta il grande nodo della dura legge sulla blasfemia, composta dagli articoli del Codice penale che puniscono con l'ergastolo o la pena di morte il vilipendio all'Islam. Tentativi di revisione sono in atto, ma il cammino sembra esser ancora molto lungo.

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Sud Corea. Vescovo di Gwangju: è ora di cambiare, si rischia caos

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In Corea del Sud, migliaia di persone sono scese in piazza anche oggi a Seul per manifestare a favore o contro la presidente Park, accusata di corruzione e sotto processo per impeachment. La tensione politica è altissima e s’intreccia con le tensioni con il regime comunista nordcoreano. Proprio oggi sono iniziate manovre militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud. Da parte loro, i vescovi sudcoreani chiedono le dimissioni del capo di Stato per il bene comune della nazione. In caso contrario – affermano i presuli – si rischia di far affondare il Paese nel caos e in una paralizzante crisi economica, con conseguenze dannose per tutti. Ascoltiamo mons. Hyginus Kim Hee-Joong, arcivescovo di Gwangju, al microfono di Philippa Hitchen

R. – La Conferenza episcopale della Corea ha dichiarato che questo governo non è in una situazione di normalità. Si dice che è corrotto. Molti coreani vogliono cambiare questo governo e anche la Conferenza episcopale lo dice: vox populi, vox Dei. Questa posizione è chiara da parte della Conferenza episcopale della Corea. Noi vogliamo ritornare a una situazione di normalità. Vogliamo costruire insieme una speranza per il futuro di tutti i coreani.

D. – Secondo lei, il presidente sta ascoltando questo appello per ritornare alla pace, a una situazione normale?

R. – Secondo molti coreani questo governo non vuole ascoltare la voce della gente. Non vuole ascoltare!

D. – Quindi c’è un rischio che la situazione degeneri in violenza?

R.  –Tutti si preoccupano di questa situazione, però spero che l’anima del popolo coreano resti calma. Ma tutti speriamo di tornare a una situazione di normalità.

D. - C’è qualcosa che può fare la comunità internazionale secondo lei? Possono essere anche fattori esterni alla Corea che influenzino il governo a ricercare questa strada di riconciliazione e di cambiamento?

R. – Penso che il nostro popolo coreano abbia in sé la forza: possiamo ricostruire tutto con le nostre forze.

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Congo, i vescovi: no al blocco dell'Accordo di San Silvestro

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I vescovi della Repubblica Democratica del Congo sono preoccupati per la grave situazione che sta vivendo il Paese, nell’ambito socio-politico, per la mancata attuazione dell’Accordo di San Silvestro e per il moltiplicarsi di episodi di violenza che stanno diffondendo tanta insicurezza. In un documento firmato al termine dell’Assemblea plenaria straordinaria tenutasi a Kinshasa dal 20 al 25 febbraio, dal titolo “No al blocco! Di fronte alle tribolazioni del momento: abbiate coraggio, perché Cristo ha vinto il mondo”, i presuli descrivono il clima di divergenze nella classe politica e una recrudescenza delle tensioni che potrebbero condurre la nazione nel caos.

I punti dell’Accordo di San Silvestro ancora in discussione
L’Accordo politico globale e inclusivo per il processo elettorale è fermo sulla modalità di designazione del primo ministro - per la quale i vescovi esortano ad un dialogo franco, basato sulla buona fede e la fiducia reciproca tra maggioranza presidenziale e coalizione (le due parti attualmente protagoniste dello scenario politico) - e sulla ripartizione dei portafogli ministeriali. In questo clima la tensione sta crescendo, mentre si registrano minacce e violenze, frutto di manipolazioni contro la Chiesa cattolica per ragioni sconosciute.

La missione dei vescovi nel processo elettorale del Paese
Per tale motivo la Conferenza episcopale ribadisce che la sua missione nell’ambito della crisi elettorale “consiste nell’offrire agli attori politici e sociali un quadro propizio alle concertazioni e nell’esortarli a trovare un consenso privilegiando gli interessi della popolazione e il bene superiore della Repubblica”. “La Cenco - scrivono i vescovi - non gioca che un ruolo di mediazione, non le si può attribuire la responsabilità del blocco. Tuttavia, fedele alla sua missione profetica, è decisa ad accompagnare il popolo congolese nell’attuazione dell’Accordo di San Silvestro”.

Gli scontri e i disordini
E sono profondamente addolorati, poi, i presuli per i ripetuti massacri nel Nord-Kivu - attribuiti a presunti ribelli Adf/Nalu - e gli attacchi contro gruppi etnici; per i sanguinosi scontri tra Bantu e Batwa nel Tanganyika, dove la popolazione è stata forzata ad abbandonare le proprie terre; per le ripetute incursioni, nel Kasaï, di milizie che si dichiarano a sostegno di Kamwina Nsapu seminando panico e desolazione; per il fenomeno mistico-politico Bundu dia Mayala nel Kongo-Central, alla base di scontri mortali; per gli atti di vandalismo e le uccisioni durante le manifestazioni a Kinshasa.

Si teme un piano di balcanizzazione del Paese
I vescovi temono un piano di balcanizzazione del Paese e deplorano lo sfruttamento dei minori, arruolati nelle milizie e uccisi dalle forze dell’ordine. Manca, poi, l’assistenza umanitaria, si rischia la fame e si registrano ingenti danni materiali in diverse città. Tutto ciò, spiegano i vescovi nel loro documento, è dovuto ad un deficit nella gestione amministrativa dello Stato, che favorisce l’impunità, la politicizzazione, la strumentalizzazione del potere tradizionale e la porosità dei confini del Paese e a manipolazioni della popolazione, sullo sfondo di scissioni identitarie o politiche.

I vescovi condannano ogni forma di violenza
“Denunciamo e condanniamo fermamente - rimarcano i presuli - ogni violenza. La vita umana è sacra e inviolabile. Deve essere protetta e rispettata a tutti i costi. Condanniamo particolarmente gli attacchi orchestrati contro gli ecclesiastici e le infrastrutture della Chiesa cattolica”. Da qui l’appello della Conferenza episcopale al presidente della Repubblica Joseph Kabila perché venga applicato l’Accordo di San Silvestro e perché venga garantita la sicurezza in tutto il territorio nazionale; alla maggioranza presidenziale, all’opposizione e alla società civile a non bloccare l’applicazione dell’Accordo; alla Ceni (Commissione elettorale nazionale indipendente) ad organizzare le elezioni nel periodo concordato; ai media a contribuire alla coesione nazionale e ad informare obiettivamente e correttamente. Non manca, infine, l’invito ai giovani ad interessarsi dell’Accordo di San Silvestro e ad usare responsabilmente i social network, alla comunità internazionale a sostenere il processo elettorale nella Repubblica Democratica del Congo e ai fedeli a pregare per la pace e a compiere gesti di misericordia durante il periodo preelettorale. Per queste ultime intenzioni i vescovi, il 26 marzo, quarta domenica di Quaresima, celebreranno una Messa nelle proprie diocesi. (A cura di Tiziana Campisi)

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Sahara Occidentale: segnali di distensione dal Marocco

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Il contenzioso tra Marocco e Fronte Polisario sul Sahara Occidentale sembra trovare una fase di distensione. Rabat ha annunciato il ritiro da una delle zone su cui il Fronte, che rappresenta le istanze indipendentiste del popolo sarawi, rivendica la sovranità. Su questa decisione del Marocco, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di nord-Africa: 

R. – E’ senz’altro un segno di distensione perché a Guerguerat l’esercito marocchino, lungo la strada che porta alla Mauritania, aveva creato una forte tensione con il Fronte Polisario, che a sua volta aveva schierato le sue truppe. Praticamente i due eserciti armati erano a poche centinaia di metri l’uno dall’altro e questa era stata una delle preoccupazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sin dall’agosto scorso. La zona è nel territorio del Sahara Occidentale occupato dal Marocco, ma il Fronte aveva reagito subito, perché è una zona al di fuori del muro che isola la zona occupata del Sahara Occidentale. Questa mossa di distensione è quindi senz’altro positiva, visto che nel Sahara Occidentale non si era più mosso nulla dal punto di vista diplomatico.

D. - Si tratta di una mossa di distensione volontariamente attuata dal Marocco oppure ci sono le pressioni dell’Unione Africana, nella quale il Marocco è riconfluito di recente?

R. - La decisione del Marocco prende le mosse da due esigenze. Da una parte, dimostrare una buona volontà nei confronti degli altri partner africani; dall’altra, anche le pressioni del nuovo segretario generale dell'Onu Guterres, che aveva insistito col Marocco, affinché la situazione ritornasse quantomeno a quella del cessate il fuoco, che dura ormai dal 1991. Il Consiglio di Sicurezza si appresta poi nel mese di aprile a prendere in esame la situazione. C’è una missione dell’Onu nei territori liberati del Sahara Occidentale e si dovrà decidere se mantenere o meno questa missione che scade proprio alla fine di aprile. Sicuramente, il rapporto che il segretario generale dell’Onu presenterà al Consiglio di Sicurezza, nel caso di in una situazione di tensione, come quella che si era creata dall’agosto scorso, metterebbe in cattiva luce il Marocco.

D.  – Perché la comunità internazionale è stata sempre molto timida nel proporre negoziati?

R. – La comunità internazionale non si è molto occupata di questo territorio, anche perché la soluzione sarebbe a portata di mano: basterebbe un referendum di autodeterminazione, affinché il popolo del Sahara Occidentale decidesse se restare sotto il Marocco oppure diventare uno Stato indipendente. I tentativi a spingere più in là i negoziati sono sempre falliti per l’intransigenza del Marocco, da una parte, ma anche perché nel Consiglio di Sicurezza la Francia, vicina da sempre a Rabat, minaccia di porre il veto per non mettere in difficoltà la monarchia su un tema fondamentale come quello del Sahara Occidentale.

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Irlanda del Nord al voto con l'ombra della Brexit

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Irlanda del Nord al voto il 2 marzo per assegnare i 582 seggi del Parlamento. Le consultazioni avvengono dopo la caduta del governo autonomo di Belfast, all’inizio dell’anno, per le dimissioni del vice-governatore Martin McGuinness e in piena Brexit. Massimiliano Menichetti: 

1,2 milioni di elettori in Irlanda del Nord tornano alle urne il 2 marzo: resteranno aperte dalle 7.00 alle 22.00. Le consultazioni arrivano tre mesi dopo la caduta dell’esecutivo a causa dello scandalo sui sussidi per le energie alternative che ha visto coinvolto il Partito democratico unionista che, insieme ai nazionalisti dello Sinn Finn, guidava il governo autonomo di Belfast. Ora ci si appresta ad un importante test di tenuta per tutto il Regno Unito, che vive le tensioni seguite alla Brexit, infatti al referendum di giugno la maggioranza dei cittadini nordirlandesi aveva votato per il “remain”. Dagli accordi di pace del venerdì Santo a Stormont, nel 1998, che hanno messo fine a 30 anni di conflitto, il governo autonomo di Belfast è guidato da un esecutivo di coalizione. Le consultazioni risultano di difficile previsione, anche se la coalizione tra Sinn Finn, emanazione politica dell’ex gruppo armato dell'Ira, e Partito democratico unionista, sembra favorita sugli Unionisti dell’Uster, il partito Social-democratico del Lavoro e il multiconfessionale Alleanza.

Sulle elezioni abbiamo sentito, Antonio Varsori, storico dell'integrazione europea presso l'Università di Padova: 

R. – E’ molto difficile fare una previsione. Tra l’altro, la Brexit ha messo in moto una serie di meccanismi che tendono a far sì che alcune parti del Regno Unito siano meno concordi circa la possibilità che la Gran Bretagna esca in maniera definitiva dall’Unione Europea. Di solito concentriamo l’attenzione sulla Scozia, ma anche l’Irlanda del Nord è uno dei casi che può risultare di un certo interesse e anche di una certa importanza, in questo ambito.

D. – “L’Irlanda del Nord deve potere aderire all’Unione Europea dopo la Brexit”: questo lo ha affermato il premier della Repubblica d’Irlanda, Kenny. C’è chi ha paventato addirittura il rischio che si possano mettere in discussione gli accordi di pace del 1998, in relazione alla Brexit …

R. – Diciamo che questa possibilità c’è; la speranza è però che nel frattempo il processo di pace si sia talmente radicato che nessuno abbia voglia di rompere degli equilibri sfruttando la questione di essere dentro o fuori dall’Unione Europea. Certo, devo dire che le dichiarazioni dei responsabili della Repubblica d’Irlanda sono comprensibili dal punto di vista irlandese, perché prima o poi la questione dell’Irlanda del Nord dovrà essere risolta con l’unione al resto della Repubblica. Non dimentichiamoci però che gli equilibri sono molto delicati: questo può mettere in moto una serie di meccanismi che sono abbastanza pericolosi, perché al di là della questione Europa o non-Europa, si tratta dei rapporti tra due Stati, tra la Repubblica d’Irlanda e il Regno Unito. E in fondo questi rapporti sono stati per decenni, dire “molto difficili” è quasi un eufemismo …

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Vescovi Malta: Amoris Laetitia, invito a misericordia e discernimento

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La Conferenza episcopale di Malta ha elaborato le linee-guida per l’applicazione del capitolo ottavo dell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” siglata da Papa Francesco nel 2016. Intitolato “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”, il capitolo è dedicato alle coppie che vivono situazioni irregolari, con “un invito - sottolineano i vescovi maltesi - alla misericordia ed al discernimento pastorale, alla luce delle varie realtà sociali” attuali.

Accompagnare le coppie in difficoltà
In particolare, mons. Charles Scicluna e mons. Mario Grech spiegano che le linee-guida, destinate ai sacerdoti, avranno lo scopo di “accompagnare” le coppie in difficoltà verso una maggiore “consapevolezza della loro situazione, alla luce degli insegnamenti di Gesù”. “È un messaggio rilevante - scrivono i presuli - per le coppie e le famiglie che si trovano in situazioni complesse, soprattutto quelle separate, divorziate o in nuova unione”. Sono persone che “non hanno perso la speranza in Gesù, sottolinea la Chiesa di Malta. Alcune di esse desiderano ardentemente vivere in armonia con Dio e con la Chiesa e ci interpellano per sapere cosa fare per ricevere i Sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia”.

Spirito in autentica carità
Di qui, l’invito di mons. Scicluna e mons. Grech affinché tali coppie chiedano l’aiuto di un assistente spirituale, che le accompagni in questo loro percorso: “Abbiamo il dovere - si legge nel documento - di esercitare l’arte dell’accompagnamento’ e di diventare una fonte di fiducia, speranza e inclusione per coloro che chiedono di vedere Gesù, in particolare per quelle persone che sono più vulnerabili”, “in uno spirito di autentica carità”. (I.P.)

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Sisma: dopo sei mesi ancora nessun aiuto agli allevatori

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A oltre sei mesi dal primo violento terremoto in centro Italia, dell’emergenza non si sente quasi più parlare, eppure il momento della ricostruzione è ancora lontano. Mentre imperversa la polemica per le casette di legno che ancora non ci sono, si apre il fronte della sistemazione provvisoria degli oltre 9mila sfollati nelle strutture turistiche locali e della costa adriatica. Lenti i controlli per le verifiche di agibilità degli edifici rimasti in piedi, farraginose le trafile burocratiche, contradditorie le informazioni delle Regioni. A tutto questo si aggiunge il danno subito dagli allevatori, che hanno visto morire per il freddo almeno 400 capi di bestiame. Il servizio è di Stefano Leszczynski

La terra continua a tremare nelle aree del centro Italia già colpite dal devastante sisma di agosto e di ottobre. La Val Nerina, dove scorre il fiume Nera, è ancora chiusa. Eppure alcuni allevatori sono riusciti lo stesso a superare l’inverno. Lo hanno fatto – denunciano – senza aiuti dallo Stato o dalle Regioni. Solo 30 stalle in tensostruttura sono state realizzate, ma del tutto inadeguate ad accogliere il bestiame.  La situazione ce la descrive Augusto Batassa, allevatore di Castesantangelo sul Nera:

R. – Non ci sono le istituzioni, noi siamo abbandonati a noi stessi.

D. – In che condizioni è il paese?

R. – Il paese è distrutto completamente perché le case agibili saranno due, forse tre. Il resto del paese è crollato completamente. Le strade sono disastrate. Le acque del fiume Nera sono aumentate in maniera impressionante. Noi stiamo qui per tigna, perché siamo tignosi! I “marchigiani tignosi”…

D. – Lei è un allevatore di bovini? Siete rimasti tutto l’inverno in che condizioni?

R. – Bruttissime.  A gennaio, quando ha fatto quella nevicata, ho trovato 10 persone che sono rimaste qui con me, 5 allevatori e alcuni ragazzi che lavorano qui alla Nera e alla Svila di Visso. Mi hanno aiutato loro a scaricare il tetto, altrimenti sarebbe crollato tutto. La stalla è completamente inagibile e l’ho dovuta riadattare. Se aspetto – ancora sto aspettando! - i moduli abitativi per il bestiame da parte della regione Marche, passeranno altri 10 anni!

D.  – Non sono arrivate le tensostrutture, le stalle di emergenza che dovevano aiutarvi con il bestiame?

R. -  Niente. Qui non è arrivato assolutamente niente! Sono arrivate donazioni, foraggi e mangimi da parte di privati. Ma le istituzioni ci abbandonato a noi stessi.

Il caos normativo e le difficoltà burocratiche sono all’origine della mancata assistenza. Eppure nessuno si assume la responsabilità di applicare le deroghe previste per situazioni di tale emergenza, come denuncia Giovanni Lattanzi, coordinatore nazionale del GUS, Gruppo Umana Solidarietà, che ha assistito alcuni allevatori della zona:

R.  – Che cosa costava prendere in mano la situazione e invece di avere una ditta - una sola ditta per tutte le regioni che hanno subito il terremoto - prendere tutte le ditte che fanno le stalle e costruire stalle per tutti quanti? C’è la possibilità di farlo, c’è un articolo del codice degli appalti che in caso di calamità si può derogare alla legge sugli appalti. Basta solo prendersi la responsabilità. Allora, se qualcuno si prende la responsabilità, si riesce ad andare velocemente. Qui mi sembra ci sia uno scaricabarile e nessuno si vuole prendere la responsabilità. Servono risposte chiare che non stanno arrivando da nessuna parte. Dal 30 di ottobre del 2016 non si è mosso nulla.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 60

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