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Sommario del 02/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai parroci: siate paterni per rafforzare la fede, mai chiusi in voi stessi

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Non vite sacerdotali a metà, né preti o vescovi che non si sentono peccatori e si chiudono “in sé”: ma esistenze mature attraverso una fede capace di generare “fede negli altri”. Così Papa Francesco nel suo discorso ai parroci di Roma incontrati, com’è tradizione a inizio Quaresima, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Prima della meditazione, il Pontefice ha confessato quindici dei sacerdoti presenti, intrattenendosi circa un’ora in confessionale. Il servizio di Giada Aquilino

Rafforzare gli altri “nella fede in Gesù”. Questa la missione dei parroci nelle parole del Papa a San Giovanni in Laterano. La meditazione di Francesco, in parte scritta, in parte a braccio, in effetti è diretta a tutti, al missionario, al seminarista, al sacerdote, al vescovo: è un invito a “continuare a camminare”, affinché si sia confermati nella fede, perché - spiega ai presenti - “noi possiamo confermare” quella dei nostri fratelli, del popolo:

“A me piace ripetere che un sacerdote o un vescovo che non si sente peccatore, che non si confessa, si chiude in sé, non progredisce nella fede. Ma bisogna stare attenti a che la confessione e il discernimento delle proprie tentazioni includano e tengano conto di questa intenzione pastorale che il Signore vuole darci a tutti noi, a tutti i sacerdoti”.

“Come sacerdoti”, afferma il Papa, l’obiettivo deve essere quello di far “crescere” la fede:

“Se la fede non cresce, rimane immatura e ci sono vite umane e anche vite sacerdotali a metà strada; a metà strada perché la fede non è cresciuta, non è andata oltre: è immatura … e noi sacerdoti, se non abbiamo una fede matura, capace di generare fede negli altri -  quella paternità, no? – potremmo fare del male. E tanto male. Ma se la fede cresce, fa tanto bene: tanto bene”.

La crescita nella fede avviene, assicura, “soltanto quando ci incontriamo con il Signore”. Francesco invita quindi a trarre forza dalla “memoria” radicata nella fede della Chiesa, “dei nostri padri”, perché è molto importante “cercare le radici” della nostra fede. Ricorda un aneddoto personale, di aver avuto negli esercizi spirituali difficoltà nella comprensione della “meditazione della morte, del giudizio finale”:

“E’ venuto alla memoria uno scritto che mia nonna aveva sul comodino: 'Stai attento, ché ti guarda Dio, che ti sta guardando. Pensa che morirai e non sai quando'. E in quel momento, la preghiera è andata avanti. Sono state le radici ad aprirmi la porta della strada. Il cristiano progredisce sempre dalle radici, non dimentica le radici”.

Esorta poi a confidare nella speranza: la nostra, spiega ai parroci, non è una fede “davanti a un muro”, la speranza – assicura - “ti porta all’orizzonte”. E raccomanda il discernimento, che “concretizza la fede”. Il Papa indica “un cammino di formazione e di maturazione della fede”:

“La crescita nella fede avviene attraverso gli incontri con il Signore nel corso della vita. Questi incontri si custodiscono come un tesoro nella memoria e sono la nostra fede viva, in una storia di salvezza personale”.

Poi Francesco prende a prestito l’immagine del giocatore di basket, che inchioda il piede come “perno” a terra per decidere come agire in campo. Ecco: “per noi quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno - afferma il Papa - è la croce di Cristo”. Invita a rileggere l’Evangelii gaudium, quando si chiarisce che un “cuore missionario” non rinuncia al bene possibile “benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”, coi i più poveri, i più piccoli:

“Credere che lì c’è Cristo, discernere il modo migliore per fare un piccolo passo verso di Lui, per il bene di quella persona, è progresso nella fede. Come pure lodare è progresso nella fede, e desiderare di più è progresso nella fede: non è un atto di beneficienza, questo è progresso nella fede”.

Il Pontefice prende come icona del “progresso nella fede” la figura di Simon Pietro, a cui il Signore Gesù “fa fare in ogni momento atti di fede”, fino a diventare Papa. Si sofferma sui due nomi:

“La fede di Simon Pietro progredisce e cresce nella tensione tra questi due nomi, il cui punto fisso – il perno – è centrato in Gesù. Anche noi abbiamo due nomi, ognuno cerchi”.

Simon Pietro sperimenta momenti di grandezza, come quando confessa che Gesù è il Messia, ed altri in cui compie grandi errori, “di estrema fragilità e totale sconcerto”, fino ai “tre rinnegamenti davanti ai servi”. Eppure con questa fede “provata”, sottolinea, Simon Pietro “ha la missione di confermare e consolidare la fede dei suoi fratelli, la nostra fede”. Il Pontefice riflette il suo essere “passato al vaglio”, intendendo un movimento di spiriti grazie al quale si discerne quello che viene dallo spirito buono da quello che viene dallo spirito cattivo, dal demonio:

“Forse la più grande tentazione del demonio era questa: insinuare in Simon Pietro l’idea di non ritenersi degno di essere amico di Gesù, perché lo aveva tradito. Il peso dei nostri peccati tante volte ci allontana dal Signore: 'Ma come, io, con questo che ho fatto …?'. Ma il Signore è fedele, sempre è fedele, e sempre ci porta avanti”.

La certezza è sempre quella del perdono del Signore:

“La tentazione sempre è presente nella vita di Simon Pietro e la tentazione sempre è presente nella nostra. Di più: senza tentazione non si progredisce nella fede. Nel Padre Nostro chiediamo la grazia di non cadere, ma non di non essere tentati”.

Al termine della riflessione, Francesco dona ai partecipanti una copia del libro di un anziano cappuccino di Buenos Aires, un “grande confessore”, padre Luis Dri, dal titolo: “Non avere paura di perdonare”.

“Forse ci aiuterà a crescere nella fede nel Signore, che è tanto misericordioso a perdonare”.

Un regalo e anche un invito ai parroci di Roma. Ma ascoltiamo le voci di alcuni parroci al microfono di Alessandro Guarasci

 

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Papa: fede ideologica adora un dio che non ha le piaghe dei fratelli

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La bussola del cristiano è seguire Cristo crocifisso, non un dio disincarnato, ma Dio fatto carne, che porta su di sé le piaghe dei nostri fratelli: così il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

All’inizio della Quaresima risuona forte l’invito a convertirsi. E la Liturgia del giorno – osserva il Papa – pone questa esortazione davanti a tre realtà: l’uomo, Dio e il cammino. La realtà dell’uomo è quella di scegliere tra il bene e il male: “Dio ci ha fatto liberi, la scelta è nostra” - ha affermato Francesco - ma “non ci lascia soli”, ci indica la via del bene con i Comandamenti. Poi c’è la realtà di Dio: “per i discepoli era difficile capire” la via della croce di Gesù. Perché “Dio ha preso tutta la realtà umana, meno il peccato. Non c’è Dio senza Cristo. Un dio senza Cristo, ‘disincarnato’, è un dio non reale”:

“La realtà di Dio è Dio fatto Cristo, per noi. Per salvarci. E quando ci allontaniamo da questo, da questa realtà e ci allontaniamo dalla Croce di Cristo, dalla verità delle piaghe del Signore, ci allontaniamo pure anche dall’amore, dalla carità di Dio, dalla salvezza e andiamo su una strada ideologica di Dio, lontana: non è Dio che venne a noi e si è fatto vicino per salvarci, ed è morto per noi. Questa è la realtà di Dio”.

Il Papa cita il dialogo tra un agnostico e un credente, riportato da uno scrittore francese del secolo scorso:

“L’agnostico di buona volontà domandava al credente: ‘Ma come posso … per me, il problema è come Cristo è Dio: non posso capire questo. Come Cristo è Dio?’. E il credente rispose: ‘Eh, per me questo non è un problema. Il problema sarebbe stato se Dio non si fosse fatto Cristo’. Questa è la realtà di Dio: Dio fatto Cristo, Dio fatto carne e questo è il fondamento delle opere di misericordia. Le piaghe dei nostri fratelli sono le piaghe di Cristo, sono le piaghe di Dio, perché Dio si è fatto Cristo. La seconda realtà. Non possiamo vivere la Quaresima senza questa realtà. Noi dobbiamo convertirci, non a un Dio astratto, ma al Dio concreto che si è fatto Cristo”.

Infine, c’è la terza realtà, quella del cammino. Gesù dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”:

“La realtà del cammino è quella di Cristo: seguire Cristo, fare la volontà del Padre, come Lui, prendere le croci di ogni giorno e rinnegare se stesso per seguire Cristo. Non fare quello che io voglio, ma quello che vuole Gesù; seguire Gesù. E Lui parla che su questa strada noi perdiamo la vita, per guadagnarla dopo; è un continuo perdere la vita, perdere di fare quello che io voglio, perdere le comodità, essere sempre sulla strada di Gesù che era al servizio degli altri, all’adorazione di Dio. Quella è la strada giusta”.

“L’unico cammino sicuro - ha concluso il Papa - è seguire Cristo crocifisso, lo scandalo della Croce”. E queste tre realtà, l’uomo, Dio e il cammino, “sono la bussola del cristiano” che non ci fa sbagliare strada.

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Francesco: aiutiamo i tanti cristiani perseguitati nel mondo

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Papa Francesco invita ad “aiutare i cristiani perseguitati”, cattolici, ortodossi, protestanti. Nel videomessaggio per l’intenzione di preghiera del mese di marzo ricorda che sono tante le persone “perseguitate a motivo della loro fede, costrette ad abbandonare le loro case, i loro luoghi di culto, le loro terre, i loro affetti”. “Vengono perseguitate e uccise perché cristiani, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono”.

Quindi, fa una domanda: “Quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati?”. E incoraggia a farlo con lui, “perché sperimentino il sostegno di tutte le Chiese e comunità nella preghiera e attraverso l'aiuto materiale”. Il videomessaggio mostra cristiani delle varie confessioni, chiese distrutte, fedeli di tutte le razze in preghiera e finisce con l'immagine di persone che aiutano in modo concreto chi è vessato per la sua fede. 

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Ceneri. Papa: Quaresima è tempo di dire no all’asfissia dello spirito

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Quaresima è il tempo per dire no all’asfissia dello Spirito, all’inquinamento dell’indifferenza e degli egoismi, e tornare a respirare aprendo il cuore al soffio di Dio, l’Unico capace di trasformare la nostra polvere in umanità. E' questa la riflessione centrale dell’omelia del Papa durante la Messa con il rito di benedizione e imposizione delle Ceneri, presieduta nella Basilica di Santa Sabina sull’Aventino. Poco prima, come da tradizione, la processione penitenziale dalla vicina Chiesa di Sant’Anselmo con cardinali, arcivescovi e vescovi, monaci benedettini, padri domenicani e fedeli. Il servizio di Gabriella Ceraso

“Ritornate al Signore che è misericordioso!“. Il Papa nella liturgia delle Ceneri, fa proprio il grido del profeta Gioele e invita, nel tempo di grazia che ci conduce alla Pasqua, a "fissare il nostro sguardo ancora una volta sulla misericordia" del Padre.

Siamo polvere, ma nelle mani amorose di Dio che ci salva col soffio del suo Spirito
La Quaresima è questo, spiega: “Via che conduce alla vittoria della misericordia su tutto ciò che cerca di schiacciarci”, è “strada dalla schiavitù alla libertà, dalla sofferenza alla gioia, dalla morte alla vita”. Siamo “fatti di polvere”, come indica il gesto delle Ceneri, ma nelle “mani amorose di Dio” che col “soffio del suo spirito di vita” ci ha salvati:

“Vuole continuare a darci quel soffio di vita che ci salva da altri tipi di soffio: l’asfissia soffocante provocata dai nostri egoismi, asfissia soffocante generata da meschine ambizioni e silenziose indifferenze; asfissia che soffoca lo spirito, restringe l’orizzonte e anestetizza il palpito del cuore. Il soffio della vita di Dio ci salva da questa asfissia che spegne la nostra fede, raffredda la nostra carità e cancella la nostra speranza”. 

Quaresima: tempo di dire no all'indifferenza 
Vivere la Quaresima è dunque "anelare" a questo soffio, liberi da una asfissia che, osserva Francesco, perfino ci sembra normale perché quasi ci siamo abituati: un’aria soffocante di tristezza, di panico e ostilità. Ecco, la Quaresima è il “tempo di dire no” a tutto ciò:

“No all’asfissia dello spirito per l’inquinamento causato dall’indifferenza, dalla trascuratezza di pensare che la vita dell’altro non mi riguarda; per ogni tentativo di banalizzare la vita, specialmente quella di coloro che portano nella propria carne il peso di tanta superficialità”.

No a fedi intimistiche
No “all’inquinamento intossicante delle parole vuote”, della “critica rozza e veloce”, delle “analisi semplicistiche” che non abbracciano la complessità dei problemi umani, specie di chi soffre:

“No all’asfissia di una preghiera che ci tranquillizzi la coscienza, di un’elemosina che ci lasci soddisfatti, di un digiuno che ci faccia sentire a posto. Quaresima è il tempo di dire no all’asfissia che nasce da intimismi che escludono, che vogliono arrivare a Dio scansando le piaghe di Cristo presenti nelle piaghe dei suoi fratelli: quelle spiritualità che riducono la fede a culture di ghetto e di esclusione”.

Quaresima è aprirsi a Dio, è fare spazio al bene
Ma il tempo che ci prepara alla Pasqua, aggiunge il Papa, è anche il tempo per domandarci cosa sarebbe stato di noi senza la misericordia di Dio, che ci "dà sempre l’opportunità di ricominciare", e senza l'aiuto di "tanti volti silenziosi che in mille modi ci hanno teso la mano“. Dal buio alla luce, le parole conclusive del Papa si aprono al positivo:

"Quaresima è il tempo per tornare a respirare, è il tempo per aprire il cuore al soffio dell’Unico capace di trasformare la nostra polvere in umanità. Non è il tempo di stracciarsi le vesti davanti al male che ci circonda, ma piuttosto di fare spazio nella nostra vita a tutto il bene che possiamo operare, spogliandoci di ciò che ci isola, ci chiude e ci paralizza”.

Un rito suggestivo quello nella splendida cornice di Santa Sabina in cui lo stesso Pontefice dopo aver ricevuto le Ceneri dal cardinale Jozef Tomko, rievocando il monito biblico 'Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai', le ha imposte ad alcuni dei presenti in Basilica.

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Nomine

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Per le nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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P. Zollner: posizione del Papa su abusi più severa che mai

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Ha destato ampia eco l’annuncio delle dimissioni di Marie Collins, vittima di abusi, dalla Commissione per la Tutela dei Minori istituita da Papa Francesco. Una decisione che non rallenta la lotta alla piaga della pedofilia nella Chiesa. Ne è convinto padre Hans Zollner, membro della stessa Commissione e presidente del Centro per la Protezione dei Minori all’università Gregoriana, al microfono di Alessandro Gisotti

R. – Marie Collins mi aveva avvisato della sua considerazione di lasciare la Commissione circa quattro settimane fa. Certamente sono molto dispiaciuto. È triste che abbia sentito la necessità di lasciare. Secondo me, è stato a causa dell’accumulo di tante frustrazioni che - capisco molto bene - una vittima di abuso deve sentire, perché non vede quella velocità, quella consistenza della risposta, come lei ha detto, di alcuni uffici della Santa Sede.

D. - Ha ricevuto delle reazioni da parte di vittime degli abusi a questa decisione di Marie Collins?

R. - Mi dispiace molto perché ovviamente molte delle vittime di abusi sono molto tristi, hanno espresso un grande disappunto, ma hanno anche capito che la situazione è molto complessa perché non parliamo di un’istituzione che reagisce nella stessa rapidità in tutti gli uffici. La stessa Marie ha confermato che collaboreremo anche in futuro, come abbiamo già fatto lo scorso anno nella formazione di membri della stessa Curia. Come ha detto in una delle interviste, il bilancio - sono parole sue - è positivo del suo lavoro alla Commissione, che continuerà e dobbiamo impegnarci per un cambiamento di mentalità. Qui parliamo di un cambiamento di cultura che non si fa istantaneamente perché ci vuole molta pazienza, ma capisco che la sua pazienza fosse finita. Andiamo avanti. Sono molto fiducioso che potremo essere più incisivi, perché penso che il messaggio che lei voleva dare sia arrivato.

D. - Con le dimissioni di Marie Collins c’è il rischio che si indebolisca il lavoro, la credibilità a livello di opinione pubblica della Commissione?

R. - Certamente il rischio c’è. La voce delle vittime non viene rappresentata da persone identificate come vittime, ma questo non significa che la voce delle vittime non sia presente o rappresentata perché tutti noi, il cardinale O’Malley prima di tutti, abbiamo incontrato centinaia di vittime di abusi. La voce delle vittime sarà presente ed io sono certo che, anche con o forse proprio per l’assenza di Marie, saremo ancora più attenti a considerare quello che penseranno, sentiranno, percepiranno le vittime sia rispetto al lavoro della Commissione sia a quello che è compito della Commissione nel trasmettere al Santo Padre raccomandazioni precise.

D. - Questa situazione avviene quando siamo vicini al quarto anniversario di elezione di Papa Francesco. Come diceva lei, la velocità del processo è magari minore rispetto a quello che si poteva sperare, ma si può dire che la lotta alla pedofilia nella Chiesa si è rafforzata in questi ultimi anni?

R. - Certamente sì. Io lo posso testimoniare dalle mie visite nei cinque continenti, in una quarantina di Paesi. Fra due settimane sarò in Sudafrica e in Malawi. Sono Paesi dove fino a poco fa questo tema era tabù! Stiamo facendo anche tante altre cose: a maggio andremo a Bangkok per la Federazione di tutte le Conferenze episcopali dell’Asia. È un cambiamento in termini di sviluppo, come lo conosciamo della Chiesa che è la più grande e la più antica istituzione del mondo, abbastanza rapido. Purtroppo non così veloce come vorremmo tutti noi, ma un organismo di un miliardo e 300 milioni di membri non si muove da un giorno all’altro, se parliamo di cambiamento di mentalità, soprattutto come Marie Collins stessa dice in una delle interviste rilasciate e che ho letto poco fa. Questo non avviene dall’oggi al domani.

D. - A Papa Francesco viene generalmente riconosciuto, anche da media non vicini alla Chiesa, un impegno forte rispetto a questa piaga della pedofilia. Ultimamente però alcuni media hanno criticato il Papa per non essere sufficientemente severo con sacerdoti che hanno abusato di minori. Cosa ne pensa?

R. - In uno degli articoli c’è rappresentato un caso che poi viene estrapolato come se fosse un cambiamento generale di atteggiamento del Papa nei confronti di coloro che hanno compiuto abusi. Questo non solo non è vero, è proprio il contrario! La riga principale di quell’articolo suggerisce che c’è una diluizione della severità … No, il Papa lo ha detto anche due settimane fa nella prefazione che ha scritto per il libro di una delle vittime (Daniel Pittet ndr). Dice chiaramente quale è e continua ad essere la sua posizione.

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Santa Sede: no a pena di morte, non si fa giustizia uccidendo

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Allo stato attuale, non vi sono prove sufficienti per dimostrare che la pena di morte abbia un effetto deterrente sulla criminalità. Così l’Osservatore Permanente della Santa Sede, l’arcivescovo Ivan Jurkovič, intervenuto ieri alle Nazioni Unite di Ginevra. Esprimendo apprezzamento per gli sforzi intrapresi in molti paesi per l’eliminazione della pena capitale, il presule ha rimarcato la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale e, citando Papa Francesco, ha ribadito che “anche un criminale ha il diritto inviolabile alla vita” .

La giustizia umana è fallibile, la pena di morte irreversibile
“La giustizia umana  infatti - ha aggiunto l’arcivescovo - è fallibile, la pena di morte irreversibile” e a volte viene applicata anche su persone innocenti. Per questo motivo l’Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite invita le autorità legislative e giudiziarie a cercare sempre di garantire la possibilità per i colpevoli di pentirsi e rimediare ai loro crimini. Mons. Jurkovič cita ancora il Papa: "Per uno Stato di diritto la pena di morte rappresenta un fallimento, perché obbliga uno Stato ad uccidere in nome della giustizia. Ma la giustizia non è mai raggiungibile attraverso l'uccisione di un essere umano”.

Misure più umane per contrastare il crimine
“Esistono misure più umane per affrontare il crimine”: il delegato della Santa Sede esprime questa convinzione invitando ad assicurare alla vittima il diritto alla giustizia e a al criminale la possibilità di cambiare vita. Questo - è la convinzione di mons. Jurkovič-  favorirà lo sviluppo di una società più giusta ed equa, nel pieno rispetto della dignità umana”.

Sì a detenzione più dignitosa e a processi equi e giusti
Infine, ribadendo l’impegno della Santa Sede nel conseguire l’abolizione dell’uso della pena di morte e nel sostenere, come misura provvisoria, le moratorie stabilite dalla risoluzione dell'Assemblea Generale 2014, il presule ha invitato gli Stati membri a migliorare le condizioni di detenzione nel rispetto della dignità di ogni persona, indipendentemente dal crimine compiuto, e a garantire il diritto degli imputati ad un processo equo e giusto. (A cura di Paolo Ondarza)    

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Giustizia sociale e rispetto del Creato per salvarci dall'estinzione

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Servono giustizia sociale e sostenibilità per evitare la distruzione della Casa Comune e le guerre di competizione per le risorse. Sono le conclusioni  del Workshop in Vaticano organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze dal titolo: “Estinzione biologica. Come salvare l'ambiente naturale da cui dipendiamo”. Alla conferenza stampa, c’era per noi Cecilia Seppia

Il tessuto del Pianeta ci sta scivolando tra le dita e per quanto sembri un problema lontano, quello dell’estinzione biologica è invece irreversibile, dietro le porte, colpa in primo luogo del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici che rischiano di distruggere il 20-40 per cento di tutta la biodiversità sulla Terra entro la fine di questo secolo; colpa del consumo intensivo, dello sfruttamento delle risorse, della deforestazione massiccia. La sopravvivenza del mondo naturale e in ultima analisi la nostra, avvertono scienziati ed esperti, dipendono dall’adozione di principi di giustizia sociale e sostenibilità: pensare al bene comune e convertirlo in azioni. MonsMarcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze:

“Questa è l’idea fondamentale della Chiesa: pensare il bene comune e il bene di ciascuna persona e non pensare solo al profitto. Si dice chiaramente nel Documento finale che la cosa più importante è sradicare la povertà; la seconda cosa è cercare la giustizia sociale mondiale: non è possibile che pochi ricchi delle multinazionali abbiano oltre il 50% di tutti i beni prodotti dalla natura. E’ una cosa che non è giusta. E per questo è necessario che i governi utilizzino le tasse, anche imponendole, per il bene comune, perché i poveri in Amazzonia possano tenersi le foreste, per esempio, e non siano costrette a venderle per sopravvivere”.

Il problema - ha detto invece il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze e Premio Nobel Werner Arber - non è tanto il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti, ma se il mondo sarà in grado di operare sostenibilmente durante il resto della nostra vita, perché l’attività umana sta spingendo all’estinzione specie che attualmente ci consentono di vivere. La risposta è un modello di crescita sostenibile che contempli una riduzione della attività umana sull’ambiente e l’utilizzo di tecnologie non rapaci, non avide, come spesso appare la mano dell’uomo. Ancora Sorondo:

“Noi neanche conosciamo tutte le specie che ci sono… ne conosciamo solo una minima parte. Del resto, lo dice il Papa, anche, nell’Enciclica. Sappiamo che molte specie si stanno estinguendo e questo è terribile: è terribile per il futuro ed è terribile anche per l’armonia della vita umana. La causa fondamentale di tutto questo è l’uso di energie che vengono dal petrolio a dal carbonio e che cambiano il ciclo dell’acqua e cambiando il ciclo dell’acqua perdiamo la biodiversità”.

Il dato che deve farci più riflettere è che fino alla fine degli anni 60 usavamo circa il 70% della capacità del pianeta, oggi ne utilizziamo circa il 156% questo perché siamo di più e sfruttiamo di più le risorse. Tuttavia, ci sono 800 milioni di persone che soffrono di malnutrizione cronica e 100 milioni che subiscono la fame. Il nodo cruciale, ha voluto però ribadire mons. Sorondo, non sta nel contenimento della popolazione con metodi artificiali di controllo delle nascite ma su un consumo più equo che non distrugga la Terra e non provochi guerre di competizione per le risorse:

“Non è la popolazione che produce anidride carbonica. E’ l’attività umana, invece, che utilizza l’energia e dunque produce la contaminazione ambientale. Noi chiediamo che l’attività umana non usi più questo tipo di energia e che si utilizzino buone tecnologie capaci di dare più cibo alla gente. La prima cosa è salvare l’acqua: salvare l’acqua da questa attività umana che provoca inquinamento … La questione dell’acqua, come ha detto il Papa, è centrale perché la prima cosa che produce il riscaldamento globale è alterare il ciclo dell’acqua e poi può provocare guerre”.

Che cosa fare in concreto dunque per fermare la deriva dell’estinzione? Sforzarci di preservare la biodiversità: conservare le aree naturali in particolare quelle con rilievo topografico, garantire interazioni sostenibili; “addomesticare” gli organismi o coltivarli o metterli nelle banche dei semi, per preservarne il maggior numero possibile, fintanto che esistano ancora. Per alcuni di essi potrebbe funzionare la crioconservazione. Tutti questi metodi vanno migliorati e applicati sulla base di una conoscenza approfondita degli organismi, ma avranno successo a lungo termine solo quando saranno messe in atto le appropriate condizioni sociali e quando verranno trovate delle alternative all’aggressione destabilizzante che noi e i nostri antenati pratichiamo da decine di migliaia di anni.

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Oggi in Primo Piano



La crisi arriva in Finlandia: cresce la disoccupazione

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Aria di crisi economica per la Finlandia. Il Paese scandinavo potrebbe diventare la Grecia del Nord Europa. Negli ultimi anni ha visto scendere in modo preoccupante la produzione e anche i settori d’eccellenza sono in fase stagnante. In calo l’occupazione soprattutto tra i giovani. E mentre il governo di destra punta su politiche di austerity, cresce il fronte anti-immigrazione e anti-europeista. Giancarlo La Vella ne ha parlato con la giornalista finnica, Liisa Liimatainen

R. - Il problema è che non sanno più cosa esportare. Il vecchio prodotto nazionale era legato al legname e alla cellulosa. Una parte di quell’industria si è spostata in Asia e in America Latina dove c’è legname e la forza lavoro costa meno. Anche la produzione di elettronica si è ridotta.

D. - Tutto questo sta facendo nascere un fronte anti-europeista, anti-euro …

R. - Ma ovviamente in questo periodo sono sorti movimenti di destra che sono contro i migranti. Poi c’è anche un antieuropeismo. Ma in questo momento si tratta per la maggior parte di movimenti anti-migranti. Sono arrivati molti migranti dall’Iraq. In tutto questo, la Finlandia non si rende conto in che mondo viviamo, nel senso che questa crisi dell’immigrazione tocca tutti, mentre il Paese si oppone ai fenomeni di oggi senza voler sapere le cause che ci sono dietro.

D. - Questa crisi sta colpendo in modo particolare i giovani …

R. - I giovani, in particolare. Il governo ha fatto dei tagli riguardo la politica dell’infanzia, della scuola, all’università di Helsinki dove ci sono stati una quantità pazzesca di tagli. Una parte dei giovani non trova un posto di lavoro e, se lo  trovano, questo non permette loro di vivere; si tratta di impieghi molto saltuari con redditi bassissimi. Insomma, quello che sta succedendo in Finlandia è quello che sta accadendo un po’ dappertutto. Forse si pensa che i Paesi nordici non hanno queste crisi, ma non è così.

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Siria, l’arcivescovo Samir Nassar: Quaresima dura per i cristiani

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Quella che i cristiani di Siria si apprestano a vivere è una “Quaresima amara”, e tra i tanti fattori di sofferenza e mestizia che affliggono le Chiese di Siria c'è l'emorragia di sacerdoti che durante gli anni di guerra civile hanno abbandonato il Paese, privando i fedeli rimasti del loro conforto pastorale. Lo scrive l'arcivescovo Samir Nassar, a capo dell'arcieparchia di Damasco dei Maroniti, nella sua lettera pastorale per la Quaresima. 

Duri colpi per la minoranza cristiana
“Le parrocchie” scrive l'arcivescovo Samir Nassar nella Lettera, ripresa dall'Agenzia Fides “hanno visto il numero di parrocchiani diminuire e le attività pastorali notevolmente ridotte... La Chiesa di Damasco ha visto la partenza di un terzo del clero (27 sacerdoti). Si tratta di un duro colpo, che indebolisce la minoranza cristiana già in declino”. “I sacerdoti rimasti - riferisce l'arcivescovo maronita - prendono in considerazione la possibilità di trattare la loro eventuale partenza. Aspettano solo che le agenzie umanitarie arrivino a farsi carico delle famiglie divise”.

La Quaresima, un tempo nel deserto verso Cristo
Proprio in questa condizione di abbandono e di povertà – conclude l'arcivescovo Samir Nassar - la Quaresima del 2017 ci offre un tempo nel deserto, per considerare la nostra responsabilità nella Chiesa, in mezzo ai fedeli in difficoltà, e per aprire la strada verso Cristo Risorto. Cristo luce del mondo, che conosce i cuori degli uomini e delle donne, ci dice: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro”. (A.L.)

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Sud Sudan: Chiesa ribadisce il suo impegno per la pace

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“La Chiesa non è contro il governo”, i vescovi cattolici assicurano il loro impegno per offrire supporto all’esecutivo attraverso iniziative di pace. E’ quanto ha affermato – riferisce l’agenzia Fides - mons. Erkolano Lodu Tombe, vescovo di Yei, soffermandosi sulla drammatica situazione del Sud Sudan, da dove negli ultimi tre mesi sono fuggite oltre 100.000 persone. Fonti di stampa riferiscono che gli sfollati, arrivati nei campi in Uganda, raccontano di torture e di abusi commessi dai soldati. L'Onu recentemente ha denunciato che gli stupri, le uccisioni di civili e la paura di essere arrestati sono tra le principali ragioni che spingono migliaia di persone a fuggire dal Paese. Si tratta dell'emergenza umanitaria più grave di tutta l'Africa.

Un Paese in ginocchio per guerra, carestia e crisi economica
Il Sud Sudan, oltre ad essere dilaniato dalla guerra civile scoppiata nel 2013 che ha provocato migliaia di morti, è colpito da una grave carestia. Il conflitto ha pregiudicato i raccolti e la produzione agricola. Il Paese, dichiarato indipendente nel 2011, è lacerato anche da una gravissima crisi economica. Il tasso di inflazione ha superato l’800% e le popolazioni urbane devono fare i conti con massicci aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari di base. Si stima che sono oltre 4,9 milioni degli 11 milioni di abitanti ad aver bisogno, immediatamente, di aiuti umanitari. Lo scorso 20 febbraio il governo ha dichiarato lo stato di carestia in varie zone del Paese.

I vescovi: carestia causata dall’uomo
Nel recente messaggio pastorale, rivolto alla popolazione, i vescovi del Sud Sudan sottolineano che il Sud Sudan è “in preda ad una crisi umanitaria, alla carestia, all’insicurezza e al disastro economico”. “Non c’è dubbio – aggiungono i presuli - che la carestia è stata causata dall’uomo. È vero che la siccità ha colpito diverse parti del Paese, ma la mancanza di cibo è dovuta all’insicurezza e alla cattiva gestione economica”. Nel loro messaggio, i vescovi hanno anche ribadito che “la Chiesa non è pro o contro qualcuno, che sia il governo o l’opposizione”. (A.L.)

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I vescovi messicani: anche Gesù è stato un migrante

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“La Chiesa in Messico svolge un compito incessante a sostegno dei migranti". E’ quanto ha sottolineato il segretario generale della Conferenza Episcopale Messicana (CEM), mons. Alfonso G. Miranda Guardiola, in una nota rilasciata ieri, in cui si ricorda l'importanza delle 70 Case del Migrante sparse in varie zone del Paese. L’obiettivo di tali strutture è di salvaguardare la dignità dei migranti e di trattarli - ha aggiunto il presule - come soggetti di carità. Mons. Guardiola ha anche ricordato il messaggio del Papa per la Quaresima 2017 in cui si invita “a comprendere e intensificare la vita dello spirito identificando l'altro come un dono”. Il testo si inserisce inoltre nel complesso contesto della politica migratoria del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha più volte espresso la volontà di costruire un muro lungo il confine con il Messico. Lo scopo, in questo caso, è di fermare l'immigrazione clandestina.

Le 70 case del Migrante
Nel suo messaggio, mons. Miranda Guardiola ha spiegato che le Case del Migrante “sono gestite dalla Chiesa cattolica, da alcuni gruppi della pastorale, dalle congregazioni religiose, da laici impegnati, così come dalle chiese cristiane e da organizzazioni della società civile e del governo”. Sono sparse in varie regioni del Paese e diventano – si sottolinea nel documento – “la prima accoglienza dei migranti in transito o deportati” e mostrano che “da parte della Chiesa nessuno è illegale o immigrato e per questo sono in grado di fornire aiuto spirituale e morale”. In queste strutture ricevono protezione, formazione e consulenza psicologica e legale “per conoscere i loro diritti”: ogni giorno - si ricorda nel messaggio - “vengono deportati e rimpatriati centinaia di migranti, scoperti dalla polizia di frontiera e dagli agenti dell’immigrazione”. “Si fa in modo - ha scritto il presule - che prendano coscienza dei rischi connessi alla migrazione e si offre loro un aiuto per tornare nella loro terra di origine”. Inoltre, si fornisce “un alloggio per un giorno o a tempo indeterminato”.

Il migrante non è un criminale, ma un soggetto di carità
In questo senso, “alla luce dei servizi forniti da questi centri - ha aggiunto mons. Miranda Guardiola - vi invitiamo a moltiplicare gli sforzi perché tutti siano consapevoli, ad ogni livello della società e delle istituzioni, della dignità e dell'identità del migrante non come un criminale né come un oggetto di cui si possa abusare, ma come un essere umano e un soggetto di carità”. “Queste case - ha ricordato - sono state in grado di creare delle reti attraverso cui condividere informazione, formazione e fornire un mutuo sostegno a favore del migrante”. D'altra parte, c'è un lavoro inclusivo e globale che supera i confini e si congiunge all’impegno delle organizzazioni cattoliche, delle università e delle organizzazioni internazionali negli Stati Uniti e in Canada. Inoltre, “le persone che lavorano in queste Case sono soprattutto volontari, che vanno da 2 a 10. Si appoggiano, però, alla comunità parrocchiale o ai fedeli che offrono il loro tempo e servizio. La stragrande maggioranza delle donazioni con cui operano, proviene dalle comunità in cui si trovano queste Case".

Il volontariato è apprezzato da Cristo e dalla Chiesa
In questo senso, il vescovo ha incoraggiato a partecipare “per aiutare questo popolo di fratelli che sono così abbandonati e anche così tanto discriminati”. “La Chiesa – ha aggiunto mons. Miranda Guardiola - vuole lanciare un appello alla comunità cattolica: agli studenti, ai lavoratori e ai datori di lavoro, perché promuovano azioni concrete a beneficio di queste persone”. Infine, il presule ha ringraziato coloro che lavorano a favore “dei nostri fratelli migranti”. “Anche Gesù è stato un migrante, camminava stanco, affamato ed è stato discriminato per essere uno straniero. Voi - ha concluso - rappresentate tutte quelle case in cui Gesù ha trovato un posto per riposare, nutrimento per ritrovare le forze e un ascolto attento e compassionevole. Sappiate che il volontariato che praticate è riconosciuto e apprezzato da Cristo e dalla Chiesa”. (A cura di Anna Poce)

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Card. da Rocha: crisi ecologica richiede conversione interiore

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Non è sufficiente solo conoscere gli ecosistemi ma è anche necessario riflettere sulla presenza e sull'azione umana in questi ambienti. E’ quanto ha affermato il cardinale Sérgio da Rocha, arcivescovo di Brasilia, presidente della Conferenza episcopale brasiliana, aprendo la Campagna di Fraternità 2017. L’edizione di quest’anno è incentrata sul tema “Fraternità: ecosistemi brasiliani e difesa della vita” e trae ispirazione dal versetto biblico “Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15).

Il card. da Rocha: la crisi ecologica richiede una conversione interiore
Aprendo la Campagna, il porporato ha anche sottolineato che in Brasile l’importanza di questa iniziativa cresce di anno in anno. Nessuno - ha aggiunto - può restare indifferente di fronte alla distruzione degli ecosistemi, della propria casa comune. Ammirare gli ecosistemi – ha concluso l’arcivescovo di Brasilia – significa contemplare anche l’opera del Creatore. La Conferenza episcopale brasiliana ha recentemente lanciato l’allarme per la devastazione degli ecosistemi, “sintomo di una crisi ecologica che richiede una profonda conversione interiore”. 

Il messaggio del Papa
Ieri è stato inoltre diffuso il messaggio di Papa Francesco in occasione della Campagna di Fraternità. Nel testo il Pontefice sottolinea che il degrado ambientale è sempre accompagnato dall’ingiustizia sociale. “I popoli indigeni – ha scritto inoltre il Santo Padre - sono un chiaro esempio “di come la convivenza con la creazione può essere rispettosa”, feconda e misericordiosa. E’ necessario conoscere e imparare da questi popoli il loro modo di rapportarsi con la natura. (A.L.)

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Campagna di Oxfam Italia contro la fame in Senegal e Sudan

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Oxfam Italia ha lanciato la sua campagna “Sfido La Fame”, finalizzata al sostegno di comunità rurali di Senegal e Sudan, per un totale di 13mila persone da raggiungere. Secondo Oxfam, al mondo ancora 795 milioni di persone soffrono la fame e di queste la maggior parte vive in Paesi in via di sviluppo. Al microfono di Roberta Barbi, ci parla della campagna la responsabile per la Sicurezza alimentare di Oxfam Italia, Giorgia Ceccarelli: 

R. – La campagna “Sfido La Fame” è una campagna di raccolta fondi di Oxfam Italia, che si concentra essenzialmente su progetti di sviluppo rurale e imprenditoriale che sfidano la povertà e la fame in alcuni villaggi del Sudan e del Senegal in cui lavoriamo. Con questa campagna cerchiamo, quindi, di assicurare la sostenibilità del nostro intervento in questi Paesi, agendo direttamente al fianco delle comunità locali e, in particolare, delle donne.

D. – Come mai avete scelto di puntare sulle donne?

R. – Puntiamo sulle donne per la loro grandissima capacità di poter contribuire allo sviluppo delle loro famiglie e al benessere di intere comunità. Si stima infatti che un aumento di reddito di 10 dollari per le donne determina lo stesso impatto positivo, sui livelli nutrizionali e di riduzione dei problemi di salute di una famiglia, che si raggiungerebbero, invece, con un aumento di reddito di 110 dollari per gli uomini. Questo, chiaramente, è indice di una maggiore propensione delle donne a proteggere, a investire sul futuro dei propri figli.

D. – I fondi raccolti stavolta serviranno a sostenere comunità agricole in Senegal e in Sudan. È dunque dall’Africa che arriva l’allarme fame più grave?

R. – Sì, purtroppo è così. Sono 795 milioni le persone che in tutto il mondo soffrono la fame: una persona su 9 a livello globale. Questa relazione aumenta a uno su 4 per quanto riguarda il Continente africano. Davvero un numero sproporzionato di persone, considerando anche il fatto che il 70 per cento di queste vive in zone rurali e si occupa di agricoltura. Il paradosso è proprio questo: soffre la fame chi in realtà il cibo lo produce. A livello globale le donne rappresentano circa il 40-45 per cento della forza lavoro in agricoltura mentre in Africa questa percentuale arriva anche al 60 per cento.

D. – “La fame - scrivete voi - non è una condizione inevitabile, ma un’ingiustizia da sconfiggere”. Davvero è possibile eliminarla nell’arco temporale di questa generazione?

R. – Sì, dobbiamo fare tutti gli sforzi necessari per poterlo fare. Non è un problema di quantità di cibo perché se ne produce molto più di prima. Il problema è proprio di accesso al cibo, di accesso alle risorse produttive, di accesso alle opportunità. È, quindi, un problema di disuguaglianza: c’è chi può accedere e chi non può accedere; c’è chi ha delle opportunità e chi non le ha e c’è chi quindi poi, alla fine, è costretto a migrare, a muoversi, ad affrontare anche viaggi molto duri, anche molto complessi e pericolosi come quelli di cui leggiamo ogni giorno sui nostri giornali.

Fino al 31 marzo si potranno donare 2, 5 o 10 euro con sms solidale o chiamata da numero fisso al 45528.

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Dopo ddl su minori non accompagnati si attende legge cittadinanza

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Una conquista di civiltà: è quella che si è consumata ieri al Senato che ha approvato il disegno di legge sui minori stranieri non accompagnati che ora torna alla Camera. Grande la soddisfazione di tutti coloro che ritengono che sia stato compiuto un grande passo in avanti nei diritti e che ora spingono perché si raggiunga un altro importante traguardo. Francesca Sabatinelli

E ora si passi alla nuova legge sulla cittadinanza. Sulla spinta del sì al ddl sui minori stranieri non accompagnati, in molti chiedono che si mantenga una promessa: riformare la legge sulla cittadinanza introducendo uno ius soli temperato. Ma il clima attorno all’argomento fa presagire che ancora una volta si supererà il punto a favore di temi per la politica più appetibili, come la riforma della legge elettorale. E poco importa se ad aspettare che si prendano decisioni sono giovani di seconda generazione, circa un milione, figli di immigrati senza cittadinanza che ad oggi vivono gravi limiti, e non pochi, legati all’inerzia politica. Maruan Oussaifi, italo-tunisino, responsabile nazionale giovani presso Anolf Cisl nazionale e vicepresidente Anolf Cisl nazionale:

“Purtroppo, questa riforma della legge sulla cittadinanza è depositata presso la Commissione affari costituzionali del Senato dopo essere passata dalla Camera dei Deputati, ed è passato oltre un anno e mezzo. Troppo tempo! Più volte noi abbiamo fatto appello alla politica, a tutti i partiti politici al governo, affinché si sbloccasse questa impasse presso questa Commissione e si desse finalmente a questi ragazzi il diritto di sentirsi pienamente cittadini italiani. Purtroppo ci sono alcuni partiti politici che fanno di tutto, come la Lega Nord, per non far passare questa riforma e così fanno ostruzionismo: sono stati mandati in Commissione oltre 7 mila emendamenti. Riteniamo questo un fatto molto grave e facciamo appello alla politica affinché si richiami a un senso di responsabilità, dando a questi ragazzi l’opportunità di sentirsi italiani al cento per cento”.

Sono italiani ma non possono sentircisi. Perché l’attuale legge non garantisce loro il diritto di esserlo. “Siamo figli d’Italia”, ripetono questi giovani non riconosciuti. Lo Ius soli temperato prevede la cittadinanza italiana per chi è nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo:

“Questi ragazzini che sono nati e cresciuti qua, e quindi che frequentano le nostre scuole, che crescono insieme ai nostri bambini italiani, si sentono italiani fin dalla nascita; poi arrivano a quando, a 14 anni, devono fare la fila in questura per richiedere il permesso di soggiorno, secondo la normativa vigente sull’immigrazione, il testo unico sull’immigrazione, la famosa Turco-Napolitano. Ed ecco che si trovano in una situazione in cui pensano: 'Fino a ieri mi sentivo italiano, stavo bene insieme ai miei amici e compagni italiani, ma poi invece il governo, lo Stato, mi considera straniero. Quindi io ancora devo avere un permesso di soggiorno per poter vivere in un Paese in cui sono nato e cresciuto'. Questa è la cosa più imbarazzante, per questi ragazzi. E posso aggiungere ancora che la politica non rispecchia il popolo italiano, le considerazioni che fa il popolo italiano: e questo è un dato di fatto, ineludibile”.

Purtroppo però il consenso degli italiani verso lo Ius soli è in calo, colpa di una politica allarmista. Dall’80% dei consensi del 2014 si è passati al 70 di oggi. E’ quella delle seconde generazioni un’immigrazione silenziosa, come la chiama Maruan, perché non fa rumore, non va sui media nazionali, e che però convive con gli italiani, nelle scuole e nelle università, ma da ghettizzata:

“Ci sono certamente delle differenze sostanziali: non possono fare i concorsi pubblici, non possono viaggiare all’estero se è una gita scolastica, prima non potevano fare il servizio civile, sebbene fortunatamente ora sia stata fatta la riforma di questo servizio civile universale. Insomma, ci sono determinati limiti e hanno un permesso di soggiorno. Poi, per come è formulata l’attuale legge sull’immigrazione, ci sono tempi lunghissimi sul rinnovo dei permessi di soggiorno e a volte rischi anche di cadere nell’illegalità. Quindi, noi stiamo parlando di ragazzi che sono nati e cresciuti qua, che hanno un permesso di soggiorno e che rischiano addirittura di essere espulsi. Per questo rinnoviamo l’appello a riformare assolutamente questa legge. Non si può accettare che lì dove l’integrazione ha superato ogni diversità, considerando che anche l’opinione pubblica vuole questa riforma della legge sulla cittadinanza, sia la burocrazia ad alzare le barriere. Quindi richiamiamo tutti i partiti politici a un senso di responsabilità per fare finalmente a questi ragazzi il diritto, ma anche il dovere, di sentirsi cittadini italiani”.

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Al via la Clericus Cup, il torneo di calcio all'ombra del Cupolone

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Al via sabato prossimo a Roma l’11.ma edizione della Clericucs Cup, l’ormai tradizionale torneo di calcio all'ombra del Cupolone, che quest’anno vede affrontarsi 18 squadre formate da sacerdoti e seminaristi di 66 Paesi di tutti i continenti. La manifestazione è promossa dal Centro Sportivo Italiano, con il patrocinio dell’Ufficio Nazionale del tempo libero, turismo e sport della Cei. La Radio Vaticana è media partner. L’edizione di quest’anno è ispirata alle parole di Papa Francesco: “Mettiamoci in gioco nella vita come nello sport”. L’evento è stato presentato stamane nella sede della nostra emittente. Ascoltiamo l’intervento di don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano: 

C’è sempre questo desiderio, ogni volta che si organizza questo torneo, di dare uno slogan che lo riassuma. È anche l’occasione per dire che cosa si nasconde sotto un’attività sportiva, perché noi vediamo il gesto tecnico, vediamo il goal, vediamo la manifestazione della bellezza, però tutto questo è sostenuto, un po’ come succede con un iceberg: tu vedi soltanto l’estremità che fuoriesce dall’acqua, ma sotto ci sono tante cose che lo sostengono. E una di queste è proprio il desiderio, la voglia di mettersi in gioco. Il Papa lo ha detto a noi il 7 giugno del 2014 – noi, come Centro Sportivo Italiano – di non accontentarci di un pareggio mediocre, quegli 0-0 che non vogliono dire niente, che annoiano, che fanno stare lontano, però l’ha ripetuto a più riprese in tante occasioni ai giovani. Non da ultimo, quando ha mandato questa lettera in preparazione per il Sinodo dei giovani, dove riferendosi alla chiamata di Abramo che dice: “Vattene”, il Papa dice: “Bisogna amare il rischio, essere audaci”.

In altre circostanze il Papa ha detto ai giovani che non bisogna stare al balcone, usando un suo neologismo "balconear", cioè guardare la processione che passa sotto, da semplice spettatore; ha detto anche di non essere cristiani in pantofole seduti sul divano, come se non avessi il coraggio di sporcarti i piedi, le braccia, cosa necessaria. E allora abbiamo detto: “Questo è un messaggio che, attraverso i preti, che ci auguriamo non siano mai ai margini della vita, ma nel cuore pulsante, venga dato a tutti i giovani, venga trasmesso a tutti coloro che amano lo sport”.

Mettersi in gioco, nello sport come nella vita, perché tante volte lo sport è capace di sovrapporsi alla vita, non di sostituirla, ma di far capire qualcosa di importante. Credo, se me lo concedete, in questa occasione di dire: “Mettersi in gioco nello sport, come nella vita" nonostante le difficoltà, perché mettersi in gioco significa osare sfidare le difficoltà, soprattutto in un tempo difficile come quello in cui stiamo vivendo, non bisogna temere di affrontare queste difficoltà, mettersi in gioco significa anche sfidare la paura che fa tremare le gambe”. Chi si mette in fioco è capace di regalare speranza e noi siamo chiamati a questo soprattutto come preti, a dire: “Non rassegnarti, non pensare che sia finito tutto”, a regalare fiducia. È meglio mettersi in gioco che stare a guardare.

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La vita in due valigie, il libro di Anca Martinas per capire chi fugge

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Se fossimo costretti a lasciare improvvisamente la nostra quotidianità e a fuggire in poche ore con solo due valigie cosa porteremmo con noi? Parte da questa domanda il libro “La vita in due valigie” scritto da Anca Martinas, giornalista del Programma romeno della Radio Vaticana, e pubblicato in collaborazione con la Fondazione Migrantes. Il volume è stato presentato nella Sala Marconi della nostra emittente. Il servizio di Marina Tomarro

Racchiudere la propria vita in due valigie in poche ore ed essere costretti a scappare in un Paese diverso dal nostro, con lingue ed usanze differenti, e tenere presente che solo quelle poche cose raccolte ci ricorderanno chi siamo e da dove siamo arrivati. E’ questa l’idea da cui parte il libro “La vita in due valigie”, dove l’obiettivo rimane una riflessione profonda su cosa porteremmo via se fossimo costretti ad un'ipotetica fuga salvavita, come ci racconta l’autrice Anca Martinas:

R. – Il libro vuole essere una riflessione sull’essenziale della vita in chiava empatica con chi è costretto a lasciare le proprie terre non per una scelta di vita, non per necessità di lavoro ma perché costretti più delle volte da situazioni di guerra e di persecuzioni. È una riflessione in chiave empatica. Mi sono fatta questa domanda: “Che cosa metterei in solo due valigie nella malaugurata ipotesi di dover scappare?”. Una domanda che, per così dire, mi ha tirato per la manica sia per la situazione che stiamo vivendo sia per una serie di letture. È una domanda che coinvolge e vorrei che fosse una linea guida per una riflessione anche per altre persone affinché si arrivi ad un pensiero e poi a qualche gesto di vicinanza e di sostegno a queste persone. Le domande servono per riuscire a capire. È un tentativo di “metterci nei panni di”. È questo quello che propone “La vita in due valigie”.

Tante sono le storie che vengono svelate attraverso le pagine di questo libro, da quella di una donna che va via da Bucarest, inizialmente per studiare l’arpa in Italia, per poi trovare le sue risposte e la sua strada nella chiamata del Signore, a chi come il giornalista Angelo Paoluzi che ricorda quando da bambino fu costretto a scappare dal suo paese in Abruzzo fino a Roma a causa della guerra o padre Jean Pierre Yammine responsabile della redazione in lingua araba della Radio Vaticana che racconta un episodio legato alla sua infanzia, quando una notte la sua città fu bombardata e lui e la sua famiglia si ritrovarono a fuggire dalla loro casa e a cercare riparo in un rifugio antiaereo dove avrebbero vissuto al buio per tre anni. Durante la presentazione, diverse anche le testimonianze di chi ha vissuto questo dolore di essere strappato dalla propria terra, come quella del  giornalista camerunense Franck Tayodjo, arrivato in Italia dopo essere riuscito a fuggire dalle dure carceri del suo Paese, dove era finito solo per il lavoro che svolgeva, oggi è riuscito ad avere lo status di rifugiato politico. E quindi ancora oggi sono milioni le persone che devono allontanarsi contro la loro volontà dai loro Paesi d’origine come ha spiegato mons. Giancarlo Perego, nominato recentemente dal Papa nuovo arcivescovo della diocesi di Ferrara e per molti anni direttore generale della Fondazione Migrantes:

R. - Questo racconto serve per rimandare sostanzialmente alla storia dei 65 milioni di persone rifugiate nel mondo nell’ultimo anno, costretti a partire immediatamente e a fare la stessa scelta da almeno 35 Paesi in guerra, 60 Paesi dove non c’è la possibilità di essere liberi sul piano della propria esperienza politica e religiosa, e almeno 40 Paesi dove sono avvenuti disastri ambientali. Quindi, sostanzialmente, ci si immedesima nella storia dei richiedenti asilo e dei rifugiati che oggi sono arrivati e tra noi, persone di cui, tante volte, non ricordiamo il disagio di dover lasciare tutto per un viaggio che tante volte non si sa dove terminerà.

D. - Qual è il modo migliore per accoglierli in maniera più umana?

R. – Certamente, come ha ripetuto anche il Papa recentemente, un’accoglienza diffusa di tipo famigliare non in grandi centri, cercare da subito un processo che li aiuti ad essere autonomi sul territorio e presentare anche gli aspetti positivi che portano. Non dimentichiamo che questi sono giovani, una risorsa importante per un’Italia che è tra i Paesi più vecchi al mondo. Tante volte rischiamo di considerarli semplicemente degli esseri passivi da assistere, mentre da subito dovrebbero trovare storie di lavoro, di borse lavoro, di lavori socialmente utili, di servizi civili per i giovani e di valorizzazione di una professionalità che hanno maturato nel loro Paese di origine.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 61

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.