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Sommario del 12/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa prega per il Guatemala: "Violenza contro i giovani, urlo nascosto da ascoltare"

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La violenza e i maltrattamenti contro i giovani: un "urlo nascosto che deve essere ascoltato". E' il forte appello che il Papa ha lanciato in mattinata dopo la preghiera dell’Angelus, con il pensiero rivolto alle adolescenti vittime di un rogo, scoppiato l’8 marzo scorso, in una casa di accoglienza per minori in Guatemala. In precedenza, commentando il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima, Francesco ha sottolineato il messaggio di speranza che è nella croce cristiana, non una “suppellettile” di casa o un “ornamento da indossare”, ha detto, ma l’emblema di Gesù morto e risorto per noi. Il servizio di Gabriella Ceraso

Papa prega per il Guatemala: violenza sui giovani, urlo nascosto
“Esprimo la mia vicinanza al popolo del Guatemala che vive in lutto per il grave e triste incendio scoppiato all’interno della Casa Refugio Virgen de la Asunción causando vittime e ferite tra le ragazze che vi abitavano”.

L’enorme dolore che ha segnato il Paese centroamericano nei giorni scorsi con decine di giovani vittime, è anche la sofferenza del Pontefice che invoca il Signore perché “accolga le loro anime, guarisca i feriti, consoli le famiglie addolorate e tutta la nazione”. Ma non basta:

“Prego anche e vi chiedo di pregare con me per tutte le ragazze e i ragazzi vittime di violenze, di maltrattamenti, di sfruttamento e delle guerre. Questa è una piaga, questo un urlo nascosto che deve essere ascoltato da tutti noi e che non possiamo continuare a far finta di non vedere e di non ascoltare.

Il dolore e la croce anche al centro della riflessione del Papa sul Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima, che ci aiuta a comprendere la Pasqua, momento del sacrificio e della salvezza allo stesso tempo.

Nella trasfigurazione Gesù illumina la sua persona e la sua vicenda
Il Papa lo spiega soffermandosi sul volto e le vesti di Gesù che, come narra oggi l'Evangeista Matteo, al momento della Trasfigurazione davanti a tre apostoli, brillano "come il sole" e diventano candide "come la luce", segno di quella “gloria divina” che con la fede si coglieva già nella "predicazione" e nei "gesti miracolosi":

"La ‘luminosità’ che caratterizza questo evento straordinario ne simboleggia lo scopo: illuminare le menti e i cuori dei discepoli affinché possano comprendere chiaramente chi sia il loro Maestro. È uno sprazzo di luce che si apre improvviso sul mistero di Gesù e illumina tutta la sua persona e tutta la sua vicenda".

Gesù: un Messia diverso dalle attese, non un re ma un servo
Gesù si sta avviando verso Gerusalemme, osserva il Papa, e vuole preparare i suoi alla morte per crocifissione, uno "scandalo troppo forte per la loro fede” e, al tempo stesso, vuole “preannunciare la sua risurrezione, manifestandosi come il Messia, il Figlio di Dio”.  Ma un Messia “diverso rispetto alle attese” e la Croce ne è un segno:

"Non un re potente e glorioso, ma un servo umile e disarmato; non un signore di grande ricchezza, segno di benedizione, ma un uomo povero che non ha dove posare il capo; non un patriarca con numerosa discendenza, ma un celibe senza casa e senza nido. È davvero una rivelazione di Dio capovolta, e il segno più sconcertante di questo scandaloso capovolgimento è la croce. Ma proprio attraverso la croce Gesù giungerà alla gloriosa risurrezione, che sarà definitiva, non come questa trasfigurazione che è durata un momento, un istante".

Lo scandalo della croce è la porta della resurrezione
Ma è proprio attraverso la croce che Gesù giungerà alla risurrezione: quindi Gesù “trasfigurato sul monte Tabor”, spiega il Papa, “ha voluto mostrare ai suoi discepoli la sua gloria non per evitare a loro di passare attraverso la croce, ma per indicare dove porta la croce”:

"Chi muore con Cristo, con Cristo risorgerà. E la croce è la porta della risurrezione. Chi lotta insieme a Lui, con Lui trionferà. Questo è il messaggio di speranza che la croce di Gesù contiene, esortando alla fortezza nella nostra esistenza. La Croce cristiana non è una suppellettile della casa o un ornamento da indossare, ma la croce cristiana è un richiamo all’amore con cui Gesù si è sacrificato per salvare l’umanità dal male e dal peccato". 

La croce segni le tappe della Quaresima
Da qui il duplice invito del Papa ai fedeli in tempo di Quaresima: non solo contemplare la Croce, simbolo della fede cristiana, e segnare con essa la tappe verso la Pasqua “per comprendere sempre di più la gravità del peccato e il valore del sacrificio col quale il Redentore ci ha salvati”; ma anche seguire l’esempio di Maria che ha “contemplato la gloria di Gesù nascosta nella sua umanità”:

“Ci aiuti lei a stare con Lui nella preghiera silenziosa, a lasciarci illuminare dalla sua presenza, per portare nel cuore, attraverso le notti più buie, un riflesso della sua gloria.

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13 marzo, quattro anni di Papa Francesco: i ricordi dei fedeli

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Domani, 13 marzo, ricorre il quarto anniversario dell'elezione di Papa Francesco. Il Papa venuto “dalla fine del mondo”, ha conquistato il cuore dei fedeli parlando di misericordia e di attenzione agli ultimi. Ascoltiamo le testimonianze e i ricordi di alcuni pellegrini presenti questa mattina in Piazza San Pietro. Le interviste sono di Michele Raviart

R. - Ho un ricordo fantastico, quando si è presentato da nuovo Papa e ha detto: “Signore, signori, buonasera”. Si è messo allo stesso livello di tutte le altre persone. Quello che mi colpisce è proprio la semplicità, la sua apertura alle persone povere.

R. - E’ il Papa che viene da lontano, dalle terre lontane dell’Argentina. Poi, il nome, in particolare, ricorda San Francesco. La prima cosa per la quale mi è piaciuto è che è voluto andare a Santa Marta, è stata una cosa bellissima. E’ un papa buono, mi ricorda un po’ Giovanni XXIII.

R. - Io ricordo perfettamente il discorso inaugurale, quando Papa Francesco non era per noi ancora nessuno e da subito con il primo discorso ci ha preso il cuore. Poi dopo è stato un crescendo e una conferma.

D. - Un discorso, un viaggio, un gesto che le rimasto impresso in questi 4 anni?

R. - A me sinceramente colpisce la sua bontà. Tra i giovani, secondo me, il Papa lascerà, spero fra 100 anni, un segno incolmabile!

R.  - La misericordia, la misericordia espressa da Papa Francesco verso tutti, indistintamente.

R. - Vederlo in una macchina utilitaria, vederlo semplice, penso sia la cosa più bella in assoluto per me, veramente una persona di casa, di famiglia.

R. - La cosa che mi ha colpito è la cena di Natale: ha aperto le porte alle persone bisognose. E’ vicino a noi, molto vicino a noi.

R. - Io lo ascolto sempre, tutte le domeniche, e cerco di essere a casa per mezzogiorno perché tutto quello che dice è semplice, ma vero ed efficace.

R. - E’ un grande uomo, che tra l'altro ha fatto avvicinare Cuba e gli Stati Uniti.

R. - Mi ha colpito e mi colpisce tutto quello che fa dal primo giorno fino ad ora.

D. - Che augurio si sente di fare per il resto del Pontificato?

R. -  Speriamo che rimanga con noi per molto tempo! E continui con questa sua idea di fratellanza.

R. - Che il suo Pontificato duri tanto e che la gente capisca che ci vuole bontà nel mondo e semplicità.

R. – Non dovrebbe mai andare via, mai, mai, mai! Dovrebbe vivere 1000 anni questo Papa!

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Grande gioia in Colombia per la visita del Papa, missionario di pace

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Grande gioia in Colombia per l'ufficializzazione della notizia che Papa Francesco visiterà il Paese sudamericano dal 6 all'11 settembre prossimi. Il Pontefice argentino è considerato uno dei protagonisti del delicato processo di pace che, dopo oltre 50 anni di conflitto, ha visto il raggiungimento di una intesa tra governo e i guerriglieri marxisti delle Forze armate rivoluzionarie. Gli ex ribelli hanno iniziato il disarmo. Sul significato che ha questa visita del Santo Padre, Roberta Barbi ha intervistato il prof. Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all'Università di Modena e Reggio Emilia, che per conto della Comunità di Sant’Egidio sta seguendo la situazione in Colombia:   

R. – Il significato di questo viaggio di Papa Francesco in Colombia, è ovviamente, duplice: da un lato visitare una Chiesa dalla quale ha ricevuto naturalmente questo invito, ma soprattutto, credo, dare il suo forte e appassionato contributo alla questione della pace. Il Papa si recherà per una settimana in Colombia e visiterà Bogotà, Villavicencio, Medellín e Cartagena. Villavicencio è uno dei grandi luoghi dove il conflitto - la guerra - tra lo Stato e i guerriglieri delle Farc è stato più violento. È un viaggio molto importante e in certo senso può essere simbolizzato dal logo, dal motto, che è stato scelto per questa visita: “Demos el primer paso”, cioè fare insieme il primo passo. C’è raffigurato il Papa che cammina proprio a voler trascinare, in un certo senso, tutta la Chiesa latino-americana e in particolare quella colombiana nel rendere la pace forte, permanente, nella vita del Paese, e farla vivere da ogni cittadino colombiano.

D. - Il contributo fondamentale di Francesco alla pace è riconosciuto da tutti. A che punto sono i negoziati?

R. - Sono a buon punto, nel senso che si sta progressivamente implementando l’accordo di pace attraverso una serie di legislazioni speciali che il Parlamento ha approvato; sono stati approvati questi campi di transizione, dove i guerriglieri nella maggior parte si sono già recati e hanno già abbandonato le armi. Dall’altro lato si stanno approntando una serie di misure legislative per il ritorno dei cosiddetti “militanti di base”, quelli che non sono considerati responsabili di particolari crimini. Quindi - certo con tutte le fatiche del caso - ma il processo sta andando avanti con una discreta serenità.

D. - Nel dicembre dello scorso anno il Pontefice ha ricevuto a sorpresa in Vaticano il presidente colombiano Santos e il suo principale oppositore Uribe, sostenitore del “No” agli accordi. Oltre alle Farc, in Colombia, prosegue anche il dialogo con l’Esercito di liberazione nazionale …

R. - Questo dialogo è stato ufficialmente avviato non meno di un mese fa, si svolge a Quito ed è articolato in modo analogo a quello delle Farc: c’è una delegazione del governo e una dell’Eln che hanno cominciato un processo di dialogo molto intenso e molto costruttivo che fino ad ora, da entrambe le parti, è stato riconosciuto in modo fortemente positivo. Certo: è un dialogo iniziato da poco più di un mese quindi avrà bisogno di tempo per giungere alla sua conclusione, ma sia l’Eln che il governo hanno dimostrato chiaramente la loro determinazione ad andare in porto e quindi di arrivare – chissà, forse per la visita del Papa - a un accordo. Il tempo a disposizione non è molto, però questo teoricamente potrebbe essere possibile.

D. - Lei all’inizio ricordava che Papa Francesco ha risposto ad un invito dei vescovi colombiani. Qual è il ruolo della Chiesa colombiana nelle trattative per la pace?

R. - La Chiesa colombiana ha seguito sempre con grande attenzione, ovviamente, il processo di pace e in questo particolare frangente, per esempio con l’Eln ha nominato una commissione di cinque vescovi presieduta dall’arcivescovo di Cali, mons. Darío Monsalve, che segue in modo ravvicinato questo processo di dialogo. Credo che la Chiesa oggi abbia più che mai un ruolo fondamentale nel garantire un processo di pace perché è l’unica grande organizzazione presente in ogni angolo del Paese e sul territorio che può far diventare attraverso tutte le sue attività, le sue scuole, le parrocchie, tutte le infinite opere sociali, luoghi, laboratori dove aiutare i colombiani a vivere questo processo di riconciliazione, a voltare pagina, e soprattutto a lasciare da parte ogni forma di rancore e di odio per abbracciare a piene mani questo dono che la storia ha fatto a questo Paese che potrà rappresentare per la Colombia l’inizio di una nuova pagina della sua storia.

D. - Il Papa visiterà il Paese come “missionario di riconciliazione”, invitando ogni colombiano a fare la propria parte. Ma come si rialzerà la Colombia da un conflitto durato oltre 50 anni e con migliaia di morti?

R. - La Colombia è un Paese forte, innanzitutto perché è riuscito a convivere con questa tragedia per oltre 50 anni. Ogni colombiano ha - per lo meno nella sua famiglia - una persona che è stata toccata direttamente da questa tragedia della guerra. È un Paese che ha grandi potenzialità dal punto di vista sociale ed economico. Credo che la via per evitare che questo passato incomba, i colombiani devono percorrere un cammino nuovo che passi attraverso, in un certo senso, la “purificazione” di questa memoria riconoscendo quello che è avvenuto, ma trovando la forza di operare una rigenerazione nazionale. Presto in Colombia saliranno nella vita del Paese nuove generazioni che non hanno conosciuto la convivenza con questa terribile situazione e questo aiuterà, come in tanti altri Paesi del mondo, a entrare in un’era nuova. 

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Oggi in Primo Piano



Tensione Olanda-Turchia dopo i comizi vietati a due ministri di Ankara

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Cresce la crisi diplomatica tra i Paesi Bassi, in piena campagna elettorale con accesi toni nazionalisti, e la Turchia. Ieri a due ministri di Ankara è stato impedito di fare comizi tra gli emigrati turchi a Rotterdam, in vista del referendum del prossimo 16 aprile sul presidenzialismo, fortemente voluto da Erdogan, che ha definito gli olandesi "residui nazisti e fascisti”. Si tratta della terza crisi di questo genere tra Ankara e l’Europa, dopo le frizioni con Austria e Germania. Il servizio di Michele Raviart

Ankara ci ha ricattato e noi “non possiamo avere a che fare con chi fa questo tipo di minacce”. Così il premier olandese Mark Rutte, che aveva liquidato come “affermazioni folli” le accuse di Erdogan, ha commentato il divieto di atterraggio al volo del ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu e l’impedimento a raggiungere il consolato turco a Rotterdam del ministro della famiglia Fatma Betul Sayan Kaya. “Ragioni di sicurezza” secondo l’Aja, a pochi giorni dalle elezioni infiammate dal nazionalismo anti-islamico del candidato Geert Wilders. A Cavusoglu era stato concesso di tenere comizi in luoghi chiusi per ragioni di ordine pubblico, condizioni rifiutate dal ministro, che aveva minacciato di infliggere durissime sanzioni all’Olanda in caso di veto al volo. Il ministro Fatma Beytul Sayan Kaya aveva invece raggiunto Rotterdam via auto dalla Germania, sebbene la sua visita fosse stata dichiarata “indesiderata”. Nella notte la polizia olandese l’ha riaccompagnata al confine tedesco, insieme alla sua delegazione e ai giornalisti della televisione turca. Intanto, mentre Erdogan parla di nuovo di “Olanda razzista” e Rutte chiede di abbassare la tensione per evitare “risposte adeguate”, centinaia di manifestanti si sono scontrati con la polizia davanti al consolato di Rotterdam, mentre ad Istanbul i dimostranti hanno issato la bandiera turca sul consolato olandese della città.

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Iraq: trovata fossa comune con 500 corpi a Mosul

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Orrore in Iraq per il ritrovamento di una fossa comune con 500 cadaveri, probabilmente prigionieri civili, uccisi dai jihadisti dell’Is vicino Mosul. Su questa roccaforte islamista intanto continua l’avanzata dell’esercito regolare che ha riconquistato un terzo della parte occidentale. Violenza anche in Siria con oltre 70 vittime nel duplice attentato di ieri a Damasco, mentre potrebbero slittare i colloqui di pace in programma il 14 e 15 marzo ad Astana, in Kazakistan, perché i ribelli vogliono valutare la tenuta del cessate il fuoco.

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Onu: fame e sete colpiscono 20 milioni di persone nel mondo

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“Venti milioni di persone sono colpite da fame e carestia, il mondo si trova di fronte alla più grande crisi umanitaria dal 1945”. E’ la denuncia del capo degli affari umanitari dell'Onu, Stephen O'Brien che, al Consiglio di Sicurezza Onu, ha invocato l’immediata convergenza di aiuti. Massimiliano Menichetti: 

E’ l’allarme più grave da sessant’anni a rischio, per la mancanza di acqua e cibo, 18.8 milioni di persone. La più grande crisi umanitaria sta avvenendo in Yemen, Paese per altro devastato dalla guerra tra ribelli sciiti houthi e la coalizione a guida saudita: qui i due terzi della popolazione ha bisogno di aiuto. Drammatica la situazione anche in Sud Sudan, Somalia e Nigeria, altre tre realtà strangolate da carestia, fame, siccità, terrorismo e instabilità politica. Ma le cose non vanno meglio in Malawi, Kenya, Tanzania, Etiopia ed Eritrea. In questo quadro si moltiplicano gli appelli, anche in sede Onu, a sforzi globali collettivi e coordinati senza i quali la gente morirà di fame e malattie. Intanto le Conferenze episcopali locali, con ogni mezzo, cercano di aiutare la popolazione, ma il mondo, quello che beve e mangia, sembra limitarsi a lanciare allarmi. Michele Vollaro giornalista di "Africa e Affari":

R. - Recentemente a Oslo c’è stata una conferenza internazionale per l’emergenza nel bacino del Lago Ciad che è condiviso da Nigeria, Niger, Ciad e Camerun. Un’emergenza causata dalla siccità, dalla carestia, dalla difficile condizione economica che evidentemente si vive in quell’area del Sahel e dal gruppo radicale di Boko Haram. L’agenzia delle Nazioni Unite alla vigilia della conferenza aveva chiesto come contributo alla comunità dei donatori un miliardo di dollari: la risposta della comunità internazionale è stata promettere 484 milioni di dollari, meno di un terzo.

D. - I ripetuti appelli dunque cadono nel silenzio, o quasi, nonostante a rischio ci siano milioni di persone: cosa si può fare? 

R. - Passare da una risposta emergenziale a una risposta di medio e lungo periodo: costruire delle soluzioni che possano in qualche modo creare reale sviluppo sul complesso del contesto economico e sociale di questi Paesi: posti di lavoro, opportunità di crescita economica e sociale. Se non si crea sviluppo e una crescita sostenibile che sia in grado di dare una risposta capace di reagire ai cambiamenti climatici è evidente che gli appelli alle donazioni si possono continuare a fare, ma rimarranno senza risposta e non daranno alcuna soluzione di lungo periodo.

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Etiopia: frana una discarica ad Addis Abeba, almeno 15 morti

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Almeno 15 persone sono morte e diverse decine risultano disperse nella frana di una discarica di rifiuti nella notte scorsa alla periferia di Addis Abeba in Etiopia. Lo ha riferito il sindaco della capitale etiope Il terreno ha sepolto diverse abitazioni di fortuna ed edifici di cemento. Si teme che il bilancio possa aggravarsi.

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Elezioni nella separatista Abkhazia: il Caucaso in movimento

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L' Abkhazia questa domenica vota per rinnovare i 33 membri del parlamentino di questa repubblica separatista, indipendente de facto dalla Georgia, ma non riconosciuta se non da pochi Paesi al mondo. Affacciata sul Mar Nero come tutta l’area caucasica è zona di transito cruciale verso l’Europa e il Medioriente e quindi ambita dai potenti attori regionali che sono Russia, Turchia e Iran. Dunque, quale valenza ha questo voto e che momento sta vivendo il Caucaso,da tempo assente dall’attenzione e dalla cronaca internazionale? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Marilisa Lorusso esperta dell'area dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – In verità questo è un periodo intenso per le elezioni e i referendum in tutto il Caucaso. Si stanno muovendo molte cose, soprattutto i referendum costituzionali stanno cambiando anche un po’ gli assetti degli Stati riconosciuti o non riconosciuti; e il richiamo fondamentale all’intera comunità internazionale dovrebbe essere assolutamente alla prudenza. Che nessuno approfitti della instabilità altrui o propria per alterare equilibri, perché comunque questa è un’area in cui non si può prescindere dagli attori secondari storici come la Russia, la Turchia e l’Iran. Qualsiasi alterazione di quest’area riguarda direttamente gli interessi di questi Stati. E le elezioni in Abkhazia hanno un duplice valore: da un lato consolidare, ribadire la propria indipendenza; il secondo è quello che riguarda più spiccatamente le politiche interne del Paese, dei 33 deputati che dovranno essere eletti, 27 candidati sono già presenti nel parlamento. Quindi sicuramente è un’elezione che dovrebbe dare segno di continuità.

D. – Perché se ne parla ormai molto poco anche di questo voto in Abkhazia? Perché c’è pace? 

R. - In realtà, pace purtroppo non ce n’è; un conflitto che sta mantenendo un livello di guardia piuttosto alto è quello del Nagorno-Karabakh. Se ne parla molto poco probabilmente perché altri focolai riguardano la nostra sicurezza in modo più evidente e perché gli status quo hanno creato una sensazione di eternità apparente, perché sono conflitti congelati più o meno dagli anni ’90 mentre in verità questi conflitti si sono alterati perché gli attori secondari, dalla Turchia all’Iran alla Russia, hanno cambiato la loro postura, riguardo al Caucaso. Quindi, questi conflitti diventano anche un po’ un nuovo strumento di pressione politica reciproca e questo probabilmente sfugge molto, tende ad essere cioè poco considerato, come fattore.

D. – Prima si diceva: è tutta quest’area che a livello politico sta vivendo un movimento, una dinamica. Che significa? Verso che cosa sta andando? Come si sta configurando politicamente quest’area?

R. – Questo sarà un anno particolare, perché abbiamo tutta una serie di tornate elettorali: comincia adesso, appunto, l’Abkhazia, ma poi ci saranno le elezioni presidenziali in Ossezia del Sud, le elezioni in Armenia, poi le presidenziali in Nagorno-Karabakh. Quindi è un anno in cui ci sono questioni interne, di amministrazione locale, e molto spesso, soprattutto nei Paesi non riconosciuti, un’amministrazione locale che è legata molto a circoli di interesse poco trasparenti, quindi con possibilità di qualche colpo al limite fra la politica e la criminalità; e dall’altro lato, c’è una quadro regionale che è un po’ difficile da vivere. Ovviamente adesso tutti guardano anche al referendum in Turchia, sarebbe dunque veramente il momento di tenere d’occhio cosa sta succedendo in questa parte di mondo.

D. – E’ anche un’area e lo è sempre stata, di cerniera, di transito economico importante. Continua ad essere così? Quali sono le maggiori questioni economiche in ballo oggi in quest’area?

R. - C’è una grande sofferenza economica in questo momento nel Caucaso, legata al corso del petrolio ma anche al ribasso del rublo; l’instabilità non sta facilitando gli investimenti perchè si tratta di mercati molto limitati e poco integrati dal punto di vista regionale. Quindi i progetti di economia di scala sono molto pochi.

D. – Del Caucaso fanno parte anche il Daghestan e la Cecenia: nell'area ci sono quindi Paesi base per il transito in Siria per esempio, ma anche Paesi di partenza del terrorismo. Che ruolo sta giocando in questo momento il Caucaso da questo punto di vista?

R. – Il bilancio positivo che si può fare è che rispetto a un paio di decenni fa, sia gli Stati de facto – quelli non riconosciuti – sia gli Stati riconosciuti hanno un livello di statualità più solida, quindi la capacità di controllare il territorio è aumentata. I singoli Stati si stanno adoperando per esempio per evitare lo sconfinamento di questo male estremo che è il conflitto in Siria. Per il momento non ci sono stati episodi che fanno pensare a una presenza massiccia di cellule attive legate all’integralismo. Sicuramente però sono Paesi donatori e c’è il grosso rischio che chi ha assimilato professionalità legate alla guerra in Siria, poi, tornando, diventi una matrice di un nuovo inasprimento di conflitti sul territorio.

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Migranti: un bus telefonico della Croce Rossa per chiamare a casa

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Mentre nel mondo si innalzano muri per arginare i flussi migratori, la Croce Rossa italiana si impegna nel far ristabilire un contatto ai migranti e ai profughi con le loro famiglie in patria. Un servizio cruciale che consente di strappare alla spirale dell'invisibilità, coloro che nella fuga da conflitti e barbarie, si perdono nella folla indistinta dei disperati del mare. L'ultima iniziativa della Cri, il Tracing Bus, servizio di telefonia itinerante per gli immigrati, che ha toccato i punti cruciali di sbarco in Italia. I particolari da Paola Simonetti: 

Dall'altro capo del mondo, dopo mesi di silenziosa lontananza, si riannodano i fili di legami familiari spezzati da fughe interminabili. Si sciolgono attese che hanno dilatato il tempo delle famiglie in patria, che aspettano un segnale da parte di figli, mariti, nipoti fuggiti da conflitti e barbarie. E' quanto ha realizzato il Tracing Bus, il furgone con servizio di telefonia itinerante messo a disposizione dalla Crocia Rossa Italiana, con il contributo di una grande compagnia telefonica. Da gennaio agli inizi di marzo ha toccato 17 tappe dal Nord al Sud Italia nei luoghi nevralgici di sbarco, percorso 4800 km per offrire a 1000 persone per tre minuti a testa il profumo di casa, strappando alla spirale dell'invisibilità coloro che spesso si perdono nei numeri generici degli approdi sulle coste europee. Brevi chiamate dopo 3 - 5 mesi di assenza di giovani provenienti da Mali, Pakistan, Costa D'Avorio, che hanno chiamato padri, madri, fratelli:

"Ragazzo: I called my dad. Ho chiamato mio padre..."

Un bilancio positivo quello dell'iniziativa della Croce Rossa con il camper telefonico, che ha presidiato i luoghi di transito dei migranti in Sicilia, in Puglia ma anche al Nord, in città come Como, Milano, Ventimiglia. Il coordinatore del progetto della Croce Rossa, Tracing Bus, Francesco Montrone:

"L’attività è andata oltre le nostre aspettative. Abbiamo avuto una platea di più di quattromila migranti, più di 1700 telefonate di cui oltre il 70 percento è andato a buon fine".

Per molti dei migranti il giorno in cui sono riusciti a chiamare casa è stato quello in cui si sono dovuti misurare con nuovo dolore, venendo a conoscenza di aver perso l’intera famiglia in un conflitto ad esempio, ma c’è anche chi componendo il numero di casa ha ritrovato l’autentica gioia di ritrovare radici, come Samir, che ha chiamato lo zio dopo mesi dalla sua partenza, con il Tracing bus e, dice, "sono stato immensamente contento di sentirlo":

"J’ai appelé mon oncle …
Ho chiamato mio zio per la prima volta dopo il mio arrivo qui. Sono stato veramente contento di parlare con lui! Ero veramente troppo contento!"

O Saif, pakistano, che alla sua ragazza ha detto quando torno ti sposo: 

"When I’ll come back to Pakistan …
Quando tornerò in Pakistan sposerò la mia ragazza".

L’iniziativa del Tracing bus è solo un piccola costola della delicata attività che Croce Rossa storicamente attua sui percorsi migratori per consentire la ripresa dei contatti fra migranti e famiglie d’origine o fornire notizie sul destino di coloro di cui si sono pese le tracce, come aggiunge ancora Montrone:  

"Questa attività della chiamata di tre minuti a casa è nell’ambito del servizio restoring families, un’attività unica del movimento di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa a livello mondiale con i migranti che purtroppo da quando partono fino a quando arrivano si perdono spesso, fanno perdere le loro tracce perché vengono uccisi durante il loro viaggio; a volte vengono separati al momento degli sbarchi … Croce Rossa Italiana si sta occupando in modo specifico proprio per evitare le separazioni in mare e la separazione ai porti di sbarco".

Il Tracing bus dopo l'esperienza pilota appena conclusa, potrebbe, con nuovi accordi della Croce Rossa Italiana e il finanziatore del progetto, vedere una prossima replica.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 71

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.