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Sommario del 14/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: conversione è imparare a fare il bene con cose concrete non a parole

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Allontanarsi dal male, imparare a fare il bene e lasciarsi portare avanti dal Signore: questo è il cammino di conversione quaresimale indicato da Papa Francesco nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Una conversione che si manifesta non a parole ma in “cose concrete”, ammonisce il Papa. Il servizio di Debora Donnini

Il Papa traccia la strada della conversione quaresimale prendendo spunto dalle parole del profeta Isaia riportate nella Prima Lettura odierna. Allontanarsi dal male e imparare a fare il bene, cuore dell’esortazione di Isaia, sono tappe di questo percorso. “Ognuno di noi, ogni giorno, fa qualcosa di brutto”. La Bibbia infatti dice che “il più santo pecca sette volte al giorno” .

Allontanarsi dal male e imparare a fare il bene è un cammino
Il problema, rileva il Papa, sta nel “non abituarsi a vivere nelle cose brutte” e allontanarsi da quello che “avvelena l’anima”, la rende piccola. E quindi imparare a fare il bene:

“Non è facile fare il bene: dobbiamo impararlo, sempre. E Lui ci insegna. Ma imparate! Come i bambini. Nella strada della vita, della vita cristiana si impara tutti i giorni. Si deve imparare tutti i giorni a fare qualcosa, a essere migliori del giorno prima. Imparare. Allontanarsi dal male e imparare a fare il bene: questa è la regola della conversione. Perché convertirsi non è andare da una fata che con la bacchetta magica ci converta: no! E’ un cammino. E’ un cammino di allontanarsi e di imparare”.

Si impara a fare il bene con cose concrete non con le parole
Ci vuole quindi coraggio, per allontanarsi, e umiltà, per imparare a fare il bene che si esplica in fatti concreti:

“Lui, il Signore, qui dice tre cose concrete ma ce ne sono tante: cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova … ma, cose concrete. Si impara a fare il bene con cose concrete, non con parole. Con fatti… Per questo Gesù, nel Vangelo che abbiamo sentito, rimprovera questa classe dirigente del popolo di Israele, perché ‘dicono e non fanno’, non conoscono la concretezza. E se non c’è concretezza, non ci può essere la conversione”.

Alzarsi con l'aiuto del Signore e con umiltà e saremo perdonati
Poi la Prima Lettura prosegue con l’invito del Signore: “Su, venite, discutiamo”. “Su”: una bella parola, dice Francesco, una parola che Gesù ha rivolto ai paralitici, alla figlia di Giairo così come al figlio della vedova di Naim. E Dio ci dà una mano per “andare su”. Ed è umile, si abbassa tanto da dire: “Venite, discutiamo”. Il Papa sottolinea quindi come Dio aiuti: “il camminare insieme per aiutarci, per spiegarci le cose, per prenderci per mano”. Il Signore è capace di “fare questo miracolo”, cioè di “cambiarci”, non da un giorno all’altro ma nel cammino:

“Invito alla conversione, allontanatevi dal male, imparate a fare il bene … ‘Su, alzati, venite da me, discutiamo e andiamo avanti’. ‘Ma ho tanti peccati …’ – ‘Ma, non preoccuparti: se i tuoi peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve’. E questa è la strada della conversione quaresimale. Semplice. E’ un Padre che parla, è un Padre che ci vuole bene, ci vuole bene bene. E ci accompagna in questa strada di conversione. Soltanto, chiede da noi di essere umili. Gesù dice ai dirigenti: ‘Chi si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato’”.

Francesco conclude ribadendo quale sia “il camino della conversione quaresimale”: allontanarsi dal male, imparare a fare il bene, alzarsi e andare con Lui. Allora “i nostri peccati saranno tutti perdonati”.

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Corso Foro Interno. Mons. Nykiel: sacerdoti incoraggino chi si confessa

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Con la Lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, si apre questo pomeriggio a Palazzo della Cancelleria, in Vaticano, il Corso sul Foro interno che da ben 27 anni la Penitenzieria Apostolica organizza durante il tempo quaresimale. In conclusione, la mattina di venerdì 17 marzo, i partecipanti saranno ricevuti in udienza dal Papa, che, nel pomeriggio presiederà una Celebrazione penitenziale nella Basilica di San Pietro. Sui motivi per cui Papa Francesco ritiene fondamentale la formazione dei sacerdoti per una retta amministrazione del Sacramento della Confessione, sentiamo mons. Krzysztof Nykiel, Reggente della Penitenzieria Apostolica, al microfono di Fabio Colagrande

R. - Perché Papa Francesco ritiene che la misericordia sia il cuore del vangelo. La Chiesa deve ricordare innanzitutto a se stessa e agli uomini del nostro tempo che alle sorgenti della Sua missione di riconciliazione si trova la volontà di Dio che tutti si salvino e giungano alla felicità eterna. Un canale privilegiato attraverso il quale la Chiesa annuncia la misericordia di Dio più grande del male e del peccato è proprio il Sacramento della Riconciliazione. Pertanto, è necessario che i ministri di questo Sacramento siano adeguatamente formati perché chiunque si accosti al confessionale possa fare un’autentica esperienza dell’amore misericordioso di Dio.

D. - In che modo un sacerdote può aiutare il penitente che si accosta al confessionale a sentire nella propria vita la presenza della misericordia di Dio

R. - Innanzitutto accogliendo benevolmente il penitente come il Padre misericordioso, nel Vangelo di Luca, accoglie il figlio minore che ritornava a casa. Un padre che attende, va incontro, stringe, perdona, dimentica e ristabilisce; un padre che sa intercettare, dal cuore dell’altro, l’invocazione di aiuto e di perdono. Nel contesto delle sfide che il Sacramento della Penitenza pone oggi, il ministero sacerdotale della Confessione si presenta come un servizio impegnativo, difficile, ma esaltante, in cui l’accoglienza, come primo momento, coinvolge confessore e penitente in un unico movimento di fede e amore: l’altro, da me accolto e rispettato, è altro da me ed è portatore di un mistero che va oltre me. In questo spirito rendere visibile l’amore misericordioso di Dio Padre, nel confessionale, è uno degli aspetti più entusiasmanti del ministero sacerdotale, ma anche una responsabilità. Nell’esercizio del ministero della Riconciliazione, i sacerdoti devono cercare di svolgere la loro missione in sintonia con la dottrina del magistero ecclesiastico, procedendo con prudenza, discrezione, pazienza, discernimento e bontà. Ciò che occorre evitare è il pericolo di creare l’“angoscia” del peccato, o il “complesso di colpa” nel penitente, il quale, invece, ha bisogno di essere incoraggiato a riporre tutta la sua fiducia nell’infinita misericordia di Dio.

D. - Eccellenza, che consiglio potrebbe dare ai sacerdoti che si trovano a confrontarsi, nel confessionale, con penitenti in condizioni particolari?

R. - In confessionale si possono presentare casi particolari che richiedono un’adeguata conoscenza della bioetica o della teologia morale e il sacerdote si può trovare in difficoltà. In tal caso, può chiedere un po’ di tempo per esprimere un parere in merito e consultare la Penitenzieria Apostolica. Ma la preparazione dottrinale del confessore deve essere tale da consentirgli almeno di percepire la possibile esistenza di un problema. In tale caso la prudenza pastorale, unita all’umiltà, lo porterà a scegliere se inviare il penitente ad un altro confessore o fissare un appuntamento per un nuovo incontro. Nessun confessore deve mai ritenersi padrone del Sacramento che amministra perché il sacerdote sa bene di essere egli stesso un peccatore perdonato. Papa Francesco l’ha ribadito recentemente nel discorso rivolto ai parroci della diocesi di Roma: “Un sacerdote o un vescovo che non si sente peccatore, che non si confessa, si chiude in sé, non progredisce nella fede”. L’ufficio della confessione richiede tanta umiltà, grande equilibrio, maturità umana e profondità di vita spirituale.

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Vespri anglicani in San Pietro, momento ecumenico straordinario

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Un evento di grande rilevanza nel cammino ecumenico: ieri, nella Basilica di San Pietro sono stati celebrati per la prima volta i Vespri Anglicani. A presiederli l’arcivescovo anglicano David Moxon, direttore del Centro Anglicano di Roma. Mons. Artur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha invce tenuto l’omelia. Philippa Hitchen ha chiesto un commento al vescovo anglicano David Hamid che ha preso parte alla celebrazione: 

R. – This is building on what I think popes and archbishops have been saying for …
Questo significa costruire su quello che Pontefici e Arcivescovi (anglicani ndr) stanno dicendo da anni, e che la Commissione Arcic ha ripreso: possiamo pregare insieme. La preghiera comune, la preghiera quotidiana della Chiesa è un elemento che ci unisce: si rifà alle nostre comuni radici benedettine e, come è stato sottolineato nel sermone, noi, la Chiesa anglicana, dobbiamo molto alla missione benedettina inviata da Papa Gregorio. Venire qui e cantare secondo la nostra tradizione liturgica, eredità dei Benedettini, recarci sulla tomba di San Gregorio e lì recitare le preghiere finali, è stato un momento ecumenico molto commovente e significativo.

D. – Cosa significa per lei, come vescovo anglicano, celebrare per la prima volta qui, alla Cattedra di San Pietro?

R. – It’s something I would never have imagined five years ago, certainly not ten …
Non lo avrei mai immaginato cinque anni fa, certamente non 10 anni fa! E’ un’apertura bellissima: siamo riconoscenti per la vicinanza tra le nostre tradizioni, che sta diventando sempre più visibile e che rende possibile questo tipo di preghiera comune. Dall’altro lato, è stato anche molto naturale trovarsi nella casa di Dio, in questo grande e santo luogo sulla tomba di Pietro e pregare insieme i Vespri. Quindi, due aspetti incredibilmente stupefacenti eppure, allo stesso tempo, anche un evento assolutamente normale se riferito a quello che i cristiani dovrebbero fare insieme.

D. – Significativamente, questo è avvenuta nell’anniversario dell’elezione di Papa Francesco …

R. – Yes: I mean, I think that’s probably for Anglicans, certainly, we consider that …
Sì: direi che probabilmente, anzi, certamente noi anglicani la consideriamo quantomeno una felice coincidenza: infatti, tutto il calore che ci abbiamo messo nel corso degli anni, sembra concretizzarsi nella sua persona e nella sua apertura ai rapporti e al dialogo ecumenico; a partire dalla visita resa alla nostra parrocchia di Roma, qualche settimana fa, questo è un ulteriore passo che avvicina le nostre due comunioni nella preghiera e che manifesta al mondo che siamo Uniti in Cristo.

Sull’importanza di questa celebrazione, a cinque mesi dalla celebrazione comune dei Vespri presieduta da Papa Francesco e dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby nella Basilica di San Gregorio al Celio, sempre Philippa Hitchen ha intervistato mons. Artur Roche, segretario del dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:

R. – I think the most significant thing is that it retraces steps which were made …
Mi sembra che l’aspetto più importante è che si ripercorrano passi che erano già stati fatti nel VI secolo, per l’evangelizzazione dell’Inghilterra. Il patrimonio che fu costruito in quell’epoca e nel corso di tanti anni, in un certo senso è tornato tutto questa sera [ieri] a rendere omaggio a Papa San Gregorio, conosciuto come apostolo dell’Inghilterra – Apostolus anglorum. Credo che sia stato un bellissimo tributo da parte della Chiesa anglicana, proprio nell’anniversario dell’invio da parte di Gregorio del monaco Agostino in Inghilterra.

D. – E’ stata una bella celebrazione della tradizione musico-liturgica inglese. Quale impatto pensa possa avere, a lungo termine, sul dialogo tra cattolici e anglicani? Può essere utile a più ampi propositi nel dialogo tra i due?

R. – Yes, I think it can, because again – as Pope Francis said at “All Saints”, quite …
Sì, credo di sì, perché ancora una volta – come l’ha detto anche Papa Francesco quando ha visitato la parrocchia anglicana di Ognissanti a Roma – la teologia, i punti che fanno la differenza non devono essere studiati in laboratorio, in atmosfera controllata; devono essere scoperti in viaggio, fianco a fianco. Nell’atto di pregare insieme c’è un segno della Provvidenza che ovviamente ci induce in modo significativo a riconoscere il nostro battesimo comune e a prendere coraggio da questo. E quanto più si riesce a fare incontrare le persone in questo senso, tanto più si apriranno, si spalancheranno le porte.

D. – Lei è nella Congregazione per il Culto Divino: possiamo aspettarci di assistere sempre più a celebrazioni non cattoliche nella Basilica di San Pietro?

R. – Well, that’s not entirely within my competence, because that’s within the …
Questo non rientra propriamente nelle mie competenze, quanto più in quelle del Consiglio per l’Unità dei cristiani; ma ho l'impressione che quanto accaduto oggi [ieri] non rimarrà un evento unico …

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Funerali mons. Barbarito. Becciu: una vita per la Chiesa e il Papa

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“Una vita conformata all’amore per la Chiesa e per il Papa”. Mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato ha ricordato così questa mattina mons. Luigi Barbarito, arcivescovo e nunzio apostolico, spentosi nella notte tra l’11 e il 12 marzo a Pietradefusi, in provincia di Avellino. Lo ha fatto durante le esequie celebrate nella chiesa di Sant’Ippolisto ad Atripalda, comune campano che ha dato i natali al presule nato nel 1922, definito “fine diplomatico” e “zelante pastore”.. 

Il cordoglio del Papa
Facendosi portavoce del saluto e del cordoglio del Papa, espressi anche da un telegramma a firma del segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, letto ad inizio celebrazione, mons. Becciu ha fatto memoria del bene ricevuto negli anni in cui fu collaboratore di mons. Barbarito a Londra.

Ordinato giovanissimo, fu nunzio apprezzato in tutto il mondo
Nella capitale inglese infatti il presule fu nunzio apostolico molto apprezzato dalla regina e si distinse per la sua spiccata capacità diplomatica contribuendo a rafforzare i rapporti con la Chiesa anglicana. Durante le esequie, il sostituto della Segreteria di Stato ha ricordato la giovane vocazione di mons. Barbarito ordinato sacerdote a soli 22 anni su dispensa di Pio XII e poi vescovo nel 1969 dal Beato Paolo VI che lo volle nunzio ad Haiti. “Da lì seguirono altre impegnative sedi”, come Senegal, Niger, Burkina Faso, Capo Verde, Mali, Mauritania, Gunea Bissau, Australia e il già citato Regno Unito: Paesi che il prelato servì ed amò – ha detto mons. Becciu – “con l’animo del figlio del meridione d’Italia e dell’uomo di Chiesa che vede e valuta tutto nella prospettiva di Cristo”. 

Risurrezione è “camminare in una vita nuova”
“Per noi che abbiamo ricevuto la missione di rappresentare il Papa in Paesi lontani e distanti dalla terra natìa – è stato un passaggio dell’omelia -  è importante attingere alle radici della fede, fare memoria del Battesimo e rinnovarlo sempre”. Nel Battesimo si risorge in Cristo e – ha aggiunto mons. Becciu – “la nostra resurrezione consiste nel camminare in una vita nuova, libera dalla vecchiaia del peccato”, “ringiovanita” dalla grazia di Dio con “gli atteggiamenti di bontà, misericordia, mitezza”, propri di Gesù.

Un animo buono, paterno, sincero
“Mons. Barbarito  aveva un animo buono, paterno, trasparente, sincero”, generoso, intelligente e di avvincente cultura”. Degno di nota il suo spendersi nel Secondo Dopoguerra in favore di una rinascita morale e sociale, concretizzatosi – ha rammentato il  Sostituto della Segreteria di Stato - nel suo impegno nell’Azione Cattolica, nelle Acli, nel giornalismo e in politica. A suggello del costante amore per Atripalda c’è la scelta del presule, assistito fino agli ultimi istanti di vita dall’amorevole cura delle Suore Francescane Immacolatine di Pietradifusi, di essere sepolto in una cappella laterale della chiesa di Sant’Ippolisto. (a cura di Paolo Ondarza

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Dal Covolo: alla Lateranense un Festival della Creatività per la Chiesa

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“Quale Chiesa fra vent’anni?” E’ l’affascinante domanda che lancia il primo Festival Internazionale della Creatività nel Management pastorale, promosso dalla Pontificia Università Lateranense in programma nella sede dell’ateneo dal 23 al 25 marzo. L’evento, in collaborazione con la Villanova University della Pennsylvania e con la realizzazione formativa di Creativ, coinvolgerà donne e uomini, laici e consacrati, che si stanno impegnando nel rinnovamento della Chiesa come chiesto da Papa Francesco. Le iscrizioni al Festival, che si articolerà in conferenze, workshop e lezioni interattive, sono possibili accedendo sul sito www.festivalpastoralecreativa.com. Per illustrare l’obiettivo di questo evento inedito, Alessandro Gisotti ha intervistato il rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico Dal Covolo

R. – Come prima cosa, direi che non abbiamo "ricette" in tasca da proporre: la nostra è una ricerca aperta. Come è nata? È nata da alcune edizioni che abbiamo proposto riguardo alla prassi pastorale virtuosa sia per religiosi, consacrati, sacerdoti, sia per laici. Abbiamo avvertito questa domanda – l’abbiamo intercettata fortemente – "Quale futuro di Chiesa?" Non abbiamo ricette da proporre, ripeto, abbiamo delle riflessioni che si svolgono dentro un’università, quindi a un livello scientifico, accademico, ma che, riteniamo, possano essere molto utili di fronte alla domanda che ci è stata proposta.

D. – Papa Francesco esorta spesso ad essere creativi nella vita della Chiesa: cosa ci si può aspettare al riguardo da questo festival?

R. – Il Papa esorta alla creatività: è una delle parole ricorrenti del suo vocabolario. Che cosa ci si può aspettare dunque da questo nostro Festival della creatività? Beh, io credo – e personalmente me lo attendo – delle indicazioni di concretezza: cioè su quali linee precisamente muoverci di più; quali sono le priorità e le strategie da proporre, a livello di diocesi, di parrocchie, ma non solo, anche a livello di istituzioni politiche. Perché il Festival si rivolge anche proprio alle istituzioni politiche: vi partecipano rappresentanze di tutto il mondo. E allora noi vorremmo, attraverso questo Festival, giungere a una sorta di dichiarazione, di manifesto, in cui vengano specificate queste linee concrete lungo le quali la creatività di cui il Papa parla, e la Chiesa che noi prospettiamo tra 20 anni, si possano muovere.

D. – Può darci qualche anticipazione su cosa troveranno i partecipanti all’evento?

R. – Troveranno diversi spazi interessanti, suddivisi nell’organizzazione: conferenze pluriprospettiche; tavoli delle buon pratiche; spazi della corresponsabilità; esperienze evocative ed eventi che ormai hanno già segnato positivamente questo cammino; dialoghi con persone molto autorevoli; un tavolo aperto di domande e di ricerche e diversi gruppi di lavoro.

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Le nomine di Papa Francesco

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Le nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Oggi in Primo Piano



Dossier Caritas Siria sui giovani: "Come fiori tra le macerie"

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Alla vigilia del sesto anniversario dell’inizio della guerra in Siria, la Caritas italiana e Caritas Siria  in collaborazione con Avsi, Engim e Vis hanno presentato oggi il terzo Dossier, con dati e testimonianze, dal titolo “Come Fiori tra le macerie”. Si tratta di 132 interviste a operatori volontari, educatori, catechisti e insegnanti, che lavorano con i giovani rimasti in Siria e parlano dei loro problemi e delle loro aspirazioni. Ne emerge un quadro che pur nella sua drammaticità lascia aperti spiragli di speranza. Alla presentazione per noi, c’era Gabriella Ceraso

I fiori sono i giovani, le macerie sono la realtà in cui vivono. Il Dossier serve a non chiudere gli occhi: parte da sei anni fa seguendo l'escalation di quella che in origine fu una rivendicazione di pane da mangiare, poi divenne un conflitto regionale e ora è internazionale e complesso. I dati: al 2015 si contavano 470mila morti e poi 13 milioni e mezzo di persone bisognose di assistenza, tra cui oltre 5 milioni sono bambini, 5 milioni sono i profughi all’estero, oltre 6 milioni gli sfollati interni per i quali la Siria ha superato il record finora segnato dalla Colombia. Ma al centro del Dossier c'è un focus su chi resta: cosa fa, come vive? Sono i giovani - un campione di circa 3mila tra i 18 e i 34 anni - prima di passare a testimonianze e proposte per il futuro, che chiudono il Dossier. I loro dati sono uno spaccato della realtà globale. Il 91% è povero e l’84% disoccupato e vive in famiglie divise, il 61% vive in zone a rischio e il 55% di questi ragazzi ha subìto abusi e violenze. I problemi che vedono intorno a loro sono legati soprattutto al possesso di armi, all'affiliazione a gruppi estremistici e a comportamenti violenti, oltre che a furti e a bullismo. Suzanna Tkalec è la direttrice dei programmi umanitari di Caritas internationalis, appena rientrata da Aleppo:

“Un livello di distruzione simile io non l’ho mai ancora visto. Non ci sono edifici che siano rimasti in piedi; tutte le persone che abbiamo incontrato hanno perso tutto. Ci sono delle attività, la gente tenta perchè deve tenersi impegnata, ma le grandi produzioni non ci sono più. Abbiamo trovato moltissimi bambini che si trovano senza genitori: per esempio abbiamo trovato una famiglia composta di sei bambini, il più grande è di 12 anni, il più piccolo di 9 mesi, e da due mesi in questa situazione di disperazione totale sono sopravvissuti da soli”. 

In questo quadro di macerie la Caritas indica nel Dossier i giovani come "fiori" perché, il campione intervistato non rinuncia ai propri valori, alle tradizioni e alla spiritualità:

“Il livello di energia e di entusiasmo di questi giovani, che hanno vissuto per sei anni nella guerra, è unico ed eccezionale. Loro vogliono restare lì, vogliono essere parte attiva per la ricostruzione della nuova Siria e si impegnano. Tutti sono vulnerabili. I bisogni sono ovviamente immensi, sono diversi, però noi dobbiamo trovare anche delle soluzioni che rispondono nel modo migliore a questi bisogni. C’è bisogno di interventi internazionali, occorre lavorare assieme perché bisogna ricostruire tutto”.

Inoltre secondo i dati forniti dal Dossier e quindi dalle interviste,nonostante tutto oltre il 64% dei ragazzi è impegnato in attività a favore di altri giovani e il 13,6 si applica nella promozione della pace, ed è un dato positivo e sorprendente. Cosa fare per loro? Lo abbiamo chiesto a monsignor Antoine Audo vescovo di Aleppo e presidente di Caritas Siria:

“Si deve fare il primo passo. Aiutare ad avere un lavoro, per guadagnare la loro vita, dare una formazione, una educazione, questa è la strada”.

Per aiutare i giovani e tutta la Siria, continua mons Audo, occorre non trovare soluzioni dall'esterno ma promuovere dialogo e riconcilizione specie a livello  religioso:  

“Si deve sostenere a livello internazionale, con americani e russi e a livello regionale, un vero dialogo tra sunniti e sciiti, che hanno un’influenza sull’interno della Siria come società, come governo, come religione. Si deve continuare su questa strada, e non vendere armi e continuare a distruggere la Siria: perché questo è il progetto, come hanno distrutto l’Iraq, la Libia,c’è una determinazione in questo senso”.

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Iraq: strappato all'Is il 65 per cento di Mosul Ovest

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In Iraq, prosegue l'avanzata su Mosul delle forze governative, con l'appoggio delle milizie sciite delle Unità di Mobilitazione Popolare. Secondo fonti militari le forze anti-terrorismo hanno completamente liberato dal sedicente Stato islamico altri due quartieri, riprendendo il controllo di circa il 65 per cento di Mosul Ovest. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università di Milano: 

R. – È immaginabile che la riconquista di questa parte della città sia particolarmente complessa anche dal punto di vista militare; era previsto anche prima dell’inizio delle operazioni. E’ importante però capire quale sia la connessione tra le difficoltà militari e quelle politiche. Paradossalmente la lotta contro l’Is è stato l’unico elemento di comunanza tra tutte le fazioni in lotta e per fazioni lotta non intendo soltanto le fazioni locali, ma anche gli attori esterni che si sono inseriti nella guerra sia in Iraq sia in Siria. Un’eventuale scomparsa dell’Is, paradossalmente, esacerberebbe le differenze interne; e può darsi che queste ultime stiano già, come è era inevitabile che fosse, riemergendo.

D. – Quanto incide la crisi siriana in relazione a quella irachena?

R. – Se vogliamo continuare a parlare dell’Is, è chiaro che la guerra in Siria e la guerra in Iraq sono guerre strettamente collegate. Ma insisto da anni nell’affermare che i due conflitti non hanno niente a che fare con l’Is. L’Is è un soggetto che è subentrato nel collasso dello Stato iracheno e in quello siriano.

D. – L’attenzione ora è per la guerra contro il Califfato; non si parla più delle difficoltà che aveva il governo di Baghdad…

R. – È un governo totalmente fragile in una regione in disfacimento, perché questo è l’elemento di ulteriore gravità. Abbiamo due Stati, l’Iraq e la Siria, che sono fondamentalmente scomparsi; e al posto di questi due Stati abbiamo una regione nella quale tutti gli attori sono entrati in una fase di competizione vorticosa. E tra questi attori basta vedere quello che sta avvenendo anche su altri scenari in questi giorni: c’è l’attivismo della Turchia, dell’Iran, c’è la preoccupazione e il riarmo continuo dell’Arabia Saudita; c’è l’inserimento di attori esterni, compresi attori che in Medio Oriente, persino all’apogeo della loro forza, non avevano mai giocato il ruolo che stanno giocando, come la Federazione russa. Quindi, il vero problema, al di là dell’Is, è il collasso dei due Stati centrali per gli equilibri mediorientali; è un collasso nel quale fondamentalmente si è aperto un arrembaggio dall’esterno di tutti gli attori possibili e immaginabili.

D. – Quale potrebbe essere la via per risolvere questa situazione?

R. – In questa situazione è molto complicato immaginare una fine del conflitto, anche perché, a differenza di qualche anno fa, le potenze che erano intervenute dieci o quindici anni fa non sembrano oggi intenzionate a rimettere insieme i pezzi del disastro che in larga parte hanno provocato. Gli Stati Uniti oggi non sono certo in condizione di assumersi la responsabilità di una grande operazione di stabilizzazione in Iraq; meno che mai i Paesi europei; e la Russia, al di là dell’illusionismo della sua politica estera attiva di questi ultimi due o tre anni, non è in condizione di sostituire gli Stati Uniti. Quindi oltre al collasso, in questo momento manca il pacificatore. Questo è il vero circolo vizioso.

D. – Tutto questo in una realtà sul territorio composta dai gruppi jihadisti fino ad arrivare alle realtà claniche…

R. – Fino a tutto: ci sono i gruppi jihadisti; ci sono ovviamente le differenze che ci sono sempre state; ci sono le spinte secessioniste, perché fondamentalmente c’è un problema anche di integrità nazionale e naturalmente ciò non può che avere effetti destabilizzanti sui Paesi vicini. Chi si stupisce che la Turchia viva con inquietudine la formazione di entità autonome o semi-autonome nel Kurdistan iracheno e siriano è quantomeno ipocrita… Quindi, c’è proprio un “effetto a cascata”: qualunque secessione destabilizza qualcun altro, e questo è quello che è avvenuto in modo quasi micidiale negli ultimi sei, sette, otto anni, da quando la situazione è andata totalmente fuori controllo. 

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Etiopia: tragedia nella discarica, in 72 sotto una frana di rifiuti

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Tragedia della povertà e della disperazione in Etiopia. E’ salito a oltre 70 morti il bilancio delle vittime della frana di rifiuti in una grande discarica alla periferia di Addis Abeba. Tre giorni fa i detriti hanno travolto una trentina di fatiscenti abitazioni gremite di famiglie. I soccorritori sono ancora alla ricerca dei dispersi, circa 150 le persone che abitavano nelle baracche distrutte, in maggioranza donne e bambini. Stefano Leszczynski ne ha parlato con Giacomo Spigarelli, responsabile dei progetti per l’Etiopia del Vis, il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo: 

R. -  Noi lavoriamo proprio nel quartiere dove è avvenuta la tragedia, in collaborazione con la missione dei salesiani di Don Bosco. La tragedia purtroppo ha coinvolto anche parte dei nostri studenti e oggi è tutto chiuso, la scuola è chiusa, perché si sta rispettando il lutto e perché purtroppo si continua ancora a cercare tra la frana di rifiuti.

D.  – Chi sono esattamente le persone morte nella discarica e, soprattutto, che continuano a frequentare la discarica per sopravvivere?

R. – Donne e bambini: sono loro che sono i principali responsabili delle attività di ricerca, di riciclo, fra i rifiuti. Purtroppo nel momento della frana anche madri con bimbi appena nati erano presenti nella zona e hanno perso la vita con tutte le persone che erano andate a trovare un'altra mamma con un bimbo, rimasta sepolta con sette persone che erano andate a trovare il bimbo appena nato. Le proporzioni della tragedia sono enormi, anche perché, purtroppo, chi ci ha rimesso sono ancora una volta i più vulnerabili, i bambini e le donne.

D.  – Quali sono le condizioni di vita in questi quartieri che crescono intorno alla discarica?

R. – Le condizioni igienico-sanitarie sono pessime. Le abitazioni sono case fatte in legno e fango. Alcune in lamiera, chi se lo può è permettere, perché la lamiera è già un lusso. Sono veri e propri slum, che nascono in prossimità di questa zona proprio per poter recuperare quello che si può dalla discarica.

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Sud Sudan: un Paese ormai moribondo per carestia e fame

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Sono stati liberati gli otto operatori umanitari di una organizzazione caritativa cristiano-evangelica rapiti due giorni fa nel Nord del Sud Sudan. La stessa organizzazione ne ha dato notizia, negando il pagamento di un riscatto e non precisando chi abbia rapito gli otto. Il sequestro è avvenuto nello stato di Unity, devastato dalla carestia, inizialmente era trapelata la notizia che il riscatto richiesto fosse proprio la distribuzione di aiuti umanitari. La fame, che vede a rischio oltre un milione di persone, è l’ultima delle emergenze nel Sud Sudan, distrutto da tre anni di guerra civile, soprattutto tra l’etnia Dinka del presidente Salva Kiir e quella Nuer dell’ex vicepresidente Riek Machar. Francesca Sabatinelli ha intervistato il comboniano Daniele Moschetti, per sette anni missionario in Sud Sudan, sei dei quali vissuti da provinciale: 

R. – È un popolo molto provato da questa guerra che ha visto delle atrocità enormi, come stupri di migliaia di donne, ci sono diciassette mila bambini soldato. Quindi c’è una situazione che, non soltanto dal punto di vista sociale, ma anche da quello politico e militare, è di grande sofferenza, fatta di traumi che originano dalle guerre precedenti. Ma c’è anche una Chiesa che ha sempre più bisogno di trovare un’unità insieme alle altre Chiese, un’unità che si sta costruendo in maniera molto positiva, ma ha bisogno anche di pastori che possano aiutare la propria gente a resistere dentro ad una situazione non facile, dove le Chiese rimangono l’unico baluardo davvero forte di speranza e di futuro.

D. – Il neo segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, è stato in questi giorni in Sud Sudan e ha in qualche modo scongiurato il rischio di un genocidio. Prematuro dire questo o effettivamente si potrà evitare?

R. – Forse mi sembra un pochino prematuro da parte sua, nel senso che fino adesso le Nazioni Unite, con Ban Ki-moon e tutti gli altri organismi legati all’Onu, hanno sempre parlato di “genocidio”, anche il Papa e tanti altri lo hanno fatto. Anche noi abbiamo visto questo rischio per il semplice fatto che adesso c’è una polverizzazione di gruppi militari di varie etnie: non c’è più soltanto la guerra civile tra Nuer e Dinka, tra il presidente Salva Kiir, Dinka, e l’ex vice presidente (Riek Machar ndr) che è Nuer, oggi è diventata una lotta di tutti contro i Dinka, di tutti contro Salva Kiir, contro il suo governo, anche se lui sta portando avanti un’iniziativa per il dialogo con le opposizioni. Però sappiamo benissimo che in alcune zone continua con il suo esercito, del governo, ad attaccare in alcune zone Nuer ma anche in altre dove ci sono altre etnie. Quindi, non si può invitare al dialogo se poi si continua ad ammazzare la gente, cominciamo a fermare le armi e poi possiamo veramente iniziare a dialogare. Siamo tornati indietro rispetto a qualche tempo fa, qualche anno fa, perché si andava verso una maggiore integrazione delle etnie oggi, dopo questi scontri continui per riconciliare i gruppi, ci vorranno decenni, decenni, decenni! Se non si entra nella dimensione della riconciliazione e del perdono sarà certamente difficile avere un futuro.

D. – A tutto questo poi si somma questa povertà estrema e questa carestia drammatica. Se non sono le armi, è la fame a sterminare questo popolo…

R. – Sì, perché negli ultimi due anni e mezzo sia le Nazioni Unite ma anche tutti gli organismi non governativi, noi come missionari e la Chiesa locale, hanno sempre messo in allerta il mondo proprio dicendo che ci sono quattro-cinque milioni di persone che sono a rischio di fame. Papa Francesco, settimane fa, nell’udienza del mercoledì, aveva esattamente detto questo: ci sono persone concrete che stanno morendo di fame! E questo è stato confermato anche dal governo, ed è stata la prima volta che lo ha fatto, finora aveva sempre rifiutato di ammetterlo, dicendo che erano tutti numeri dati dalle Nazioni Unite e dagli organismi non governativi per prendere denaro e soldi. Però, concretamente, sta avvenendo questa ecatombe. C’è una grande difficoltà, anche per quanto riguarda il portare il cibo, sganciandolo ad esempio dagli aerei, alle persone che stanno vivendo in una situazione di grande dramma dovuto alla fame. Il governo non apre i corridoi umanitari per poter dare una mano. C’è anche un po’ la cattiveria, che ha indubbiamente un fine e che è disumana, disumana…

D. – Il lavoro di voi missionari è un lavoro reso difficile dal conflitto e dall’odio, ma è un lavoro che però vi vede a confronto con persone che sono prevalentemente di religione cristiana. Questo che significa per voi?

R. – Indubbiamente è una grande sfida, perché ci sono un presidente cattolico e un vice presidente presbiteriano, protestante, e vedere ciò che sta accadendo, una situazione di tale atrocità in questo tempo, ci pone tante domande. Ci sono tante sfide dal punto di vista religioso, in questo momento non è un conflitto Nord-Sud, quindi islam-cristianesimo, ma è tra la gente battezzata e che si dice cristiana, ma che di cristiano non ha niente. Ci sono state delle atrocità e dei crimini di guerra, il presidente e il vice presidente devono rispondere per le azioni, chiaramente pianificate, di grandi uccisioni. E questa è una sfida che le Chiese devono assumere: come riuscire ad inculturare sempre di più il messaggio del Vangelo, il messaggio di Gesù Cristo, dentro una realtà storica dell’oggi dove ci sono dei segni che sono veramente del male. Bisogna dare l’opportunità di creare degli spazi dove la gente si possa veramente incontrare. Diciamo che l’educazione è la chiave fondamentale per ogni conflitto, specialmente in Sud Sudan.

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Scozia, Catalogna: cresce l'istanza indipendentista in Europa

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Scozia e Irlanda del Nord per il Regno Unito, la Catalogna e i Paesi Baschi in Spagna e tante altre situazioni, attualmente sopite: il vento di secessione spira con una certa forza in Europa, complice la Brexit e alcune forze politiche più populiste, che fanno dell’antieuropeismo e dell’indipendentismo la loro bandiera elettorale. Quale l’influenza di queste istanze sul futuro del Vecchio Continente? Giancarlo la Vella ne ha parlato con l'ambasciatore Antonio Armellini

R. – L’Europa potrebbe benissimo contenere e promuovere le autonomie nell’ambito della dimensione di Stati che vadano perdendo sempre più la loro forte caratterizzazione nazionale. Così non è e, quindi, le autonomie diventano a volte contenziose, come nel caso della Spagna e della Scozia, dove peraltro i nodi sono forse più intricati di quanto non appaia a prima vista, perché c’è un gioco politico interno; c’è un gioco legato al negoziato sulla Brexit; c’è un gioco legato anche alla dimensione economica della Scozia che, per la verità, non supporta un’ipotesi seria di indipendenza.

D. – Poi c’è tutta un’altra serie di situazioni in sospeso un po’ in tutti i Paesi europei. Questo vuol dire che l’Europa potrà svilupparsi unicamente come organizzazione economica e non come super Stato?

R. – Il concetto di super Stato, secondo me, tende a deviare dal ragionamento, nel senso che l’Europa federale non è un super Stato: l’Europa federale è un’entità che si forma attraverso l’apporto positivo di un numero di partecipanti, che decidono di mettere in comune quote più o meno rilevanti della loro sovranità. Il mercato e la realizzazione dei processi economici al loro interno, sono una componente di questa Europa. L’Unione Europa di oggi è ben diversa da quella dell’inizio, e al suo interno ci sono gruppi di Paesi che hanno obiettivi e prospettive che sono diversi: non conflittuali, ma diversi. E quindi credo che la via del futuro del processo europeo sia quella di un’Europa “plurale”, cioè un’Europa al cui interno convive una serie di Paesi, ognuno dei quali deve avere la medesima idea di cosa voglia dire essere “europeo”: ovvero rispondere a dei canoni fondamentali di libertà; diritti dell’individuo; economia di mercato, e così via. Ma all’interno di questa cornice perseguono obiettivi separati: si tratta di prendere atto di questo e di immaginare un percorso successivo dell’Europa in cui le sue diverse componenti possano perseguire singolarmente i vantaggi e le possibilità di ciascuna di esse. Finché noi continuiamo ad avere il mito di un’Unione Europea che persegue lo stesso obiettivo, rischiamo di contenere in una camicia di forza capacità e risorse che invece potrebbero svilupparsi liberamente, se fosse loro consentito di muoversi in parallelo. Questo non vuol dire affatto creare un'Europa di “serie A” o “serie B”, ma anzi vuol dire dare pari dignità a tutte le diverse componenti di questo processo.

D. – L’Europa poi è fatta di cittadini, e l’antieuropeismo cerca consensi laddove dice che questa Europa costa troppo…

R. – Il problema non è quello dei costi dell’Europa, che sono veramente molto modesti – meno dell’1 per cento –, ma è della percezione che di questi costi si ha e della capacità di queste istituzioni di proiettare un messaggio positivo. Certamente ci deve essere un’Europa in cui ci si possa muovere liberamente; un’Europa nella quale si possa lavorare, spostarsi e andare da un Paese all’altro senza vincoli, alla luce di un mercato più ampio, che ha permesso una crescita straordinaria. Tutto questo è una grande conquista che abbiamo raggiunto e su questo forse è bene fare attenzione quando si lamentano i costi di un ‘Europa che dà molto di più di quanto costi.

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Flame 2017. Messaggio del Papa ai giovani: testimoni dell'amore di Cristo

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“Essere testimoni dell’amore di Cristo”. Lo ha chiesto Papa Francesco ai quasi 10mila giovani riuniti sabato scorso alla Sse Arena di Wembley, in Inghilterra, per “Flame 2017” una iniziativa promossa dalla “Catholic Youth Ministry Federation” e dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il Papa ha ripetuto ai giovani inglesi quanto aveva detto lo scorso luglio a Cracovia in occasione della Gmg, incoraggiando i ragazzi ad “aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Andare per le strade seguendo la ‘pazzia’ del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo”.

Il tema del congresso
Il tema del congresso di quest’anno – riporta l’agenzia Sir - è stato l’invito ai giovani a ricercare ed essere parte delle “10mila ragioni” per credere, sperare e pregare. La musica è stata parte integrante dell’evento grazie alle performance di gruppi musicali come “One Hope Project” e cantanti come Jasmine Elcock e Matt Redman.

Ospite speciale dell’evento il card. Charles Maung Bo
Ospite speciale dell’evento è stato il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon in Myanmar, che ha parlato della situazione politica e religiosa nel Paese, esortando i giovani presenti a essere coraggiosi e a fare la differenza nella società. I ragazzi hanno anche ascoltato testimonianze sugli aiuti ai rifugiati e le questioni ambientali da Sarah Teather, del Jrs, il Servizio della Compagnia di Gesù per i rifugiati, e don Augusto Zampini Davies del Cafod, l’agenzia caritativa dei vescovi inglesi e gallesi per gli aiuti ai Paesi d’oltremare.

Solidarietà e accoglienza dei rifugiati in primo piano
Solidarietà e accoglienza dei rifugiati è stato un tema chiave in molti momenti della manifestazione, a partire dalla rappresentazione di una barca con 37 persone, dal Nord Africa a Lampedusa, in fuga dalla violenza e dalla guerra. Durante la Messa del pomeriggio, il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, ha invitato i giovani a pregare per i circa 10mila rifugiati che sono annegati mentre cercavano di attraversare il Mar Mediterraneo e ha benedetto una barca in legno tipica del Nord Africa, spesso utilizzata dai migranti per attraversare il mare, come “simbolo di speranza per le persone che sono nella disperazione. Un simbolo di nuovi inizi e di sicurezza. Un simbolo per tutti i nostri viaggi, come una famiglia, unita nell’amore di Dio”.

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Sacerdoti Buenos Aires: rischio razzismo da giro di vite contro migranti

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"Nessun popolo è criminale o narcotrafficante o violento. ‘Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione”: citano Papa Francesco, e in particolare l’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, i sacerdoti che operano nelle periferie di Buenos Aires, i quali, in un documento intitolato “L’immigrazione e il razzismo", esprimono la loro preoccupazione per la decisione delle Istituzioni nazionali di rendere più severe le leggi sull’immigrazione e la cittadinanza. Una decisione, riporta l’Osservatore Romano, che potrebbe avere “conseguenze discriminatorie" e incentivare il razzismo e la xenofobia, scrivono. 

Il potenziale dei migranti sia convogliato per il bene comune della nazione
“Il nostro popolo ha scorte morali, che ci invitano alla solidarietà e all’ospitalità. Preferiamo una legislazione che non si concentri tanto sulle punizioni ma cerchi invece di convogliare il potenziale dei migranti per il bene comune della nazione”. Nel testo — firmato tra gli altri da padre José María “Pepe” Di Paola — viene condannata l’associazione migrante-reato: lo straniero “non può essere ritenuto responsabile del problema della droga, dell’insicurezza e di tutti gli aspetti negativi della società. Il problema non è l’immigrazione ma il crimine. Siamo convinti che lo sfruttamento sofferto spesso dai migranti sia causato dai muri invisibili della discriminazione, che ci separano da essi come dagli altri, rendendoci insensibili e creando in noi la difesa immaginaria da una paura giustificata solo dal pregiudizio. Per i curas villeros, le misure che rafforzano il controllo migratorio in Argentina, rischiano dunque di aggravare la frammentazione e le divisioni, "distruggendo il nostro sogno nazionale di popolo”.

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Spagna. Plenaria dei vescovi elegge presidente e vice

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Questa mattina, al secondo giorno della 109.ma Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Spagnola, CEE, riunita a Madrid per tutta la settimana, l’arcivescovo di Valladolid, il cardinale Ricardo Blázquez Pérez, è stato riconfermato per un secondo triennio presidente della CEE con 52 voti. Eletto alla vicepresidenza con 45 voti, l’arcivescovo di Valencia, il cardinale Antonio Cañizares, finora membro del Comitato Esecutivo, al cui interno invece sono stati eletti, tra gli altri, mons. Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, e mons. Jesús Sánz Montes, arcivescovo di Oviedo.

La Plenaria è chiamata a rinnovare tutte le principali cariche per il triennio 2017-2020, compresi i membri del Comitato Esecutivo, i 14 presidenti delle Commissioni Episcopali, i tre presidenti delle sottocommissioni episcopali, il presidente della giunta episcopale per le questioni giuridiche e i tre membri del Consiglio dell’Economia. Affronterà anche lo studio dei seguenti temi: lo stato dell'insegnamento della religione nel Paese, secondo il patto educativo; il dono della vocazione presbiteriale, la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis e il documento preparatorio alla XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema "I giovani, la fede e il discernimento vocazionale". (A cura di Anna Poce)

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Canada: no dei vescovi a finanziamenti aborto nei Paesi in via di sviluppo

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“Un esempio riprovevole di imperialismo culturale occidentale, che tenta di imporre ad altre nazioni e ad altri popoli valori fittizi e che si pretendono canadesi”: con queste parole mons. Douglas Crosby, vescovo di Hamilton e presidente della Conferenza episcopale del Canada definisce, in una lettera indirizzata al Primo Ministro, Justin Trudeau, la decisione del Governo di riservare una parte importante di fondi all'elimazione di “ostacoli giudiziari e legali” alla loro implementazione. Come riferisce la stampa locale, l’annuncio dell’investimento di 650 milioni di dollari per la salute sessuale e riproduttiva delle donne nei Paesi in via di sviluppo è stato dato in occasione della Giornata internazionale della donna e servirà per finanziare la pianificazione familiare, la contraccezione e l’aborto.

Una misura contraria all’etica che esige la protezione dei più vulnerabili
Nella missiva il presule cita alcune dichiarazioni rilasciate da un portavoce del Governo, che avrebbe spiegato che gli “ostacoli” da rimuovere per lo sviluppo della sanità e dei diritti sessuali e riproduttivi “comprendono ‘le leggi antiabortiste di numerosi Paesi’”. In questo modo, per mons. Crosby, si sfrutterebbero le donne quando hanno maggior bisogno di assistenza e di sostegno e si sovvertirebbe tragicamente l’assistenza sanitaria prenatale. Secondo il presidente della Conferenza episcopale, queste scelte politiche annullano i lodevoli sforzi del Paese “per accogliere i rifugiati ed offrire protezione ai senza tetto nel nostro mondo, perché le vite umane dei più giovani saranno così eliminate e gli esseri umani più vulnerabili scartati come tessuti umani indesiderabili” . “La vostra politica e la vostra visione, contrarie all’etica fondamentale, che esige che si proteggano i più vulnerabili e che si aiutino i più deboli – scrive mons. Crosby  – contrasta con i principi ai quali aderisce spontaneamente la maggioranza della popolazione mondiale e che la Chiesa cattolica ha sempre difeso: la tutela e la protezione della vita umana dal concepimento alla morte naturale”. (A cura di Tiziana Campisi)

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Coldiretti: quasi 22 miliardi il business della agromafie

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Si rafforzano, purtroppo, le agromafie in Italia. Le stime sul fatturato sono salite dai 16 miliardi degli anni scorsi a 21,8 miliardi, con la consapevolezza che sono cifre per difetto. E’ quanto emerge dal rapporto presentato oggi da Coldiretti. Ora si attende un aggiornamento delle leggi che regolano il settore. Alessandro Guarasci: 

Il giro d’affari delle mafie legate all’agricoltura ha fatto un vero balzo in avanti negli ultimi anni. Tutte attività al di fuori della legge, senza controlli, senza il rispetto dei diritti di chi vi lavora. Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico della fondazione osservatorio sulla criminalità della Coldiretti:

“Vale per le agromafie il discorso dal campo alla tavola… non si negano nulla… nella filiera agroalimentare li troviamo per quanto riguarda l’acquisizione di terreni agricoli, per quanto riguarda l’impianto di aziende agricole, per quanto riguarda il controllo dell’acqua…”.

Il settore alimentare e agricolo tra i bersagli preferiti della criminalità organizzata. Tanto che il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5 mila locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città. Il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo:

“Tutte azioni che soffocano la concorrenza, abbassano il prezzo per i produttori agricoli e alzano invece il prezzo per il consumatore finale. Ci sono danni anche per la salute dei consumatori, perché adulterazioni, falsificazioni, portano con sé l’utilizzo di prodotti chimici dannosi e pericolosi per la salute. E poi c’è un grande danno di immagine perché il falso prodotto made in Italy figlio delle agromafie danneggia l’immagine della qualità del vero prodotto italiano nel mondo”.

Il ministro dell’Interno Marco Minniti dice che in un paese civile non possono esserci ghetti come quello di Rignano, dove miglia di migranti venivano sfruttati nelle campagne. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando si augura che la legge sulle agromafie sia presto approvata, acnse servono norme europee:

"Noi non ci siamo dotati e quando dico noi non parlo dell’Italia ma parlo dell’Europa, di uno strumento che sia in grado di vigilare in modo tempestivo ed efficace su questo tipo di fenomeni. C’è bisogno di una procura europea. L’Italia è in prima linea in questa battaglia anche se purtroppo questo sforzo è uno sforzo non assecondato da tutti i Paesi europei perché resistono a molti particolarismi, molte paure che impediscono di avere una giurisdizione almeno su questo punto che sia sovranazionale".

Il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina afferma che in tre anni sono stati fatti 370 mila controlli. E anche la nuova legge sul caporalato sta dando i suoi frutti:

"Io però penso che noi abbiamo fatto un gigantesco passo in avanti fondamentale per l’agricoltura italiana a difesa di tantissime imprese agricole che vivono e operano nella legalità. Mi pare che questa legge stia iniziando a dare i segnali giusti, se vediamo anche le ultime settimane, alcune indagini, alcuni fenomeni che sono stati sradicati in maniera più forte, di quanto non è accaduto in passato, non solo nel mezzogiorno".

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Maria Voce ricorda Chiara Lubich a 9 anni dalla morte

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Si ricorda oggi il nono anniversario della morte di Chiara Lubich. La fondatrice del Movimento dei Focolari si spegneva a Rocca di Papa il 14 marzo 2008, all’età di 88 anni, dopo una lunga malattia. Nel telegramma di cordoglio inviato per l’occasione, Papa Benedetto XVI riconosceva di lei “l’impegno costante per la comunione nella Chiesa, per il dialogo ecumenico e la fratellanza tra tutti i popoli”. Inoltre ringraziava il Signore “per la testimonianza della sua esistenza spesa nell’ascolto dei bisogni dell’uomo contemporaneo” ed esprimeva l’auspicio “che quanti l’hanno conosciuta ne seguano le orme mantenendone vivo il carisma”. Un carisma al cui centro c’è l’unità della famiglia umana. Un’utopia se non fosse basata sulla fede incrollabile nell’amore di Dio Padre per i suoi figli e nelle parole di Gesù: “Che tutti siano uno”. Un carisma che ha molto da dire, dunque al mondo di oggi, come conferma, al microfono di Adriana MasottiMaria Voce, attuale presidente dei Focolari: 

R. – Esattamente. Anzi: io direi quasi di più oggi che al momento in cui Chiara lo annunciava, perché certamente allora c’era il disastro della guerra, senz’altro c’erano tanti dolori, ma non c’era questa disunità che sembra dilagare nel mondo in questo momento e che sembra richiamare proprio la necessità della vita di questo carisma di unità che Dio ha dato a Chiara. E quindi noi stiamo scoprendo sempre di più la sua attualità.

D. – Una delle definizioni che è stata data di Chiara è quella di “donna del dialogo”, e di dialogo oggi si parla spesso, in diversi ambiti, ma poi non si fa o non si sa fare. Che cosa era il dialogo per Chiara e come il Movimento dei Focolari vive questa dimensione?

R. – Il dialogo per Chiara era uno stile di vita, che significava incontrare ogni persona come un fratello. Quindi, Chiara non voleva fare il dialogo, Chiara voleva amare i fratelli e quindi andando incontro a ogni persona, lei apriva il suo animo e spontaneamente il fratello rispondeva con un’apertura altrettanto grande. Così incominciava il dialogo. E così è anche oggi per noi. Di fronte a chiunque, noi ci poniamo in questo atteggiamento, cerchiamo di essere all’altezza di Chiara nel porci in questo atteggiamento, nell’avere sempre quest’anima aperta, senza guardare a differenze e a distinzioni di nessun genere se non per riconoscervi la possibilità di un incontro che ci arricchisce, perché è un incontro con un fratello che ha un dono per noi, a qualunque etnia appartenga, a qualunque religione, a qualunque categoria sociale, a qualunque età.

D. – Quindi è forte la convinzione da parte del Movimento che il dialogo sia lo strumento adatto per risolvere anche tanti conflitti di oggi?

R. – Certamente! Non c’è un’altra possibilità. Perché? Perché il dialogo è amore. E se il dialogo è amore, può veramente cambiare la situazione del mondo, può far tornare la pace dove c’è la guerra.

D. – All’inizio della sua esperienza spirituale, Chiara ha sentito forte il grido di dolore dell’umanità e ha deciso di caricarsi sulle proprie spalle questo dolore. In che modo oggi l’Opera che lei ha fondato si pone di fronte alle tante ferite che il mondo vive attualmente?

R. – Vuole porsi con la stessa fiducia di Chiara, una fiducia basata proprio sul grido di Gesù abbandonato, perché Chiara in quel grido ha riconosciuto certamente il momento in cui il Figlio di Dio ha sofferto di più, però anche il momento in cui il Figlio di Dio ci ha amati di più. E proprio perché ci ha amati di più, in quel momento ha ricostituito l’unità rotta tra Dio e gli uomini e degli uomini tra di loro. Quindi non c’è un’altra strada per arrivare all’unità, se non passare per il dolore che però è sostanziato di amore perché è il dare la vita per gli altri. Quindi anche nel confronto con tutte le sofferenze del mondo di oggi, sia a livello personale sia a livello di società, di popoli, di nazioni, il Movimento cerca di riconoscere un volto di Lui, di riconoscere un Dio che è morto. Però un Dio che è anche risorto e che quindi può risorgere su tutti questi dolori.

D. – E questo si traduce poi in tante iniziative , anche concrete …

R. – Esattamente. Che cominciano, magari, da un semplice atto d’amore di una famiglia, come dicevo giorni fa, che si è accorta che altre famiglie avevano la sua stessa sofferenza e che cerca di farsi carico della sofferenza del figlio handicappato creando una rete di solidarietà fra tutti, coinvolgendo altre famiglie, coinvolgendo il comune e rendendosi conto che incominciando ad amare in quel dolore il volto di Gesù abbandonato, si trasforma qualche cosa. E noi lo vediamo questo: lo vediamo nel territorio in cui siamo, lo vediamo nei territori di guerra dove i nostri cercano di amare gli amici come i nemici, lo vediamo nella condivisione dei beni che si fa tra tutte le famiglie senza guardare a quale etnia o a quale religione si appartiene… E lo vediamo continuamente in tanti rapporti che cambiano e che costruiscono veramente comunità nuove che si mettono in rete per estendersi sempre di più.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 73

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.