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Sommario del 15/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: ci sono tanti amori interessati, ma amare è un dono di Dio

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La nostra vocazione più alta è quella di amare Dio e il prossimo ma c’è il rischio che il nostro amore sia ipocrita, come “una telenovela”. Così Francesco stamani all’udienza generale in Piazza San Pietro. Nella catechesi dedicata alla speranza cristiana, il Papa commenta la Lettera di San Paolo ai Romani, ricordando che la gioia della speranza consiste proprio nel sapere che anche nei nostri fallimenti, l’amore di Dio non viene meno. Il servizio di Debora Donnini

L’ipocrisia può insinuarsi anche nel nostro modo di amare, quando ad esempio “i servizi caritativi” sono compiuti per sentirsi appagati o per mettersi in mostra, per fare sfoggio della propria intelligenza. “Quanti amori interessati ci sono”, nota Francesco nella catechesi. Per il Papa dietro questo atteggiamento c’è l’idea falsa che amiamo perché siamo buoni, cioè come se la carità fosse un prodotto del nostro cuore:

“La carità, invece, è anzitutto una grazia, un regalo; poter amare è un dono di Dio, e dobbiamo chiederlo. E Lui lo dà volentieri, se noi lo chiediamo. La carità è una grazia: non consiste nel far trasparire quello che noi siamo, ma quello che il Signore ci dona e che noi liberamente accogliamo; e non si può esprimere nell’incontro con gli altri se prima non è generata dall’incontro con il volto mite e misericordioso di Gesù”.

Chiedere a Dio la carità per i fratelli: l'amore è un dono non nasce da noi stessi
San Paolo invita quindi a riconoscersi peccatori ma offre anche un annuncio di speranza: abbiamo la possibilità di diventare strumenti della carità di Dio lasciandoci rinnovare il cuore da Cristo risorto:

“Il Signore risorto che vive tra noi, che vive con noi è capace di guarire il nostro cuore: lo fa, se noi lo chiediamo. È Lui che ci permette, pur nella nostra piccolezza e povertà, di sperimentare la compassione del Padre e di celebrare le meraviglie del suo amore. E si capisce allora che tutto quello che possiamo vivere e fare per i fratelli non è altro che la risposta a quello che Dio ha fatto e continua a fare per noi”.

E’ quindi Dio stesso che prendendo dimora nel nostro cuore, continua a servire chi incontriamo, specialmente i più bisognosi. Ed è una grazia quando facciamo esperienza di non vivere come dovremmo il comandamento dell’amore, perché questa esperienza ci fa comprendere che da noi stessi non siamo capaci di amare veramente ma abbiamo bisogno che il Signore rinnovi questo dono nel cuore.

La gioia della speranza è sapere che l'amore di Dio è più forte anche dei fallimenti
Allora torneremo ad apprezzare le piccole cose, e saremo capaci di amare gli altri come Dio li ama, cioè volendo il loro bene, che siano amici di Dio, “santi”. E quindi saremo contenti di “piegarci ai piedi dei fratelli”:

“Questo che l’Apostolo Paolo ci ha ricordato è il segreto per essere – uso le sue parole – è il segreto per essere ‘lieti nella speranza’: lieti nella speranza. La gioia della speranza, perché sappiamo che in ogni circostanza, anche la più avversa, e anche attraverso i nostri stessi fallimenti, l’amore di Dio non viene meno”.

Al termine dell’udienza nei saluti ai pellegrini di lingua araba, specialmente quelli provenienti da Siria, Libano e Medio Oriente, Francesco ha ricordato che “più grave dell’odio è l’amore vissuto con ipocrisia” perché è egoismo mascherato da amore. E ha concluso con un invito per la Quaresima: a digiunare "non solo dai pasti, ma soprattutto dalle cattive abitudini".

Il commovente saluto alla famiglia cinese
Prima dell’inizio dell’udienza, al termine del giro in jeep per salutare i fedeli in Piazza San Pietro, i presenti hanno assistito ad un momento commovente: il Papa si è avvicinato ad una famiglia cinese, la madre piangeva mentre riceveva la benedizione di Francesco.

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Francesco: chi toglie il lavoro fa peccato gravissimo

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Stamane all’udienza generale del Papa, in Piazza San Pietro, erano presenti anche un centinaio dipendenti di Sky Italia. A loro Francesco ha rivolto “un pensiero speciale”. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

“Auspico che la loro situazione lavorativa possa trovare una rapida soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie".

Sono infatti 570 i dipendenti del gruppo Televisivo - che fa capo alla corporation 21first Century Fox della famiglia del noto imprenditore australiano Rupert Murdoch, che ha attività nell’intero Pianeta - ad essere coinvolti in un discutibile piano di riorganizzazione di Sky Italia. Così ha sottolineato Francesco:

"Il lavoro ci dà dignità e i responsabili dei popoli, i dirigenti, hanno l’obbligo di fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possa lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri, con dignità".

Il caso di Sky Italia sta sollevando polemiche in difesa dei lavoratori colpiti dai provvedimenti ma anche suscitando una riflessione sulla legittimità di tagli e trasferimenti in un’azienda che vanta allo stato attuale utili superiori alle medie precedenti:

"Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, questa persona fa un peccato gravissimo".

Al nostro microfono Paolo Centofanti, rappresentate sindacale di base nelle trattative tra i lavoratori e la direzione di Sky Italia:

R. – Il clima è pesantissimo, soprattutto per le persone che hanno famiglie e specie nella sede di Roma che è quella più colpita: qui sono previsti 200 esuberi circa e 300 trasferimenti a Milano. Trasferimenti che - per persone che hanno un monoreddito oppure un nucleo familiare con il marito o la moglie che rimarrà a lavorare a Roma con dei figli spesso anche piccoli - se non sono equivalenti ad un esubero lo diventano: persone che sono costrette poi a fare una scelta o di enorme sacrificio o a rinunciare al proprio lavoro. Comunque, nel frattempo, sono state assunte altre 200 nuove persone su Milano e questo disorienta ed amareggia ancora di più i lavoratori. Abbiamo chiesto più volte di avere un piano industriale però ad oggi non lo abbiamo avuto.

D. - Come avete accolto le parole del Papa, che si è riferito non solo alla vostra azienda ma ha ammonito chiunque ai vertici di imprese tolga il lavoro per lucrare maggiori guadagni?

R. – Le abbiamo accolte in maniera ovviamente positiva e profonda, alcuni di noi avevano le lacrime agli occhi. Le sue parole hanno confermato l’estrema sensibilità del Papa e della Santa Sede per il richiamo forte che Papa Francesco ha fatto più volte su una questione fondamentale: l’imprenditoria, l’attività economica va esercitata in maniera responsabile, in maniera corretta, in maniera cristiana; e anche se un imprenditore non crede, comunque deve rispettare regole etiche e morali. Ma la vera responsabilità sociale difficilmente si concilia con un provvedimento del quale ancora non si conoscono le ragioni e che mette in difficoltà 600 persone con la prospettiva di dover perdere anche il posto di lavoro. Oggi c’è un incontro e speriamo che ci sia qualche ripensamento e, oltre a questo, qualche motivazione in più e qualche possibilità di sostegno in più.

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Messaggio del Papa per i 400 anni delle Confraternite della Carità

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Un’autentica liberazione dell’uomo non può esistere senza l’annuncio del Vangelo. E’ quanto scrive Papa Francesco nel messaggio ai membri dell’Associazione internazionale della Carità, in occasione del 400.mo anniversario delle prime Confraternite della Carità fondate da San Vincenzo de' Paoli. La credibilità della Chiesa - sottolinea il Santo Padre - passa attraverso la testimonianza concreta dell'amore. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Il Papa auspica che la missione legata alla nascita delle Confraternite della Carità, fondate nel 1617 a Châtillon da San Vincenzo de' Paoli, sia scandita anche nel nostro tempo da una “testimonianza autentica della misericordia di Dio verso i poveri”. Che questo 400.mo anniversario – aggiunge – sia “l’occasione per rendere grazie a Dio per i suoi doni e per aprirsi alle sue sorprese”, per discernere, con il soffio dello Spirito Santo, nuove vie. Nuovi cammini – scrive il Santo Padre – che al servizio della carità siano sempre più fecondi.

Le Confraternite nate dall'amore per i poveri
Le Confraternite della Carità - ricorda Francesco - sono nate dalla tenerezza e dalla compassione di San Vincenzo per i poveri, spesso abbandonati ed esclusi sia nelle campagne sia nelle città. Poveri che vide come “i rappresentanti di Gesù Cristo, come membra del suo corpo sofferente”. San Vincenzo – aggiunge il Papa – aveva affidato in seguito la cura dei poveri ai laici, in particolare alle donne. L'Associazione internazionale della Carità continua oggi a sostenere le persone più svantaggiate, ad alleviare sofferenze materiali, fisiche, morali e spirituali.

Una vita di fede consente di percepire la realtà della persona 
Il Santo Padre, dopo aver ricordato che alla base di questo impegno c’è la Provvidenza di Dio, incoraggia a sostenere la persona nella sua integralità e a porre “un’attenzione particolare alle precarie condizioni di vita di numerose donne e di molti bambini”. La vita di fede unita a Cristo – si legge nel messaggio – “ci permette di percepire la realtà della persona”, la sua  “dignità incomparabile”, il suo essere creata ad immagine e somiglianza di Dio.

Vedere la povertà significa vivere il mistero dell'Incarnazione 
“Per vedere la povertà – sottolinea il Pontefice – non è sufficiente seguire grandi idee ma si deve vivere il mistero dell’Incarnazione”. Il mistero di Dio, divenuto uomo, che è morto per rialzare l’uomo e salvarlo. Queste non sono belle parole ma il realismo che siamo chiamati a vivere come Chiesa. Vedere Gesù negli indigenti - conclude Francesco - significa anche, per i poveri, incontrare Cristo in quanti offrono la loro autentica testimonianza di carità. E’ la “cultura della misericordia” che rinnova profondamente i cuori ed apre ad una nuova realtà.

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Pubblicato il programma della visita del Papa a Carpi il 2 aprile

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Domenica 2 aprile, come già annunciato, Papa Francesco si recherà in visita pastorale a Carpi, in Emilia Romagna. Il Papa partirà alle 8.15 dall'eliporto vaticano e si prevede per le 9.45 l'atterraggio al campo di rugby "Dorando Pietri" a Carpi, riporta il programma del viaggio pubblicato oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Alle 10.30 la Messa in Piazza Martiri e il ringraziamento di mons. Francesco Cavina, vescovo di Carpi. A seguire, l'Angelus e la benedizione delle prime pietre di tre nuovi edifici della Diocesi di Carpi: la parrocchia di Sant’Agata in Carpi, la Casa di esercizi spirituali di Sant’Antonio in Novi e la “Cittadella della carità” in Carpi.

Intorno alle 13.00 il Papa pranzerà presso il Seminario vescovile con i vescovi della Regione, i sacerdoti anziani residenti nella Casa del Clero e i seminaristi. Quindi, alle 15.00 Francesco incontrerà i sacerdoti diocesani, i religiosi e le religiose e i seminaristi nella cappella del Seminario. Poi si recherà per breve tempo nella Cattedrale prima di trasferirsi in auto a Mirandola, dove sosterà nella Piazza antistante all’ingresso del Duomo, ancora inagibile a seguito del sisma. Qui farà un discorso alle popolazioni colpite dal terremoto del 2012. Dopo, nella zona adiacente alla parrocchia di San Giacomo Roncole di Mirandola, l'omaggio florale al monumento che ricorda le vittime del terremoto. In conclusione, alle 17.30 il congedo e il decollo dal campo sportivo adiacente alla stessa parrocchia. L'arrivo in Vaticano è previsto per le 19.30.

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Zenari: sei anni di atrocità in Siria, fermare discesa verso orrore

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Era il 15 marzo 2011, quando in Siria iniziavano le manifestazioni contro il regime del presidente Assad. Da quelle proteste scaturì una guerra di inaudita violenza, che ha causato centinaia di migliaia di vittime e milioni di profughi e sfollati. In occasione di questo anniversario, l’Onu ha definito il conflitto siriano come il peggior disastro causato dall'uomo dalla Seconda Guerra Mondiale. Intanto in Kazakistan è in corso il terzo round dei colloqui organizzati dalla Russia, a cui sono invitati, tra gli altri, membri delle opposizioni e del governo di Damasco. Di questi sei anni di guerra, che sta causando ancora dolore e disperazione ai civili siriani, Giancarlo La Vella ha parlato con il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Mario Zenari

R. – Questa sofferenza, tutto quello che è successo in questi passati sei anni, la paragonerei a un’ondata, quasi uno tsunami di violenza, di atrocità e di sofferenza che si è riversata soprattutto sulla popolazione civile. Per me, che ho vissuto lo tsunami in Sri Lanka, questa immagine la riporterei qui in Siria. Sto vedendo una violenza e una sofferenza indescrivibili, soprattutto sulle fasce più deboli, pensiamo ai bambini, pensiamo alle donne… La distruzione non è solamente quella dei palazzi; a me impressiona di più la distruzione interna: quanti animi distrutti! E soprattutto la psiche dei bambini e di tutti. Poi vedo anche, per esempio, la distruzione della famiglia; vuol dire che gli uomini o sono morti o sono in guerra e il peso della famiglia si è riversato sulle donne e sui bambini, che non godono più della gioia familiare, della protezione familiare.

D. – Di fronte a questa situazione di dolore immenso come si fa a non perdere la speranza nel dialogo, nella pace?

R. – Occorre alimentare e mantenere forte la speranza. Sono ripresi questi incontri di Ginevra, di Astana, e la gente è tra la speranza e lo scetticismo dopo tanti incontri che non hanno prodotto niente. Però bisogna tenere viva questa speranza. Almeno preghiamo e ci auguriamo che il 2017 possa essere l’anno della  svolta. Questo non vuol dire che fra due settimane possa essere tutto risolto, ma almeno riuscire a fermare questa discesa verso l’orrore e cercare di uscire fuori da questo abisso in cui è caduta la Siria. E con l’aiuto della comunità internazionale ci auguriamo che si possa vedere una svolta verso la riconciliazione, la pace, la ricostruzione.

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Santa Sede: in Siria inutile strage, comunità internazionale responsabile

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Un accorato appello di pace per la Siria è stato lanciato ieri dall’osservatore permanente della Santa Sede agli Uffici Onu di Ginevra, mons. Ivan Jurkovič, a sei anni dall’inizio di un conflitto che – ha detto – è un massacro senza senso. Il servizio di Sergio Centofanti

Intervenendo  alla 34.ma sessione del Consiglio Onu per i diritti umani, mons. Jurkovič, ha parlato di una “situazione è disastrosa”: sei anni di violenza hanno provocato centinaia di migliaia di morti e feriti, infrastrutture, case, scuole, ospedali e luoghi di culto distrutti; intere città devastate, malnutrizione e cure mediche inadeguate. “Questa è la triste realtà che il popolo siriano deve affrontare ogni giorno”.

“La Santa Sede – afferma il presule - desidera ribadire la sua solidarietà con il popolo siriano e in particolare con le vittime della violenza, e incoraggia la comunità internazionale ad abbracciare la prospettiva delle vittime. Sei anni di inutile strage mostrano ancora una volta l'illusione e la futilità della guerra come mezzo per risolvere le controversie. L'ambizione per il potere politico e gli interessi egoistici” insieme “alla complicità di quelli che fomentano la violenza e l'odio” con la vendita di armi, “hanno provocato un esodo di 5 milioni di persone dalla Siria dal 2011, lasciando dietro di sé altri 13,5 milioni di persone nel bisogno, di cui circa la metà sono bambini”.

“Di fronte a questi numeri - sottolinea - il dialogo a tutti i livelli è l'unica via che abbiamo davanti”. Mons. Jurkovič apprezza i piccoli passi adottati di recente a questo riguardo, ma ribadisce con forza “che non ci può essere alcuna soluzione militare alla situazione in Siria. Non dobbiamo cedere alla logica della violenza, perché la violenza genera solo violenza”.

Il rappresentante vaticano parla dei bambini: “E’ inaccettabile” – dice - che “paghino il prezzo più alto”. "Alcuni di loro non conoscono altra vita che la guerra. Altri sono nati sotto i bombardamenti. Soffrono enormi pressioni psicologiche ... Raramente un sorriso appare sui loro volti. La sofferenza attraversa i loro occhi spaventati. Si svegliano sotto il suono delle esplosioni, di bombe e razzi".

Papa Francesco – ricorda il presule – ha espresso più volte la sua vicinanza al popolo siriano, in particolare ai giovani colpiti da questo “conflitto brutale”, “privati delle gioie dell'infanzia e della giovinezza, come la possibilità di giocare e andare a scuola".

La Santa Sede – prosegue - lancia un nuovo appello perché “la pace, il perdono e la riconciliazione possano trionfare sulla violenza e il risentimento. Sei anni di conflitto indicano il fallimento della comunità internazionale nel suo complesso. La situazione in Siria è la nostra responsabilità comune come famiglia di nazioni. I diritti del popolo siriano, indipendentemente dalla identità religiosa o etnica, devono essere protetti, perché tutti i siriani condividono le giuste aspirazioni alla giustizia e alla pace, elementi fondamentali dello sviluppo umano integrale. A questo proposito – aggiunge - è della massima importanza che le minoranze religiose ed etniche non diventino pedine di uno scambio geopolitico, ma siano pienamente coinvolte in un processo negoziale trasparente e inclusivo, con uguale diritti e pari responsabilità, in quanto questo è l'unico modo per costruire un futuro di pace”.

“La dignità inerente a ogni persona umana – conclude mons. Ivan Jurkovič - deve avere la precedenza su ogni potere e vendetta. La sofferenza ingiusta delle vittime innocenti di questo massacro senza senso dovrebbe motivare tutte le parti coinvolte ad impegnarsi in un dialogo serio e a lavorare per un futuro di pace e  giustizia”.

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Mons. Urbańczyk: giustizia e recupero per lottare contro la droga

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Una formazione umana integrale, una risposta della giustizia rispettosa della dignità umana, un effettivo reinserimento nella società. Sono questi i tre pilastri per prevenire e contrastare la piaga della droga, indicati ieri da mons. Janusz Urbańczyk, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Vienna. Il presule, intervenendo alla 60.ma Sessione della Commissione stupefacenti, ha anche sottolineato che la tossicodipendenza è un flagello per l’umanità e che la famiglia è l’elemento cruciale delle strategie di contrasto.

La Santa Sede ricorda gli sforzi compiuti dagli Stati
A quasi un anno dalla sessione Speciale dell’Assemblea generale dell’Onu, tenutasi a New York dal 19 al 21 aprile scorsi ed incentrata sulla piaga mondiale delle droghe, la Santa Sede – ha detto l’osservatore permanente - evidenzia gli sforzi compiuti dagli Stati sia individualmente sia in comune. Nel documento finale di quell’Assemblea – ha ricordato il presule - si ribadiva, tra l’altro, l’impegno a promuovere “la salute e il benessere di  tutti gli individui, le famiglie, le comunità e la società nel suo complesso” facilitando stili di vita salutari attraverso iniziative di riduzione efficaci”.

La tossicodipendenza è una calamità per l’umanità
La Santa Sede – ha aggiunto mons. Urbańczyk – desidera anche ricordare quanto scritto nella Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961: “la dipendenza da stupefacenti – si legge nel testo - rappresenta una grande calamità per l’individuo e costituisce un danno economico e sociale per l’umanità”. Queste parole - ha spiegato mons. Urbańczyk - ci obbligano “a rispondere con sempre rinnovato vigore”.

Necessaria una formazione umana integrale
La Santa Sede – ha poi osservato  il presule – esorta a porre l’attenzione su tre aspetti. In primo luogo, devono essere studiate la cause all’origine della domanda e dell’offerta di droghe. La domanda di stupefacenti – alimentati dall’assenza di una famiglia, da pressioni sociali, dalla propaganda degli spacciatori e dal desiderio di nuove esperienze - deve essere combattuta  con un incremento di programmi di educazione e, più precisamente, attraverso “una formazione umana integrale”, rivolta principalmente alle persone più vulnerabili della società.

La giustizia risponda rispettando la dignità dell’uomo
In secondo luogo - ha sottolineato il presule - la risposta ai crimini connessi agli stupefacenti deve completarsi attraverso una vera e autentica giustizia. Dopo aver ricordato che la Santa Sede chiede l’abolizione della pena di morte, mons. Urbańczyk ha affermato che si deve seguire la prospettiva di un sistema penale “sempre più conforme alla dignità della persona e al disegno di Dio per l’uomo e per la società”. Un sistema di giustizia – ha osservato – che sia aperto alla speranza.

Il reinserimento nella società è il più efficace strumento di contrasto alla droga
Il terzo aspetto – ha affermato mons. Urbańczyk - riguarda la necessità di un effettivo reinserimento nella società per rendere efficace la lotta contro “il problema mondiale della tossicodipendenza”. Il presule ha ricordato, in particolare, quanto detto da Papa Francesco il 24 novembre del 2016 ai partecipanti all’incontro promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze ed incentrato sul dramma della droga. “Ogni tossicodipendente – aveva detto il Pontefice - porta con sé una storia personale diversa, che deve essere ascoltata, compresa, amata, e per quanto possibile, guarita e purificata”. “Non possiamo cadere nell’ingiustizia – aveva aggiunto il Santo Padre - di catalogare il tossicodipendente come se fosse un oggetto o un meccanismo rotto”. La Santa Sede – ha concluso mons. Urbańczyk – ribadisce che la famiglia, nella lotta contro la droga, è la pietra angolare nelle strategie di prevenzione, di reinserimento e di contrasto. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Oggi in Primo Piano



Pakistan: al via censimento, cruciale per le minoranze religiose

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Al via in Pakistan il primo censimento nazionale della popolazione, a circa due decenni dalle ultime operazioni di raccolta dati. La prima fase è partita stamani tra imponenti misure di sicurezza in 63 distretti del Paese asiatico. Il servizio di Giada Aquilino

Le stime parlano di 200 milioni di abitanti, ma il Pakistan non conteggiava ufficialmente la propria popolazione da 19 anni. L’ultimo censimento nel 1998 parlò di oltre 134 milioni di pakistani. Da oggi e fino al 24 maggio il Paese è interessato dalle due fasi del nuovo censimento, i cui risultati sono attesi non prima di luglio. Le schede stampate sono 55 milioni, mentre 300 mila sono le persone mobilitate per le operazioni, tra cui anche 44 mila militari. Per la prima volta, saranno conteggiati i transessuali, categoria storicamente perseguitata. L’appuntamento è cruciale per le conseguenze politiche che porteranno i cambiamenti demografici, ma anche per gli aspetti che riguardano le minoranze religiose locali. Sentiamo Paul Bhatti, ex ministro federale pakistano per l’Armonia nazionale e fratello del ministro cattolico Shahbaz Bhatti ucciso nel 2011 da un estremista islamico:

R. – Il censimento ha grande importanza perché da tantissimi anni non sappiamo il numero totale della nostra popolazione. E per le minoranze è ancora più importante perché non si sa quanti siano i cristiani, gli indù e gli appartenenti ad altre minoranze. Questa importanza aumenta per noi in quanto il numero dei seggi in Parlamento si accorda alla percentuale degli appartenenti alle minoranze in Pakistan, perciò se questo censimento verrà fatto in maniera corretta noi pensiamo che la percentuale attribuibile alle minoranze dovrebbe superare il 5%: adesso, attualmente, dai dati ufficiali è pari al 2,7%. Quando ero al governo, ho proposto di aumentare in Parlamento il numero dei seggi attribuiti alle minoranze, ma la discussione fu sul fatto che non conosciamo esattamente il numero dei cittadini appartenenti alle minoranze. E’ dunque importante sapere con esattezza le cifre della nostra popolazione, in Pakistan.

D. – Perché è vero che nella prima assemblea nazionale, al tempo della fondazione del Pakistan, c’erano 145 seggi, tra i quali 10 riservati alle minoranze, e oggi i seggi sono 342, ma per le minoranze rimangono 10?

R. – E’ vero. Questo è il fatto: io avevo promosso la richiesta al governo e il gabinetto dei ministri aveva anche accettato di aumentare a 14 il numero dei seggi; poi abbiamo avuto dei problemi per le votazioni a livello di quorum in Parlamento e non sono stati approvati.

D. – I vescovi hanno detto che questo censimento è un passo in avanti per unire tutta la popolazione dei battezzati, senza alcune distinzione di confessione. Perché?

R. – Probabilmente i vescovi pensano che con questo censimento, se tutte le persone di fede cristiana o magari anche di altre fedi risultano iscritte anagraficamente, chiaramente potranno combattere per i loro diritti.

D. – Lei in Pakistan è stato ministro federale per l’Armonia nazionale. In un trentennio ci sono stati centinaia di morti innocenti, tra cui suo fratello Shahbaz. Qual è la situazione attuale per quanto riguarda la persecuzione dei cristiani?

R. – C’è stata una pausa nelle violenze di un mese o due e sembrava che le cose stessero migliorando, però dopo i recenti attacchi a Lahore, Peshawar e Quetta ci siamo tutti preoccupati che fossero tornati violenza e terrorismo. E sembrava che i militari avessero una strategia abbastanza forte contro il terrorismo. Ma poi è cambiato il capo dei servizi militari. Però, adesso sembrerebbe che per tutti i partiti politici, i militari, l’attuale governo la priorità nell’agenda sia la lotta al terrorismo, alla violenza. Io credo che ci vorrà un po’ di tempo, ma penso davvero che abbiamo preso la strada giusta e che prima o poi si eliminerà questo terrorismo, si eliminerà questa discriminazione.

D. – Tra le altre cose, le famiglie devono dichiarare anche quanti bagni hanno in casa, se ne hanno uno. Secondo l’Onu, gravi problemi sanitari derivano proprio da ciò. Qual è la situazione?

R. – Questo purtroppo è vero. Tantissima gente nelle zone rurali non ha ancora i bagni. Provi a immaginare una casa di 20 anni fa, in cui vivevano tre persone: adesso ci vivono in 20. Le risorse sono limitate, però la popolazione è aumentata. Ed il 70 per cento della popolazione pakistana non ha realmente acqua potabile.

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Olanda al voto, tra la destra liberale e il populismo anti-islam

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Elezioni oggi in Olanda, dove 12,8 milioni di persone sono chiamate a votare per il rinnovo dei 150 seggi della Camera Bassa scegliendo tra i 28 partiti presenti alla competizione. Una prova elettorale che vede la sfida tra il premier uscente, il liberale di destra Mark Rutte, e il leader del partito per la libertà Geert Wilders, ma che soprattutto risulta essere un test per l’Europa tutta. Francesca Sabatinelli

Dalle urne olandesi ci si aspetta un’indicazione della tenuta dell’Unione Europea, travolta da un’ondata populista che verrà messa alla prova nei prossimi mesi anche dal voto prima in Francia e poi in Germania. La scelta per gli elettori è tra la continuità del governo liberale di destra (Partito per la Democrazia e la Libertà – Vvd) dell’uscente Rutte, che conquisterebbe il suo terzo mandato consecutivo, e l’islamofobia e l’antieuropeismo del Partito per la Libertà (Pvv) di Wilders. L’Olanda, Paese tra i più popolosi al mondo, è anche una delle poche economie a detenere la 'tripla A' nei rating di tutte le agenzie, con un basso tasso di disoccupazione. Una situazione che potrebbe premiare e consolidare Rutte che ha segnato punti a suo favore anche nello scontro con il premier turco Erdogan, una dura polemica che avrebbe rafforzato l’immagine del premier uscente a danno di Wilders, precipitato nei sondaggi nell’imminenza del voto. E’ una chance per l’Olanda di mettere un freno ad un populismo distruttivo, è stata la dichiarazione oggi di Rutte, che ha ricordato la Brexit e la vittoria di Trump alle elezioni negli Usa. Luca Collodi ha intervistato Domenico Fracchiolla, docente di Politica Comparata presso la facoltà di Scienze Politiche all’Università Luiss-Guido Carli di Roma:

R. - Non è a rischio la stabilità del sistema politico olandese, non è vero che si possa concretamente arrivare a una vittoria del partito espressione di questa corrente populista in Olanda, nella misura in cui un governo sarà necessariamente un governo di coalizione. D’altra parte, però, dobbiamo anche considerare che il segnale è chiaro, è un segnale forte ed è un segnale al quale le forze moderate e le élite politiche di tutti i Paesi dell’Unione Europea, non sono ancora in grado di decifrare e al quale non hanno dato risposte concrete, risposte alternative e in linea con la tradizione e con quella grande forza che ha rappresentato per tutta l’Europa l’integrazione europea nel corso del secondo dopoguerra. Quindi, dobbiamo dire che in questo voto vi è un forte significato politico e giornalistico di comunicazione, ma ci troviamo anche in presenza di un Paese che ha una grande performance economica. Ricordiamo che le previsioni per il pil dell’Olanda di quest’anno sono al 2,1 per cento, la disoccupazione è tra i livelli più bassi in Europa, le previsioni sono intorno al 5,2 per cento. E’ un Paese che, e questo è il vero tema, dall’inizio degli anni 2000, si confronta con il fallimento del multiculturalismo, del modello di multiculturalismo del quale l’Olanda è stato un grande esempio e che, in passato, è stato portato da tutti come esempio.

D. - C’è un dato che rientra un po’ in tutti i Paesi, almeno europei, cioè che in una competizione elettorale democratica, ormai i cattolici sono divisi, come in Olanda, si dividono tra gli antieuropei e quelli che invece sono liberali, progressisti, laburisti…

R. - Sì, è un dato su cui riflettere. Ma d’altra parte è un dato espressione della laicità delle società delle democrazie europee. Lo vedo come una possibilità di assoluto confronto. Il dato che però vorrei sottolineare è che da una parte è sicuramente vero quanto indicano i vescovi olandesi, ovvero che ci sono segmenti della società fragili, deboli, che hanno difficoltà. Però io non sottovaluterei il dato che, all’interno dell’Unione Europea, l’Olanda si posiziona tra i Paesi con i minori livelli di disuguaglianza economica percepita. Sicuramente ci sono fasce fragili e impoverite della popolazione, anche a causa di questi flussi migratori importanti, però d’altra parte abbiamo una società che meglio di altre è stata capace di rispondere a questi problemi. L’altro tema che vorrei sottolineare è che si fa una facile equazione tra l’elevato numero dei partiti, 28 partiti si sono candidati, di questi ben 15 aspireranno a prendere un consenso significativo, e dall’altra parte un sistema proporzionale puro. Questo non rappresenta di per sé un problema. L’Olanda per anni ha rappresentato il riferimento di un tipo di democrazia cosiddetta “mite e serena”, di un sistema politico ben funzionante che si basava proprio su questo principio: su grandi governi di coalizione che attuavano delle politiche e delle prassi politiche di governo che avevano lo scopo di ridurre, di attenuare, quelle fratture presenti nella società, proprio attraverso un comportamento delle élite consensuale, cercando quindi di mitigare quelle fratture presenti nella società olandese che erano presenti da sempre.

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Nigeria. Vescovi: mai così tante violenze dalla guerra civile

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La lacerazione che incide la carne della convivenza civile si chiama Boko Haram, ma non solo. Troppo anni di barbarie, di eccidi, di violenze settarie, di insofferenze sotterranee esplose in scontri sanguinosi hanno cambiato il volto della Nigeria, notano con preoccupazione i vescovi della nazione africana. “Dalla fine della tragica guerra civile (1967-1970), in nessun momento della storia del nostro amato Paese, la questione della cittadinanza è stata soggetta ad una prova così dura”, scrivono i presuli nella dichiarazione intitolata “La nostra dignità, la nostra nazione e la nostra cittadinanza”, come riferisce l’agenzia Fides.

Boko Haram e altre tragedie
“Stiamo vedendo – aggiungono – la proliferazione e la diffusione, in diverse aree, di milizie etniche e della loro crescente violenza distruttiva contro la comunità. Stiamo assistendo alla crescita di politiche identitarie con la nostra gente che si ritira nel seno dell’etnicità”, afferma il documento. Citando le violenze dei miliziani di Boko Haram, i vescovi nigeriani affermano che “si sta perdendo il senso della sacralità della vita umana”, ma sulla contabilità dei drammi pesa, dicono, anche l’uccisione di centinaia di sciiti a Zaria nel dicembre 2015 o gli omicidi nello Stato di Kaduna meridionale, come pure gli scontri tra pastori e agricoltori che hanno provocato migliaia di morti.

Rafforzare la credibilità delle istituzioni
Pur elogiando il governo per l’impegno nella lotta contro gli uomini di Boko Haram, i presuli nigeriani ritengono che “non ci sono ragioni per credere che non si stiano raggruppando, né si può escludere la loro evoluzione in qualcosa di forse ancora più letale, visto che continuiamo a vedere i loro massacri di cittadini innocenti”. Infine, i vescovi raccomandano di rafforzare la credibilità delle istituzioni, di potenziare il sistema educativo, di adottare politiche per ridurre le ingiustizie socio-economiche e di rispettare i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ad iniziare dalla libertà religiosa. (A.D.C.)

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Vescovi argentini: misure governo feriscono lavoratori

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La situazione sociale e le misure più urgenti per fermare il trend della povertà in Argentina. Sono questi i temi al centro dell’odierna riunione dei 22 vescovi che fanno parte della Commissione permanente della Conferenza episcopale argentina. È stato il presidente della Commissione per l’istruzione, mons. Eduardo Martin, ad esprimere, la scorsa settimana, la preoccupazione della Chiesa per l'escalation di violenze legate alla trattativa salariale tra il governo e i sindacati dei docenti. Il presidente della Commissione episcopale per la pastorale sociale, mons. Jorge Lozano, ha affermato inoltre che “le misure del governo hanno ferito molte persone”. Mons. Lozano ha anche ribadito - riferisce il Sir - la necessità di operare con il governo in favore della creazione di nuovi posti di lavoro, retribuiti con salari rimpinguati dai cosiddetti piani assistenziali.

Violenze e tensioni scandiscono la trattativa tra governo e sindacati
La scorsa settimana migliaia di lavoratori hanno marciato per le strade di Buenos Aires per protestare contro gli ennesimi licenziamenti avvenuti nel settore privato e per chiedere aumenti salariali in linea con l’inflazione. Il ministro dell’Interno argentino, Rogelio Frigerio, ha però respinto le richieste dei sindacati. Nel suo intervento il ministro ha poi aggiunto che diversi investitori stranieri sostengono il presidente Mauricio Macri e non nutrono dubbio sulle sue capacità di realizzare le riforme economiche annunciate. I sindacati intanto hanno annunciato una nuova manifestazione di piazza contro il governo il prossimo 6 aprile. (A.L.)

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Amoris Laetitia al centro della plenaria dei vescovi polacchi

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I vescovi polacchi al termine della Plenaria dell’episcopato tenutasi a Varsavia il 13 e 14 marzo hanno invitato alla preghiera “per l’Europa, per il rispetto dell’ordine di Dio sul nostro Continente e per il rispetto di ogni essere umano”. I presuli - riferisce il Sir - hanno anche ribadito il loro sostegno alla beatificazione degli ideatori della Comunità europea, Alcide de Gasperi e Robert Schuman. L’episcopato polacco con una liturgia presieduta dal nunzio apostolico, mons. Salvatore Pennacchio, ha inoltre ricordato il quarto anniversario del Pontificato di Papa Francesco.

Istruzione pastorale per i separati
I vescovi, inoltre, hanno discusso della situazione delle persone canonicamente sposate ma separate, dei conviventi nelle unioni civili o di fatto. Un’apposita commissione dell’episcopato elaborerà, nei prossimi mesi, un’istruzione relativa alla cura pastorale di tali coppie, considerando, alla luce delle indicazioni contenute nell’Esortazione apostolica “Amoris laetitia”, “la situazione della Chiesa cattolica in Polonia”. Il comunicato emesso al termine della plenaria riassume, inoltre, gli effetti dell’iniziativa lanciata alcuni mesi fa dalla Caritas polacca su proposta del presidente dei vescovi, mons. Stanislaw Gadecki, a favore delle famiglie di Aleppo. Finora sono 2.225 le famiglie siriane che hanno ricevuto degli aiuti, nell’ambito del programma “Famiglia per famiglia” al quale partecipano oltre 7 mila benefattori polacchi.

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Giornata gioventù asiatica: vivere Vangelo in società multiculturale

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Incoraggiare e accompagnare i giovani dell’Asia nel vivere e promuovere una “cultura della solidarietà e dell’incontro con l’altro, nella società multiculturale e multireligiose dell’Asia”, e assumere una profonda consapevolezza del contributo da dare alla Chiesa e alla società: è questo l’intento della 7.ma Giornata della Gioventù Asiatica (Asia Youth Day) che nel 2017 si tiene a Giacarta, in Indonesia, dal 30 luglio al 9 agosto 2017. Il tema prescelto per l’evento, che convoglierà in Indonesia oltre 3.000 giovani cattolici da 29 paesi asiatici, è “Gioventù asiatica in festa: Vivere il Vangelo nell’Asia multiculturale”. A presentare contenuti e obiettivi della Giornata è stato l’arcivescovo di Giacarta, Ignatius Suharyo, che, riferisce l'agenzia Fides, ha detto di aspettarsi che “tutta la gioventù cattolica in Indonesia e negli altri paesi dell’Asia possa partecipare e coinvolgersi nello spirito del tema centrale: comprendere e vivere l'importanza dell'unità tra le differenze”.

Le tre fasi della Giornata
La Giornata della Gioventù Asiatica sarà divisa in tre fasi: una fase nelle diocesi, alcuni giorni nella città sede centrale, e quindi il meeting dei responsabili della Pastorale giovanile. Nella prima fase i partecipanti saranno sparsi in 11 diocesi in Indonesia, dove vivranno una speciale condivisione di esperienze. Poi tutti si sposteranno a Giacarta e vivranno momenti di catechesi, liturgia, festa, mettendo in comune le loro storie, a seconda della diversa provenienza, ritrovando l’elemento comune della fede in Cristo. Il meeting degli animatori di Pastorale giovanile poi è un'occasione speciale di formazione per coloro che accompagneranno i giovani presenti alla Giornata.

Una maratona per preparare l’evento
Per coinvolgere gli abitanti dell’Indonesia, l'Asia Youth Day 2017 sarà preceduta da una maratona, gara sportiva che si terrà Giacarta il 7 maggio 2017 con circa 5.000 partecipanti. L’evento dispone di una piattaforma on line e ha una forte presenza sui social (www.asianyouthday.org; Facebook: asianyouthday; Twitter: AYD2017; Instagram: asianyouthday2017).

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"Per fortuna c'è la Quaresima!", il libro di don Bartoli

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“Per fortuna c’è la Quaresima!”: è il titolo del libro scritto da don Fabio Bartoli, edito da Ancora, che raccoglie una serie di riflessioni su come vivere questo tempo che ci separa dalla Pasqua. Un volumetto agile, ma dal contenuto profondo, che si rivolge per lo più a quanti si sono allontanati dalla fede, ma che dice a tutti indistintamente: “Il male esiste, ma non dobbiamo temerlo perché c’è chi lo ha vinto per noi”. Cecilia Seppia: 

Per dirla con il buon Chesterton, le favole non servono per ricordare ai bambini che esistono i draghi, loro lo sanno benissimo; le favole servono a insegnare ai piccoli che i draghi possono essere sconfitti. Lo stesso vale per la Quaresima: non vuole ricordarci che il Male c’è, pur celato sotto mille aspetti, ma che può essere vinto grazie alle armi che ci dà la Chiesa. Parte da questo assunto il libro di don Fabio Bartoli dal titolo “Per fortuna c’è la Quaresima! Riflessioni inattuali”. Per fortuna o per grazia, afferma l’autore, ci è dato un tempo, i famosi 40 giorni di Gesù nel deserto per comprendere, pregare, ritornare in noi stessi e vincere le tentazioni, facendo anche il salto più grande: quello di riuscire ad ammettere i propri errori, senza incolpare la vita, la società, l’istruzione ricevuta. Sentiamo don Bartoli:

“Il male ha mille volti ma una sola natura che è sempre la stessa, il rifiuto del Padre. Allora, il modo migliore per immunizzarsi da questo è proprio quello di legarsi strettamente a Dio Padre, di essere in una comunione profonda con Lui. Continuamente Gesù risponde al diavolo in quel modo, cioè rimandandolo a quel legame a Dio che è la sua garanzia, la sua forza”.

Scritto come una lettera inviata a Marco - 40enne insegnante di liceo, un tempo credente ma ora lontano e anche un po’ arrabbiato con la Chiesa, che don Fabio Bartoli descrive come uno dei suoi ragazzi più brillanti, anche se dopo la laurea qualcosa lo ha portato lontano - questo breve testo sul significato della Quaresima sradica una serie di tristi luoghi comuni a cominciare da un tema, decisamente fuori moda, come il pentimento… Ancora don Bartoli:

“Io credo che il tempo di Quaresima, innanzitutto, sia un tempo per ritornare al Padre, per riscoprire che Dio è Padre. Quindi la cosa di cui dobbiamo pentirci innanzitutto è l’inganno che il diavolo ha posto dentro di noi, di farci credere che Dio è nostro nemico, di farci credere che i suoi comandi, i suoi insegnamenti sono contro di noi per limitare la nostra libertà o il nostro fiorire come uomini. Poi, bisogna distinguere tra il pentimento e il senso di colpa che sono due cose profondamente diverse, perché il senso di colpa è il dolore per non essere stati all’altezza di un compito, il pentimento cristiano, invece, è il dolore di aver tradito la fiducia di un Padre. C’è una grande differenza perché nel primo caso il dolore in fondo nasce dall’orgoglio: cioè, siccome non ce l’ho fatta, allora ho una cattiva immagine di me stesso. Invece, il pentimento nasce dall’amore: cioè, io amo questo Padre, soffro per averlo tradito e il suo perdono in questo modo però ristabilisce tutto. Mentre invece nel caso del senso di colpa non c’è perdono perché io non posso perdonare me stesso: è soltanto dentro una relazione, dentro un rapporto d’amore che si scopre la meraviglia del perdono”.

Una riflessione serrata, travolgente, spiazzante sugli atteggiamenti e i gesti che la Chiesa raccomanda nel tempo quaresimale che, senza sermoni, ci porta alla riscoperta dei fondamentali della fede cristiana, come il rapporto tra Padre e figlio. Don Fabio Bartoli:

“Nel libro c’è una frase molto provocatoria che dice che noi cristiani non crediamo in Dio, noi cristiani crediamo in Dio Padre. E cambia tutto perché tutti credono in Dio: i buddisti credono in Dio, gli ebrei credono in Dio, i musulmani credono in Dio, tutti credono in Dio. Ma solo noi crediamo che Dio è Padre. Ovviamente se Dio è Padre, noi siamo tutti fratelli. Scoprire che Dio è Padre significa scoprire che io non ho nemici, significa scoprire che la vita, il rapporto con le altre persone è un cammino per ritornare a questa casa del Padre. Solo il penitente è capace di una vera comunione. Perché invece l’uomo che vive tutto centrato su se stesso, sia un moralista sia un libertino, non è capace di vera comunione. Il libertino e il moralista sono fondamentalmente da soli perché nella sostanza cercano se stessi, mentre solo chi è capace veramente di pentirsi scopre di essere parte di una comunità. All’inferno si va sempre da soli, in Paradiso si va in comunità, in Paradiso si va tutti insieme. E’ per questo che la Bibbia finisce con una grande festa di popolo, tutti insieme nella piazza della Gerusalemme celeste a lodare l’Agnello. Quello è il nostro obiettivo, noi stiamo andando lì. Vivere una vita pasquale, vivere una vita da risorti, significa vivere una vita di popolo, una vita di comunità”.

Tra le armi che la Chiesa suggerisce di usare in Quaresima ci sono la preghiera, l’elemosina e il digiuno, che forse tra tutte è quella più inattuale, ma attenzione a non cadere nel moralismo, ammette don Bartoli: digiunare non vuol dire infatti rinunciare a tutto o ai dolci, ma sottomettere il corpo allo spirito, allenarsi al distacco delle cose, anche dai social network:

“Uno degli scopi di questo libro è ridare un senso a queste pratiche, cioè aiutarci a comprendere perché bisogna farle. Perché non basta dire: devi digiunare. Se non ti spiego perché, tu non lo farai mai, è ovvio. Il digiuno è fondamentalmente liberare il cuore dall’egoismo per lasciare uno spazio aperto dentro di noi in cui poter donare. Dunque non è tanto questione di fare tante rinunce, quanto piuttosto di smettere di cercare il proprio benessere, il proprio interesse e aprirsi a un di più, aprirsi all’altro anche mettendo da parte il telefono”.

Il suggerimento di don Fabio Bartoli è che tutti possono “tornare al Padre”, ma serve un allenamento spirituale graduale:

“E’ molto più utile un piccolo passo ogni giorno piuttosto che proporsi degli obiettivi impossibili che poi dopo non riusciamo mai a realizzare nella nostra vita. Nel libro faccio l’esempio di un Padre che regala a un figlio prima un triciclo, poi una bicicletta, poi un motorino e alla fine un’automobile, ma prima deve avere imparato a guidare le altre cose”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 74

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.