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Sommario del 16/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: l'indifferenza verso il povero è corruzione

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Stiamo attenti a non prendere la strada che dal peccato arriva alla corruzione. E’ il monito levato stamani da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha preso spunto dal Vangelo odierno – tratto da Luca – in cui il Signore racconta la parabola del ricco e il povero Lazzaro per sottolineare che anche oggi dobbiamo guardarci dal chiuderci in noi stessi ignorando i poveri e i senzatetto delle nostre città. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Scruta, Dio, il mio cuore. Vedi se percorro la via di menzogna e guidami sulla via della vita”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalle parole dell’antifona e, rivolgendo poi l’attenzione al brano del Libro di Geremia, ha evidenziato che “l’uomo che confida nell’uomo, pone nella carne il suo sostegno", cioè nelle cose che lui può gestire, nella vanità, nell’orgoglio, nelle ricchezze e da qui ne deriva un “allontanamento dal Signore”. Francesco rileva “la fecondità dell’uomo che confida nel Signore, e la sterilità dell’uomo che confida in se stesso”, nel potere e nelle ricchezze. “Questa strada – ammonisce – è una strada pericolosa, è una strada scivolosa, quando soltanto mi fido del mio cuore: perché lui è infido, è pericoloso”.

Chi vive nelle ricchezze non vede il povero, il peccato diventa corruzione
“Quando una persona vive nel suo ambiente chiuso – soggiunge il Papa – respira quell’aria propria dei suoi beni, della sua soddisfazione, della vanità, di sentirsi sicuro e si fida soltanto di se stesso, perde l’orientamento, perde la bussola e non sa dove sono i limiti”. E’ proprio quello che succede al ricco di cui parla il Vangelo di Luca, che passava la vita a fare feste e non si curava del povero che stava alla porta della sua casa:

“Lui sapeva chi era quel povero: lo sapeva. Perché poi, quando parla con il padre Abramo, dice: 'Ma inviami Lazzaro': ah, sapeva anche come si chiamava! Ma non gli importava. Era un uomo peccatore? Sì. Ma dal peccato si può andare indietro: si chiede perdono e il Signore perdona. Questo, il cuore lo ha portato su una strada di morte a tal punto che non si può tornare indietro. C’è un punto, c’è un momento, c’è un limite dal quale difficilmente si torna indietro: è quando il peccato si trasforma in corruzione. E questo non era un peccatore, era un corrotto. Perché sapeva delle tante miserie, ma lui era felice lì e non gli importava niente”.

Cosa sentiamo nel cuore quando vediamo un senzatetto per strada?
“Maledetto l’uomo che confida in se stesso, che confida nel suo cuore – sottolinea il Papa richiamando il Salmo 1 - Niente è più infido del cuore, e difficilmente guarisce". Quando tu sei su quella "strada di malattia, difficilmente guarirai”. Di qui il Papa rivolge una domanda a tutti noi:

“Cosa sentiamo nel cuore quando andiamo per strada e vediamo i senzatetto, vediamo i bambini da soli che chiedono l’elemosina … ‘No, ma questi sono di quella etnia che rubano …’, vado avanti, faccio così? I senzatetto, i poveri, quelli abbandonati, anche quelli senzatetto benvestiti, perché non hanno soldi per pagare l’affitto perché non hanno lavoro… cosa sento io? Questo è parte del panorama, del paesaggio di una città, come una statua, la fermata del bus, l’ufficio della posta, e anche i senzatetto sono parte della città? E’ normale, questo? State attenti. Stiamo attenti. Quando queste cose nel nostro cuore risuonano come normali – ‘ma sì, la vita è così … io mangio, bevo, ma per togliermi un po’ di senso di colpa do un offerta e vado avanti’ – la strada non va bene”.

Se il peccatore si pente torna indietro, il corrotto invece è chiuso in se stesso
Il Papa ribadisce la necessità di accorgersi quando siamo sulla strada “scivolosa dal peccato alla corruzione”. “Cosa sento, io – si domanda – quando al telegiornale” vedo che “è caduta una bomba là, su un ospedale, e sono morti tanti bambini”, la “povera gente”. Dico una preghiera e poi continuo a vivere come se niente fosse? “Entra nel mio cuore questo” oppure sono come quel ricco che "il dramma di questo Lazzaro, del quale avevano più pietà i cani, non entrò mai nel cuore?”. Se fosse così sarei in un “cammino dal peccato alla corruzione”:

“Per questo, chiediamo al Signore: ‘Scruta, o Signore, il mio cuore. Vedi se la mia strada è sbagliata, se io sono su quella strada scivolosa dal peccato alla corruzione, dalla quale non si può tornare indietro’ – abitualmente: il peccatore, se si pente, torna indietro; il corrotto, difficilmente, perché è chiuso in se stesso. ‘Scruta, Signore, il mio cuore’: che sia oggi la preghiera. ‘E fammi capire in quale strada sono, su quale strada sto andando’”.

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Il Papa riceve il presidente libanese Aoun

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Stamani Papa Francesco ha ricevuto in udienza Michel Aoun, presidente della Repubblica del Libano, che poi ha incontrato il card. Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui - riferisce la Sala Stampa vaticana - ci si è soffermati sulle buone relazioni bilaterali tra la Santa Sede e il Libano, sottolineando il ruolo storico ed istituzionale della Chiesa nella vita del Paese. Si è quindi espressa soddisfazione per l’impegno delle varie forze politiche nel porre fine alla vacanza presidenziale, auspicando per il futuro una sempre più proficua collaborazione tra i membri delle diverse comunità etniche e religiose in favore del bene comune e dello sviluppo della Nazione”.

Si è quindi fatto “riferimento alla Siria, con particolare attenzione agli sforzi internazionali per una soluzione politica al conflitto. È stato altresì ribadito l’apprezzamento per l’accoglienza che il Libano presta ai numerosi profughi siriani. Infine, si è avuto un più ampio scambio di vedute sul contesto regionale, facendo cenno agli altri conflitti in corso e alla situazione dei cristiani in Medio Oriente”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Il vescovo di Carpi: grande gioia per la visita del Papa

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La Diocesi di Carpi attende con gioia la visita pastorale di Francesco, il prossimo 2 aprile. Ieri è stato reso noto il programma del viaggio che prevede tappe a Carpi e a Mirandola. Quasi 5 anni fa, nel maggio del 2012, questi comuni dell’Emilia Romagna furono colpiti da un forte sisma che provocò 28 morti, centinaia di feriti e danni ingenti alle attività produttive e agli edifici. Sui sentimenti che accompagnano questa visita del Papa, Debora Donnini ha sentito il vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina

R. – Accogliamo naturalmente il Papa con una grande gioia, unita anche a una grande sorpresa perché è una visita inattesa. Nel giro di cinque anni, questa Diocesi, che pur non è così grande, ha avuto l’onore e la gioia di accogliere due Pontefici, Benedetto XVI e tra poco Papa Francesco.

D. – E’ stato lei a chiedere a Papa Francesco di venire?

R. – No. Devo dire che il Papa un giorno mi ha chiamato al telefono, mi ha fatto scendere a Roma, abbiamo avuto un lungo colloquio e in questo lungo colloquio a un certo punto il Papa, sorridendo, mi ha detto: “Ho deciso di venire a Carpi prima di Pasqua”. Per fortuna che ero seduto, perché sarei caduto svenuto! Poi, una volta che mi sono ripreso dalla sorpresa, naturalmente non ho potuto fare altro che ringraziarlo ed esprimergli tutta la mia gratitudine, tutta la mia riconoscenza perché è sicuramente un viaggio in cui il Papa avrà occasione di vedere ciò che è stato fatto in questi cinque anni per il recupero del nostro territorio, in modo particolare la riapertura della Cattedrale, che avverrà il 25 marzo, quindi la settimana prima che il Papa arrivi a Carpi.

D. – Com’è la situazione post-terremoto, dopo quasi cinque anni? La popolazione è quasi tutta rientrata nelle proprie case … ma quali sono le ferite aperte ancora e lasciate dal sisma?

R. – Devo dire che il lavoro di ricostruzione è stato enorme e oggi i posti di lavoro sono stati tutti recuperati: erano andati perduti 42 mila posti di lavoro; pochissime – mi sembra che siano 70 – le famiglie situate ancora in luoghi di fortuna e quindi anche la ricostruzione delle case e di tutte le infrastrutture è praticamente terminata. Ciò che manca sono ancora i luoghi storici e i luoghi identitari della nostra terra, e quindi le chiese, i monumenti storici, i centri storici. Nel Nord della Diocesi, penso soprattutto ad alcuni paesi come Mirandola, Concordia, Rovereto, i centri storici necessitano proprio di essere recuperati perché sono praticamente nelle stesse condizioni del giorno del terremoto. Io ho chiesto proprio espressamente di fare una visita a Mirandola perché il Santo Padre possa vedere anche ciò che è ancora necessario fare.

D. – A Carpi il primo momento, fondamentale, della visita sarà la Messa in Piazza Martiri, poi la benedizione delle prime pietre di tre nuovi edifici: la parrocchia di Sant’Agata, la Casa degli esercizi spirituali di Sant’Antonio in Novi, e la Cittadella della carità. A parte la parrocchia, quale missione hanno gli altri due edifici?

R. – Questa Cittadella della carità avrà gli uffici della Caritas, gli uffici del consultorio diocesano, quindi un aiuto per le famiglie in difficoltà, per gli adolescenti, per i giovani, e soprattutto un centro di accoglienza per i padri in difficoltà: padri separati che sono una delle emergenze nuove che sta crescendo all’interno della nostra società. Un altro discorso è la Casa di spiritualità, perché la Diocesi è priva di un centro di spiritualità e se ne sente un grande bisogno.

D. – Il Papa da Carpi si sposterà poi a Mirandola, e qui farà un discorso alle popolazioni colpite dal terremoto del 2012. La gente è ancora ferita?

R. – Guardando il centro storico di Mirandola, Papa Francesco avrà anche l’occasione di capire che cosa sia stato e che cos’era questa terra prima che mettessimo mano alla ricostruzione. Il Duomo di Mirandola è praticamente distrutto. Il Papa viene da una parte a ringraziare e a sottolineare l’opera grandiosa che è stata fatta, perché bisogna dirlo e bisogna riconoscerlo, e questo è stato possibile grazie anche alla coesione civile e sociale. La comunità ecclesiale e la comunità civile veramente hanno lavorato in grande sinergia, ma ancora tanto dev’essere fatto. La nostra gente comincia a sentire il bisogno di ritornare a pregare nelle proprie chiese … Mi diceva l’altro giorno un signore che ho incontrato sulla piazza di Carpi, quando abbiamo rimesso a tono le campane della Cattedrale: “Guardi, io ho incominciato a piangere. Non frequento la Chiesa”, mi ha detto. “E quando, prima del terremoto, suonavano le campane mi lamentavo sempre perché mi davano fastidio. Adesso le dico: le suoni giorno e notte, non mi interessa più nulla! Ecco: la bellezza di sentirsi abbracciati …”: ha usato questa espressione per questo meraviglioso suono delle campane che ci ricorda, comunque, una vicinanza. E questo sembra che descriva molto bene ciò di cui la nostra gente incomincia a sentire il bisogno: vogliono di nuovo le loro chiese …

D. – Qualche altro particolare sulla visita?

R. – La nostra zona è una zona di artisti e ci sono molti di questi artisti che vogliono offrire una loro opera al Papa. E quindi, il Papa tornerà in Vaticano con tante opere d’arte, che vogliono esprimere nei confronti del Papa questo bisogno di spiritualità che sono convinto che anche il Santo Padre saprà ulteriormente rendere manifesto e più consapevole nella vita delle persone.

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Card. Amato: Mayr-Nusser, martire per aver detto "no" a Hitler

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L’appuntamento è per le 10 di sabato prossimo al Duomo di Bolzano. A quell’ora infatti inizierà la Santa Messa di Beatificazione del martire Giuseppe Mayr-Nusser, fedele laico, morto nel 1945 sotto il nazismo. A presiedere la celebrazione, in rappresentanza di Papa Francesco, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Giada Aquilino

Non giurò fedeltà ad Hitler, lasciandosi guidare soltanto da Cristo, “del quale fu testimone fino all’offerta della sua vita”. Questo fu Giuseppe Mayr-Nusser, nelle parole di Papa Francesco, sottolineate dal cardinale Angelo Amato. Nato nel 1910 a Bolzano, sin da giovane Josef sviluppò una grande attenzione verso i più poveri, vivendo personalmente e in forma comunitaria l’esperienza di fede. Il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi:

“Nel 1934, a 24 anni, fu eletto presidente dell’Azione Cattolica di Trento e nel 1939 presidente della nuova Conferenza di San Vincenzo fondata a Bolzano. La sua giornata era Messa quotidiana, rosario quotidiano, servizio ai poveri e lavoro”.

Nel 1942 sposò Hildegard, da cui ebbe un figlio, Albert. Arruolato a forza nelle SS, rifiutò per motivi religiosi di prestare giuramento al nazionalsocialismo, come spiega il porporato:

“Obbligato ad arruolarsi, perché lui era di lingua tedesca, nel 1944 fu inviato a Konitz, presso Danzica, in Polonia, nel campo di addestramento delle SS. Qui gli fu chiesto di prestare il giuramento al Führer ma egli rifiutò, per la sua fede. Lui disse un 'no' frontale a Hitler davanti a tutte le SS che si formavano. Dove aveva preso questo coraggio? Nelle sue letture: quando era giovane, aveva letto le opere di San Tommaso, quelle di Romano Guardini, ma soprattutto le Lettere dal carcere di Tommaso Moro, che - come Gran Cancelliere di Inghilterra - aveva detto 'no' al suo sovrano per non rinnegare la propria identità cattolica. E quindi questo 'no', detto per salvare la propria coscienza, Josef lo ha portato nel suo cuore fino a quella esperienza tragica di dover dire 'no' a Hitler, firmando la sua condanna di morte”.

Fu quindi arrestato, processato e condannato a morte: caricato su un treno verso il campo di concentramento di Dachau, morì durante il tragitto per le conseguenze dei maltrattamenti subiti. Testimonianze di quei giorni riferiscono che, nonostante le sofferenze, Josef non pronunciò mai parole di lamento, continuando fino all’ultimo a ringraziare chi in qualche modo cercava di alleviare il proprio dolore e dividendo il poco cibo a disposizione con gli altri prigionieri. Molti anni dopo, un ex soldato tedesco che lo aveva scortato nel trasferimento disse di aver trascorso 14 giorni con un “santo”. La memoria liturgica del Beato martire Giuseppe Mayr-Nusser cade il 3 ottobre ed il suo messaggio è ancora attualissimo. Il cardinale Amato:

“Credo che possiamo apprendere il coraggio di essere testimoni di Cristo e del suo Vangelo oggi, per manifestare amore per la verità e rispetto della propria coscienza, e di mantenere alto l’ideale della famiglia, con l’accoglienza e l’educazione dei figli. Per questo, la straordinaria personalità di Josef arricchisce la Chiesa, ma soprattutto infonde nell’umanità contemporanea la gioia della coerenza evangelica, che disintossica la società dai germi patogeni del male. In questi ultimi anni, sia Papa Benedetto e sia adesso Papa Francesco hanno ripetuto spesso che quando i cristiani si mostrano veramente lievito, luce e sale della Terra diventano anch’essi, come Gesù, oggetto di persecuzione e segno di contraddizione”.

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Santa Sede: Stati lottino contro tratta persone e traffico di armi

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“Una sfida immensa che richiede una risposta proporzionata”. Così l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede, si è espresso ieri sulla tratta nell’ambito di un dibattito aperto tenutosi presso il Consiglio di Sicurezza Onu di New York. Gli Stati – ha aggiunto - non contribuiscano al traffico illegale di armi, ma lo contrastino con forza perché favorisce i conflitti e conseguentemente la piaga del traffico illegale di persone.

Consiglio Sicurezza Onu adotti ruolo più decisivo contro tratta
Ferma la condanna della “facilità” con cui le armi, anche di distruzione di massa, finiscono nelle mani dei terroristi, favorendo e prolungando conflitti violenti che rendono le persone esposte ai trafficanti. Da qui il forte appello ad intensificare il ricorso a trattati e leggi relativi al contrasto dello smercio di armi. “Il Consiglio di sicurezza Onu – è stato il monito – adotti un ruolo più decisivo nella lotta contro la piaga della tratta, prevenendo e ponendo fine ai conflitti armati e favorendo il consolidamento della pace e dello sviluppo.

Ricordato dramma cristiani, yazidi e minoranze religiose in Iraq
Il pensiero di mons. Auza è andato alle “comunità cristiane, agli Yazidi e alle minoranze etniche e religiose che nella zona dell’antica Mesopotamia, sono state ridotte in schiavitù, vendute, uccise, sottoposte ad ogni forma di umiliazione”. “L’apparente mancanza di seri sforzi per assicurare alla giustizia gli autori di tali atti di genocidio e violazioni di diritti umani  e del diritto internazionale – ha osservato l’Osservatore Permanente della Santa Sede all’Onu – lascia molte perplessità e ci si chiede quante altre atrocità dovranno essere tollerate prima che le vittime possano ottenere soccorso, protezione e giustizia”.

Migranti senza documenti e “irregolari” sono i più vulnerabili
Rimarcando il carattere prioritario dato al contrasto della tratta dal pontificato di Papa Francesco, mons. Auza ha quindi messo in luce l’evidente connessione tra questa “atroce piaga” e l’estrema povertà, il sottosviluppo, l’esclusione sociale, il mancato accesso all’istruzione e al mondo del lavoro. I trafficanti di persone, i terroristi, i gruppi armati e le reti transnazionali di criminalità organizzata trovano terreno fertile nelle “persone più vulnerabili, in fuga da privazioni economiche, guerre o disastri naturali”. Vulnerabilità aggravata dalla criminalizzazione di quei migranti privi di documenti e definiti “irregolari”. (A cura di Paolo Ondarza) 

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Sodano: da Fatima un messaggio di speranza per tutto il mondo

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Dalla celebrazione del centenario della apparizioni mariane a Fatima proviene un messaggio di speranza. “Numerose e gravi possono essere le prove della vita e le tragedie del mondo, ma più grande ancora è l’amore di Dio per noi”. E' quanto ha affermato ieri sera, nella sede dell’ambasciata del Portogallo presso la Santa Sede, il cardinale Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Incontrando il corpo diplomatico del Portogallo in vista del pellegrinaggio di Papa Francesco, il 12 e il 13 maggio prossimi, al Santuario di Nostra Signora di Fatima, il cardinale Sodano ha ripercorso gli straordinari eventi avvenuti nel 1917. “Possono farci comprendere meglio - ha detto - la presenza di Dio nelle vicende umane”. A questo provvidenziale scorcio di storia il cardinale Sodano ha anche legato i propri ricordi giovanili, quando negli anni tragici della seconda guerra mondiale erano di “grande conforto” le parole della Madonna ai tre pastorelli. “Dio – ha aggiunto – può sempre intervenire nella storia umana”.

Fatima si è imposta al mondo
Il messaggio di Fatima già allora – ha affermato il cardinale decano – “non era solo un invito alla conversione e alla preghiera”. Era un “messaggio di speranza” perché Dio è presente tra gli uomini “anche nelle ore più tragiche della storia”. Il porporato, ripercorrendo la propria missione al servizio della Santa Sede sempre accompagnata da una profonda devozione mariana, ha ricordato infine le parole pronunciate più di 40 anni fa dal cardinale Manuel Gonçalves Cerejeira: “Non è la Chiesa che ha imposto Fatima al mondo - aveva detto l’allora patriarca di Lisbona - ma è Fatima stessa che si è imposta al mondo”.

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Oggi in Primo Piano



Olanda: vincono i liberali. Nuove polemiche con la Turchia

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Il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, del premier, Mark Rutte, ha vinto le elezioni in Olanda. A scrutinio quasi ultimato ha ottenuto il 21,2% dei voti e 33 seggi sui 150 in palio nella Camera Bassa. L’estrema destra del Partito per la Libertà, di Geert Wilders ottiene il secondo posto. Fuori coro il commento del ministro degli esteri turco Cavusoglu: "Presto in Europa inizieranno le guerre di religione". Massimiliano Menichetti: 

"L’Olanda ha detto no al populismo dopo la Brexit e Trump, grazie per questa vittoria che avete dato al Paese, ma anche all'Europa”. Così il premier Mark Rutte, leader del  Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd) che ha vinto nettamente, pur diminuendo nei consensi, le elezioni. Il Vvd ha superato il 21% dei consensi, che si traduce in 33 seggi sui 150 disponibili alla Camera Bassa degli Stati Generali d'Olanda. Avanza l’estrema destra euroscettica ed islamofoba del Partito per la Libertà di Geert Wilders che, superando il 13%, ottiene il secondo posto e venti seggi, uno in più dei democristiani del Cda e dei liberali progressisti del D66. Si conferma il progresso dei Verdi del GroenLinks, guidati dal giovane Jesse Klave, che sono passati dal 2,3% del 2012 a un 9%, quindi da 4 a 14 seggi. Crollano i laburusti del PvdA. Forte l'affluenza alle urne, circa l'81% degli aventi diritto è andato a votare. Le consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo inizieranno già domani per un possibile governo di coalizione di centrodestra. Tra gli euroconvinti spiccano i commenti del presidente francese Hollande e della cancelliera tedesca Merkel che parlano di elezioni per il “futuro dell’Europa”; per la Russia il rapporto con Rutte è “franco”; di tutt'altro tenore il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, per il quale non c'è differenza tra il premier e Wilders: "State trascinando l'Europa nell'abisso - ha detto - presto in Europa inizieranno le guerre di religione".

"I risultati delle elezioni in Olanda saranno un'ispirazione per molti". Lo ha scritto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker nella sua lettera di congratulazioni al premier olandese Mark Rutte. Sul voto abbiamo intervistato Guido Levi, docente di “Partiti e movimenti politici in Europa“, presso l’università degli Studi di Genova: 

R. – Credo che il dato fondamentale sia rappresentato dal risultato relativamente modesto conseguito dal Partito per la Libertà: era il partito euroscettico, nazionalista, populista, dell’Olanda, che si presentava come un partito in forte crescita: i sondaggi per mesi lo hanno dato come addirittura il partito che avrebbe potuto vincere e ottenere la maggioranza relativa. In realtà invece le cose non sono andate così: il partito ha soltanto conseguito un piccolo aumento di due o tre punti percentuali collocandosi grosso modo al tredici percento. E quindi diciamo che la forza euroscettica, quella che davvero rappresentava un elemento di instabilità, in qualche modo è stata sconfitta.

D. – Ci saranno difficoltà per il governo?

R. – Ci saranno perché un po’ il paradosso è che vi sono, in Olanda, cinque partiti che hanno preso voti grosso modo tra il nove e il tredici percento. Quindi, dovrà essere un governo di coalizione, ma formato da più forze politiche: questa sarà una cosa sicuramente non semplice. Sono partiti in gran parte europeisti, che hanno molte cose in comune; però mettere insieme partiti differenti in una grande coalizione è sempre un’operazione problematica.

D. – La vittoria di Rutte è un buon segnale per l’Europa …

R. – Sì, credo che questo sia veramente l’aspetto più importante. Ho l’impressione che il momento forte dei populismi e degli euroscetticismi stia tramontando. Di fronte alla Brexit, di fronte al pericolo di una disgregazione dell’Unione Europea, ho l’impressione che si stia verificando una reazione popolare. Non a caso l’Eurobarometro, qualche settimane fa, aveva indicato che oltre il 70 percento degli olandesi sarebbe contrario all’uscita del Paese dall’Unione Europea.

D. – L’estrema destra del Partito per la Libertà ha condotto una campagna elettorale tendenzialmente su due temi: l’euroscetticismo, e una chiusura - un’avversione - è stato detto “l’islamofobia”…

R. – Il legame che vi è tra nazionalismo, euroscetticismo, e antislamismo – islamofobia – sono tratti caratterizzanti in realtà anche di tanti partiti euroscettici. Noi parliamo del caso olandese, ma se ci spostassimo in Francia e andassimo a vedere il Fronte Nazionale di Marine Le Pen in qualche modo troveremmo caratteristiche analoghe. Forse in Olanda la dimensione antislamica in Wilders è particolarmente sottolineata. E questo naturalmente minaccia fortemente la convivenza civile di un Paese che al suo interno ha una comunità islamica non irrilevante.

D. – La prima reazione da parte della Turchia per voce del ministro degli Esteri Cavusoglu è stata: “Non c’è differenza tra Rutte e Wilders. State trascinando l’Europa verso l’abisso. Presto in Europa inizieranno le guerre di religione”…

R. – Sono parole che si commentano da sole… Naturalmente l’episodio dello scontro diplomatico tra Turchia e Olanda di questi giorni è noto. Credo che poi, tutto sommato, la crisi rientrerà; però va detto che i rapporti tra Olanda e Turchia, e Unione Europea e Turchia, si stanno fortemente deteriorando, soprattutto per la ragione che la Turchia, dopo il fallito colpo di Stato, è diventata un fattore di instabilità in quella regione a cavallo tra l’Europa e il Medio Oriente. Quindi non sarà facile ristabilire a pieno dei buoni rapporti diplomatici e di collaborazione tra Europa e Turchia. Poi, certo, il momento culminante della crisi penso che verrà facilmente superato nell’interesse delle parti. 

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Il vicario apostolico in Turchia: i populismi portano al baratro

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Non si placano le polemiche, anche con parole forti, tra Turchia e Olanda. Commentando l'esito delle elezioni nei Paesi Bassi, il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha detto che non c'è differenza tra il premier liberale Rutte e il leader populista Wilders, hanno la stessa mentalità: "Avete iniziato il collasso dell'Europa - ha affermato - presto le guerre sante inizieranno in Europa". Ascoltiamo in proposito mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, al microfono di Antonella Palermo

R. – Mi sembra sia un tempo nel quale si è molto reattivi sia in Medio Oriente che in Europa che negli Stati Uniti. Forse bisogna, prima di tutto, rendersi conto che c’è un clima un po’ esasperato; ci sono delle tensioni che stanno crescendo – purtroppo  da alcuni anni - per motivi in parte fittizi, in parte reali, e che forse sono stati anche sottovalutati in passato. Le difficoltà nelle infinite trattative tra Turchia ed Unione Europea mi sembra siano il segnale che c’è qualcosa che non sta funzionando da entrambe le parti. Certamente l’Europa, o almeno la politica di alcune nazioni europee, negli ultimi anni è stata molto contraddittoria. Tutto questo alla fine ha creato un clima di grande tensione. Poi ci sono fatti occasionali che sono un po’ come la miccia che accende delle polveri che già erano presenti. A questo si aggiunga il fatto che quanto sta succedendo da sei anni in Siria e in varie parti del Medio Oriente è veramente incomprensibile; non si riesce a comprendere perché l’Europa sia così incapace di dire una parola forte, non si comprende come mai si sia creata e si sia lasciata andare per anni una situazione pericolosa dai risvolti facilmente immaginabili e sempre peggiori. C’è molto disorientamento.

D. - Un po’ tutte le parti hanno esagerato i toni delle proprie dichiarazioni, secondo lei?

R. - Credo di sì. Qualcuno forse dice anche qualcosa di troppo. Bisogna capire però quali sono le radici di queste tensioni. Credo che un po’ dovunque ci sia una crescita della xenofobia, dell’islamofobia, così come in altre parti del mondo c’è una crescita della cristianofobia; sembra che in questo momento chi vuole ottenere attenzione per forza di cose deve avere delle posizioni estremiste populiste che in realtà ci stanno portando nel baratro. Allora, lancio un allarme proprio in questo senso. Questi populismi, queste dichiarazioni così massive investono interi popoli, pensiamo anche a questi decreti voluti dal presidente degli Stati Uniti che non distinguono tra una massa di popolazione in grave crisi ed una minoranza di terroristi. Dovunque sembra esserci un clima di grossolanità nell’affrontare i problemi che evidentemente fa leva sui disagi degli elettori. I toni sono un po’ senza fare distinzioni, rievocando fatti del passato, minacciando, facendo immaginare alla gente scenari apocalittici per il futuro, quando noi ad esempio sappiamo che i tre milioni di turchi presenti in Germania si sono integrati e non hanno mai dato prova di essere degli estremisti. Quindi, come è possibile adesso rigettare interamente una popolazione? Così anche dall’altra parte certamente c’è una sfiducia in questo momento verso alcuni governi europei  e credo che questo non convenga a nessuno perché invece bisogna riprendere la strada del dialogo paziente. La Turchia ha cercato di adeguarsi a molte delle richieste anche dell’Europa, ma sono processi lunghi. La Turchia è un Paese troppo importante per  l’Europa, non possiamo farne a meno, non possiamo alzare dei muri.

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America First, il bilancio di Trump: meno aiuti e più armi

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Concentrazione dei fondi sulla difesa a scapito di ambiente, diplomazia, aiuto estero alla povertà. E’ in sintesi la legge di bilancio che il presidente americano Donald Trump presenta oggi al Congresso e che vede un aumento di circa il 10%, pari a 54 miliardi di dollari, della spesa militare. I tagli più pesanti sono andati all’ambiente, alla sanità, agli affari sociali e, in gran parte anche al dipartimento di Stato e quindi alla diplomazia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Raffaele Marchetti, docente di Relazioni Internazionali all’Università Luiss-Guido Carli di Roma: 

R. –  Era tutto già stato in parte annunciato durante la campagna elettorale e poi nelle settimane scorse dal presidente Trump. È chiaro che lui sta puntando molto sul settore militare, che è un settore importante strategicamente secondo la sua visione; ma anche politicamente lui ha bisogno dell’appoggio dell’establishment militare. E questo naturalmente a scapito di altri settori che ritiene essere meno significativi da un punto di vista di sicurezza nazionale, come la diplomazia, l’ambiente, come tutte quelle che vengono definite delle voci non di difesa quindi, per esempio, ha intenzione anche di tagliare i sussidi all’arte, all’educazione. Naturalmente naviga entro dei vincoli di bilancio forti, che probabilmente non rispetterà a pieno, ma questo ci spiega la necessità dei tagli: se si vuole aumentare il finanziamento al settore militare, inevitabilmente bisogna tagliare da qualche altra parte.

D. – Questo risponde allo slogan: “America First”…

R. – Questo certamente risponde a quel tipo di slogan. Non ci dobbiamo dimenticare che l’America è già il Paese con il maggior budget militare a livello mondiale. Se noi consideriamo tutto il comparto difesa, il budget militare americano copre intorno al 40-45% del budget totale mondiale per quanto riguarda le spese militari. L’America quindi rimane la superpotenza militare senza rivali a livello internazionale. Detto ciò, il suo margine di vantaggio si sta riducendo in questi ultimi anni, soprattutto da un punto di vista tecnologico e quindi si percepisce, in alcuni ambienti vicini a Trump, la necessità di un maggiore investimento. Naturalmente questo avrà delle conseguenze importanti, perché spingerà all’aumento delle risorse per il budget militare tutti gli altri Stati: sia gli alleati, lo vediamo anche in Italia dove c’è una discussione in questo senso, sia i cosiddetti “rivali”, come la Russia, che ha già annunciato che aumenterà di conseguenza il suo budget militare, e la Cina che lo sta facendo ormai da tanti anni. Questa mossa di Trump avrà un effetto domino, di aumento generalizzato della spesa militare a livello mondiale.

D. – Questa legge di bilancio, comunque non è che ai senatori piaccia, non soltanto i Democratici sono critici, ma lo stesso senatore Rubio ha detto che l’aiuto all’estero non è da intendersi come carità ma come punto “cruciale” per la sicurezza nazionale…

R. – Certamente questa è una proposta che il presidente presenta al Congresso, dopodiché il Congresso dovrà votarla, perché ricordiamoci che negli Stati Uniti qualsiasi questione finanziaria viene decisa dal Congresso e non dalla presidenza. Ci sarà grande opposizione. Io penso che ci sarà una rimodulazione del budget, ma questo rientra un po’ nella logica di Trump, una logica molto sensazionalista e molto dirompente rispetto ai vecchi schemi, secondo questi schemi appunto la diplomazia non è importante. Ovviamente i Democratici, ma anche una parte dei Repubblicani, sostengono invece che qualsiasi programma di sicurezza nazionale non può disgiungere la dimensione militare da quella diplomatica. Cioè: occorre avere buoni ambasciatori e anche buoni militari per poter essere efficace in situazioni di crisi a livello internazionale. Ridurre gli ambasciatori, per così dire, e aumentare i militari in modo sbilanciato, probabilmente potrebbe avere degli effetti nocivi in termini di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti. 

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Marocco: revocato il mandato al premier Benkirane

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Il re del Marocco, Mohammed VI, ha revocato il mandato di primo ministro incaricato ad Abdellilah Benkirane. Questi, leader del partito islamista vincitore alle ultime elezioni, dopo lunghe e sterili consultazioni, non è stato in grado di formare un esecutivo di maggioranza. Si attende ora una nuova designazione. Sulla situazione politica nel Paese, Giancarlo La Vella ha intervistato il giornalista marocchino Zouir Louassini

R. – Questa è la dimostrazione, per l’ennesima volta, che chi governa realmente in Marocco è la monarchia. Il re, alla fine, si è reso conto che il primo ministro Benkirane non è stato capace di allearsi con altri partiti e il risultato – cosa prevista dalla Costituzione – è che il re ha deciso di chiedere allo stesso partito di indicare un altro nome.

D. – Benkirane fa parte del partito filo-islamista, perché ha avuto difficoltà a formare un esecutivo, nel creare alleanze?

R. – Il partito islamista ha vinto le elezioni, però non ha la maggioranza e allora gli islamisti devono imparare a governare, e questo significa anche accettare le logiche degli altri. Diciamo che gli islamisti del Marocco iniziano a imparare che cos’è la politica e che cosa è la democrazia. Uno non può pensare per aver vinto le elezioni di poter decidere da solo: non ha avuto la capacità di trovare qualcosa che mettesse d’accordo tutti i partiti. E il secondo problema è che Benkirane non ha ancora capito che se non si mette d’accordo con la monarchia, non potrà governare il Marocco perché l’80 per cento dei poteri veri, reali del Marocco sono nelle mani del re. E’ vero che re Mohammed VI si è visto sempre – e lo è – come un monarca riformista, però la sua capacità anche di accettare elementi della società civile o partiti politici che possano togliergli un po’ di potere è la sfida reale del Marocco che deve affrontare il futuro.

D. – Quali sono le questioni urgenti che il prossimo governo dovrà affrontare?

R. – Credo che il problema vero, reale in questo momento sia la tensione che c’è tra il Marocco e l’Algeria, e anche i problemi del Sahara occidentale, che hanno bisogno di un governo che possa affrontare queste situazioni. Per cui molti osservatori in Marocco credono che ci sia anche la possibilità di un governo di unità nazionale per affrontare questa situazione. Poi c’è anche una possibilità di guerra, nella zona; altra ragione per cui è possibile un governo di unità nazionale.

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Bolivia. I vescovi: povertà non giustifica aborto e eutanasia

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Una proposta che minaccia seriamente il diritto alla vita e introduce una vera e propria colonizzazione ideologica. Così i vescovi boliviani definiscono la proposta di riforma del Codice Penale, che sarà sottoposta alla discussione dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale. I presuli esprimono preoccupazione su un testo che “chiama i legislatori e la società intera a difendere il diritto alla vita e a partecipare attivamente al dibattito pubblico”.

Diritto alla vita, fondamento di tutti gli altri diritti
“Il diritto alla vita, sul quale si fondano tutti gli altri diritti, riguarda ogni essere umano, senza distinzioni. La vita – scrivono – è un dono di Dio e nessuno può disporne in alcuna circostanza”. Nello specifico i vescovi criticano il passaggio nel quale si giustifica l’aborto, sia durante le prime otto settimane di gravidanza, per cause legate alla mancanza di risorse economiche necessarie alla cura del bambini, o nel caso in cui la madre sia studentessa, sia in qualsiasi momento della gestazione quando esista un rischio presente o futuro per la vita della madre, siano rilevate malformazioni fetali, la gravidanza  sia conseguenza di uno stupro o di un incesto o coinvolga una bambina o un’adolescente.

La povertà non giustifica aborto ed eutanasia
Secondo  i presuli il testo deforma il sistema penale introducendo la povertà come giustificazione di delitti quali l’infanticidio e l’eutanasia, “come se essere povero fosse un motivo sufficiente per violare la legge”. Inoltre si introduce una visione antropologica che “scarta” i bambini vulnerabili o disabili e concepisce la “triste violenza dell’aborto” come soluzione di problemi sociali ed economici. “L’aborto, invece – scrive la Conferenza Episcopale Boliviana – violenta il corpo della donna, provocandole gravi ripercussioni a livello psicologico, come la sindrome post-aborto le cui conseguenze sono molte volte irreparabili”.

Lo Stato deve migliorare la vita e sostenere la gravidanza
“Come Chiesa - si legge nel comunicato - non possiamo accettare tutto ciò. Lo Stato ha l’obbligo di creare politiche orientate a migliorare la vita delle persone e a sostenere la gravidanza, prevenendo la violenza, in modo tale che la vita nella società sia possibile per tutti”. I presuli del paese latinoamericano citano l’appello rivolto dal del Papa ai movimenti popolari affinché sia sempre custodita la vita e la dignità di ogni uomo, soprattutto se povero; inoltre rilevano l’incongruenza della proposta di legge con la Costituzione Boliviana che tutela tutti i diritti umani, incluso il diritto fondamentale alla vita fin dal suo concepimento. “Cristo – concludono – è venuto perché tutti abbiano la vita in abbondanza”. (A cura di Paolo Ondarza)

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Vescovi Guatemala: incendio dell’8 marzo evento abominevole

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I vescovi del Guatemala hanno espresso in un messaggio, incentrato sulla situazione del Paese, profondo dolore e vicinanza per il drammatico incendio avvenuto lo scorso 8 marzo in una casa di accoglienza statale. La tragedia, costata la vita ad oltre 30 bambine e adolescenti, è stata ricordata domenica scorsa da Papa Francesco all’Angelus: “Esprimo la mia vicinanza – aveva detto il Santo Padre - al popolo del Guatemala che vive in lutto per il grave e triste incendio scoppiato all’interno della Casa Refugio Virgen de la Asunción causando vittime e ferite tra le ragazze che vi abitavano”.

I vescovi chiedono che vengano accertate le responsabilità
Nel messaggio i presuli chiedono che vengano accertate le responsabilità di questa disgrazia, che definiscono “non un semplice incidente” ma un “evento abominevole”. Un evento “che non doveva accadere e che non potrà ripetersi nuovamente”. L'incendio - sottolinea il presidente della Conferenza episcopale del Guatemala, mons. Gonzalo de Villa y Vásquez -  è stata "la tragica fine di una situazione irregolare che tante volte era stata denunciata”. Nel documento – ripreso dall’agenzia Sir – i vescovi guatemaltechi ricordano anche "i gravi danni sofferti da tante giovani che avrebbero dovuto trovare in tale centro la sicurezza, il rispetto, l’assistenza e l’orientamento che non avevano avuto nella loro famiglia e nella società”.

I giovani sono il tesoro della Chiesa e della società
Il messaggio richiama poi al valore della gioventù per tutta la società e fa presente che l’attenzione alle giovani generazioni inizia dalla famiglia. La gioventù – scrivono i presuli - è il tesoro della Chiesa, della società. Sono non solo il futuro, ma il presente del Guatemala. I vescovi chiedono infine un’adeguata realizzazione delle riforme costituzionali dalle quali dipende il superamento dell’ impunità e della corruzione in Guatemala. L’obiettivo dev’essere “la costruzione di un vero e proprio Stato di diritto, con un adeguato sistema giudiziario”. (A.L.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 75

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