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Sommario del 18/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa in Egitto il 28 e 29 aprile: la gioia dei copti

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Papa Francesco sarà in visita apostolica in Egitto dal 28 al 29 aprile prossimi. La notizia è stata ufficializzata stamani dalla Sala Stampa della Santa Sede. Il Pontefice era stato invitato dal Presidente della Repubblica, Abd al-Fattah al-Sisi, dai Vescovi della Chiesa Cattolica, da Sua Santità Papa Tawadros II e dal Grande Imam della Moschea di Al Azhar, Cheikh Ahmed Mohamed el-Tayyib. Grande la gioia nel Paese nord africano, soprattutto nella comunità copto cattolica. Lo conferma al microfono di Giancarlo La Vella, mons. Antonios Aziz Mina, vescovo emerito di Giza: 

R. - La visita del Papa è una benedizione per noi, per la Chiesa e per tutto il popolo egiziano, che la accoglie con grande piacere. Siamo lieti che Francesco abbia accolto il nostro desiderio e venga per benedire la nostra terra. E’ una visita  che ci ricorda quella di San Giovanni Paolo II nell’anno 2000, l’anno del Giubileo.

D. - Papa Francesco viene in un Paese che ha vissuto vicende che hanno fatto soffrire innanzitutto il popolo egiziano…

R. -  Sì, tutta la zona, non solo l’Egitto, tutta la zona è provata e la presenza dei cristiani è sempre una testimonianza della croce. Noi, adesso, in questo tempo della Quaresima, viviamo con partecipazione il mistero dell’attesa, della gioia della Pasqua.

D. - Qual è la situazione dei cristiani oggi in Egitto?

R. - La situazione dei cristiani è la stessa di tutti gli egiziani. Siamo usciti adesso da una situazione difficile… Dopo le due rivoluzioni, cerchiamo di rimetterci in piedi. Abbiamo bisogno che tutto il mondo ci aiuti e ci sostenga e, come cristiani, viviamo un momento molto propizio e buono per la libertà di culto e la libertà di religione.

D. - Il rischio del terrorismo come viene avvertito oggi in Egitto?

R. - Il terrorismo va combattuto soprattutto con la forza del pensiero, con la cultura e con l’amore, la pace, la convivenza, l’uguaglianza dei diritti per ogni cittadino nella terra dove abita.

D. - Questa di Papa Francesco è una visita anche all’insegna del dialogo con l’Islam…

R. - Il dialogo con l’Islam continua e continuerà. C’è una grande voglia e volontà di proseguire in questo dialogo, perché è proprio una necessità. Non si può vivere in questo mondo senza dialogo, fra tutti i popoli, tutte le Nazioni e soprattutto fra le religioni, perché ogni religione ha i suoi dogmi, ma i credenti di ogni credo possono dialogare, parlare fra loro per trovare una via verso la convivenza, senza badare a quello che ci divide, ma per trovare quello che ci unisce.

D. - E l’Egitto è sempre stato un terreno fertile per il dialogo tra le varie religioni…

R. - Certo, perché l’Egitto di sua natura è sempre stato un incontro tra tutti i popoli: l’Asia, l’Africa, l’Europa qui si incontrano. Abbiamo sempre avuto una società cosmopolita, che raduna, che accoglie tutti i popoli di queste regioni. Siamo appena passati attraverso un periodo caratterizzato dall'estremismo, ma dobbiamo tornare alle radici della nostra natura di popolo pacifico, che vuole il dialogo e vuole la convivenza pacifica.

D.  – Cosa vi aspettate che Papa Francesco venga a dire in Egitto?

R. – Il Papa è l’unica forza nel mondo che quando parla, parla per difendere i diritti dell’uomo e i diritti dei popoli in nome di Gesù, in nome di Dio. Questo è il messaggio principale che noi aspettiamo che il Papa dica quando arriva in Egitto, per cercare di instillare questa cultura di pace tra i popoli di questa zona.

D. - E che cosa l’Egitto di oggi vuol dire a Papa Francesco?

R. - Siamo molto grati e ringraziamo il Santo Padre per questo occhio di riguardo che ha verso la nostra Nazione e verso il nostro popolo.

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E' morto il card. Vlk: da lavavetri ad arcivescovo di Praga. Cordoglio del Papa

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Si è spento oggi a Praga il cardinale Miloslav Vlk: aveva 84 anni. Era malato di tumore. Il Papa - in un telegramma inviato al cardinale arcivescovo di Praga Dominik Duka – esprime il suo cordoglio ricordando “con ammirazione la sua tenace fedeltà a Cristo nonostante le privazioni e le persecuzioni contro la chiesa, come anche la sua feconda e molteplice attività apostolica animata dal desiderio di testimoniare a tutti la gioia del Vangelo, promuovendo un autentico rinnovamento ecclesiale fedele sempre docile alle ispirazioni dello Spirito Santo”. Miloslav Vlk, ordinato sacerdote nel 1968, è stato perseguitato durante il regime comunista cecoslovacco. Costretto a esercitare clandestinamente il ministero, fece il lavavetri nel centro di Praga. Con la cosiddetta Rivoluzione di velluto e la caduta del comunismo nel 1989, cambia anche la sua vita. Nel 1991 San Giovanni Paolo II lo nomina arcivescovo di Praga e nel 1994 lo crea cardinale. Ma resta un uomo semplice e vicino alla gente. Condivide la spiritualità del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich. Nel settembre del 2009 accoglie Benedetto XVI a Praga. Riascoltiamo le parole del card. Vlk alla vigilia di quel viaggio. L'intervista è di Sergio Centofanti:

R. – Noi siamo un Paese in cui la fede cattolica, la fede cristiana, non è molto diffusa; la Chiesa è stata emarginata e lo è tuttora: siamo al margine! Nel periodo del controllo comunista, la maggioranza della Chiesa – soprattutto i laici – è rimasta passiva. E’ evidente, quindi, che il Santo Padre viene per rafforzare i fedeli: questo è il senso della sua venuta.

D. – Quali sono le sfide principali della Chiesa ceca, oggi?

R. – La Chiesa ceca, oggi, deve evolversi, aprirsi sempre più alla società, dialogare con essa perché ci sono – soprattutto tra i politici – tanti pregiudizi contro la Chiesa. E’ necessario mostrare attraverso il dialogo che i pregiudizi non sono veri.

D. – A 20 anni dalla caduta del comunismo, come è cambiata la situazione nel Paese?

R. – Politicamente, non c’è stato un grande progresso. Si è avviata una trasformazione economica, ma questa trasformazione si è fatta senza una base di valori. C’è tanta corruzione, non c’è una democrazia vera, seria, profonda.

D. – Lei ha vissuto la persecuzione comunista; per otto anni ha fatto il lavavetri a Praga. Come ricorda quel periodo?

R. – Per me – da un punto di vista spirituale – è stato un periodo molto forte, perché all’inizio avevo perso tutto: avevo perso la possibilità di svolgere pubblicamente il ministero sacerdotale, di predicare, di amministrare i Sacramenti e questa realtà mi ha portato a capire che Gesù Cristo è diventato Sommo Sacerdote sulla Croce, quando non ha potuto più muoversi, quando non ha potuto più benedire, quando non ha potuto più parlare. E io, in quel periodo, avendo perso tutto, mi sono sentito molto vicino a Gesù crocifisso e abbandonato e mi sono sentito veramente sacerdote. Per me è stata una grande grazia, perché ho scoperto di poter ritrovare Gesù, essere in contatto con Lui anche nel dolore, nelle situazioni negative – secondo le parole di Isaia nel capitolo 53, “l’uomo dei dolori”. In secondo luogo ho sperimentato la comunione con i fratelli, con i quali ho vissuto con Gesù in mezzo a noi, Gesù risorto – secondo la spiritualità focolarina – e questo mi ha sostenuto molto. Questa esperienza è stata molto, molto forte.

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Card. Bassetti: 4 anni con Francesco, la Chiesa va a cercare tutti

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. Al porporato, Debora Donnini ha chiesto un commento alle parole di Francesco nella Messa di inizio Pontificato, celebrata quattro anni fa, il 19 marzo del 2013. Al centro dell’omelia, il potere inteso come servizio e l’invito a custodire gli altri con tenerezza: 

R. – Io rimasi molto molto colpito da questa omelia nella quale per sette volte il Papa parlò di tenerezza: un’autorità che non è potere ma è tenerezza, che è servizio. Il Papa, è chiaro, volle mostrare come lui intendeva esercitare il suo ministero petrino e lo stesso atteggiamento lo chiedeva a tutta la Chiesa.

D. – Non a caso Francesco ha dedicato il Giubileo alla Misericordia, una parola centrale nel suo Pontificato. La Chiesa italiana come ha recepito le parole di Francesco sulla misericordia, sull’essere una Chiesa in uscita con pastori con l’odore delle pecore?

R. – Mi sembra che ci sia uno sforzo, che ci sia un cammino e mi sembra che anche questo stia portando un rinnovamento nel senso del servizio e della Chiesa in uscita. E’ bellissima l’immagine che il Papa tante volte ha ricordato che la Chiesa è una mamma che genera dei figli: se sono feriti cerca di guarirli, se si smarriscono e si allontanano da casa, li va a cercare. La Chiesa che non è una dogana dove tu devi pagare le tue tariffe, ma che è un “ospedale da campo”. Ecco, allora, il discorso della misericordia, che si concretizza nelle opere di misericordia perché altrimenti rimane astratto. Il Vangelo non è un messaggio astratto, il Vangelo è un messaggio concreto: “Avevo fame… Avevo sete…”, queste sono le opere di misericordia, che sempre più devono diventare stile di vita.

D. – Come si può concretizzare questa Chiesa in uscita?

R. – Questa Chiesa in uscita la stiamo concretizzando perché anch’io sono un pastore. Ad esempio nelle visite pastorali più che insistere nei rapporti con le parrocchie dove incontro la gente che la domenica va a Messa, vado piuttosto alla ricerca degli ambiti dove vive la gente: visito le fabbriche perché lì si fatica, si lavora… Ho fatto anche recentemente incontri con genitori, professori, rappresentanti di classe, intere classi che mi facevano domande! Lì ci sono ragazzi, anche di altre religioni… Poi cerco di incontrare il mondo universitario… E’ la Chiesa che va a cercare tutti, per quanto è possibile. E mi sembra che questo sia proprio lo stile che Papa Francesco ci ispira e che deve, veramente, in questo momento storico muovere i nostri passi perché noi viviamo in una società di gente smarrita, di gente che vive una grande solitudine.

D. – In particolare con la pubblicazione dell’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia è emerso in ambito cattolico, in qualche modo, un dibattito, anche delle incomprensioni nei confronti del magistero Papa Francesco. Lei che lettura dà di questo, come ha recepito questa Esortazione post-sinodale sul matrimonio, sulla famiglia?

R. – Non si capisce l’Amoris laetitia se non abbiamo meditato a fondo la Evangelii gaudium perché tutta la conversione pastorale che il Papa propone alla Chiesa sta lì. Il Papa, in fondo, anche quando si rivolge ai sacerdoti dice che chi è legalista - cioè sta soltanto dietro la regola - o chi è lassista - cioè tutto facile, si assolve tutto -  praticamente non esercita la misericordia perché non rispetta la persona che va accolta, va ascoltata, va compresa nei suoi problemi. Quindi è chiaro che se anche noi sacerdoti non cominciamo a fare come ci dice il Papa un accompagnamento e un discernimento approfondito, non si può capire lo spirito dell’Amoris laetitia.

D. – Spesso è stato sottolineato che Papa Francesco non vuole tanto raggiungere delle mete, degli scopi prefissati, quanto avviare processi. Lei è d’accordo con questa lettura e quali prospettive vede per questi processi?

R. – Io sono d’accordo con questa lettura. Prima di tutto riflette il carattere del Papa che veramente ha uno stile evangelico e diretto. Quindi il Papa con i suoi interventi ti scuote, ti fa pensare profondamente. Lui ha questo stile di avviare i processi. Ma se si vuole arrivare a una conversione all’interno delle nostre diocesi, nella Curia e in tutta la Chiesa, a un cambiamento vero profondo, se non si avviano processi rimaniamo quello che siamo. Il Papa è un uomo di fede, esercita la virtù di speranza, dice che le mete ce le farà conseguire il Signore nella sua bontà e nella sua Provvidenza. Noi mettiamo le premesse per avviare questi progetti di cambiamento e di conversione. Il Papa non fa un discernimento con categorie socio-religiose: il suo è un discernimento evangelico.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Mayr-Nusser, Beato per aver detto sì a Cristo e no a Hitler

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Stamane a Bolzano è stato beatificato Josef Mayr-Nusser, morto nel 1945 a Dachau per aver rifiutato di giurare fedeltà a Hitler: aveva 34 anni, era sposato e padre di un bimbo. A presiedere la celebrazione, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Mayr-Nusser era presidente dell’Azione Cattolica trentina e impegnato tra i più poveri come membro delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Seppe dire di “no” quando tutti dicevano di “sì”. Sulla sua figura, ascoltiamo uno dei postulatori, don Josef Innerhofer, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Joseph Mayr-Nusser è stata una persona eccezionale. Per lui la cosa più importante era servire Gesù, specialmente nei poveri. Sottolineava nei suoi discorsi che noi abbiamo soltanto un führer, un duce, cioè Gesù Cristo. E’ l’unica guida - diceva - che siamo chiamati a seguire. Per lui non è importante fare grandi opere ma servire semplicemente, in modo cristiano, lì dove siamo, sul lavoro, nel tempo libero, nella famiglia: essere semplicemente cristiani.

D.  – Ci può raccontare che cosa successe davanti ai nazisti che gli ordinavano di giurare fedeltà a Hitler?

R. - Soltanto lui ha alzato la mano e ha detto che non era disposto a fare quel giuramento e il capitano non capiva il perché: “Ma tu non sei un nazista al 100 per cento?”. Allora Josef ha detto: “No, non lo sono e non condivido le direttive di questo partito”. Uno dei suoi compagni gli ha detto: “Ma anche io sono anche un cristiano attivo, però non credo che il Signore ci costringa a rinunciare a questo giuramento. E poi che cosa puoi fare? Verrai ucciso, tua moglie non avrà più il marito, il tuo bambino perderà il padre e la guerra non la fermerai mai”. Allora, lui ha detto: “Se nessuno ha il coraggio di alzarsi e dire che questo non è giusto, non si cambierà mai niente”. Quando l’hanno trovato morto aveva con sé un Rosario, un Messalino e il Nuovo Testamento.

D. - Che cosa dice a noi oggi Mayr-Nusser?

R. – Per noi Mayr-Nusser è molto importante. Come prima cosa, Mayr-Nusser era veramente informato, sapeva che cosa accadeva nel mondo e sapeva, conosceva benissimo la sua fede cristiana. E questa è una cosa che dobbiamo imparare da lui: informarci di ciò che avviene nel mondo e conoscere la nostra fede, così possiamo prendere delle decisioni. E la seconda cosa è avere il coraggio di andare controcorrente, non seguire cosa oggi è di moda ma che cosa ci indica la nostra coscienza cristiana e lì, alle volte, è importante andare su una strada diversa da quella della maggioranza.

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Colletta per la Terra Santa: aiutare i cristiani a non fuggire

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Nel Venerdì Santo, che quest’anno si celebra il 14 aprile, torna in tutte le Chiese la consueta Colletta per la Terra Santa. Ai pastori di tutto il mondo è indirizzata la lettera del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in cui trasmette la “viva riconoscenza” di Papa Francesco per l’iniziativa. Il servizio di Giada Aquilino

La piccola presenza cristiana in Medio Oriente ha “bisogno” di sentire il sostegno e la vicinanza di tutta la Chiesa. Con queste parole il cardinale Leonardo Sandri esorta alla “generosità” in occasione della nuova Colletta per la Terra Santa, una preghiera “costante” per i fedeli di quei luoghi e insieme un “aiuto economico concreto”: si tratta, scrive, del “legame di fraternità che unisce la Chiesa Universale alla Chiesa Madre di Gerusalemme”.

Oggi non è facile vivere la fede cristiana in Medio Oriente
D’altra parte, constata, vivere oggi la fede cristiana in Medio Oriente “non è affatto facile”, specialmente in Iraq, Siria, Egitto, dove si sperimenta l’“ecumenismo del sangue” - più volte ricordato da Papa Francesco - e dove la gente deve lottare “ogni giorno” contro la tentazione di abbandonare la propria terra o “addirittura la propria fede”. Non lo è nemmeno negli altri Paesi della Regione, dove spesso i cristiani si trovano sottoposti – spiega il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali - a “forme di oppressione e di discriminazione” che minano le loro condizioni di vita. Tenere “viva” la speranza in tali contesti è dunque difficile, ma è “al tempo stesso importantissimo”.

Il valore dei Luoghi Santi
Il Pontefice, sottolinea il porporato, nel giugno scorso in occasione dell’Assemblea della Riunione delle Opere di Aiuto per le Chiese Orientali (Roaco), riferendosi al restauro della Basilica della Natività a Betlemme e dell’Edicola del Santo Sepolcro a Gerusalemme, ricordò il valore “non solo” della presenza della Chiesa in Terra Santa ma anche del “mantenimento” dei Luoghi Santi e dei Santuari, proprio grazie anche alla Colletta del Venerdì Santo. E con l’offerta di tanti, “cattolici e non”, i lavori nei due siti, “patrimonio comune della cristianità”, hanno raggiunto “notevoli risultati”.

Aiuti senza distinzioni
Grazie alla generosità di tutta la Chiesa aggiunge il cardinale Sandri, le comunità cattoliche di Terra Santa, quella latina di Gerusalemme, della Custodia francescana e delle altre circoscrizioni, come quelle orientali, con le famiglie religiose e gli organismi locali, potranno a loro volta “aiutare concretamente i poveri e i sofferenti di ogni etnia e di ogni fede, senza distinzione”. Ne sono un esempio il servizio pastorale delle parrocchie, con “attenzione preferenziale per i poveri”; le scuole, come “luogo di incontro tra cristiani e musulmani per preparare insieme un futuro di rispetto e di collaborazione”; gli ospedali e gli ambulatori, gli ospizi e i centri di ritrovo, che accolgono “i sofferenti e i bisognosi, i profughi e i rifugiati, le persone di ogni età e religione colpite dall’orrore della guerra”. Perché, evidenzia il cardinale, “ci interpellano ogni giorno” i volti di migliaia di bambini e ragazzi di età scolare, scappati da violenza e persecuzioni in Siria e in Iraq, che sono stati accolti nelle scuole cristiane dei paesi vicini, “grazie” alla Colletta.

L'importanza dei pellegrinaggi
Nella Lettera, si esorta quindi a promuovere anche i pellegrinaggi, che sono una “risorsa essenziale” per le popolazioni cristiane di Terra Santa: almeno il 30% della comunità locale - a Gerusalemme e a Betlemme - vive e opera “grazie alla presenza di pellegrini”. Il viaggio nei luoghi sacri e sulle orme di Cristo è “non solo una rinascita della fede e una riscoperta delle proprie origini”, ma anche “un mezzo della nuova evangelizzazione”.

La pace abiti nei cuori di tutti
In questi giorni di preparazione alla Pasqua, il porporato auspica un rinnovamento del nostro impegno “ad essere artigiani di pace”, pregando e operando affinché la pace “abiti” nel cuore di ogni persona, “specialmente dei nostri fratelli e sorelle” di Terra Santa e del Medio Oriente.

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Il Papa si confessa e confessa in San Pietro: riconosciamoci peccatori

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Il Sacramento della Confessione è la strada maestra che ci porta a riconciliarci con Dio misericordioso e con il prossimo. Questo uno degli aspetti che ha caratterizzato la celebrazione della Penitenza, presieduta ieri pomeriggio dal Papa nella Basilica di San Pietro. Il Pontefice si è confessato insieme con altri sacerdoti e ha confessato alcuni fedeli. Il servizio di Giancarlo La Vella

(Papa Francesco) “Fiduciosi nella misericordia di Dio nostro Padre, riconosciamo e confessiamo i nostri peccati. Rivolgiamo la nostra preghiera a Cristo buon pastore, che va in cerca della pecorella smarrita e la riconduce con gioia all’ovile”.

Siamo pecore smarrite quando il peccato ci allontana dal Signore, ma a Lui possiamo tornare, quando, attraverso il Sacramento della Riconciliazione, assaporiamo la tenerezza della sua misericordia e del Suo perdono. E’ in un clima di commossa concentrazione e di affidamento a Dio quello che ha pervaso la Basilica vaticana. Dopo la celebrazione della Parola, con un brano tratto dalla Prima Lettera di San Pietro apostolo, il Salmo 50 – “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore, nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità” – e il Vangelo di Marco, il lungo esame di coscienza che ha preceduto le confessioni individuali. Nella Basilica petrina immersa nel silenzio, il Papa stesso si è inginocchiato ad un confessionale per poi a sua volta essere confessore di diversi fedeli.

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Oggi in Primo Piano



Incontro Trump-Merkel: divergenze su immigrazione e commercio

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Incontro teso, ieri, tra il presidente Usa Trump e la cancelliera tedesca Merkel. Immigrazione, Nato, crisi internazionali e scambi commerciali tra i temi affrontati. Intanto la Commissione Ue rilancia l’urgenza di un patto Roma-Berlino per risolvere l’emergenza migratoria, mentre Ankara continua ad alzare i toni contro Bruxelles e minaccia di porre fine all’accordo sui rifugiati. Cecilia Seppia

 

La Merkel sbarca a Washington per il primo faccia a faccia col presidente americano Trump: clima teso e posizioni distanti sui tanti temi affrontati nello Studio Ovale. Il capo della Casa Bianca ribadisce soprattutto la sua linea sull’immigrazione. “E’ un privilegio non un diritto - dichiara -  il nostro obiettivo è proteggere i confini dal terrorismo e la battaglia contro l’Is va combattuta insieme”. “Un’America più forte è nell’interesse del mondo” intero aggiunge Trump, chiedendo però ai Paesi membri della Nato di pagare ciascuno la propria quota”. “Aumenteremo il nostro contributo” assicura la Merkel, che rilancia invece la prospettiva di Berlino, e cioè proteggere i rifugiati prima delle frontiere. Ma come reagisce la Comunità internazionale a questo ennesimo scontro su una questione cruciale come l’immigrazione? Christopher Hein, membro del direttivo del Cir, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, e docente alla Luiss di Politiche di Diritto di Immigrazione e Asilo: 

“Non sorprende. Negli Stati Uniti – si ricordi – i rifugiati, i richiedenti asilo o i migranti non arrivano sui barconi a Long Island e non sbarcano sull’East River. Quella degli Stati Uniti non è una situazione paragonabile a quella di Lampedusa, della Siria o delle isole greche: non si arriva via mare in modo spontaneo. E quindi per gli Stati Uniti è relativamente facile; se verrà chiusa la frontiera con il Messico, le persone potranno poi entrare solamente per via aerea con un regolare visto di ingresso. D’altra parte, dobbiamo considerare che Trump ha proposto un bilancio con una fortissima riduzione di tutte le spese relative alla politica estera e alla cooperazione allo sviluppo nei Paesi terzi. E quindi ha fatto proprio il contrario di quello che invece vuole fare l’Unione Europea, con la cancelliera Merkel in testa: ossia investire nei Paesi africani, mediorientali ecc., nei Paesi di origine e di transito dei rifugiati. Molto dipenderà dal prossimo incontro che si terrà a Taormina in occasione del G7: se i quattro Paesi europei che partecipano al G7 – Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia – si presenteranno realmente come un blocco europeo anche nei confronti degli Stati Uniti. Molto dipenderà dalle elezioni in Francia che si terranno prima del vertice. Quindi solamente con una maggiore unità europea si può contrastare questo vento che viene dall’Atlantico”.

Ad avallare le dichiarazioni della Merkel arriva anche il vicepresidente della Commissione  Ue Frans Timmermans, convinto che per sanare l’emergenza profughi serva un patto Roma- Berlino capace di trainare tutta l’Europa. Ancora Hein:

“Nella sostanza, penso che sia una proposta che va nella giusta direzione, anche se magari lì parliamo ormai di una specie di ‘Europa a tre velocità’ e non più solo a due. In questo senso, con queste politiche di immigrazione e di asilo, effettivamente la Germania e l’Italia hanno molte convergenze, nonché la prospettiva di superare i conflitti esistenti e di impostare, anche nei confronti degli altri Stati dell’Unione, una politica più lungimirante”.

A preoccupare è anche l’inasprimento dei toni di Ankara che minaccia di porre fine all’accordo sui rifugiati e di invadere l’Europa con 15 mila profughi al mese, con conseguenze devastanti. In ogni caso, oltre ai tiri incrociati e alle schermaglie tra gli Stati, la situazione per migliaia di persone continua ad essere drammatica. Christopher Hein:

“La situazione è davvero drammatica. Se vediamo la Libia e il Medio Oriente, compreso il Nord dell’Iraq, ma anche le zone del continente africano da dove proviene la maggior parte dei rifugiati che sbarcano in Italia, è una risposta del tutto insufficiente per aprire canali legali, con una certa procedura e per poter arrivare in Europa in modo legale, normale e protetto. Lì abbiamo solo un inizio, ma la situazione per quelli che sono in Libia o in altri Paesi di transito è ancora veramente disperata!”.

Ma le divergenze Washington-Berlino restano anche in materia di commercio. “Non sono un isolazionista dice Trump, mentre la cancelliera insiste sul tema della libera circolazione come grande forza dell’Ue. E’ necessario - ammette - portare avanti una globalizzazione giusta, auspicando la riapertura immediata sul TTIP, il Trattato Ue-Usa bloccato da Trump appena insediato. In casa, il presidente Usa annuncia l’appello contro i giudici che hanno bloccato anche il suo bando bis sugli immigrati e insiste nel sostenere che Obama lo spiò, nonostante le smentite del Senato, dell’intelligence inglese e dei media citati a sostegno della sua tesi. 

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Tripoli nel caos: la diplomazia cerca una nuova intesa

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Nuova situazione di caos a Tripoli, da oltre 4 giorni tornata ad essere un vero e proprio campo di battaglia. Impossibile per ora rispettare il cessate il fuoco sancito mercoledì tra alcuni gruppi armati e il governo di unità nazionale del premier Fayez Al-Sarraj, appoggiato dall'Onu. Forte la reazione popolare scesa in piazza a manifestare: due le televisioni attaccate. Intanto la diplomazia torna a riunirsi al Cairo per sostenere la mediazione Onu. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

La grande manifestazione dei libici ieri in piazza a Tripoli è una rara dimostrazione del rifiuto dello strapotere ndelle milizie che controllano la capitale. E’ il segno che la misura è colma: in realtà la tregua, siglata mercoledì scorso dopo il ferimento dell’ex premier Khalifa Al Ghwell, non sta reggendo. Inutile, non tutti i gruppi armati sono disposti a riconoscere il premier designato Fayez Al-Sarraj, appoggiato dall'Onu. Abbiamo chiesto il parere di Antonio Morone ricercatore in Storia dell'Africa all’università di Pavia:

"Il problema di Tripoli è sicuramente questo: quando si disse che la città fu liberata nel 2011 dal regime di Gheddafi in realtà venne occupata da diverse forze tra cui quelle di Misurata. Ad oggi la partita continua ad essere quella, cioè che gli uomini di Misurata a Tripoli non si rassegnano ad un governo di Serraj sempre più indipendente e che non sta alle logiche di controllo che fanno capo a Khalifa Al Ghwell. Ovvio che Serraj, per essere uomo nuovo, cerca di affrancarsi, probabilmente aprendo una linea di comunicazione e di dialogo con l’Est del Paese e con Khalifa Haftar".

A questo punto occorrerebbe coinvolgere tutte le rappresentanze in Libia in un dialogo che apra un nuovo corso, di pace e stabilizzazione nella regione: a questo lavora il Quartetto riunito al Cairo e composto da Onu, Lega Araba, Unione Africana e nuova invitata, l’Unione Europea con l’alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini:

"Probabilmente una soluzione alternativa sarebbe quella, invece di imporre dall’esterno un ipotetico governo di unità nazionale, poi incapace di radicarsi nel Paese, lavorare molto più sulle amministrazioni locali capaci invece di operare a livello regionale e perlomeno interrompere la conflittualità e riportare una trattativa politica". 

E lunedì prossimo il primo ministro libico Fayez al-Sarraj sarà a Roma a colloquio con il premier Gentiloni: sul tavolo anche l’opzione militare, che resta "non auspicabile", sottolinea il professor Morone:

"Una pessima mossa. Lo è stato anche solo il fatto di volerlo annunciare, un po’ più di un anno fa: il risultato più immediato fu quello poi di produrre la chiusura dell’ambasciata italiana, l’unica che riusciva a parlare con entrambi gli schieramenti in lotta. C’è da ricordarsi poi che la Libia è un’ex colonia. I libici hanno dato prova di vivere questa presenza militare con grande fastidio e questo può essere un elemento determinante". 

La Libia resta la maggiore responsabile del grosso flusso migratorio nel Mediterraneo cui sono connesse infinite violenze. L’ultima testimonianza in tal senso arriva dalla confessione di uno dei responsabili, un ventenne ghanese, arrestato ad Agrigento e autore di torture, sevizie e stupri per bocca degli stessi migranti, privati della loro libertà personale in Libia in una safe house delle tante che li accoglie prima di intraprendere la traversata in mare. "E' una situazione totalmente fuori controllo", ammette Riccardo Noury portavoce di Amnesty Italia:

"La catena di comando di questi orrori purtroppo è terribilmente lunga e porta fino all’interno dell’Africa; non basterà una confessione per trovare una soluzione. Il problema è all’origine: è aver affidato alle criminalità organizzata la gestione in maniera irresponsabile di questi flussi, non prevedere percorsi legali e sicuri, non spingere perché la Liba abbia uno Stato di diritto e perchè riconosca la Convenzione Onu sui rifugiati; questi sono i problemi che sono all’origine della violenza. Il quadro è terrificante. È una situazione di violenza indicibile che va avanti durante il transito, l’ingresso in Libia e che peggiora nei centri di detenzione con un paritcolare accanimento nei confronti delle persone di fede cristiana, e in particolare nei confronti delle donne cristiane. In passato abbiamo potuto vistare alcuni di questi centri, ma sono pochi quelli gestiti dallo Stato. Qui la situazione è cattiva ma non è al livello dei centri controllati dalle milizie e dalle bande armate".

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Caritas Internationalis: mondo non si preoccupa di chi muore di fame

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“Serve una coscienza mondiale più forte che si renda conto che l’umanità è in pericolo. Bisogna agire prima che sia troppo tardi. Dare cibo è assolutamente necessario però bisogna lavorare sulle cause dei conflitti”. Così Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis commenta l’allarme dell’Onu: il mondo sta vivendo la peggiore crisi umanitaria dal 1945. A rischio 20 milioni di persone, che non hanno cibo a sufficienza a causa della carestia. Gli effetti peggiori sono in Sud Sudan, Somalia, Yemen e Nigeria. Per affrontare questo “momento critico della storia» servono almeno 4,4 miliardi di dollari entro il mese di luglio — questo l’appello dell’Onu ai governi — altrimenti «la gente semplicemente morirà di fame”.

Il mondo non si preoccupa del benessere dei poveri
“Il mondo — ha detto al Sir Michel Roy — non si preoccupa del benessere dei poveri”. Le Nazioni Unite hanno parlato di carestia in quattro Paesi, ma ce ne sono di più in difficoltà. Secondo il segretario generale di Caritas Internationalis, “le ragioni sono dovute principalmente ai conflitti o ai cambiamenti climatici, entrambi provocati dall’azione umana. È questo che mi addolora di più quando si parla di fame e carestia.

I casi del Sud-Sudan, Somalia, Nigeria
In Sud Sudan, per esempio, una parte del Governo cerca di fare in modo che i ribelli non siano supportati dalla popolazione, quindi attaccano i villaggi e la gente fugge dove non c’è nulla da mangiare. Sul fiume Nilo ci sarebbero grandi potenzialità agricole, ma il governo sudsudanese e i ribelli non si preoccupano del popolo. La Somalia, invece, è sotto il potere degli Shabab: qui è molto difficile portare cibo per l’instabilità e le tensioni. Nel nord-est della Nigeria — ha aggiunto — ci sono ancora le milizie dei fondamentalisti islamici di Boko Haram. La comunità internazionale non dovrebbe accettare tutto ciò”.

La globalizzazione dell’indifferenza, una sfida di questo momento storico
Roy si dice amareggiato quando vede la gente preoccuparsi di cose futili. “Non ci rendiamo conto di ciò che è veramente serio. Papa Francesco parla della globalizzazione dell’indifferenza: questa è una delle sfide di questo momento storico”. Per Roy “serve una coscienza mondiale più forte che si renda conto che l’umanità è in pericolo. Quando manca una politica agricola per produrre cibo localmente, la questione della governance locale è fondamentale.

I casi del Burundi, Congo-Kinshasa, Rwanda, Congo-Brazzaville e Venezuela
In Burundi, per esempio, c’è un presidente che vuole rimanere al potere a tempo indeterminato, nella Repubblica Democratica del Congo, in Rwanda, in Congo Brazzaville è lo stesso. In Venezuela, il popolo non ha cibo, deve andare a cercarlo in Brasile. Ma chi è al potere e i militari — ha concluso il segretario generale di Caritas Internationalis — non hanno problemi né di cibo, né di medicine. Sono tutte cause non naturali. Che la popolazione mangi o non mangi non è tra le loro priorità”.

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Bagnasco: troppi giovani disoccupati, superare immobilismo

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Un piccolo impresario con la sua piccola bottega di falegname che vive per mantenere la sua piccola e straordinaria famiglia, in una società semplice e in un mondo non globalizzato. Con queste parole il cardinale Angelo Bagnasco ha tratteggiato ieri, durante la Messa in cattedrale a Genova, in occasione della solennità di San Giuseppe, la figura di questo Santo. Il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha sottolineato che San Giuseppe “ci indica l’intelligenza nella sua duplice declinazione: l’umiltà e la saggezza”. “L’umiltà - ha detto l’arcivescovo di Genova - è l’intelligenza che riconosce che tutti abbiamo bisogno degli altri, sempre e dovunque”. “L’intelligenza umile preserva dall’invidia, dalla voglia di essere sempre sulla scena, di essere ammirati e applauditi”. “La saggezza - ha ricordato il porporato nell’omelia - è l’intelligenza capace di parlare con gli altri nel desiderio onesto di trovare soluzioni, mettendo a frutto l’esperienza propria e chiedendo quella degli altri”.

Il mondo del lavoro esige l’agire in modo rinnovato
La solennità di San Giuseppe - ha aggiunto - “ci fa pensare al lavoro per poter agire in modo rinnovato” in un tempo segnato dalle “preoccupazioni di tantissimi disoccupati o giovani che mai hanno trovato impiego anche se preparati, capaci e disponibili”. “Il fenomeno dell’esodo all’estero di migliaia di giovani in cerca di lavoro e di futuro - ha spiegato il cardinale Bagnasco - ricorda migrazioni antiche e dovrebbero farci comprendere meglio le migrazioni attuali di rifugiati, ma anche di tanti in cerca di fortuna”. La situazione complessiva è ancora grave. “I 550.000 pasti distribuiti nello scorso anno dalle nostre mense - ha detto l’arcivescovo di Genova - ne sono un segno”. Ma “bisogna riconoscere - ha aggiunto il presidente della Cei riferendosi alla realtà della sua arcidiocesi - che qualche segnale positivo pare affacciarsi”.

L’immobilismo a volte è semplicemente miopia
“Un nostro male - ha sottolineato il cardinale Bagnasco - è quello dei veti incrociati affinché nessuno vinca, faccia bella figura, abbia dei meriti: in questa logica, il bene della Città non c’entra affatto, anzi viene impedito o danneggiato”. “Un'altra difficoltà - ha osservato - è quella di parlarsi poco, o di non parlarsi affatto, per trovare visioni comuni, linee operative: bisogna parlarsi non attraverso le prime pagine, ma attraverso l’incontro diretto e riservato, intelligente e – oso dire – cordiale”. “Una terza stortura, che rivela poco realismo, è la ricerca dell’ottimo, della soluzione migliore, così che spesso si resta immobili”. “Di solito - ha concluso il cardinale Bagnasco - questa posizione è un pretesto che nasconde interessi particolari; a volte è  semplicemente miopia”. (A.L.)

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Parte in Italia il nuovo servizio civile per 50 mila giovani

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Sono quasi 50 mila i giovani volontari che, secondo una stima, quest'anno verranno avviati al servizio civile. "Le risorse a disposizione per il 2017, sono 257 milioni di euro” dice il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali Luigi Bobba. Alessandro Guarasci: 

Negli anni ’80 il servizio civile era visto principalmente come un modo per non fare il servizio militare obbligatorio. Vi si rifugiavano tanti che si consideravano pacifisti o che comunque pensavano che si potesse essere utili al paese anche senza fare la naja. Poi nel ’98 la nascita dell’ufficio per il servizio civile, e nel 2010 si cominciò a parlare di riforma. Dal 2001 al 2013 ne hanno usufruito quasi 300 mila ragazzi. Ora si guarda oltre, con una legge che introduce uno strumento universale, aperto a tutti i giovani che chiedono volontariamente di fare il servizio. Il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba:

“Avrà una durata variabile tra otto e 12 mesi e una base minima di 25 ore settimanali. Potrà anche essere svolto per una parte - due o tre mesi – in un’associazione o in un Comune gemello che voglia fare un’esperienza di servizio civile insieme ad un giovane italiano in altro Paese dell’Unione Europea”.

L’obiettivo è formare giovani che possano anche essere di supporto allo stato sociale, impegnarsi in progetti a favore delle fasce più deboli. Ad esempio, alcuni di loro hanno dato informazioni ai pellegrini durante l’Anno della Misericordia. Edoardo Patriarca, presidente del Centro del Volontariato:

“Abbiamo, intanto, una programmazione triennale che definirà un po’ gli orientamenti generali e quindi significherà che gli enti potranno orientarsi su tempi un po’ più lunghi e non invece come succedeva fino ad oggi, anno per anno. Quindi, la possibilità di costruire progetti che abbiano un po’ di respiro e quindi impegno dei giovani in attività che abbiano un senso, un significato, non saltuarie”.

Una possibilità di crescita anche per i giovani che vi aderiscono. Lo scorso anno il servizio civile è stato collegato a Garanzia Giovani, il piano del governo per i ragazzi che né lavorano né studiano. Ancora Bobba:

“Abbiamo visto che il servizio civile ha funzionato come leva per spingere questi giovani verso un percorso professionale: più di un terzo ha trovato lavoro sei mesi dopo aver finito il sevizio civile e un altro 14 percento ha ricominciato a studiare, cioè si è rimesso in un percorso formativo”.

Eppure fino a qualche anno fa i governi che si sono succeduti hanno investito poco o nulla sul servizio civile. Sentiamo Patriarca:

“Soprattutto negli anni che vanno dal 2006 al 2013 questo strumento è stato sottovalutato e dimenticato a tal punto che nel 2012 per mancanza di risorse partirono soltanto, se ricordo bene, 12-13 mila ragazzi. Questo rilancio che è stato fatto con la legge delega sul terzo settore, con questo decreto legislativo, è un rilancio importante perché se si parla di giovani è bene farlo concretamente, offrendo loro una grande possibilità di un’esperienza, l’unica che lo Stato offre oggi a livello nazionale”.

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In Francia “Notte dei testimoni” su persecuzioni contro i cristiani

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Padre Jacques Mourad, monaco siriano della comunità di Mar Moussa, per cinque mesi ostaggio del cosiddetto stato islamico; padre Philippe Blot, membro delle Missioni Estere di Parigi  (Mep), impegnato nel soccorso dei rifugiati nordcoreani; suor Marie-Catherine Kingbo, fondatrice in Niger della Congregazione delle Serve di Cristo. Sono i tre “grandi testimoni” della Notte dei Testimoni 2017, organizzata in Francia dalla fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre.

Veglie di preghiera per i cristiani perseguitati
Dal 23 al 27 marzo – riporta L’Osservatore Romano - a Reims, Parigi, Sainte-Anne-d’Auray, Monaco e Perpignan, si terranno altrettante veglie di preghiera per i cristiani perseguitati. In particolare a Parigi, nella cattedrale di Notre-Dame, avrà luogo nel tardo pomeriggio di venerdì 24 una concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo ausiliare Jérôme Beau, alla quale seguirà la veglia.

Attirare l’attenzione sulla dura realtà della persecuzione contro i cristiani
Si tratta della nona edizione della Notte dei testimoni, promossa da "Aiuto alla Chiesa che Soffre". L’obiettivo è “attirare la pubblica attenzione sulla dura realtà della persecuzione contro i cristiani e per impedire che sulle loro storie cali la consueta indifferenza”. I tre testimoni convocati per l’occasione offriranno al riguardo il loro impegno. Nel corso delle serate verranno inoltre portati in processione i ritratti dei sacerdoti e religiosi uccisi nell’ultimo anno in Messico, in Repubblica Democratica del Congo e in altri paesi. “La forza di questa iniziativa — spiega Marc Fromager, direttore della sezione francese di Acs— è dare la parola a testimoni che vivono ciò che dicono, spesso a rischio della loro vita. È la parola in atti e ciò tocca il cuore”.

Un fenomeno gravemente sottovalutato in Europa
L’invito è dunque a onorare i martiri della fede, preti, religiosi, religiose e laici impegnati in regioni difficili, come la Corea del Nord, ha ricordato Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia, e il Niger, “dove Boko Haram sta espandendo costantemente il proprio raggio di azione. L’obiettivo della formazione terroristica è dar vita a uno stato islamico con la più rigida applicazione della sharia”. Circa la Siria, Monteduro — ricordando il sesto anniversario dall’inizio della crisi (15 marzo 2011) — rileva che prima del conflitto i cristiani erano circa un milione e mezzo, cioè il dieci per cento della popolazione. Secondo una stima della diocesi di Alep dei Caldei, nel 2016 nell’intera Siria ne sono rimasti circa 500.000. Il restante milione ha abbandonato la nazione. Ad Aleppo si è passati da 160.000 a 35.000, a Homs da 40.000 a 2000. Per tutti questi motivi è necessario continuare nell’opera di sensibilizzazione: “Il fenomeno è gravemente sottovalutato. In Europa l’attenzione si desta solo quando si verifica qualche fatto di cronaca, ma una volta passato il clamore si ritorna alla consueta indifferenza. Per questo — sottolinea Monteduro — la nostra fondazione organizza dei grandi eventi, in Francia come in altre nazioni”.

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Irlanda: festa di San Patrizio dedicata ai migranti

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“Consapevoli che il nostro apostolo nazionale ha incontrato l’Irlanda come migrante, porgo un saluto speciale ai nuovi irlandesi, ai molti migranti che hanno costruito la loro casa in mezzo a noi. Céad míle fáilte romhaibh”. È il saluto di benvenuto contenuto nel messaggio che l’arcivescovo di Armagh, Eamon Martin, primate d’Irlanda, ha diffuso ieri in occasione della festa di San Patrizio, patrono d’Irlanda. Una festa che il presule ha proposto di dedicare quest’anno a tutte quelle persone che sono costrette a fuggire dalle loro terre.

San Patrizio “rifugiato dimenticato”
“Sollecitati dalla situazione di migliaia di sfollati in tutto il mondo — spiega mons. Martin nel messaggio ripreso dall’Osservatore Romano — pensiamo a Patrizio come al rifugiato dimenticato (lui stesso una volta si è definito così), allo schiavo in esilio, al migrante irregolare. Molti dei nostri connazionali rimangono senza documenti in vari Paesi del mondo e in alcuni casi si sentono vulnerabili e trattati con sospetto.

Pregare per i rifugiati e favorire l’accoglienza
Come popolo irlandese, non possiamo pensare a san Patrizio senza riconoscere le enormi sfide umanitarie e pastorali che pongono il numero crescente di persone sfollate e senza regolare permesso di soggiorno nel nostro mondo. Si tratta di una situazione drammaticamente esemplificata dalla crisi dei profughi in Europa”. Da qui l’invito a “pregare per i rifugiati e per tutte le famiglie sfollate e a favorire quell’accoglienza di cui gli irlandesi sono famosi nel mondo”.

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della III Domenica di Quaresima

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Nella terza Domenica di Quaresima, la liturgia della Parola ci propone l’incontro di Gesù con la samaritana presso il pozzo di Giacobbe. A Gesù che chiede da bere, la donna dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». Gesù le risponde:

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 

Su questo brano evangelico ascoltiamo la riflessione di Don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

“La sete è uno dei temi conduttori delle letture odierne: nella prima lettura, grazie alla sete del popolo, appare il sentimento di mormorazione e ribellione che serpeggiava nel cuore di molti israeliti. Grazie alla sete di Gesù al pozzo di Sicar, l’incontro con la samaritana, rivela la sua condizione di adulterio ed eresia, e consente al Messia di manifestarle gradualmente la propria identità e il dono dello Spirito, vera fonte inesauribile d’amore. Anche a noi può accadere che nel corso del combattimento quaresimale la sete di serenità, di vita e di riposo sia l’occasione perché emergano stanchezze, nervosismi ed idolatrie, ed è questo il momento più opportuno per incontrare il Signore, per sentirci amati gratuitamente senza nulla da offrire in cambio, se non la sincera ammissione delle nostre mancanze. Molti patriarchi in Israele hanno incontrato per la prima volta le loro future spose proprio presso i pozzi dove si abbeveravano. In questa domenica il Salvatore del mondo ci viene incontro come un innamorato e con la sua tenerezza c’invita a gustare un cibo sconosciuto: l’obbedienza alla Volontà del Padre per collaborare con Lui all’immensa opera di annunciare il Vangelo ovunque e con zelo. Lo sposo ci chiama non indugiamo, la sua dote è gioia piena ed eterna.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 77

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.