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Sommario del 23/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il dolore del Papa per l'attentato a Londra

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Il Papa ha espresso il suo profondo dolore per le vittime dall'attacco nel centro di Londra. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin inviato al cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, Francesco manifesta la sua solidarietà verso tutte le persone colpite da questa tragedia. Affida quanti sono morti alla misericordia amorevole di Dio Onnipotente e invoca la forza divina e la pace sulle loro famiglie e assicura alla nazione la sua preghiera in questo momento.

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Saranno canonizzati i pastorelli di Fatima Francesco e Giacinta

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La Chiesa universale sarà arricchita di 36 nuovi Santi e 40 nuovi Beati. Papa Francesco ha infatti ricevuto stamane il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione della Cause dei Santi, autorizzando il Dicastero a promulgare i decreti ed approvandone i relativi voti favorevoli. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Emozione per i milioni di devoti della Madonna di Fatima. Saranno presto canonizzati i Beati Francesco Marto e Giacinta Marto, i due fratellini che insieme a Suor Lucia Dos Santos, morta nel 2005, ebbero a Fatima le apparizioni della Vergine, di cui quest’anno cade il 100.mo anniversario, che sarà suggellato dalla visita di Papa Francesco, il 12 e 13 maggio, nel Santuario mariano nei pressi della cittadina portoghese. I due fanciulli morirono pochi anni dopo i miracolosi incontri con la Signora di Fatima, a soli 11 anni Francesco e 10 anni Giacinta.

Tra gli altri nuovi Santi, di cui è stato riconosciuto il miracolo, troviamo il Beato Angelo da Acri, al secolo Luca Antonio Falcone, il frate cappuccino che tra il 17.mo e 18.mo secolo percorreva instancabilmente il regno di Napoli, predicando la Parola di Dio con un linguaggio adatto ai semplici. 

Il Papa ha approvato anche i voti favorevoli del dicastero per la canonizzazione  di 33 martiri: i due sacerdoti diocesani Andrea de Soveral e Ambrogio Francesco Ferro e del laico Matteo Moreira, che insieme a 27 compagni furono uccisi in odio alla fede in Brasile nel 1645; e dei tre giovani adolescenti Cristoforo, Antonio e Giovanni anch’essi uccisi in odio della fede in Messico.

Sono 40 i nuovi Beati, 39 martirizzati nel 1936, durante la guerra civile spagnola: Giuseppe Maria Fernandez Sanchez con 32 compagni sacerdoti e fratelli coadiutori della Congregazione della Missione e sei laici dell’Associazione della Medaglia miracolosa della beata Maria Vergine. Oltre alla suora clarissa indiana Regina Maria Vattalil, nota per il suo instancabile lavoro tra i poveri, accoltellata in odio della fede nel 1995.

Tra i nuovi Venerabili: il sacerdote cappuccino Daniele da Samarate, morto nel 1924; Macrina Raparelli fondatrice della Congregazione delle Suore brasiliane Figlie di Santa Macrina, morta nel 1970; e la laica Daniela Zanetta, morta nel 1986.

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Francesco: siamo “cattolici atei” se abbiamo il cuore duro

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Ascoltare la Parola di Dio per evitare il rischio che il cuore si indurisca. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che, quando ci allontaniamo da Dio e diventiamo sordi alla sua Parola, diventiamo cattolici infedeli o perfino “cattolici atei”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Quando il popolo non ascolta la voce di Dio, gli volta le spalle e alla fine si allontana da Lui. Papa Francesco ha preso spunto dalla Prima Lettura, un passo tratto dal Libro del Profeta Geremia, per sviluppare una meditazione sull’ascolto della Parola di Dio. “Quando noi non ci fermiamo per ascoltare la voce del Signore – ha sottolineato il Pontefice – finiamo per allontanarci, ci allontaniamo da Lui, voltiamo le spalle. E se non si ascolta la voce del Signore, si ascoltano altre voci”.

Se non ascoltiamo la Parola di Dio, alla fine ascoltiamo gli idoli del mondo
Alla fine, ha constatato amaramente, a forza di chiudere le orecchie, “diventiamo sordi: sordi alla Parola di Dio”.

“E tutti noi, se oggi ci fermiamo un po’ e guardiamo il nostro cuore, vedremo quante volte – quante volte! – abbiamo chiuso le orecchie e quante volte siamo diventati sordi. E quando un popolo, una comunità, ma diciamo anche una comunità cristiana, una parrocchia, una diocesi, chiude le orecchie e diventa sorda alla Parola del Signore, cerca altre voci, altri signori e va a finire con gli idoli, gli idoli che il mondo, la mondanità, la società gli offrono. Si allontana dal Dio vivo”.

Se il cuore si indurisce, diventiamo “cattolici pagani” perfino “cattolici atei”
Quando ci si allontana dal Signore, ha proseguito, il nostro cuore si indurisce. Quando “non si ascolta – ha ripreso – il cuore diviene più duro, più chiuso in se stesso ma duro e incapace di ricevere qualcosa; non solo chiusura: durezza di cuore”. Vive allora “in quel mondo, in quell’atmosfera che non gli fa bene. Lo allontana ogni giorno di più da Dio”:

“E queste due cose – non ascoltare la Parola di Dio e il cuore indurito, chiuso in se stesso – fanno perdere la fedeltà. Si perde il senso della fedeltà. Dice la prima Lettura, il Signore, lì: ‘La fedeltà è sparita’, e diventiamo cattolici infedeli, cattolici pagani o, più brutto ancora, cattolici atei, perché non abbiamo un riferimento di amore al Dio vivente. Non ascoltare e voltare le spalle – che ci fa indurire il cuore – ci porta su quella strada della infedeltà”.

“Questa infedeltà, come si riempie?”, si è dunque chiesto il Papa. “Si riempie in un modo di confusione, non si sa dove è Dio, dove non è, si confonde Dio con il diavolo”. Francesco ha fatto così riferimento al Vangelo odierno ed ha annotato che “a Gesù, che fa dei miracoli, che fa tante cose per la salvezza e la gente è contenta, è felice, gli dicono: ‘E questo lo fa perché è un figlio del diavolo. Fa il potere di Belzebù’”.

Domandiamoci se ascoltiamo davvero la Parola di Dio o induriamo il cuore
“Questa – ha detto il Papa – è la bestemmia. La bestemmia è la parola finale di questo percorso che incomincia con il non ascoltare, che indurisce il cuore”, che “porta alla confusione, ti fa dimenticare la fedeltà e, alla fine, bestemmi”. Guai, ha soggiunto, a quel popolo che dimentica lo stupore del primo incontro con Gesù:

“Ognuno di noi oggi può chiedersi: ‘Mi fermo per ascoltare la Parola di Dio, prendo la Bibbia in mano, e mi sta parlando a me? Il mio cuore si è indurito? Mi sono allontanato dal Signore? Ho perso la fedeltà al Signore e vivo con gli idoli che mi offre la mondanità di ogni giorno? Ho perso la gioia dello stupore del primo incontro con Gesù?’. Oggi è una giornata per ascoltare. ‘Ascoltate, oggi, la voce del Signore’, abbiamo pregato. ‘Non indurite il vostro cuore’. Chiediamo questa grazia: la grazia di ascoltare perché il nostro cuore non si indurisca”.

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Il Papa riceve Paul Biya, presidente del Camerun

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Papa Francesco ha ricevuto oggi, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Presidente della Repubblica del Camerun, Paul Biya, che ha poi incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

Nel corso dei cordiali colloqui - riferisce un comunicato della Sala stampa vaticana - sono state rilevate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Camerun e l’importante contributo che la Chiesa offre allo sviluppo del Paese, soprattutto in campo educativo e sanitario. Prendendo atto della coesistenza pacifica e del rispetto reciproco fra i vari gruppi religiosi, ci si è soffermati sull’importanza di favorire la coesione nazionale, valorizzando la ricchezza delle varie tradizioni storiche e culturali del Paese nel rispetto dei diritti umani e i diritti delle minoranze. Infine, non è mancato uno scambio di vedute su alcuni temi di interesse internazionale, con particolare riferimento alle attuali sfide che interessano la Regione.

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Altre udienze e nomine

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Per consultare le altre udienze e nomine odierne del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Scola: Papa a Milano, città pronta ad accogliere il suo messaggio

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“A Milano è in atto una rinascita. Se ne vedono i segnali, anche se contradditori, nel mondo del lavoro, della cultura, della solidarietà, dell’amicizia civica”. Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, sottolinea alla Radio Vaticana, come la visita di sabato prossimo del Papa a Milano sia un evento importantissimo, non solo per la Milano ecclesiale, ma anche per quella civile. Ascoltiamo il cardinale Scola al microfono di Luca Collodi

R. – Sicuramente, l’attenzione da parte dei diversi mondi di una Milano che è plurale, è molto elevata. Ne è conferma proprio l’attenzione, la cura, la quantità di spazi e di tempi che i mass media stanno dedicando all’avvenimento, a tutti i livelli.

D. – La visita del Papa a Milano sembra ricalcare la “Evangelii Gaudium” …

R. – E’ Proprio vero. E’ giusto, perché se noi diamo un’occhiata introspettiva ai gesti che il Papa compirà, emerge il filo rosso di “Evangelii Gaudium”. Entra in città condividendo una situazione di periferia, dove ci sono ampi settori di degrado. Perché? Perché vuole riprendere lo stile di educazione di Gesù, il quale partiva sempre dagli scartati, dai bisognosi, dagli ammalati, dai più poveri e invitava a guardare a tutti gli altri e a tutto il resto con questo sguardo purificato, essenziale, centrato sul senso della vita che è possibile cogliere se – come dice il Papa – si tocca la carne dei poveri.

D. – Milano è una delle capitali economiche europee. Il Papa viene a Milano, non va nella city ma in periferia e in carcere …

R. – Eh sì! Lui vuole invitare tutti, anche il mondo della finanza e dell’economia a cui pure nella “Evangelii Gaudium” ha rivolto con precisione una serie di interrogativi, a non perdere di vista la prospettiva con cui guardare al lavoro che loro fanno, che morde sulla nostra carne, sulla carne di tutti i cittadini, ma di cui noi rischiamo di capire assai poco se non percependo, appunto, tanti elementi di “inequità”, come la chiama il Papa. Questo è come un invito a tutti gli uomini della finanza, della produzione, dei vari ambiti della cultura, della società civile, del lavoro, della malattia, è come una provocazione a trovare un centro dell’“io” e un centro della vita comune, di amicizia civica.

D. – Come è possibile evangelizzare una grande città finanziaria come Milano?

R. – E’ possibile attraverso la testimonianza, che non è solo un buon esempio, ma un modo per conoscere meglio la realtà e comunicare la verità dei tanti aspetti della realtà. Ma devo dire che Milano è abbastanza pronta, in questa fase di una certa rinascita, di un certo gusto di vita civile, ad accogliere ciò che il Papa vorrà dire. Direi che i mondi vivi sono molto interessati a tutto questo, e quindi il Papa ci indicherà la strada che già ci ha fatto vedere in questi quattro anni. E cioè che, come Gesù, il cristiano deve mettersi in gioco di persona là dove vive tutti i giorni. Evangelizzare vuol dire che un soggetto personale, un soggetto comunitario, deve muoversi mettendosi in gioco con ciò che dice; è quello che il Papa ci dimostra: ha tanta credibilità perché la gente percepisce che è coinvolto in prima persona in quel che dice. Questa è la strada dell’evangelizzazione.

D. – Milano ha però ancora sacche di emarginazione…

R. – Ne ha di notevoli! Soltanto che – come dico sempre – sono a macchia di leopardo, non ti danno a prima vista l’impressione tragica di una favela o di uno slum. Però, soprattutto in una certa fascia della penultima periferia, ci sono delle sacche di degrado, di prova, di condizionamento, di scarto a cui un volontariato – sia cattolico, sia laico – sta cercando di far fronte, ma questo non basta. Bisogna per forza di cose pensare a una diversa politica delle periferie che, peraltro, sono molto vitali. Certamente, da questa azione di cura che molti abitanti del quartiere, che sono in condizioni migliori, danno nei confronti dei più bisognosi, dei più poveri, è un segno prezioso della costruzione di un’amicizia civica che farà futuro, a Milano.

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De Gasperi: Francesco aiuta l’Europa a trovare una speranza comune

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Grande attesa per l’incontro, domani sera in Vaticano, tra Papa Francesco e i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, giunti in Italia per le celebrazioni del 60.mo anniversario dei “Trattati di Roma”. Sull’importanza di questo anniversario e il ruolo del Papa per l’Europa, Alessandro Gisotti ha intervistato Maria Romana De Gasperi, figlia di Alcide e presidente onoraria della Fondazione De Gasperi: 

R. – La speranza è che anche i giovani ascoltino le parole di questi leader che si riuniscono qui in Italia, tutti insieme, non soltanto per ricordare ma soprattutto per fare dei progetti per questa Europa che in questo momento cammina molto lentamente e direi quasi con poca speranza. Quindi l’importante sarebbe riuscire a dare un nuovo respiro, un nuovo futuro, un futuro importante, un futuro serio, un futuro costruttivo, non soltanto parole!

D. – Suo padre, insieme a Schuman e Adenauer, ha costruito le fondamenta dell’Europa dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale. Tre personalità diverse, espressioni di culture e di nazioni diverse che hanno però trovato la via della concordia per il bene dei popoli europei. Che lezione danno secondo lei questi tre leader europei?

R. - Allora si veniva fuori da una distruzione assoluta di tutti i nostri Paesi e forse questo li ha spinti a guardare queste rovine e a dire: così non dobbiamo più andare avanti. L’incontro di questi tre uomini fu soprattutto supportato dalla loro fede cristiana. Erano tre cristiani dei quali la Provvidenza, io immagino, si sia servita in quel momento.

D. – Ricevendo il Premio Carlo Magno, Papa Francesco ha detto anche di sognare, rivolgendo un appello all’Europa, di "sognare" un nuovo umanesimo europeo. Ecco, l’Europa sembra aver smesso di sognare. Il Papa ha utilizzato la parola sogno molte volte in quel discorso… come si può ricominciare a sognare, lei faceva riferimento ai giovani in particolare?

R. – Io vedo che i giovani purtroppo non sono molto attirati dalla politica oggi perché non siamo stati capaci di dare loro una sicurezza, una speranza direi soprattutto, di questa Unione Europea. Quello che era il desiderio iniziale dei tre uomini europei era mettere insieme anche una politica europea, non soltanto del lavoro economico. E a questo non siamo ancora arrivati.

D. – Francesco incontrerà i leader dell’Unione Europea e i capi di Stato e di governo. Quale contributo può dare questo Papa non europeo alla leadership anzitutto politica europea?

R. – Penso che sia la serenità della sua fede. Può aiutare a capire molta gente che non è sufficiente buttare giù delle leggi economiche per essere uniti, tantomeno per volersi bene: penso che per fare un’unità politica in fondo alle leggi ci deve essere questo amore l'uno per l’altro, questo amore della cultura di un Paese con l’altro.

D. – In un qualche modo, Papa Francesco chiede all’Europa di non disperdere l’anima comune nel momento in cui ha un mercato comune, di non basare tutto sulle dinamiche economiche…

R. – Certamente. Le dinamiche economiche non sono sufficienti per fare l’unità, sono dei compromessi che possono essere positivi ma non sono sufficienti per l’unità. Bisogna avere anche speranze comuni, una via, una speranza comune.

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Card. Sandri: restauro Santo Sepolcro dà coraggio ai cristiani

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Dopo quasi un anno di lavori, è stata riaperta ieri a Gerusalemme l'edicola che custodisce la Tomba di Gesù all'interno del Santo Sepolcro nella città vecchia. L’opera di restauro ha permesso di dare nuova solidità all’edificio. L'Edicola era stata costruita dopo l'incendio del 1808 che aveva distrutto la struttura precedente. Nel 1927 era stata danneggiata da un forte terremoto. La storia plurisecolare dell’Edicola è stata, negli anni, duramente messa a rischio da vari fattori, tra cui l’ umidità e il fumo delle candele. Dopo il restauro, la tomba di Cristo è riapparsa nel suo antico splendore.

Edicola riaperta dopo una cerimonia ecumenica
La fine dei lavori è stata suggellata, ieri, da una cerimonia ecumenica. Al rito hanno partecipato importanti autorità politiche e religiose. Mons. Giuseppe Lazzarotto, Delegato Apostolico a Gerusalemme, ha letto il messaggio del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali.  “A nome del Santo Padre Francesco – ha scritto il prefetto - vorrei esprimere la fraterna riconoscenza alle varie Chiese che custodiscono con amore questo santuario per la testimonianza di fede, di dialogo e di rispetto, come pure ai Paesi che hanno contribuito al restauro”.

Il card. Sandri: questo sepolcro infonde coraggio
“È molto apprezzabile – ha sottolineato il porporato - la collaborazione e la generosità dei responsabili dei Paesi della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero per il restauro di questo Luogo venerato da tutti i cristiani. “Da oltre 2000 anni – ha aggiunto il cardinale Sandri - i fedeli si recano a Gerusalemme, per inginocchiarsi davanti alla tomba vuota, dove è stato deposto il corpo di Gesù, e venire così confermati nella fede”. “La tomba della morte è diventata il grembo della vita”. “Questo luogo santo – si legge nel messaggio - illumina i cuori e la vita di milioni di pellegrini provenienti da ogni dove e li invita a vivere con speranza tra le molte sofferenze e dolori”. Insieme, la celebrazione quotidiana, nei diversi riti, presso la roccia di questo sepolcro vuoto infonde sempre nuovo coraggio alle popolazioni cristiane del Vicino e Medio Oriente”.

Padre Patton: opera di restauro grazie a relazioni fraterne
“Il sepolcro vuoto - ha detto il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton - è il luogo dove anche fisicamente è iniziata una nuova creazione, un mondo nuovo nell’istante di luce in cui Gesù è risorto”. “L’aver potuto realizzare i lavori di conservazione, restauro e riabilitazione dell’Edicola del Santo Sepolcro grazie alla collaborazione delle nostre tre comunità ha anche un valore ulteriore: è il segno di una importante crescita di relazioni fraterne tra di noi e tra le nostre comunità, all’insegna della fiducia reciproca e della collaborazione”.

Il Patriarca Teophilo III: unità di intenti segno di speranza
Il Patriarca greco ortodosso Teophilo III ha sottolineato il significato ecumenico della celebrazione, affermando che le chiese hanno dimostrato di condividere la stessa unità di intenti. “Questa unità di intenti – ha detto - è un segno di speranza per le generazioni future”. Il Patriarca ha sottolineato che “non è solo un regalo fatto alla Terra Santa, è un regalo al mondo intero".

Il vescovo armeno Manougian: agire secondo il comandamento dell'amore di Gesù
Il vescovo armeno Nourhan Manougian ha parlato anche della necessità di agire secondo il comandamento dell'amore di Gesù. Il vescovo armeno ha poi chiesto al patriarca greco-ortodosso e al custode di Terra Santa di considerare la possibilità di concedere anche a tutte le cinque Chiese presenti in Terra Santa di celebrare all'interno del Santo Sepolcro. È giunto inotlre un messaggio dal Patriarca di tutti gli armeni Garegin II: “L'unità delle Chiese nelle attività di restauro – si legge nel documento - è una significativa testimonianza della solidarietà e della collaborazione, in accordo con il comandamento dell'amore cristiano dell'unità”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Seminario a Roma: l'impegno della Chiesa contro gli abusi su minori

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Sviluppare e implementare programmi rigorosi di tutela dei più vulnerabili dagli abusi sessuali in ambito ecclesiale, con particolare attenzione alla situazione nell’America del Sud. Questo l’obiettivo del Seminario educativo organizzato oggi a Roma dalla Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori in collaborazione con il Centro per la tutela dei minori dell’Università Gregoriana. Filo conduttore: l’educazione delle persone, in modo da cambiare i loro cuori e le loro menti. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Il nostro è un lavoro che non permette di “essere indulgenti” ma che richiede "condivisione di risorse e conoscenze", oggi abbiamo l'occasione di farlo. Così in sintesi il cardinale Sean O’ Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, voluta dal Papa nel 2014, aprendo il dibattito alla Gregoriana. Dall’Argentina alla Colombia, dal Messico all’ Australia e all’Italia sono state messe a confronto le buone pratiche già in atto, specie nelle scuole e negli istituti ecclesiastici, nel rispetto delle linee guida episcopali, ma calate, e questa è la difficoltà maggiore, in contesti linguistici, culturali e politici molto diversi. Il lavoro compiuto dall'inizio dell'anno in tre diocesi della Colombia, con équipes di specialisti, è stato raccontato dal vescovo ausiliare di Bogotá, mons. Luis Manuel Alì Herrera

R. - Abbiamo visitato tre arcidiocesi della Colombia: quella di Cali, quella di Villavicencio e quella di Bogotá. Lì abbiamo fatto un workshop con i preti, con i seminaristi. Abbiamo visitato anche alcune di queste istituzioni cattoliche che lavorano con i minorenni. Ad esempio, a Bogotá abbiamo fatto un lavoro molto interessante con tutti coloro che lavorano nelle scuole cattoliche, nelle parrocchie e che svolgono un lavoro come catechisti, come educatori e professori. La visita a Villavicencio è stata molto interessante, perché lì ci sono molti collegi dove i bambini vivono insieme perché sono in campagna. Molti di questi ragazzi sono immersi nella guerriglia; perciò la Chiesa fa un lavoro molto interessante con loro perché fanno studiare  insieme ad altri ragazzi che non vivono questa situazione.

D. - Cosa la preoccupa di più della realtà che ha visto e qual è la sua speranza parlando di tutela dei bambini?

R. - Noi abbiamo vissuto una guerra lunga 51 anni; per questo diciamo che c’è una “naturalizzazione” di questa violenza sessuale contro i bambini. Questa è la preoccupazione più grande e la nostra sfida più grande. Penso sia la nostra prima sfida.

D. - E le speranze, queste linee guida ad esempio, come vi possono aiutare nel contesto della Colombia?

R. -  Non soltanto all’interno dell’istituzione cattolica, ma si può fare un lavoro insieme alla società civile colombiana per fare una scelta molto approfondita per la protezione dei bambini nelle nostre istituzioni.

D. - Cosa serve di più? Protezione, spiegazione, educazione, coinvolgimento delle famiglie …

R. - Due cose soprattutto: la prevenzione e il coinvolgimento delle famiglie, perché nella nostra società colombiana il 93 percento delle violenze sessuali contro i minorenni accade all’interno della famiglia. Ad esempio, un programma che noi vogliamo organizzare è un workshop per le famiglie, per i padri, per i genitori, ma all’interno delle nostre parrocchie. Questo sarà uno dei nostri programmi “bandiera”.

D. - Il cardinale O’Malley parlando dell’America del Sud, ha detto che è il continente della speranza. Perché?

R. - Perché noi abbiamo moltissime risorse, non soltanto naturali ma anche spirituali; una speranza che si vede nella gente, una speranza che si vede all’interno delle nostre chiese, delle nostre parrocchie. Alla base ci sono tantissime persone che vogliono fare qualcosa di più e sono molto attirate da questa idee di Papa Francesco di essere nelle periferie esistenziali per riportare il Vangelo, come Cristo ha fatto duemila anni fa.

D. - A settembre il Papa sarà da voi. Che tipo di realtà presenterete? Che cosa vi piacerebbe che questo Papa vedesse del vostro Paese, capisse, conoscesse?

R. - Vogliamo mostrare al Papa non la bella città, ma anche la città che soffre, questa città povera. Ad esempio, Cartagena è una città turistica, ma è una città che soffre la situazione della tratta delle persone, la situazione dei bambini poveri, delle famiglie povere. È questo ciò che vogliamo mostrare al Santo Padre. Noi come Chiesa vogliamo essere lì dove queste persone vivono, in queste periferie esistenziali ma anche geografiche.

Dei risultati ottimi dati dalla collaborazione tra Istituzioni, per esempio tra Questura, Diocesi e scuole di Foggia, ha parlato il Direttore tecnico e capo psicologo della questura della città pugliese, il dottor Giovanni Ippolito. "Con workshop tra insegnanti e incontri particolari con i bambini, abbiamo ottenuto aumento della consapevolezza e della libertà di espressione e di denuncia, su una piaga umana e non solo cattolica o ecclesiastica": 

R. – Attraverso l’utilizzo di immagini dove facevamo vedere quelli che potevano esseri i rischi e quali potevano essere gli abusi, i maltrattamenti, da parte di una persona adulta, molo spesso capitava che i bambini involontariamente dicevano e raccontavano la loro storia anche davanti ad altri bambini. È un fenomeno molto particolare che ci ha permesso di raccogliere maggiori richieste di aiuto e di sostegno perché ci rendevamo conto che, già durante l’intervento, loro dicevano: “Ma è capitato anche a me!”, vergognandosi immediatamente dopo averlo detto. Quindi era un bisogno irrefrenabile di raccontare il loro evento. Cosa è successo inoltre? Gli insegnanti - che a volte vedono dei segnali, non solo a volte non riescono ad indentificarli, ma hanno un po’ il timore di esagerare nella propria valutazione - durante tutto il periodo di attività di prevenzione all’interno delle scuole, facevano più volentieri le segnalazioni e quindi si creava questo legame tra Polizia e insegnanti che favoriva le segnalazioni, segnalazioni a volte semplicemente di disagio, di incuria, di maltrattamento psicologico che prima, però, non riferivano. Quindi la presenza sul territorio da parte nostra, della Polizia di Stato, del personale dell’Ufficio minori, permetteva una maggiore collaborazione da parte degli insegnanti che avevano una maggiore attenzione rispetto ai bambini e assumevano anche maggiori responsabilità, perché a volte un insegnante dimentica che nelle sue mansioni è anche un pubblico ufficiale e se ci sono dei segnali di disagio, vanno assolutamente interpretati o comunque va fatto un intervento. È vero che alcuni segnali di disagio possono nascondere un disagio generico, non per forza un abuso o un maltrattamento, ma vanno assolutamente contestualizzati. Se posso fare un esempio, succedeva che i bambini facevano attività ad esempio compulsive in classe, quindi toccarsi le parti intime, e l’insegnante pensava fosse un’attività così, legata alla crescita. Effettivamente se l’attività è particolarmente compulsiva è comunque un segnale di disagio. Quindi a volte non c’era la capacità di individuare o comunque di interpretare bene, ma c’era anche il timore di raccontarlo. Invece ora si sono aperte delle possibilità in più per loro di avere meno remore per segnalare e,  er i bambini, di individuare prima l’abuso o quello che gli stava succedendo, perché poi i bambini più a rischio, quelli che hanno più difficoltà, quelli che hanno poche attenzioni da parte delle famiglia, sono quelli che più facilmente cascono nella trappola, perché non sanno riconoscere i segnali di abuso. Questo invece ci ha permesso di far riconoscere anche a questi bambini la differenza tra una carezza buona e una carezza cattiva, un’attenzione sana e un’attenzione insana.

D. - Quindi il vostro lavoro, in un ambito in cui la Chiesa soprattutto sottolinea quanto è importante spiegare quali sono i pericoli, ma come riconoscerli, come proteggersi, a chi chiedere aiuto, la vostra esperienza è fondamentale …

R. - Fondamentale anche perché abbiamo visto addirittura nell’anno in cui abbiamo fatto l’attività più intensa nelle scuole, c’è stato un aumento del 50 percento di denunce. Quindi è stato individuato un numero maggiore di situazioni di rischio. Questo vuol dire che evidentemente l’attività ha funzionato, perché il bambino si apre più facilmente alla polizia o eventualmente all’insegnante, perché poi viene in qualche modo colpito dal racconto che noi facciamo nella scuole e, se non riesce nell’immediatezza, poi comunque il peso che si porta legato al segreto che ottiene il pedofilo - per ricatto o comunque perché raccoglie in qualche modo la fiducia della vittima  -, diventa un peso insostenibile quando qualcuno gli parla di quegli eventi. E lì incomincia a riflettere sul fatto che è una cosa che possono raccontare. Non si devono vergognare e non devono aver paura.

Approcci diversi ma strategie comuni,quelle rilanciate dal Seminario: fare educazione e training tra laici ed ecclesiastici, fare screening di tutti quelli che hanno a che fare con i minori e arrivare alla creazione di ambienti protetti.Tutti devono sapere che i rischi di abusi ci sono, hanno certe caratteristiche e si può dare sempre una risposta alle vittime.

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Card. Turkson: l'acqua è un bene comune da garantire a tutti

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In occasione della Giornata mondiale dell’Acqua, si è tenuto ieri in Vaticano un convegno internazionale, organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura, che ha riunito esperti ed istituzioni per promuovere l’acqua come diritto di tutti. “Watershed”, spartiacque per reintegrare il valore dell’acqua in un mondo assetato, il titolo dell’incontro, che, durante i saluti dell’udienza generale di ieri mattina, è stato accolto con favore da Papa Francesco. Ascoltiamo le parole del Papa nel servizio di Michele Raviart

"Mi rallegro di questo incontro, che segna una nuova tappa nell’impegno congiunto di varie istituzioni per sensibilizzare alla necessità di tutelare l’acqua come bene di tutti, valorizzando anche i suoi significati culturali e religiosi".

Nel Cantico delle creature, San Francesco parlava dell’acqua come di una sorella “utile, umile, preziosa e casta”. Ricopre oltre il 70% della Terra ed è essenziale per la vita, ma l’accesso al 3% di acqua potabile presente sul pianeta non è uguale per tutti, con oltre seicento milioni di persone che non ne hanno accesso. Per questo, come ricordato nell’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco, l’acqua deve essere considerata come un diritto umano e non come una fonte di profitto, spiega il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale:

"L’acqua è un bene comune. Lo Stato deve fare in modo che sia sempre un bene comune e anche se si impegna una ditta per assicurare che l’acqua sia pulita, questo non deve essere un motivo per privare alcuni cittadini dell’accesso all’acqua, dicendo che è troppo costosa da pagare. L’acqua non fa parte di ciò che è costoso o non è costoso: come si può dire a qualcuno che non può avere accesso all’acqua perché non può pagare?".

Ogni giorno negli Stati Uniti una persona consuma 425 litri di acqua al giorno, 241 in Italia, mentre ci sono persone che a malapena ne hanno a disposizione dieci. In un contesto in cui la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi nel 2050 e in cui le piogge nelle zone subtropicali sono diminuite fino al 30% per il cambiamento climatico il rischio è che l’acqua diventi sempre più scarsa e che, come ha detto Papa Francesco, si vada “verso la grande guerra mondiale per l’acqua”. La cooperazione tra i Paesi risulta quindi essenziale. Mons. Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati:

"Noi senz’acqua non possiamo vivere. Considerando la delicata situazione ambientale del mondo di oggi, i conflitti che ci sono nel mondo, l’acqua diventa sempre più al centro della discussione. Uno riconosce che questo è un problema, potenzialmente un grosso conflitto nell’umanità, tra i popoli, ma è anche un’opportunità per collaborare insieme, per cercare di rafforzare i rapporti con i Paesi. E’ indispensabile perché come sappiamo un fiume ha la sorgente in un Paese e termina dopo avere attraversato 5 Paesi: se non c’è collaborazione internazionale non ci sono soluzioni".

Uno sforzo di unità e collaborazione per un elemento, l’acqua, comune a tutte le culture e le religioni. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

"L’acqua è non solo la componente materiale fondamentale del nostro stesso corpo e dell’intero nostro pianeta ma è anche il grande simbolo di tutte le culture dove rappresenta sia la catarsi, la purificazione, sia anche la fecondità, la vita. Pensiamo al Battesimo, la vita nuova: l’acqua diventa il simbolo del sacro proprio per la sua preziosità. Pensiamo ai fiumi sacri come il Giordano, il Gange e che cos’è perfino nell’Iliade lo Scamandro, questo fiume che si ribella ad Achille perché è stato inquinato dal sangue delle vittime. Abbiamo una dimensione anche spirituale ed etica nell’antichità".

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Oggi in Primo Piano



Is rivendica attacco a Londra. May: non abbiamo paura

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Il sedicente Stato islamico ha rivendicato l’attacco di ieri a Londra, dove un uomo ha investito i passanti sul ponte di Westminster, uccidendo due persone, e ha accoltellato a morte un agente, prima di essere ucciso. Le perquisizioni in diverse zone del Paese hanno portato al fermo di 8 persone. Oggi il premier britannico, Theresa May, parlando davanti ai deputati riuniti a Westminster ha detto: "Non abbiamo paura, non cederemo al terrorismo”. Il servizio di Elvira Ragosta

L'Is rivendica l'attacco di Londra dal web, sostenendo che a compierlo sia stato un “soldato del califfato”. Intanto, le perquisizioni effettuate dalla polizia britannica in diverse zone del Paese hanno portato al fermo di otto persone: potrebbero essere fiancheggiatori dell’uomo che ieri a seminato il terrore a Westminster e che, secondo le indagini, ha agito da solo. La premier britannica Theresa May ha esortato la gente ad essere vigile ma a non farsi intimorire dalla minaccia islamista. Intanto resta confermato a 4 il numero delle vittime: oltre all’attentatore e all’agente, a perdere la vita anche una donna e un uomo. Mentre dei 40 feriti, almeno una trentina restano ricoverati in ospedale. Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha invitato i londinesi a unirsi a lui in una veglia organizzata per oggi alle 18,00 a Trafalgar Sqare, per ricordare le vittime. Intanto Londra oggi ha ripreso la sua vita normale. E’ stato riaperto il ponte di Westminster e la polizia della capitale sta liberando dalle transenne anche altre zone del centro che erano state chiuse per questioni di sicurezza.
Sul significato che quest’attacco ha avuto per l’Europa abbiamo intervistato Arturo Varvelli, responsabile dell’Osservatorio sul terrorismo dell’Ispi:

R. - Innanzitutto è un evento che per noi è carico di simbolismi perché avviene nel momento in cui l’Europa si appresta a celebrare i propri 60 anni. Quindi, il caso di questa persona che compie un attentato simile è capace di oscurare qualcosa di positivo, di cambiare mediaticamente il nostro sguardo. L’Europa in qualche modo deve dare una risposta non solo a questa ma a numerose sfide che ha sul terreno, a cominciare da quella della propria efficacia, della propria capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini. Troppo spesso l’Europa, talvolta non naturalmente per colpa propria, è stata indicata come la responsabile di molti mali che affliggono l’Occidente. Non è così ma bisogna essere capaci di parlare in un’altra maniera rispetto a quanto è stato fatto finora: tornare a parlare ai cuori e alle menti delle persone che poi alla fine sono gli stessi cuori e le stesse menti a cui mira anche il messaggio radicale islamista che sia Daesh o Al Qaeda o qualunque altra organizzazione a portare.

D. - Quali sfide si aprono ora per la sicurezza in Europa?

R. - La sicurezza in Europa è sotto attenzione e deve affrontare diverse sfide da almeno due anni, da quando nel 2014 Daesh si è creato e poi ha cominciato a portare i primi attacchi nel 2015 sul suolo europeo. Ma le sfide sono naturalmente ancora quelle degli ultimi mesi: una maggiore collaborazione tra i servizi di intelligence; una maggiore capacità di capire quali sono le cause della radicalizzazione - e su questo siamo ancora piuttosto indietro; perché capire quali siano le cause, che siano cause di marginalizzazione sociale, di marginalizzazione politica, questioni identitarie all’interno delle seconde e terze generazioni, e come affrontare queste cause - potrebbe favorire di fatto la sconfitta di questa visione radicale e oltranzista dell’islam.

D. – Cosa possiamo dire sulla radicalizzazione in Gran Bretagna?

R. – La radicalizzazione in Gran Bretagna ha una lunga storia. E’ forse uno dei Paesi che ha visto per primo nascere il fenomeno. E’ un Paese che ha ospitato involontariamente alcuni predicatori radicali per un lungo periodo, che ha visto formarsi delle cellule che poi hanno colpito - bisogna ricordare gli attentati degli anni 2000; c’è una sorta di comunità variegata musulmana proveniente da diversi Paesi che talvolta ha trovato complessa l’integrazione all’interno della seppur molto liberale comunità britannica. La Gran Bretagna è un Paese che aveva già messo sotto attenzione il fenomeno. Ha un servizio di intelligence anche molto allenato in ciò. Ci sono i programmi di deradicalizzazione che ha già messo in corso, la compostezza con la quale ha risposto è già sintomatica di come la Gran Bretagna stia affrontando questo fenomeno.

D. – Le immagini di Londra di ieri dal punto di vista psicologico per l’Europa che effetto hanno e avranno?

R. – Non dovrebbero avere un effetto controproducente. Qualsiasi organizzazione terroristica in realtà mentre colpisce l’Occidente ci colpisce nel fisico ma punta a colpirci anche nel nostro intelletto, nella nostra percezione che abbiamo della comunità islamica: punta a mettere un cuneo tra il “noi” inteso come i cittadini occidentali bianchi e il “loro”, cioè i cittadini della comunità musulmana. E punta a farsi campione di questa comunità musulmana utilizzando strumentalmente l’islam e l’islam radicale come elemento di coagulo. E’ esattamente la narrativa di Daesh, che dobbiamo evitare.

D. – Intanto aumentano i timori, aumentano le misure di sicurezza, non solo a Londra non solo Roma. Questo che conseguenze può avere?

R. – E’ giusto che ci siano misure di sicurezza adeguate. Sappiamo benissimo che nessuna di queste misure ci può mettere al riparo da un singolo attentatore che compie un attentato con un coltello o con un auto. Quindi, in realtà, tutto quanto dobbiamo fare va fatto, però dobbiamo anche essere consapevoli che rimarremo esposti in qualche misura a questo: è una minaccia piuttosto relativa da questo punto di vista ma dobbiamo imparare a convivere con questa.

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Card. Nichols: shock per l'attentato, ma respingiamo l'odio

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Leader religiosi di varie fedi hanno espresso choc e dolore per l’attacco terroristico che ha provocato la morte, ieri a Londra, di 4 persone, compreso l’assalitore. I feriti sono oltre 40. Alcuni di questi, almeno 7, sono ricoverati in gravi condizioni. Rappresentanti di varie comunità religiose - tra cui cristiani, indù, ebrei e musulmani - hanno inoltre fermamente condannato l’azione terroristica, compiuta nel giorno del primo anniversario degli attentati di Bruxelles, costati la vita a 35 persone. Il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, in un’intervista alla nostra Lydia O'Kane si è detto scioccato per quanto accaduto a Londra:

R. – Obviously, everybody today is shocked but typically, here, life gets on …
Ovviamente siamo tutti sotto shock ma come poi avviene sempre, la vita continua in maniera normale: la gente va al lavoro, il Parlamento sarà operativo già oggi pomeriggio e regna una calma determinata. Ma ognuno di noi pensa alle famiglie che hanno perso la persona di cui stavano aspettando il ritorno a casa, ieri sera. Tra questi ci sono un poliziotto, che è stato ucciso, e tra gli altri civili che sono stati uccisi c’è una donna i cui due figli vanno in una delle nostre scuole: i due bambini e il marito oggi saranno devastati! Preghiamo intensamente per loro e per coloro che sono stati uccisi. Questa è la prima risposta. La seconda è nel riconoscimento dell’intervento del poliziotto che è morto ma anche la risposta della polizia e delle forze di sicurezza, che è stata rapida, bilanciata e molto professionale. Bisogna ricordare che sono veramente tante le persone che sono impegnate per garantire la nostra sicurezza, e per questo la terza nostra risposta è di condanna per quello che è accaduto. Non esiste alcun titolo di merito o di stima che una qualsiasi persona sana di mente possa pensare di ricevere da un attacco su persone innocenti – turisti – che si occupano dei fatti loro. Per questo condanniamo decisamente quello che è accaduto, mentre al contempo dobbiamo anche affermare che non c’è posto per l’odio nella nostra risposta: non dobbiamo creare nemici tra le persone che vivono in questo Paese e che, in linea di principio, sono nostri amici. Per questo credo che la cosa più importante in questo momento sia che non dobbiamo allontanare le persone con reazioni troppo forti, creando nemici in quelle persone delle quali potremmo essere tentati di pensare che la loro religione supporti azioni di questo genere di violenza, così assurdamente terribile.

L’appello del Faiths Forum
Il Faiths Forum, che riunisce varie comunità religiose londinesi - tra cui cristiani, indù, ebrei e musulmani - ha deplorato “il terribile attacco sul ponte di Westminster” aggiungendo che le religioni difendono la sacralità della vita umana. Non c’è alcuna giustificazione per questo barbaro attacco contro persone innocenti ed il terrorismo –  sottolinea l’organismo interreligioso - non deve avere nessun spazio nella società. Il Faiths Forum, lanciando un appello a tutti i londinesi a restare uniti in questo tragico momento, ha inoltre assicurato il proprio impegno a raddoppiare gli sforzi per la pace, la compassione, la comprensione e la speranza.

Il dolore dell’arcivescovo Welby
Anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, leader spirituale della Comunione anglicana ha espresso il proprio dolore: “L’Inghilterra anglicana e cattolica – ha detto - si stringe in preghiera in queste ore di choc per tutto il paese dopo che un uomo questo pomeriggio ha travolto con una macchina la folla che stava passeggiando sul ponte di Westminster per schiantarsi contro il cancello del Parlamento e aggredire e uccidere un agente di polizia”.

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Brasile: ucciso attivista del Movimento dei Senza Terra

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Un altro attivista del Movimento dei Senza Terra ucciso in Brasile. È successo negli ultimi giorni nello Stato del Parà, quando ad entrare in azione è stato un vero e proprio commando armato. Il servizio di Giada Aquilino

Cinque uomini armati scendono da un suv blindato, entrano nel piccolo ospedale di Parauapebas, bloccano le guardie e minacciano il personale. Due di loro salgono al reparto di terapia intensiva, sparano e uccidono Waldomiro Costa Pereira del Movimento dei Senza Terra (Mst), il gruppo che da anni si batte per la redistribuzione dei latifondi ai contadini. L’uomo era ricoverato da giorni dopo aver subito un altro attentato. È la decima vittima registrata quest’anno tra gli ambientalisti, ma il Brasile – secondo la stampa internazionale - è diventato il Paese più pericoloso al mondo per gli attivisti, con un record di 61 persone uccise nel 2016. Waldomiro Costa Pereira da mesi offriva consulenza al locale assessore dell’Agricoltura per la profonda conoscenza del territorio e dei problemi legati alla riforma agraria ancora da approvare. Sentiamo don Geraldo dos Reis Maia, rettore del Pontificio Collegio Pio Brasiliano di Roma:

“In Brasile abbiamo una sfida grande, perché abbiamo oltre 8 milioni di chilometri quadrati e abbiamo bisogno di una riforma agraria. Diversi governi hanno assunto l’incarico di farla, ma finora non è stata realizzata”.

In questo quadro, ci si domanda se non esistano interessi tali da impedire la riforma agraria. Ancora il rettore:

“Interessi dei grandi proprietari che fanno tanta produzione di cereali, di carne. Si tratta di proprietà enormi, veramente enormi di persone che lavorano nel commercio agroalimentare e che hanno sempre l’interesse a procurarsi nuovi vantaggi, rispetto a chi la terra la lavora, a conquistare sempre più terra, ad espandere sempre più il latifondo per produrre di più, per avere vantaggi maggiori”.

Secondo un recente studio dell’università canadese di Windsor, l’1 per cento della popolazione possiede quasi metà delle terre in Brasile, mentre milioni di persone sono costrette a lavorare come braccianti, spesso in condizioni di schiavitù, con salari del tutto inadeguati e senza un pezzetto di terra propria da coltivare: sono appunto i Sem Terra, i Senza Terra. Don Geraldo:

“E’ una faccenda storica, culturale che viene dal tempo in cui il Brasile era una colonia, quando inizialmente la terra era degli indigeni. Quando sono arrivati i colonizzatori, hanno preso tutto quello che potevano e hanno distribuito a pochi, all’uno o all’altro, che erano arrivati in Brasile per incrementare i loro commerci. In seguito, questa procedura è diventata un po’ comune e così succede che oggi abbiamo tanti latifondi, proprietà terriere grandi quasi quanto un Paese europeo”.

Cruciale il ruolo della Chiesa brasiliana, da sempre al fianco dei più poveri ed impegnata per una completa riconciliazione, come spiega il religioso brasiliano:

“La Chiesa in Brasile ha un impegno veramente notevole. Abbiamo un’organizzazione gestita dalla Conferenza episcopale che si chiama ‘Cpt’, Commissione pastorale della terra. Questa commissione fornisce orientamenti, nel senso che cerca una politica che possa trovare un cammino di soluzione. La Chiesa è attenta a dare appoggio alle famiglie delle vittime, anche a questi movimenti, ma cerca anche nella politica una soluzione di pace, per trovare un’armonia, la soddisfazione di tutti, anche se non è una strada facile”.

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Bce: crescita mondiale è modesta, rimangono incertezze

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“La crescita mondiale resterà sostenuta, sebbene modesta in termini storici". E’ quanto prevede l’analisi della Banca Centrale Europea che oggi ha presentato il bollettino economico. Secondo i dati l'inflazione dell'Eurozona continua ad aumentare e rimangono incertezze. Massimiliano Menichetti: 

Luci ed ombre sull’economia globale. Dalle valutazioni e previsioni diffuse dalla Banca Centrale Europea viene la certezza di una crescita in atto “continuativa”, però modesta e ricca di incertezze che vanno ricercate, secondo gli analisti, nella “messa a punto delle nuove politiche statunitensi dell'amministrazione” Trump, nel graduale riequilibrio dell'economia cinese e sulle "future relazioni tra il Regno Unito e l'Unione Europea", dopo la Brexit. Se necessario la Banca Centrale Europea è pronta ad attivare il cosiddetto “Quantitative Easing”, ovvero acquistare dalle banche titoli di Stato o di altro tipo per immettere nuova liquidità nella macchina economica dell'Ue, così da incentivare i prestiti. La ripresa comunque nell'eurozona si consolida ed amplia, cala la disoccupazione e cresce l’inflazione anche se di poco e in questo quadro conferma la necessità di mantenere i tassi monetari "pari o inferiori" agli attuali che sono ai minimi di sempre.

Sui dati della Banca Centrale Europea anche in relazione alla Brexit e alla crisi greca abbiamo intervistato l’economista Andrea Boitani, ordinario all’Università Cattolica di Milano: 

R. – In realtà la crescita è piuttosto modesta e soprattutto sottoposta a incertezze. Modesta in termini storici significa che stiamo crescendo mediamente meno di quanto non fosse accaduto nei precedenti 40-50 anni.

D. – Quindi vuol dire che la crisi economica non è finita?

R. – O che la crisi economica non è finita oppure che siamo entrati in una fase che potremmo definire di stagnazione secolare e cioè di crescita bassa per un lungo periodo di tempo. La cosa che però fa più temere è che questa crescita modesta è sottoposta a svariate incertezze.

D.  – Tra le incertezze rilevate ci sono le ricadute globali della politica statunitense, il graduale riequilibrio dell’economia cinese e le future relazioni tra Regno Unito e Unione europea, evidentemente dopo la Brexit…

R.  – Sono tutti e tre punti estremamente importanti. La politica dell’amministrazione americana non è affatto chiara ancora, non è definito quello che è stato presentato come un budget. In realtà erano più una serie di dichiarazioni simili a quelle della campagna elettorale che non a quelle di un vero bilancio. La Brexit è stata avviata con l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato, ma non sappiamo ancora quanto durerà esattamente e a quali conseguenze porterà in termini di accordi commerciali e di scambio all’’interno dell’area europea. Infine, la Cina sta transitando verso un periodo di crescita più moderata, normale per certi versi dopo il grande balzo che c’è stato nei decenni precedenti. Tutto questo ovviamente può produrre molte incertezze.

D.  – L’altro nodo importante, per quanto riguarda l’Europa e la Grecia: il ministro degli Esteri tedesco Gabriel in visita da Atene ha ribadito il sostegno alla Grecia e il riconoscimento degli sforzi di riforma intrapresi. Di tutt’altro segno sono state invece le dichiarazioni del ministro delle Finanze Scheuble…

R. – Il governo tedesco è un governo di coalizione che sta per affrontare elezioni in cui i due principali partiti saranno avversari. Quindi bisogna capire esattamente quale sarà l’atteggiamento del governo tedesco. Io credo che effettivamente l’atteggiamento di Gabriel colga anche il sospetto che la Grecia possa essere abbandonata e quindi lasciata al destino di uscita dall’euro con un effetto deflagrante su tutta l’unione monetaria ed economica europea. Quindi è necessario riconoscere gli sforzi che la Grecia ha fatto e che sono probabilmente stati oltre ciò che sarebbe stato necessario e giusto fare e continuare ad aiutare Atene negli anni futuri. Io ritengo che l’atteggiamento presentato da Gabriel sia corretto, però non sappiamo se sia quello veramente preso dal governo tedesco.

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Galantino: Italia ha bisogno di politiche per la famiglia e il lavoro

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Dopo l’attentato di Londra non bisogna alzare nuovi muri. Lo ha detto il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, durante la conferenza stampa che ha chiuso il Consiglio episcopale permanente. I vescovi, nel loro comunicato finale, ribadiscono che il Paese ha bisogno di politiche familiari e per il lavoro. L’assemblea della Cei a maggio poi sarà aperta dal Papa. Alessandro Guarasci: 

I fatti di Londra ci riportano nella paura, dice il segretario generale della Cei mons. Galantino. Ma le risposte non possono farsi condizionare da questo sentimento:

“Sono domande che evidentemente non riguardano soltanto, non possono riguardare soltanto l’organizzazione della difesa né sembra possano trovare soluzione in chiusure e in ripiegamenti su se stessi degli individui ma anche delle nazioni”.

La cerimonia dei Trattati di Roma si avvicina e per il vescovo il Vecchio Continente risente troppo dei populismi:

“La Chiesa crede con forza nella casa comune europea e ribadisce questo nell’imminenza delle celebrazioni”.

I populismi influenzano anche la politica interna. Per il segretario generale della Cei bisogna evitare scorciatoie:

“Quando poi il populismo di questo o quel partito, di questo o quel movimento, si ritrova in mano la possibilità di governare e questo governo resta purtroppo ancora un governo di parole o di fatti assolutamente non condivisibili, ecco, io di questo veramente mi preoccuperei e spero che non si preoccupino soltanto i vescovi di questo”.

Difesa della famiglia con una fiscalità vantaggiosa, rafforzamento delle politiche per il lavoro, ma anche testamento biologico sono le priorità dei vescovi. Sul fine vita, serve una legge per rafforzare il rapporto paziente-medico-familiari:

"L’importanza di favorire e rispettare l’autonomia e la scienza del medico e favorire la relazione di cura e di alleanza terapeutica".

Infine, l’assemblea della Cei dal 22 al 25 maggio. Sarà aperta, come già avvenuto nelle precedenti, dal Papa, e per la scelta del presidente secondo le nuove norme, non ci sono candidature.

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Iraq. Verso ritorno dei Gesuiti. Sako: sarebbe una benedizione

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Si fa più concreta la possibilità di un ritorno dei Gesuiti in Iraq, Paese dal quale mancano dal 1969, quando, dopo il nuovo colpo di Stato che portò al potere il partito nazionalista Baath (appoggiato dai sunniti), furono costretti a partire. Lo scorso 6 gennaio infatti, riferisce l’Osservatore Romano, a Bagdad si è svolto un  incontro tra il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako e padre Dany Younes, provinciale gesuita del Prossimo Oriente. I due hanno convenuto sulla bontà della proposta fatta da padre Younes: ovvero tornare nel Paese del Golfo per riprendere una presenza iniziata nel 1932, anno dell’indipendenza dall’amministrazione britannica iniziata nel 1920.

Patriarca Sako: ritorno Gesuiti sarebbe benedizione per Iraq
Il patriarca caldeo Sako ha definito una tale eventualità “una benedizione per l’Iraq e soprattutto per i cristiani. I Gesuiti hanno formato generazioni di iracheni nelle loro scuole. Il piccolo gregge cristiano in Iraq ha bisogno della loro presenza e del loro appoggio spirituale, pastorale e culturale. In questo senso sono benvenuti”. Secondo il patriarca Sako la Compagnia potrebbe riprendere il posto che aveva, prima di essere cacciata, nell’ambito dell’istruzione della società irachena.

Dal 2014 impegno del Jesuit refugee service ad Erbil
Dunque l’ambito di servizio dei Gesuiti in Iraq potrebbe allargarsi oltre l’impegno ricoperto dal 2014 attraverso il Jesuit refugee service di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Il patriarcato si è detto favorevole anche alla restituzione dei beni confiscati alla Compagnia al momento dell’espulsione dal Paese e da allora gestiti dalla Chiesa caldea.

I Gesuiti in Iraq offrirono istruzione a tutta la popolazione
Dagli anni trenta, con lo scopo di offrire alle comunità cristiane un’alternativa alle scuole governative di matrice islamica, quattro gesuiti provenienti dagli Stati Uniti fondarono il Baghdad College, scuola superiore che accoglieva ragazzi di tutte le confessioni cristiane ma anche musulmani ed ebrei. Poi fu la volta della creazione, nel 1956, della Hikma University dove si insegnava, anche alle ragazze, economia, fisica e ingegneria. Quando i gesuiti lasciarono l’Iraq il Baghdad College contava  1100 studenti, dei quali il 70% musulmani. (A cura di Paolo Ondarza)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 82

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.