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Sommario del 26/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: grazie ai milanesi per l'accoglienza, mi sono sentito a casa!

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Affidiamoci a Gesù, vera “luce del mondo” e non a quelle luci false che ci allontanano dal prossimo. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro, in una soleggiata domenica primaverile. Il Papa ha quindi ringraziato i milanesi per la straordinaria accoglienza ricevuta in occasione della visita all'arcidiocesi ambrosiana. “Mi avete fatto sentire a casa”, ha detto Francesco, che ha sottolineato come a Milano si sia trovato bene con credenti e non credenti. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un’accoglienza straordinaria, per una giornata indimenticabile. All’Angelus, Papa Francesco torna alla visita intensa e piena di significato all’arcidiocesi di Milano. Il Pontefice ringrazia il cardinale Angelo Scola e tutti i milanesi, credenti e non, con parole spontanee e affettuose:

“Veramente, veramente mi sono sentito a casa! E questo con tutti: credenti e non credenti. Vi ringrazio tanto cari milanesi e vi dirò una cosa; ho constatato che è vero quello che si dice: ‘A Milan si riceve col coeur in man!’ Grazie!”

Prima delle parole sulla visita a Milano, Francesco si era soffermato sul Vangelo domenicale incentrato su Gesù che ridona la vista ad un uomo cieco dalla nascita, manifestandosi così come “luce del mondo”.

Tutti noi siamo stati “illuminati” con il Battesimo e dobbiamo comportarci come figli della luce
Questo episodio evangelico, ha osservato il Papa, “ci induce a riflettere sulla nostra fede in Cristo, il Figlio di Dio, e al tempo stesso si riferisce anche al Battesimo, che è il primo Sacramento della fede": il Sacramento che ci fa “venire alla luce”, mediante "la rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo":

“Il cieco nato e guarito ci rappresenta quando non ci accorgiamo che Gesù è ‘la luce del mondo’, quando guardiamo altrove, quando preferiamo affidarci a piccole luci, quando brancoliamo nel buio. Il fatto che quel cieco non abbia un nome ci aiuta a rispecchiarci con il nostro volto e il nostro nome nella sua storia. Anche noi siamo stati illuminati da Cristo nel Battesimo, e quindi siamo chiamati a comportarci come figli della luce”.

Non seguire le luci false come pregiudizio e interesse personale, Gesù è la vera luce del mondo
Questo, ha proseguito, “esige un cambiamento radicale di mentalità, una capacità di giudicare uomini e cose secondo un’altra scala di valori, che viene da Dio”. Il Sacramento del Battesimo, ha soggiunto, “esige una scelta” di “vivere come figli della luce e camminare nella luce”. Ma cosa significa “camminare nella luce”, si è chiesto il Pontefice:

“Significa innanzitutto abbandonare le luci false: la luce fredda e fatua del pregiudizio contro gli altri, perché il pregiudizio distorce la realtà e ci carica di avversione contro coloro che giudichiamo senza misericordia e condanniamo senza appello. Eh, questo è pane di tutti i giorni eh? Quando si chiacchiera degli altri si cammina non nella luce, si cammina nelle ombre. Un’altra luce falsa, perché seducente e ambigua, è quella dell’interesse personale: se valutiamo uomini e cose in base al criterio del nostro utile, del nostro piacere, del nostro prestigio, non facciamo la verità nelle relazioni e nelle situazioni. Se andiamo su questa strada del cercare solo l’interesse personale, camminiamo nelle ombre”.

Beati martiri spagnoli, esempio di testimonianza cristiana eroica
Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha dunque ricordato la Beatificazione in Spagna di José álvarez-Benavides y de la Torre e centoquattordici compagni martiri, durante la Guerra civile spagnola:

“Questi sacerdoti, religiosi e laici sono stati testimoni eroici di Cristo e del suo Vangelo di pace e di riconciliazione fraterna. Il loro esempio e la loro intercessione sostengano l’impegno della Chiesa nell’edificare la civiltà dell’amore”.

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Francesco ai ragazzi: promettete, mai bullismo e mai permetterlo

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Per trasmettere la fede ai figli, serve la testimonianza: far vedere come la fede ci aiuta ad andare avanti. Così il Papa nell’ultimo incontro della sua visita pastorale a Milano: quello allo stadio Meazza-San Siro con i ragazzi cresimati e cresimandi. Con loro anche catechisti, genitori, 400 volontari e più di mille adolescenti degli oratori: in tutto circa 78mila persone. Un momento di festa e di dialogo fra il Papa e i giovani, con applausi e risate. In serata il rientro in Vaticano. Il servizio di Debora Donnini

L’ovazione che normalmente si leva per le squadre che giocano al Meazza-San Siro, oggi è stata per Papa Francesco, abbracciato dalla gioia dei giovani. Una Festa di colori e preghiera con l’animazione organizzata dalla Fondazione Oratori Milanesi e dall’Azione Cattolica Ragazzi: musica, testimonianze, coreografie e danze suggestive.

Nonni, amici, parrocchia: chi ha aiutato il Papa da ragazzo, a crescere nella fede
Il Papa risponde a tre domande e ne fa alcune a sua volta, in un vivace dialogo. “Quando avevi la nostra età, che cosa ti ha aiutato a far crescere l’amicizia con Gesù?”, gli chiede un ragazzo. I nonni che hanno saggezza della vita, risponde il Papa instaurando un vivace botta e risposta, interrotto più volte da applausi. “Parlate con i nonni”, li esorta. Poi giocare con gli amici e ancora la parrocchia e l’oratorio. Tre cose unite dal filo della preghiera.

La testimonianza per trasmettere la fede ai figli
La seconda domanda viene dai una coppia di genitori su come trasmettere la fede ai propri figli. Per farlo, centrale è la testimonianza di vita, risponde Francesco che chiede ai presenti di pensare un momento in silenzio a chi li abbia aiutati a crescere nella fede. A me, racconta, ha aiutato a crescere nella fede un sacerdote lombardo, che lo ha battezzato e accompagnato fino all’entrata nel noviziato. Quindi anche un riferimento al cinema italiano del Dopoguerra, come “I bambini ci guardano” di De Sica, catechesi di umanità. Non immaginate, prosegue, l’angoscia che sente un bambino quando i genitori litigano e quando si separano: il conto lo pagano loro, dice Francesco che invita i genitori a leggere Amoris laetitia, specialmente i primi capitoli. Con i loro occhietti, infatti, i bambini ci guardano continuamente:

“Mostrare loro come la fede ci aiuta ad andare avanti, ad affrontare tanti drammi che abbiamo, non con un atteggiamento pessimista ma fiducioso, questa è la migliore testimonianza che possiamo dare loro. C’è un modo di dire: ‘Le parole se le porta il vento’, ma quello che si semina nella memoria, nel cuore, rimane per sempre”.

Quindi Francesco invita la domenica ad andare a Messa e poi al parco o in piazza per stare insieme. Fare domenica, “dominguear”, come si dice a Buenos Aires. Bisogna perdere il tempo con i figli, mentre oggi i genitori non possono o hanno perso l’abitudine di giocare con i figli. Quindi un forte invito ad educare alla solidarietà, con le opere di misericordia.

Educare allo stupore e alla compassione
Rispondendo, infine, alla domanda di una catechista sulla necessità di collaborare nell’educazione, il Papa consiglia l’armonia dei tre linguaggi: dell’intelletto, del cuore e delle mani. “Un buon maestro, educatore o allenatore sa stimolare le buone qualità dei suoi allievi e non trascurare le altre”, prosegue.

Mai fare bullismo e mai permetterlo
Infine, il forte monito del Papa ai ragazzi a non fare mai del bullismo e a promettere questo a Gesù:

“In silenzio, ascoltatemi. In silenzio. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere, c’è qualcuno o qualcuna al quale o alla quale voi fate beffa, voi prendete in giro perché ha quel difetto, perché è grosso, perché è magro, per questo, per l’altro? Pensate. E a voi piace fargli passare vergogna e anche picchiarli per questo? Pensate. Questo si chiama bullying. Per favore, per il sacramento della Santa Cresima, fate la promessa al Signore di mai fare questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere. Capito?”.

“Casa del futuro”: un segno di solidarietà per Amatrice
L’incontro si è anche tradotto in solidarietà con il dono, consegnato a mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, di una raccolta di fondi promossa dalla Caritas Ambrosiana per contribuire alla costruzione della “Casa del futuro” ad Amatrice. Una casa di accoglienza per gruppi giovanili. 

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Il Papa tra i detenuti di San Vittore: "Voi per me siete Gesù"

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La visita del Papa nel carcere di San Vittore è stata una delle tappe più commoventi del viaggio a Milano. “Vi ringrazio dell’accoglienza. Io mi sento a casa con voi” ha detto Papa Francesco ai 130 detenuti e detenute che lo hanno accolto con gioia. Il Papa ha stretto le mani a tutti, ha fatto un semplice ma intenso discorso e poi ha pranzato con un centinaio di ospiti del penitenziario. Sull'incontro ascoltiamo il cappellano del carcere, don Marco Recalcati, al microfono di Sergio Centofanti

R. – E’ stato un momento molto intenso, molto bello … perché il Papa ha fatto una scelta straordinaria: ha salutato tutti personalmente, quindi più di 850 persone, più la polizia, si è fermato, ha dato la mano, ha dato una parola, una carezza … si è creato a un certo punto un clima di silenzio, di raccoglimento, quasi religioso, con questo uomo che passava dolcemente a salutarli tutti. Molto, molto bello!

D. – Quali sono state le parole del Papa che più hanno colpito?

R. – Per prima cosa, ha detto chiaramente che non bisogna dire “lo meritate”, perché tu non conosci la storia della persona, non sai cosa c’è dietro … Dice: “Noi, lasciamo fare a Dio il giudice; noi dobbiamo guardare i nostri peccati, le nostre miserie …”. Poi ha proprio parlato chiaramente del Vangelo di Matteo: “Quand’è che ti abbiamo visto carcerato?”. “Voi per me siete Gesù”: è stato molto forte anche nelle sue espressioni. E poi, alla fine, ha parlato anche in modo molto semplice dicendo: “Bisogna andare oltre le sbarre. Dopo le sbarre c’è un orizzonte, bisogna cercare questo orizzonte grande, la vita, la speranza …”.

D. – Quali sono state le reazioni dei detenuti?

R. – Una detenuta, mentre tornavo, mi ha detto: “Mi è sembrato per due ore di non essere in carcere”, quindi ha fatto guadagnare loro una libertà straordinaria, in quell’incontro. Tanti erano luminosi dalla gioia, qualcuno piangeva dalla gioia, quasi stupefatti da una presenza così paterna, così semplice, così bella, così intensa. Potremmo dire che è quasi come se il Papa avesse "sciolto le sbarre": in questa giornata, tutti eravamo lì, uomini e donne, accanto a un padre che ci ha dato speranza, ci ha dato forza.

Il sito dell'arcidiocesi di Milano riporta una breve cronaca dell'incontro.

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Un milione di fedeli alla Messa del Papa: ritrovare la gioia dell'impossibile

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La speranza cristiana e l’annuncio della salvezza nascono nella vita quotidiana e sono possibili anche di fronte a smarrimenti, lotte e ansie di ogni giorno. Così il Papa celebrando, ieri pomeriggio, la Messa nella Solennità dell'Annunciazione, nel Parco di Monza, con un milione di fedeli, nella sua quarta tappa della visita a Milano. Francesco loda i carismi e i missionari delle terre ambrosiane che hanno generato nei secoli ricchezza per la vita della Chiesa e ai milanesi dice: non abbiate paura di abbracciare i confini e di ospitare le differenze. Il servizio di Cecilia Seppia

Una folla sconfinata e in festa fatta di bandiere sventolanti e striscioni accoglie il Papa in uno dei più grandi parchi storici d’Europa per partecipare alla Messa, quarta tappa di questa densa visita nella diocesi milanese. Il giro in papamobile attraverso i vari settori dura più di mezz’ora e fino a quando Francesco non raggiunge l’altare, le grida di gioia non calano d’intensità. Nell’omelia il Pontefice legge il brano del Vangelo che narra l’Annunciazione di Gesù, alla luce di un altro significativo annuncio, quello della nascita di Giovanni Battista. Il primo avviene in un luogo sperduto della Galilea, nell’anonimato della casa di una giovane chiamata Maria, l’altro nel Santuario del Tempio con tutta l’assemblea. Un contrasto non di poco conto, afferma il Papa, che sottolinea come l’incontro di Dio con il suo popolo può avvenire in contesti insoliti, ai margini o in periferia, ma sempre Egli sceglie di entrare nelle nostre case, nelle lotte quotidiane colme di ansie e desideri. Anche oggi nelle città, nelle scuole, nelle piazze, nelle università, negli ospedali, risuona quell’annuncio che genera vita e speranza. Ma come Maria, anche noi – prosegue il Pontefice – possiamo essere presi dallo smarrimento di fronte ad una realtà che soffoca la gioia e indurisce l’anima:

“Come avverrà questo in tempi così pieni di speculazione? Si specula sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia. Si specula sui poveri e sui migranti; si specula sui giovani e sul loro futuro. Tutto sembra ridursi a cifre, lasciando, per altro verso, che la vita quotidiana di tante famiglie si tinga di precarietà e di insicurezza. Mentre il dolore bussa a molte porte, mentre in tanti giovani cresce l’insoddisfazione per mancanza di reali opportunità, la speculazione abbonda ovunque”.

Com’è possibile allora con i ritmi vertiginosi di oggi che rubano tempo alla famiglia e alla comunità vivere la gioia del Vangelo? Domanda il Papa. Com’è possibile mantenere viva la speranza cristiana? Fondamentale è trovare un nuovo modo di situarci nella storia:

“Se continuano ad essere possibili la gioia e la speranza cristiana non possiamo, non vogliamo rimanere davanti a tante situazioni dolorose come meri spettatori che guardano il cielo aspettando che 'smetta di piovere'. Tutto ciò che accade esige da noi che guardiamo al presente con audacia”.

Di fronte allo smarrimento di Maria, di fronte ai nostri smarrimenti, il Papa ripete che la gioia della salvezza prende forma nella vita quotidiana e propone allora tre chiavi per aiutarci ad accettare la missione che ci è stata affidata. Prima di tutto: evocare la memoria, come l’Angelo quando ricorda alla Vergine la promessa fatta a Davide. Anche noi, afferma Francesco, siamo invitati a guardare il nostro passato per non dimenticare da dove veniamo e conservare l’eredità che ci è stata lasciata dai nostri nonni:

“Questa terra e la sua gente hanno conosciuto il dolore delle due guerre mondiali; e talvolta hanno visto la loro meritata fama di laboriosità e civiltà inquinata da sregolate ambizioni. La memoria ci aiuta a non rimanere prigionieri di discorsi che seminano fratture e divisioni come unico modo di risolvere i conflitti. Evocare la memoria è il migliore antidoto a nostra disposizione di fronte alle soluzioni magiche della divisione e dell’estraniamento”.

Altro importante passo è sentire e vivere costantemente l’appartenenza al popolo di Dio che sebbene fatto di differenze è chiamato a non avere paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno, perché sa che in quel volto, in quella storia, è presente il Signore:

“Milanesi, sì, Ambrosiani, certo, ma parte del grande Popolo di Dio. Un popolo formato da mille volti, storie e provenienze, un popolo multiculturale e multietnico. Questa è una delle nostre ricchezze. E’ un popolo chiamato a ospitare le differenze, a integrarle con rispetto e creatività e a celebrare la novità che proviene dagli altri; è un popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere”.

Infine, ricordarci che nulla è impossibile a Dio! Quando crediamo che tutto dipenda dalle nostre forze - afferma il Papa - rimaniamo prigionieri delle nostre capacità e dei nostri miopi orizzonti, quando invece ci lasciamo aiutare da Dio ci apriamo alla grazia e l’impossibile diventa realtà:

“Lo sanno bene queste terre che, nel corso della loro storia, hanno generato tanti carismi, tanti missionari, tanta ricchezza per la vita della Chiesa! Tanti volti che, superando il pessimismo sterile e divisore, si sono aperti all’iniziativa di Dio e sono diventati segno di quanto feconda possa essere una terra che non si lascia chiudere nelle proprie idee, nei propri limiti e nelle proprie capacità e si apre agli altri”.

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Parolin a Carpi: riapertura cattedrale segno che terremoto non ha ultima parola

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“Il terremoto può colpire e ferire, ma non può sconfiggere e annichilire, può danneggiare e far tremare la terra, ma non può disgregare e disperdere una comunità che si impegni a rinascere”. E’ quanto affermato, ieri, dal cardinale Pietro Parolin nella solenne concelebrazione eucaristica per la riapertura della cattedrale di Carpi, a cinque anni dal terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna e ad una settimana dalla visita che Papa Francesco compirà nella diocesi romagnola. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Il terremoto – ha detto il cardinale Pietro Parolin a Carpi – come altri drammi che possono scuotere la società, con i loro lutti e devastazioni non hanno l’ultima parola”. Con l’aiuto del Signore, ha proseguito il segretario di Stato Vaticano, “e perseverando con operosità e coraggio, la vita rinasce, le ferite si cicatrizzano e si ritorna a camminare insieme, a sperare, a progettare e a costruire”. Il cardinale Parolin, riferisce l’agenzia Sir, ha dunque messo in guardia dalla “tentazione di insistere solo sul male, sul negativo e perfino di spettacolarizzare le tragedie” ed ha ribadito che “la riapertura del tempio di pietra sarà tanto più significativa quanto più riapriremo anche i cuori e le menti a Cristo, al suo messaggio di pace, di salvezza, di gioia, di autentica liberazione”.

Card. Bagnasco: questa è la nostra Italia, che lavora con fatica e speranza
Alla solenne riapertura della cattedrale di Carpi ha preso parte anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ha definito l’evento “un momento solenne e commovente insieme, che viene a coronare un lungo tempo di fatiche, di speranze, di trepidazioni e di grande lavoro”. Questo, ha detto l’arcivescovo di Genova, “è il nostro Paese, questa è la nostra Italia. Con le contraddizioni della persona umana certo, ma anche con questo radicamento, con questa passione che soprattutto nei momenti di difficoltà emergono, nella consapevolezza di appartenere a una storia, fatta di Vangelo”. La Chiesa italiana, ha detto ancora il porporato, “vuole continuare  in questa missione di servire il popolo, che è la ragione della nostra vita: è una grazia poter servire la nostra gente come sacerdoti e come pastori”.

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Card. Zenari: chi non crede all'inferno venga in Siria, basta violenza

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“Non ci sono parole per descrivere la sofferenza del popolo siriano”. Così il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, dopo la Santa Messa che si è tenuta ieri, per la presa di possesso della parrocchia romana di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci. C'era per noi Massimiliano Menichetti: 

La preghiera e l’emozione si sono fuse nella parrocchia settecentesca di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, la più vicina al Vaticano, per la presa di possesso da parte del cardinale Mario Zenari. Il porporato, nella sua omelia, ha esortato a vivere “con umiltà” ad essere “figli della luce” a contrastare “l’indifferenza”, “l’apparenza” vivendo con il cuore e gli occhi orientati a Cristo: così da apprezzare “il dono della vita”, “degli affetti” ed essere capaci di accorgersi degli altri e di come gli altri ci amano. Poi il pensiero, la “compassione” del nunzio, come il “grido di compassione di Gesù”,  è andata alla martoriata Siria, dilaniata da sei anni di guerra senza regole:

"400 mila morti; due milioni di feriti, tra cui molti mutilati; circa cinque milioni di rifugiati nei Paesi fuori della Siria; più di sei milioni di sfollati interni; più di 600 mila assediati senza possibilità di accesso agli aiuti umanitari. Migliaia di bambini morti sotto i bombardamenti: feriti, mutilati, lacerati nel corpo e nello spirito. Una vera e propria strage degli innocenti". 

“Il Papa è costantemente informato su quello che accade in Siria - ha detto dopo la celebrazione, sollecitato dai giornalisti - lui vorrebbe venire", ma questo metterebbe tutti in pericolo:

"Lui è pronto a venire, ma la questione è che non può se non c'è un minimo di sicurezza sia per lui e soprattutto per la gente, perché se viene il Papa in Siria non può rimanere nella nunziatura: deve incontrare la gente, deve incontrare delle folle. E vediamo anche a Damasco cosa sta succedendo con i kamikaze! E il Papa non può assumersi questa responsabilità se succede un incidente del genere. Bisogna dirgli di attendere un po', appunto per la sicurezza di tutti, non solo sua, ma dei fedeli. Perché quello che vediamo, quest'esplosione dei kamikaze: 70, 40 morti...Un bagno di sangue..."

"Non so descrivere queste atrocità", ha proseguito:

"Chi ne va di mezzo è la gente semplice, la gente innocente: civili: donne, bambini. Veramente è una guerra orribile, orribile! Io dico sempre: 'Chi non crede nell'Inferno, basta che venga lì e si renderà conto di che cos'è l'inferno'".

Il cardinale ha poi esortato la comunità internazionale a maggiori sforzi per realizzare la pace nel Paese ed aiutare la popolazione, e sollecitato l’opinione pubblica ad esercitare pressione sui governi:

"L'opinione pubblica deve far pressione sui vari governi, perché un grosso pericolo è che questi drammi vengano a poco a poco dimenticati". 

Parlando poi del ponte creatosi con la presa di possesso della parrocchia, dei Trinitari, di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, ha ribadito la consapevolezza che le preghiere di questa comunità accompagneranno il suo cammino e quello del popolo siriano.

“Un grande dono per tutta la comunità e per tutto l’Ordine Trinitario”. Così, padre Giovanni Martire Savina, parroco della parrocchia di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, per la presa di possesso da parte del cardinale, nunzio apostolico in Siria, Mario Zenari. Tanta anche la gioia dei fedeli. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso padre Giovanni: 

R. – Ho ricevuto questa nomina del cardinale Zenari come un dono di Dio Trinità. Noi trinitari portiamo avanti la presenza in questa parrocchia dal 1721, da quando è stato creato questo collegio per la formazione dei religiosi alla missione a gloria della Trinità e la redenzione degli schiavi cristiani in pericolo di perdere la fede. Entrare quindi in contatto con il cardinale nunzio apostolico in Siria, dove la persecuzione dei cristiani è in atto, dove tantissimi cristiani soffrono a causa dell’indifferenza, veramente ci pone in questo contesto di lode e gloria alla Trinità perché possiamo essere vicini alla Siria con la preghiera, ma anche con gesti concreti, di solidarietà e fraternità cristiana.

D. – Già sono state avviate iniziative di collegamento, di ponte con la Siria …

R. – Già noi abbiamo, a livello di Ordine, un organismo che si chiama “Sit” – Solidarietà internazionale trinitaria. In ogni provincia che forma l’Ordine c’è sempre un “Sit” nazionale dove vengono convogliate le offerte delle diverse case o raccolte volontarie, in modo da sostenere i progetti di ricostruzione per la Siria, in questo momento. Come parrocchia abbiamo fatto un piccolo gesto: una colletta per poter contribuire, collaborare a questo grande mare di sofferenze e di distruzione degli animi e delle case, delle strutture che c’è attualmente in Siria. Una piccola goccia nell’oceano della sofferenza, però sempre un gesto per non globalizzare l’indifferenza da parte nostra, come parrocchiani, come uomini e cristiani. Naturalmente come Trinitari sempre abbiamo la preghiera particolare per i perseguitati a causa della fede; come parrocchia ogni giorno, da lunedì a venerdì, dalle 7 fino alle 10, abbiamo l’adorazione eucaristica per pregare particolarmente per questi nostri fratelli siriani. Ecco: questo noi vogliamo fare. Essere vicini con la preghiera, come parrocchia ma anche come Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi.

D. – Si consolida un ponte che già i Trinitari hanno con la Siria e nasce un ponte da Santa Maria delle Grazie alle Fornaci verso la Siria …

R. – Certamente questo è un dono prezioso di Dio che ci responsabilizza ancora di più come parrocchia e come Trinitari, a essere molto più vicini a questo mondo della sofferenza dei cristiani verso i perseguitati. Questo ci obbliga a non restare ai margini di questo cammino verso la sofferenza umana e, in particolare, dei cristiani della zona del Medio Oriente.

Tanta la volontà d’impegno per la Siria tra i parrocchiani di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci: 

R. – E’ stata una gioia, una sorpresa così grande, un dono dello Spirito Santo …

R. – E’ un incoraggiamento per tutti, per essere più ferventi. Consegniamo la nostra comunità per la sua guida.

R. – Penso che sia un aiuto, una provvidenza per la parrocchia – oltre che un onore. E poi, quello che stimiamo è il fatto che lui sia nunzio in Siria e la Siria sappiamo in che condizioni è. Noi pensiamo che la venuta di questo nostro cardinale come titolare possa attivare delle sinergie tra noi e lui, in Siria.

R. – Venendo dalla Siria ci dà un messaggio di speranza per quel popolo così martoriato. Quindi noi preghiamo per lui e per quel popolo che sta soffrendo così tanto.

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Oggi in Primo Piano



Raid Usa su Mosul, fonti locali denunciano vittime tra i civili

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Gli Stati Uniti hanno ammesso di essere i responsabili di un bombardamento aereo che lo scorso 17 marzo ha colpito i quartieri occidentali di Mosul, ancora controllati dal sedicente Stato Islamico. Testimoni locali denunciano la morte di oltre 200 persone, in gran parte civili, a causa del raid. Diverso il bilancio diffuso dall’esercito iracheno che parla di 61 vittime. Il servizio di Marco Guerra: 

I militari iracheni hanno interrotto le operazioni per la riconquista di Mosul Ovest dopo l'ammissione di responsabilità dell’aviazione Usa del raid del 17 marzo scorso. Lo riferisce il Guardian, mentre il bilancio delle vittime del raid resta ancora incerto: fonti locali riferiscono di almeno 200 corpi estratti dalle macerie di un palazzo collassato. In un comunicato della Coalizione si precisa che il bombardamento è avvenuto su richiesta delle forze irachene contro postazioni del sedicente Stato Islamico. Se venisse confermato che tutte le vittime del raid sono civili, si tratterebbe del più sanguinoso episodio dall'inizio dei bombardamenti anti-Is in Iraq e Siria nel 2014. L’incidente intanto alimenta nuove polemiche sulle operazioni antiterrorismo svolte negli ultimi mesi dagli Stati Uniti e che hanno fatto registrare diversi errori. Sono in corso infatti le indagini sull'attacco che recentemente ha provocato numerosi morti all'interno di una moschea in Siria e la morte di civili nel raid dei Navy Seal in Yemen a gennaio. Dal canto loro i vertici militari americani affermano di aver adottato misure a tutela della popolazione; assicurano che la coalizione non abbandonerà il suo impegno nei confronti dei partner iracheni e accusano l’Is di usare i civili come scudi umani, cercando rifugio in scuole, ospedali, siti religiosi.

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Rd Congo: attesa per accordo su elezioni, ma continuano le violenze

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Ancora violenze nella Repubblica Democratica del Congo. Almeno 42 ufficiali di polizia sono stati decapitati, venerdì scorso, dai miliziani del gruppo "Kamwina Nsapu" che hanno teso loro un’imboscata nella provincia centrale del Kasai. Altri sei poliziotti sono stati risparmiati perché parlavano la lingua locale. Dopo l’omicidio del leader delle milizie Nsapu avvenuto lo scorso agosto, la regione del Kasai è dunque scossa dalle violenze. Oltre 400 persone sono state uccise in questi mesi. Intanto nel Paese c’è attesa per l’imminente firma dell’accordo tra maggioranza, che fa capo al presidente Kabila, rimasto al potere anche dopo la fine del mandato e l’opposizione. La speranza è che l’intesa, promossa dalla Chiesa locale, metta fine alle violenze tra i due schieramenti e stabilisca la data delle prossime elezioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore delle riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie: 

R. – Tutti desiderano davvero questa firma, questo accordo tra maggioranza uscente e opposizione, perché continuare a procrastinare nel tempo le elezioni significa innanzitutto indebolire lo Stato di diritto e poi acuire a dismisura le divisioni interne che non sono solo politiche, ma sono legate a questioni etniche e soprattutto alle costanti interferenze delle potenze regionali. La posta in gioco è davvero alta, questo lo ha capito più di tutti la Chiesa cattolica congolese che ha dimostrato, ancora una volta, di essere l’espressione più significativa della società civile di questo gigante africano.

D. - Che cosa interessa del Congo alle entità, alle realtà che girano intorno al Paese africano?

R. - Parliamo di un Paese che è un po’ la cartina al tornasole delle contraddizioni dell’Africa subsahariana. Gli interessi in gioco sono legati innanzitutto allo sfruttamento delle immense risorse minerarie di questo Paese, le cosiddette “commodieties”, fonti energetiche in primis. La verità è che tutto questo rappresenta un fattore altamente destabilizzante ed è proprio questo il paradosso, perché questa immensa ricchezza dell’ex Zaire potrebbe davvero affermare l’agognato sviluppo di una nazione in cui purtroppo, ancora oggi, l’esclusione sociale e la costante divaricazione tra una ricchezza concentrata da un manipolo di nababbi e le masse impoverite è davvero inaccettabile.

D. – E comunque sullo sfondo rimane il confronto armato tra tanti gruppi etnici che continuano a combattersi...

R. - Diciamo che la zona dove effettivamente l’instabilità, per quanto concerne la sicurezza, è più evidente è tutto il settore orientale, pensiamo al Nord e al Sud Kivu, pensiamo ad una grande regione come l’Ituri. Ci sono tutte queste formazioni armate, alcune delle quali hanno un radicamento locale, altre continuano ad essere aiutate e sostenute da potenze straniere. Questo naturalmente è legato ad interessi non solo economici, certamente, ma anche di gestione del potere. Per questo è importante che vi sia davvero un governo di unità nazionale, che in un modo o nell’altro garantisca innanzitutto la sicurezza della stremata popolazione civile e poi possa, in una maniera o nell’altra, innescare quei meccanismi di partecipazione, di condivisione che sono richiesti a squarciagola dalla società civile e che, purtroppo, sono stati disattesi in tutti questi anni.

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Elezioni in Bulgaria: testa a testa fra centrodestra e socialisti

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In un clima di frammentazione politica la Bulgaria va al voto, questa domenica, per le elezioni legislative. Un voto anticipato, l’ennesimo nel corso degli ultimi quattro anni, a cui si è giunti dopo la sconfitta alle presidenziali dello scorso novembre dell'ex premier, Borisov, esponente di centro-destra. In primo piano la sfida con la sinistra che avanza, ma anche con gli schieramenti populisti e nazionalisti. Sullo sfondo le tensioni con la Turchia. Il servizio di Paola Simonetti: 

Le previsioni sul futuro politico della Bulgaria sono aperte. La instabile situazione politica che da almeno quattro anni contraddistingue l’andamento del Paese, si rispecchia anche nelle caratteristiche di questo voto anticipato, messo in agenda dopo la sconfitta alle presidenziali dello scorso novembre dall'ex premier, Borisov, leader del centro-destra. Proprio lui è uno dei protagonisti principali a giocare la partita alle urne, dove ad avere un ruolo ci sono anche gli schieramenti minori, come spiega Francesco Martino, corrispondente da Sofia per l’Osservatorio Balcani e Caucaso:

“Da una parte, abbiamo il movimento Gerb, di centrodestra, dell’ex premier Boyko Borisov; dall’altra invece abbiamo il partito socialista, formazione di lunga data, in Bulgaria, tradizionalmente vicina anche alle posizioni di Mosca. Questi due partiti, che sono ampiamente i primi due nel Paese, in questo momento vengono dati testa a testa. Non è possibile sapere chi emergerà vincitore, ma da questo risultato probabilmente dipenderà anche chi dovrà mettere in piedi un nuovo governo. Sicuramente però ci sarà bisogno di partner di coalizione per entrambi i partiti, visto che si vota con il proporzionale. Quindi anche dal risultato delle formazioni minori dipenderà in qualche modo lo sviluppo e l’evoluzione della situazione politica”.

In campo anche le influenze dei populisti, della minoranza turca presente in Bulgaria, ma anche e soprattutto dei nazionalisti, la cui avanzata segna un cambiamento in atto nel Paese. Sentiamo ancora Martino

“Raccoglie per la prima volta tutte le formazioni nazionaliste ed euroscettiche in Bulgaria e viene accreditata come terza forza nel prossimo Parlamento. Sicuramente è una novità: la Bulgaria tradizionalmente è un Paese euro-entusiasta, soprattutto perché riceve molti fondi dall’Unione Europea. In questo caso, però, a determinare questa crescita è soprattutto il clima di forte tensione relativo alle migrazioni: la Bulgaria è ai confini europei, Paese di transito per i migranti. Questa situazione ha fornito terreno fertile alle formazioni nazionaliste”.

Ma chi vincerà queste elezioni, dovrà farsi carico anche di altre importanti sfide per il Paese, fra cui spiccano i turbolenti rapporti con la Turchia, come aggiunge Francesco Martino:

“Sicuramente, la sfida dello sviluppo economico, la Bulgaria – nonostante i fondi che riceve da Bruxelles - rimane il Paese dell’Ue più povero e in qualche modo anche il Paese con i tassi più alti di disuguaglianza sociale. Quindi sicuramente c’è una forte domanda per una maggiore giustizia sociale. Ci sono poi anche i rapporti con la Turchia: in questi giorni abbiamo visto forti tensioni tra Sofia e Ankara, che viene accusata apertamente di voler approfittare della presenza della minoranza turca in Bulgaria per pilotare o comunque influenzare gli esiti delle votazioni. Il rapporto tra Sofia e Ankara tradizionalmente è molto importante e sicuramente rimarrà delicato anche dopo questa tornata elettorale”.

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Elezioni Hong Kong: vince la candidata Carrie Lam

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Carrie Lam ha vinto le elezioni ed è il nuovo "chief executive" di Hong Kong. Secondo l'agenzia Nuova Cina, la candidata sostenuta da Pechino si è  aggiudicata più di 600 dei 1194 grandi elettori che scelgono la carica istituzionale più importante dell'ex colonia britannica, tornata sotto la sovranità cinese nel 1997. Numero due uscente, Lam è la prima donna a diventare leader di Hong Kong ed ha avuto la meglio, nel rispetto delle previsioni, sull'ex "financial secretary" John Tsang. Nelle ore successive il voto si è registrato entusiasmo tra i manifestanti favorevoli alla Cina, mentre un gruppo di dimostranti che reclamano più autonomia, guidati dall'attivista Joshua Wong, ha protestato di fronte alla sede dove si effettuava la votazione. Hong Kong gode di un amministrazione semiautonoma rispetto al governo centrale di Pechino e negli anni passati si era sviluppato un movimento di opposizione, definito Umbrella Movement, per ottenere elezioni completamente libere. (M.G.)

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Msf: nei conflitti sempre più ospedali obiettivo dei raid

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Le guerre non conoscono più limiti e colpiscono anche gli ospedali. Nel 2016 sono stati riportati 74 attacchi ad almeno 34 strutture mediche, gestite o supportate da Medici senza Frontiere (Msf), in Siria e nello Yemen. I bombardamenti vanno avanti nonostante la risoluzione 2286, adottata nel maggio 2016 dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e in violazione della storica Convenzione di Ginevra. La denuncia di Msf racconta di diversi paesi coinvolti nell’emergenza: Siria, Yemen, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Nigeria, quelli più colpiti dai bombardamenti diretti a strutture o presidi ospedalieri. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’inizio della guerra in Siria ben il 55% degli ospedali pubblici ha chiuso o in parte non funziona. Ne consegue che molti civili non hanno più la possibilità di curarsi o nutrono addirittura paura nel recarsi presso i nosocomi per paura dei raid aerei. Su come è cambiata la geografia dei conflitti, soprattutto in relazione agli obiettivi militari civili, come ospedali, scuole e piazze, se n’è parlato a uno dei “Dialoghi” che Msf ha organizzato per approfondire le sfide odierne dell’azione umanitaria. Il servizio di Daniele Gargagliano

Guerre senza regole, senza fini e confini netti, e legate ad interessi ormai sovranazionali. Con il risultato che anche gli ospedali sono diventati obiettivi strategici da colpire. Dal Medio Oriente all’Africa sono tante le strutture ospedaliere bombardate, da una parte o dall’altra del fronte. Tra queste, solo nel 2016, trentaquattro quelle gestite o supportare da Msf solo nel 2016. L'Organizzazione denuncia da anni il mancato rispetto del diritto umanitario internazionale e dell’imbarbarimento dei conflitti. Una brutalità che priva milioni di persone, soprattutto civili, della loro unica speranza: il ricorso alle cure e all’assistenza medica nei territori colpiti dalla guerra. Il direttore generale di Msf Italia, Gabriele Eminente:

"Quello che vediamo da qualche anno è che c’è una tendenza pericolosissima a superare delle linee rosse che sono state definite molti anni fa. Uno di questi principi, ad esempio, è che un ospedale funzionante e ben segnalato, in una situazione di conflitto non deve essere mai attaccato; anzi al contrario deve essere protetto. Questo principio, ripeto. sancito tra l’altro dalla Convenzione di Ginevra - parliamo di una convenzione di ormai quasi settant’anni fa - è un principio che, vediamo, è sempre più sistematicamente messo in discussione".

Gli attacchi hanno cambiato anche il rapporto e l’approccio delle persone con queste strutture. I civili, alle volte, preferiscono infatti non recarsi negli ospedali per paura di rimanere coinvolti in un bombardamento. Un sentimento di diffidenza e di paura che li spinge a rifiutare la mano protesa dei tanti operatori sanitari impegnati in teatri di guerra. Come quella del chirurgo, Elda Baggio, che ha preso parte a diverse missioni umanitarie, tra cui anche una in Yemen.

"Fintantoché l'ospedale era un luogo sicuro in cui rifugiarsi - non sempre l'ospedale governativo, ma sicuramente quello come Msf o similari in cui chiunque aveva diritto ad entrare - diffidenza non c’era. Nello Yemen, bombardato sia da Sud che da Nord, le popolazioni vedono nell’ospedale un possibile target, per cui diventa difficile…Nel periodo in cui ero nello Yemen è stato bombardato l’ospedale di Saada, lasciando una popolazione di 200mila persone senza ospedali..."

I target non sono soli gli ospedali, ma anche le ambulanze mentre trasportano i feriti o, ancora prima, i luoghi pubblici, come piazze e mercati. Così, i signori della guerra cercano di guadagnare un vantaggio militare privando dell’assistenza sanitaria un numero ingente di persone. Cambia la strategia e si trasformano anche gli interessi economici e politici che si nascondo dietro questi conflitti. Lo spiega il generale di corpo d’armata, Fabio Mini:

"Gli attori fondamentali non sono più gli Stati e non sono neanche le casate o le dinastie; sono delle entità multinazionali private, per interessi privati, fini privatistici e senza fine, perché questi interessi continuano ad autoalimentarsi".

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Vescovi Perù: sostenere le vitime delle inondazioni

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Il 24 marzo la Conferenza Episcopale Peruviana (CEP) ha invitato tutti i peruviani ad impegnarsi di più nella carità per mantenere "viva" la speranza di coloro che hanno perso tutto a causa delle piogge, delle frane e delle inondazioni nel Paese. Ad oggi, 85 persone sono morte e oltre 111 mila sono rimaste colpite, secondo l'ultimo rapporto del Centro Operativo di Emergenza Nazionale. I vescovi del Perù hanno quindi dichiarato che, anche quando si vivono ore di sofferenza, preoccupazione e dolore, è presente la solidarietà. "Non è il tempo della paura” – hanno sostenuto. “E’ tempo di confidare nella Provvidenza di Dio che si prende cura di ciascuno di noi come fa un padre amorevole. E’ tempo di pregare. E’ tempo per la solidarietà, come sta dimostrando la nostra gente. Non è il momento di cercare le colpe, è il momento di unire le forze".

Essere coraggiosi, come la Vergine Maria di fronte alla Croce
Il CEP ha anche invitato le vittime a preoccuparsi reciprocamente le une delle altre “e a dare la precedenza ai più deboli - bambini, anziani e donne in stato di gravidanza - al momento della distribuzione degli aiuti in modo equo". "Invitiamo - hanno aggiunto i presuli - coloro che stanno ancora subendo la furia della natura a continuare ad essere coraggiosi, come la Vergine Maria di fronte alla Croce di Gesù, sicuri che questo momento passerà e arriveranno tempi migliori". Hanno inoltre sottolineato che continuano ad essere accanto a loro con la preghiera, l'affetto e l'aiuto "attraverso le parrocchie e le Caritas diocesane". "Invitiamo coloro che non sono stati colpiti direttamente dalla forza della natura, ad essere generosi, anche quando la carità sia frutto di sacrificio". Infine, hanno osservato che "il Perù è stato forte e deve continuare ad esserlo, perché è un popolo coraggioso e perché è un popolo credente." "Che Dio, Padre eterno e misericordioso - hanno concluso - vi benedica, vi rafforzi e vi protegga". (A.P.)

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Cappuccini celebrano un secolo di presenza nel Golfo Arabico

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Il 20 marzo scorso nella cattedrale di San Giuseppe in Abu Dhabi si è svolta una celebrazione storica: il centenario della presenza dei Cappuccini toscani nel vicariato apostolico d’Arabia. Presenti, come speciali testimoni della gloriosa storia, padre Angelo Fiumicelli, 91 anni, da qualche anno rientrato in Italia, e padre Eugenio Mattioli, 86 anni, ancora in missione. Non sono mancate, ovviamente, le autorità religiose: mons. Paul Hinder, vicario apostolico d’Arabia del Sud; il nunzio apostolico, l’arcivescovo Francisco Padilla; il ministro generale dei Cappuccini, padre Mauro Jöhri; il provinciale dei Cappuccini toscani, padre Valerio Mauro; 43 sacerdoti provenienti dalle parrocchie del vicariato, e circa 2 mila fedeli. Fin dall’inizio della missione, i Cappuccini hanno lavorato in condizioni estremamente difficili e, nel corso degli ultimi due secoli (il vicariato fu costituito nel 1888) hanno aperto scuole e costruito chiese sia in Aden, prima sede del Vicariato, come in quasi tutti gli Emirati del Golfo dal 1916, grazie all’apertura e alla generosità degli sceicchi, alcuni dei quali hanno donato il terreno per la costruzione dei luoghi sacri. Sono sorte, così, chiese in Bahrain (1939), in quasi tutti gli Emirati Arabi Uniti e nell’Oman (1960), soprattutto per l’intraprendenza e la tenacia di mons. Bernardo Gremoli, vicario apostolico dal 1976 al 2005. La Chiesa locale, tutta in territorio musulmano, ha oltre un milione di battezzati in maggior parte di rito orientale: maroniti, melkiti, armeni, siriani, siro-malabaresi, siro-malankaresi. Le celebrazioni si svolgono, oltre che in inglese e in arabo, in malayalam, konkani, tagalog, francese, italiano, tedesco, cingalese e tamil. “Qui da noi - ha detto l’attuale vicario apostolico - il giorno festivo è il venerdì: così le Messe si celebrano non soltanto la domenica, ma anche il giovedì sera e il venerdì. E sono le più frequentate. Ogni settimana si raduna nella nostra chiesa una folla che qualsiasi parroco europeo oggi sognerebbe”. Infatti nelle sedici parrocchie del Vicariato si impartiscono in media 2.700 battesimi l’anno; 30.341 ragazzi frequentano il catechismo; si celebrano 268 matrimoni e 21.047 giovani (di cui 5.637 cattolici) frequentano le scuole dirette dalle suore. (A cura di padre Egidio Picucci)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 85

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.