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Sommario del 27/03/2017

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



I vescovi canadesi dal Papa per la visita ad Limina

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In udienza stamane dal Papa, in visita ad Limina, i vescovi della Conferenza episcopale del Canada occidentale. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Tante le sfide sociali e le problematiche pastorali, per la Chiesa cattolica in Canada, tra i Paesi al mondo - negli ultimi decenni - maggiormente secolarizzati, ritenuto tra i più avanzati nella legittimazione di controverse pratiche che interpellano questioni etiche: procreazione assistita e maternità surrogata, clonazione umana, eutanasia e suicidio assistito, unioni omosessuali.

Esteso quasi quanto l’Europa, in massima parte disabitato, il Canada conta 35 milioni gli abitanti, mosaico di popoli di diverse origini, raggruppati in due aree culturali e linguistiche, anglofona e francofona, legate alla sua colonizzazione, per oltre 40 per cento battezzati cattolici, per un altro terzo protestanti. I musulmani sono il 2 per cento, seguiti da ebrei, buddisti e induisti, 1 per cento ciascuno.

Grande l’impegno richiesto ai vescovi canadesi sui tanti fronti aperti per riportare il messaggio evangelico al cuore di ogni uomo e al centro della società la persona umana. Assidua la predicazione della Chiesa sui temi della pace nel mondo, del disarmo, dello sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente, sulla giustizia sociale, la difesa delle popolazioni indigene, degli immigrati e dei rifugiati, di tutti gli esclusi dalla società del benessere.

Tra i fronti più dolorosi, quello affrontato riguardo i casi di abusi e maltrattamenti sull’infanzia, perpetrati nel passato, che la Chiesa canadese ha riconosciuto, chiedendo perdono. Fruttuoso infine il dialogo ecumenico e interreligioso, che ha portato i leader a parlare con una sola voce, in difesa dei principi della solidarietà e della convivenza dei popoli, anche di recente dopo l’attentato alla moschea a Quebec City e contro le restrittive misure migratorie del presidente Usa Trump.

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Commissione Protezione Minori: più attenzione per le vittime di abusi

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Trovare nuove forme per dare più voce alle vittime di pedofilia. E’ l’impegno preso dalla Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori al termine dell’ottava plenaria dell’organismo, conclusasi ieri e iniziata il 24 marzo scorso. In un comunicato della Commissione, si ringrazia Marie Collins per il suo grande impegno contro la pedofilia e si auspica che quando una vittima di abusi scrive ad uffici della Santa Sede possa ricevere rapidamente una risposta, nel segno della trasparenza. Il servizio di Alessandro Gisotti

Gratitudine a Marie Collins per il suo impegno contro la pedofilia
Le dimissioni di Marie Collins sono stati uno dei temi centrali della plenaria della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori. In un comunicato, l’organismo pontificio ringrazia la Collins per il suo impegno ed esprime sostegno per il suo lavoro in favore delle vittime degli abusi e per la prevenzione di ogni abuso contro i minori. I membri della Commissione ringraziano, inoltre, Marie Collins per la sua disponibilità a continuare il lavoro nei programmi di educazione per i nuovi vescovi e per gli uffici della Curia Romana.

Gli uffici della Santa Sede rispondano celermente alle vittime di abusi
La Commissione “ha concordato in modo unanime di trovare nuove vie per assicurare che il suo lavoro sia modellato con e da le vittime” di abusi. Molte idee, si legge nel comunicato, sono state implementate e sono “attentamente considerate” per essere portate all’attenzione del Santo Padre. La Commissione sottolinea inoltre l’importanza di “rispondere direttamente” alle vittime “quando scrivono agli uffici della Santa Sede”. I membri della Commissione concordano che avere attenzione per la corrispondenza e “dare risposte tempestive e personali è una componente dell’avanzamento della trasparenza”. La Commissione è consapevole che tale compito sia particolarmente impegnativo, “visto l’ampio volume e la natura della corrispondenza e richiede risorse e procedure chiare e specifiche”. I membri della Commissione hanno, dunque, concordato di inviare al Papa ulteriori raccomandazioni da sottoporre alla sua considerazione.

Impegno a lavorare con la Dottrina della Fede per le “linee guida”
I membri della Commissione, prosegue il comunicato, “continuano a lavorare, incoraggiati da Papa Francesco, per assistere le Chiese locali nella loro responsabilità per la protezione dei minori”, attraverso visite in loco e conferenze. Al contempo, la Commissione sta ricevendo i rappresentanti delle conferenze episcopali quando sono a Roma per le loro visite Ad Limina. Il comunicato ribadisce poi che “un elemento essenziale” della lotta agli abusi nella Chiesa sono le “Linee Guida” della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori. Uno strumento, si ricorda, fortemente sostenuto da Papa Francesco. I membri della Commissione hanno dunque ribadito la “propria volontà di lavorare assieme alla Congregazione per la Dottrina della Fede nel comunicare le Linee Guida alle Conferenze episcopali e alle congregazioni religiose sia direttamente che attraverso il sito della commissione” (www.protectionofminors.va).

Prosegue l’impegno per la formazione, l’esempio della Gregoriana
Il comunicato rammenta infine che la plenaria ha fatto seguito ad un evento su educazione e prevenzione, tenutosi alla Gregoriana e promosso dal Centro per la Protezione dei Minori – istituito nell’ateneo – e dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica. All’avvenimento, focalizzato in particolare sull’America Latina, hanno preso parte oltre 150 personalità, tra cui il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e diversi responsabili dei dicasteri vaticani.

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Francesco: custodire vita dal concepimento è prevenire ogni violenza

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Pubblicato oggi un nuovo tweet del Papa sull’account @Pontifex in nove lingue: “Custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal concepimento sino alla fine – scrive Francesco - è la via migliore per prevenire ogni forma di violenza”.

Nella Evangelii Gaudium il Papa afferma con forza che la Chiesa è sempre dalla parte dei più deboli e tra questi “ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo” (213). “Non ci si deve attendere – scrive Francesco - che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie” (214).

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I giovani di Milano: il Papa è un uomo vero e concreto

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Tra i momenti cruciali della visita del Papa a Milano, l’incontro con i ragazzi cresimati e cresimandi. Ne è nato un dialogo spontaneo tra Francesco e i giovani su temi attualissimi, come il bullismo. Alessandro Guarasci: 

Nelle parrocchie, nei centri dei aggregazione giovanile legati alla Chiesa ambrosiana, i ragazzi si confrontano ancora sull’incontro col Papa a Milano. Per loro l’evento clou si è svolto allo stadio San Siro, ma tantissimi erano anche a Monza, come per le strade della città. Don Massimo Pirovano, responsabile del Servizio per i giovani della diocesi di Milano:

R. – Abbiamo incontrato diversi giovani mentre eravamo a Monza e li abbiamo intervistati; abbiamo incontrato un ragazzo che ci ha detto: “I sono ateo, però sono venuto a incontrare Papa Francesco perché lo ritengo un uomo vero e concreto - ci ha detto - E soprattutto perché quando mi guardo attorno vedo che ci sono nel mondo molte ‘istituzioni’ che stanno crollando, mentre vedo che la Chiesa, nonostante le fatiche reali e alcuni problemi reali, rimane un’istituzione che ha un desiderio di bene, un po’ come una luce …

D. – Il Papa ha parlato di questioni molto concrete: giovani che fanno continuamente zapping oppure il problema del bullismo. I ragazzi come percepiscono questo messaggio, secondo lei?

R. – I ragazzi percepiscono una verità in quello che il Papa dice loro. C’è stata un’altra ragazza, una studentessa milanese, che ha detto: “Riesce a dirmi le cose importanti senza farmele sentire pesanti ma mostrandomi che è possibile”. Quindi riconoscono che questi argomenti del bullismo, dello zapping, sono veri: loro li riconoscono dentro la loro vita, a volte come un peso. Ma sembra, a volte, che nessuno faccia percepire loro la possibilità che invece sia possibile superare determinate dimensioni. “Invece – ha detto questa ragazza – il Papa, quando mi parla mi fa capire che non è impossibile andare oltre”.

D. – Voi prenderete spunto anche da quello che ha detto il Papa anche per rinnovare la pastorale giovanile?

R. – Sicuramente. Quello che ha detto ha degli orizzonti molto importanti, anche in vista del prossimo Sinodo che ci sarà nel 2018. Anche a questo riguardo abbiamo incontrato invece un giovane che viene dall’area del Sudamerica, Infatti c’è stato oltre un migliaio di giovani che si sono iscritti attraverso il Servizio, che non avevano un contatto diretto con la parrocchia perché la maggior parte di loro sono studenti fuori sede, e quindi hanno avuto a che fare anche con il responsabile della pastorale universitaria. E questo giovane ha detto: “Io comprendo che quando il Papa parla di protagonismo, io lì mi sento chiamato: all’interno di quell’orizzonte, per me c’è una verità”.

D. – I giovani a volte vengono dipinti come poco propensi alla spiritualità: è così, a Milano?

R. – Prima dell’arrivo del Papa abbiamo scritto, ci siamo rivolti a migliaia di giovani chiedendo loro cosa volessero regalare a Papa Francesco. E ci ha stupito come la maggior parte di loro, la stragrande maggioranza di loro abbia detto: “Vogliamo pregare per lui”. Proponiamo ai giovani di tutta la realtà diocesana gli esercizi spirituali: diverse centinaia di loro li vivono facendo 48 ore di assoluto silenzio e tutti ne escono sempre molto rinvigoriti e soprattutto contenti: ma contenti soprattutto del silenzio. Segno che la spiritualità esiste, è reale, non è qualcosa di aggiunto alla vita; ha bisogno di essere educata, di trovare le strade corrette per potersi esprimere.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. 200 morti nei raid, a Mosul ovest situazione disperata

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Sono oltre cento i corpi tirati fuori finora dalle macerie a Mosul ovest, dopo il bombardamento del 17 marzo scorso effettuato dalla Coalizione a guida statunitense e sul quale è stata aperta un’inchiesta. Se verrà confermata la stima fatta di 200 vittime civili – alcune delle quali potrebbero essere state uccise per mano dei jihadisti del sedicente Stato islamico – sarà ricordato come uno dei peggiori episodi di questa guerra. Mosca, intanto, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un briefing speciale sulla situazione a Mosul. Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente per una testimonianza, il Patriarca caldeo di Baghdad, Louis Sako: 

R. – Mosul ovest è la città antica di Mosul: le case sono legate le une alle altre; non ci sono viali, le macchine non possono entrare ma solo la gente vi può camminare o usare la bicicletta. È una guerra molto complicata e anche tragica: come fare? Come liberare questa parte? Perché questi jihadisti sfruttano i civili… è una tragedia!

D. – L’offensiva delle forze irachene - sferrata il 19 febbraio scorso per la riconquista di Mosul ovest dopo aver liberato l’est dallo Stato Islamico - non è proceduta rapidamente come si sperava: a che punto è?

R. – Le forze  irachene hanno liberato il 60-70 percento di Mosul, ma per il restante 40 la situazione è molto complicata. Le case sono fragili: non è come la parte est dove le case sono state costruite con il ferro e il cemento. L’esercito vuole salvaguardare la vita dei civili, ma penso che sia quasi impossibile.

D. – Mentre nella parte orientale molti decidono di restare, da quella occidentale si fugge appena possibile. Ma le operazioni umanitarie si stanno rivelando più difficili e pericolose del previsto. È davvero così?

R. – Sì è vero, perché la settimana scorsa 500 civili sono morti sotto le rovine delle case. Anche noi, come Chiesa caldea, abbiamo fatto una dichiarazione nella quale affermiamo che siamo vicini a questa gente. Ci sono anche famiglie sfollate: finora 210mila persone sono sfollate, vivono nei campi, sotto le tende, in condizioni non degne. E noi la settimana prossima andremo a portare gli aiuti per dire loro che gli siamo vicini. Mosul è la culla della nostra Chiesa.

D. – Sembra che da Mosul ovest, oltre ai 180mila sfollati già conteggiati, potrebbero aggiungersene altri 320mila: dove verranno portati?

R. – Ci sono già dei campi che sono stati preparati nella periferia di Mosul, un po’ più lontano da questa guerra. Finora sono 400mila i civili rimasti a Mosul Ovest. Dall’inizio della guerra quattromila persone sono morte e diecimila case sono state distrutte a Mosul.

D. – Da poco la prima famiglia caldea è tornata nella Piana di Ninive: com’è la situazione per i cristiani laggiù?

R. – Ci sono già cinque famiglie, non solo nella Piana di Ninive ma anche a Mosul nord. Nella Piana di Ninive, al confine nord – già a Teleskov, Bakova, Batnaya – lì le condizioni sono sicure e le persone sono libere di tornarvi. E noi abbiamo aiutato le famiglie che sono volute ritornare per restaurare le loro case, anche per comprare anche ciò di cui avevano bisogno. Adesso ci sono quasi 250 famiglie a Teleskov. Poi a Bakova alcune famiglie sono iniziate a ritornare, e questa settimana anche a Batnaya. Invece, al confine sud – come a Qaraqosh – è più difficile perché c’è un problema politico: c’è una tensione tra gli sciiti, i turkmeni, i sunniti, i curdi e i cristiani. E questo problema politico non è ancora stato risolto. Ci sono dei segni, è una presa di coscienza che non si può continuare così: anche il governo iracheno insieme a quello curdo afferma che bisogna cambiare la cultura e la mentalità, ma anche le leggi. C’è bisogno di uno Stato civile, con una separazione tra religione e politica, basata sulla sola cittadinanza. Non c’è altra soluzione, e non avremo futuro finché queste tensioni settarie continueranno.

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Germania: Cdu vince nel Saarland. Schulz: sbagliato trarre conclusioni

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Quella di ieri non è stata una bella giornata “per l'Spd”, ma sarebbe “sbagliato e poco accurato” trarre conclusioni in vista delle prossime elezioni in Germania. Così il leader dei socialdemocratici tedeschi Martin Schulz, commentando il risultato del voto nel Saarland, il Land dove ha trionfato ancora una volta la Cdu di Angela Merkel. Il servizio di Giada Aquilino

Era un’elezione-test a cui guardava tutta la Germania, ma non solo. Nel piccolo Saarland a vincere è la Cdu di Angela Merkel con il 40,7% dei voti, mentre la Spd del suo sfidante, il candidato-cancelliere Martin Schulz, si ferma al 29,6%, nonostante il boom dell’ex presidente del Parlamento europeo nei sondaggi a livello nazionale. Il parere di Antonio Villafranca, responsabile dell’osservatorio Europa dell’Ispi:

“Il Saarland è un piccolo Land che in realtà è da 18 anni a guida dei cristiano democratici, in cui c’è una Grosse Koalition con l’Spd che continuerà ad esserci. Casomai il segnale politico, più che sulla persona di Schulz, è sulle scelte che i socialisti possono fare, perché nei giorni scorsi si era diffusa la voce secondo la quale in questo piccolo Stato se i socialisti avessero vinto sarebbero andati in coalizione con ‘Die Linke’, quindi con l’estrema sinistra. Il segnale politico che arriva dunque ai socialisti e a Schulz, è di evitare queste coalizioni a sinistra, perché sembra che almeno in questo Stato la preferenza sia per la Grosse Koalition che coinvolga ancora una volta i cristiano democratici”.

Secondo alcuni analisti gli 800 mila elettori del Land hanno voluto premiare la governatrice in carica, Annegret Kramp-Karrenbauer, da molti indicata come uno dei possibili successori della Merkel alla guida dei cristiano democratici. Ma il prof. Villafranca evidenzia un aspetto:

“È sicuramente una vittoria della Kramp-Karrenbauer che quindi si conferma al suo posto, continuando a portare avanti una Grosse Koalition con i socialisti. Tuttavia c’è da segnalare anche il fatto che non abbia esattamente sfondato: ha praticamente vinto ottenendo il cinque percento dei voti in più. Non è esattamente un trionfo ma in questo modo la Cdu si è confermata come primo partito. È da sottolineare il fatto che gli estremisti di ‘Alternative für Deutschland’ siano entrati poi nel Parlamento di questo Stato con un loro rappresentante”.

L’altro dato della consultazione è appunto che i populisti della AfD entrano nel Parlamento locale, ma incassano il peggior voto degli ultimi due anni. Il responsabile dell’osservatorio Europa dell’Ispi:

“L’impressione è che gli euroscettici estremisti in Germania non sfondino - almeno molto meno di quanto dicevano recenti sondaggi - però tengono; questo è il dato significativo. Si tratta appunto di un partito che prima non entrava nelle istituzioni grazie alla soglia di sbarramento che esiste in Germania, ma che adesso passa. Quindi è un dato relativamente in calo ma comunque stabile”.

Come leggere dunque il risultato nel Saarland in un contesto europeo che ha visto l’affermazione del fronte pro Ue in Olanda e Bulgaria e si prepara al voto in Francia? Ancora il prof. Villafranca:

“Quello che è accaduto ad esempio in Olanda è proprio il segno dei tempi. I due partiti che erano al governo hanno perso 37 seggi su una Camera che ne ha 150. Certo, questo ha impedito a Wilders, quindi agli xenofobi e agli euroscettici, di andare al governo e dunque noi ‘festeggiamo’ ovviamente questo evento, ma in ogni caso Wilders ha preso cinque seggi in più e, appunto, i due partiti che erano al governo ne hanno persi 37, soprattutto a causa del crollo dei socialisti. In altri momenti avremmo parlato di un ‘disastro politico’. In questo momento, invece, ‘celebriamo’ il dato proprio perché le paure riguardanti la crescita degli euroscettici e dei populisti ovviamente sono alte”.

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Carrie Lam è la prima donna a capo del governo di Hong Kong

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Carrie Lam, 59 anni, candidata sostenuta da Pechino, è stata eletta a capo del governo di Hong Kong. Già numero due nell'amministrazione uscente è la prima donna a ricoprire il mandato quinquennale della ex colonia britannica, tornata nel 1997 sotto la sovranità della Cina popolare. Nel 2014 la leader tentò di trattare con il cosiddetto "movimento degli ombrelli" che rivendicava elezioni a suffragio universale. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Giovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e vicepresidente di "Tway", Istituto non-profit per la ricerca e studio in materia di politica globale e sicurezza: 

R. – Si tratta in realtà della seconda donna che raggiunge una posizione apicale nel sistema politico di una parte dell’universo cinese; la prima è stata la presidente di Taiwan eletta non molto tempo fa. In questo caso l’elemento di genere è stato meno evidente nel dibattito, perché quest’ultimo è tornato a polarizzarsi sul fatto che la candidata fosse in modo molto aperto prediletta da Pechino, a dispetto di quanto previsto dalla legge fondamentale della città di Hong Kong.

D. - Nel 2014 la leader trattò con il cosiddetto “movimento degli ombrelli”, lo ricordiamo, una realtà non violenta che rivendicava elezioni a suffragio universale. Qual è la situazione?

R. - Sostanzialmente è questa: vota un collegio elettorale di circa 1200 soggetti che sono espressione di varie associazioni editoriali, professionali, insomma di un’oligarchia che per buoni due terzi tende ad essere condizionata per via diretta o indiretta da Pechino. In effetti anche colleghi e accademici studiosi cinesi accettano che la società hongkonghina sia suddivisa tra un 60 percento abbondante che ha passione democratica e che vorrebbe “una testa, un voto” e una parte residuale di circa il 30 percento che è pro Pechino. 

D. - Alcuni esponenti della protesta degli ombrelli, si legge oggi sulla testate internazionali, temono ritorsioni. Carrie Lam in conferenza stampa ha subito ribadito che la priorità è unificare la città, sanando le divisioni …

R. - Credo che lei si riferisca principalmente a divisioni di carattere socio-economico. Carrie Lam aveva in mano il dossier della questione della riforma politica perché era la numero due nell’amministrazione uscente e in questa chiave ha condotto il dialogo con la protesta nel 2014. Però ha esplicitamente evitato di menzionare la richiesta che viene da buona parte della società hongkonghina di un ulteriore round di discussioni, perché la riforma che effettivamente avrebbe potuto esserci e che era stata impostata a Pechino in modo, tra l’altro piuttosto restrittivo nel 2014, è stata poi rigettata dal Consiglio legislativo di Hong Kong del 2015. Quindi a tutti gli effetti le recenti elezioni sono appena avvenute con il sistema elettorale precedente e quindi non riformato.

D. - Nel 1997, dalla Gran Bretagna, Hong Kong è tornata alla Cina. È in vigore una cosiddetta mini Costituzione. Com’è la città venti anni dopo?

R. - L’aspetto più qualificante di questa legge fondamentale prevede che il sistema giuridico, sociopolitico ed economico di Hong Kong sia autonomo rispetto a quello della Repubblica popolare cinese, sotto la cui sovranità naturalmente Hong Kong è tornata. Quindi questa è l’incarnazione sostanziale del principio di un’unica Cina, ma con due modelli distinti, un Paese due modelli. In questa legge fondamentale - che è derivata dagli accordi intrapresi dal governo cinese con quello britannico – si dice che per 50 anni Hong Kong mantenga la sua fisionomia peculiare. A distanza di venti anni - in realtà Carrie Lam sarà in carica nel 25.mo anniversario, quindi proprio a metà di questi 50 anni - l’erosione delle libertà che avevano caratterizzato Hong Kong nel ventennio precedente si nota in modo distinto. Quindi sarà decisivo capire se nell’arco del quinquennio di mandato della Lam vedremo una tutela di queste libertà, di questa autonomia, oppure un’ulteriore erosione che potrebbe far diventare Hong Kong una normale città cinese al Sud di Guangzhou.

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Vescovi messicani: silenzio su aborto, rende complici

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Il silenzio di fronte alla soppressione della vita nascente ci rende complici del crimine dell’aborto. Così in sintesi i vescovi messicani in un comunicato diffuso in occasione della Giornata della Vita che, a livello nazionale, si è celebrata lo scorso 25 aprile, solennità dell’Annunciazione. “La vita non è un bene che ci siamo dati, ma un dono che abbiamo ricevuto” – si legge nel testo a firma di mons. Francisco Javier Chavolla Ramos, vescovo di Toluca e responsabile della Commissione Episcopale per la Vita: “nessuno può violare l’integrità di un altro essere umano; né a scopo di ricerca, ne’ perché anziano, disabile, malato, incapace di intendere e volere o migrante”.

Ideologia contro la famiglia e confusione antiumana
“Oggi in Messico sono molte le minacce nei confronti della vita familiare” finalizzate a cambiare per via legale il volto e la dignità della matrimonio, il rispetto della vita e l’identità della famiglia. Nella società attuale “l’ideologia del rispetto degli animali è vissuta come responsabilità, mentre dare la morte ad un nascituro viene concepito come un diritto”. “Una confusione antiumana e criminale – è la denuncia – sta permeando in tutto il Paese e oggi in Messico migliaia di bambini non nati vengono uccisi".

Il silenzio ci rende complici del crimine dell’aborto
Forte il richiamo ai pastori, ai credenti e ai cittadini: queste sfide ci interpellano, “abbiamo una seria responsabilità umana e sociale”. “Le parole dell’angelo a Maria, “non temere”, ci ricordano di difendere la vita senza paura”. “Il tempo di Quaresima – è l’auspicio – sia occasione per correggere i nostri errori, primo fra tutti il silenzio che ci rende complici del crimine dell’aborto”. L’invito è a chiedere perdono ai tanti esseri umani soppressi con l’aborto: “con il nostro silenzio abbiamo contribuito alla loro morte”.  (A cura di Paolo Ondarza)

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Portogallo: diocesi Fatima avvia servizio a sostegno maternità

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“Un nuovo servizio di sostegno delle donne che incontrano difficoltà nel desiderio di portare a compimento la maternità”: così la diocesi di Leiria-Fatima, in Portogallo, ha presentato ai propri fedeli la sua iniziativa, organizzata dai settori della pastorale sociale, della salute e della famiglia. Il servizio - riferisce l’agenzia Sir - sarà coordinato dalla Caritas diocesana ed è nato dalla proposta dell’ostetrica Élia Santiago, a seguito di “uno studio che ha evidenziato l’esistenza di numerose donne che ricorrono all’interruzione volontaria della gravidanza, poiché non possiedono le condizioni economiche sufficienti per allevare il figlio che hanno in grembo”.

Mons. Marto: no alla cultura dell’indifferenza
Nell’annunciare il nuovo servizio, il vescovo di Leira-Fatima, mons. António Marto, ha stigmatizzato “la cultura dell’indifferenza che caratterizza l’attuale società, la quale porta a trascurare il dramma di quelle donne in gravi difficoltà economiche che lottano per dare alla luce i propri figli, per le quali, molto spesso, l’unica alternativa a misere condizioni di sostentamento è costituita dall’aborto”.

Aiutare le donne in gravidanza
Il progetto a sostegno della “maternità difficile” istituito dalla diocesi portoghese si propone, al contrario, di “rafforzare la necessità di assistere le donne in stato di gravidanza nel miglior modo possibile, tenendo ben presenti le loro condizioni personali, familiari, economiche e sociali”.

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Comece: Europa rimetta al centro la persona

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"Rimettere la persona di nuovo al centro della politica europea": è la richiesta che le Chiese del continente rinnoveranno alle istituzioni europee. L’occasione sarà l’incontro che il cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx, presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), e il presule anglicano Christopher Hill, presidente della Conferenza delle Chiese europee (Kek), hanno in programma il 31 marzo con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Il messaggio delle Chiese - anticipa un comunicato della Comece ripreso dall’ Osservatore Romano - sarà appunto quello di incoraggiare gli sforzi affinché le istituzioni dell’Unione Europea sappiano rispondere maggiormente al loro originario “progetto di pace”.

Il futuro dell’Europa al centro della plenaria di primavera della Comece
Del futuro dell’Europa, fra l’altro, discuteranno a Bruxelles i vescovi della Comece nella loro plenaria di primavera, dal 29 al 31 marzo. L’assemblea si svolgerà dunque all’indomani delle celebrazioni per i sessant’anni dei Trattati di Roma che hanno segnato l’inizio dell’avventura di integrazione europea. Sarà l’occasione, viene spiegato, per riflettere e analizzare "le principali sfide attuali" nel vecchio continente.

Cattolici ed evangelici sui 60 dai Trattati di Roma
Celebrazioni anche in chiave ecumenica: nei giorni scorsi la Conferenza episcopale tedesca e il Consiglio della chiesa evangelica in Germania hanno emesso una dichiarazione congiunta sull’attuale situazione del cammino dell’Unione europea, in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, base per l’Ue di oggi. "A soli dodici anni dalla fine della seconda guerra mondiale, con i Trattati di Roma furono poste le basi per l’integrazione europea, che ha garantito sino a oggi pace e prosperità per l’Europa ed è diventata un simbolo di libertà per coloro che vivono nel mondo", scrivono il cardinale Marx e il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, presidente degli evangelici tedeschi. Tuttavia, nonostante i grandi progressi, “l’Europa deve trarre conclusioni dai disaccordi degli anni passati e superare la sua profonda crisi corrente. L’Unione europea è più della somma dei suoi stati membri. Essi devono essere meglio preparati per le numerose sfide e non devono essere separati. Una più stretta cooperazione sarebbe urgente in molti settori”. Nella dichiarazione si sottolinea che c’è “bisogno di solidarietà verso i rifugiati e di una politica estera e di sicurezza coordinate. Allo stesso tempo, l’Ue dovrebbe aumentare il proprio profilo sociale”.

Card. Marx: credere nel sogno dell’integrazione europea
Sulla necessità di credere e sostenere il sogno dell’integrazione europea si è soffermato il cardinale presidente della Comece. Partendo dalla constatazione che “l’Unione europea si trova in una crisi profonda», il porporato— in un’intervista al Sir — osserva: «La Brexit pone l’Ue di fronte a una domanda esistenziale e invita tutti a rispondere: perché c’è bisogno dell’integrazione politica del continente?». A questa domanda, sostiene, stanno di fatto rispondendo solo le forze populiste che «hanno un’agenda non solo politico-economica, ma anche di politica estera, di sicurezza e di politica migratoria, che punta piuttosto alla preclusione e al protezionismo. Esse sono più propense, in tutti i settori, a soluzioni più nazionali», osserva il cardinale che subito dopo avverte: «Una tale politica conduce in un vicolo cieco, quello dal quale Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e gli altri padri fondatori dell’Europa hanno tirato fuori il nostro continente dopo la guerra”.

L’Europa unita è ancora oggi garanzia di pace
Da qui il presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea delinea tutte le “ragioni” per credere ancora nell’Ue. La prima risale alla “fondazione pacifica dell’Europa”. In tal senso, rileva, «l’escalation militare in Crimea e nell’Ucraina ha fatto crescere l’incertezza nell’Europa orientale. L’Europa unita è ancora oggi una garanzia di pace». La seconda ragione è il benessere delle nazioni: «L’Unione europea offre il miglior spazio per affrontare le sfide economiche e sociali della globalizzazione. "Una cosa rimane importante - osserva il card. marx -  l’Europa non può bastare a se stessa. Vale a dire: la fede cristiana è una parte dell’anima dell’Europa. Anche nella crisi l’Europa non può ruotare solo attorno a se stessa. Con le sue culture e tradizioni filosofiche e religiose, l’Europa deve portare un contributo specifico nel mondo".

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Mons. Pennisi: intollerabile mafia che strumentalizza religione

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Ieri a Corleone, in Sicilia, si è svolta una giornata di riflessione in memoria delle vittime della criminalità organizzata. Al centro dei lavori, un convegno dal titolo ‘La mafia si nasconde negli ambienti religiosi?’ nel quale si è ricordata anche la figura del Beato padre Pino Puglisi, ucciso da Cosa Nostra nel 1993.  In precedenza, la Santa Messa celebrata dall'arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, dopo la quale è stato piantato un albero di melograno segno di speranza per un territorio frammentato dalla violenza e dal sopruso. Federico Piana  ha chiesto proprio all'arcivescovo di Monreale il perché di questa scelta fortemente simbolica: 

R. – E’ un simbolo antico, un simbolo in cui ci sono tanti chicchi però un unico frutto; è nel segno della comunità, del bene comune, ma anche segno della Chiesa. Qualcuno anche ha detto che questo melograno è simbolo anche di quello che San Paolo chiama “il frutto dello Spirito”, che è gioia, pace, bontà, benevolenza, mitezza ... e mi pare una cosa molto significativa, qui, a Corleone, durante la visita pastorale perché vuole essere un segnale di legalità, di tensione al bene comune, segno della comunità cristiana che vuole essere un’unica cosa.

D. – La mafia si nasconde ancora negli ambienti religiosi?

R. – Giovanni Falcone ha definito la mafia una religione, una religione capovolta, con una sacralità che rende schiave le persone inserendole in un circolo diabolico dal quale è difficile uscire. Ecco le mafie hanno dedicato una cura particolare ai simboli e alle pratiche della religione cattolica, questo senza porsi alcun problema sull’evidente contrasto tra questi simboli e la vita quotidiana dei mafiosi. In tale modo, i segni più sacri come partecipare a una processione oppure fare da padrino, sono piegati e resi strumento di acquisizione di consenso sociale e di onorabilità ecclesiale. In realtà, queste manifestazioni pseudo-religiose non possono essere interpretate semplicemente come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione.

D. – Per contrastare questo fenomeno, lei ha emesso un decreto con il quale stabilisce che non possono essere ammessi all’incarico di padrino di battesimo e della cresima coloro i quali si sono macchiati di questioni di mafia …

R. – Questa decisione l’ho presa in seguito ad alcuni episodi – l’ultimo è stato il fatto che ha fatto da padrino il figlio di Totò Riina, senza aver mostrato alcun segno di pentimento e di distanza dalla mafia e dai delitti commessi dal padre. Tra l’altro, lui era stato condannato già con sentenza passata in giudicato, aveva ricevuto la Cresima a Padova qualche settimana prima e poi qui ha fatto da padrino … Ma poi succede che spesso vanno dai parroci parenti di persone arrestate, mafiose, e chiedono che il parroco possa fare un biglietto e fargli fare da padrino perché magari viene scarcerato per alcuni giorni … Ora, la Chiesa non può tollerare questo: una strumentalizzazione dell’istituto del padrino, che è uno che deve educare alla fede, che deve essere esempio di vita cristiana, per consentire che questi mafiosi possano avere visibilità sociale. Quindi ho emesso questo decreto anche per proteggere i parroci, confortato anche dal consenso del Consiglio presbiterale. Ma già nel 2014 avevo fatto un decreto analogo per quanto riguarda l’appartenenza alle confraternite, nel senso che avevo stabilito che non possono far parte di confraternite coloro che sono notoriamente mafiosi e sono stati condannati con sentenze passate in giudicato. Una vera conversione non può essere ridotta a un fatto puramente intimistico, ma come i delitti hanno avuto una proiezione pubblica, esigono quindi una dissociazione pubblica e quindi la riparazione. Nel caso del mafioso deve comportare un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della mafia, fonte costante di ingiustizie e di violenze che, come ha detto anche il presidente Mattarella recentemente, “è una presenza che distrugge la speranza e ruba il futuro”. Quindi è necessaria una vera conversione del cuore, ma anche una vera confessione pubblica.

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Al via il Convegno nazionale delle Caritas sullo "sviluppo integrale"

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“Per uno sviluppo umano integrale”, è il tema del 39esimo Convegno nazionale delle Caritas diocesane che si apre oggi pomeriggio a Castellaneta, in provincia di Taranto. Al centro dell’incontro, che durerà quattro giorni, le riflessioni sia sull’operatività concreta sia sulla pastorale per orientare l’impegno futuro della Caritas italiana, alla luce degli insegnamenti del nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, recentemente istituito da Papa Francesco. Marco Guerra ne ha parlato con Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana: 

R. – Lettura in primo luogo della realtà nelle sue problematicità a livello locale, regionale, nazionale con uno sguardo europeo e internazionale. Partiremo dalla situazione in Puglia che in qualche modo è l’emblema di alcuni grandi snodi di quello che oggi è lo sviluppo in tutto il Paese; pensiamo a Taranto, dove far convivere i temi sociali, quali il lavoro, i temi ambientali, i temi della salute pubblica, certamente non è cosa facile e implica un grande sforzo di discernimento comunitario, non delegabile a pochi.  Restando ancora alla dinamica regionale, pensiamo al tema del caporalato, alle dinamiche legate alle migrazioni internazionali, nazionali e come pensare ad un sviluppo integrale anche di queste persone, i singoli individui, le famiglie, le comunità, le comunità multietniche. Un terzo elemento che approfondiremo è quello del carcere.  Anche nel nostro lavoro verso le povertà, il disagio, l’esclusione sociale, l’approccio parte sempre non solo dalla singola persona ma dalla sua famiglia e dal contesto in cui è inserita. Quindi questi snodi saranno il tema del nostro convegno nazionale.

D. - Il titolo del convegno nazionale è proprio “Per uno sviluppo umano integrale”.  Dietro c’è una visione della persona che non riguarda solo le povertà materiali, ma anche quelle spirituali, immagino …

R. - In Italia, certamente, c’è un raddoppio della povertà assoluta negli ultimi dieci anni; c’è certamente una difficoltà di diseguaglianze anche all’interno del Paese che sono dati oggettivi materiali, ma c’è anche una grandissima difficoltà psicologica delle persone e una difficoltà relazionale che coinvolge famiglie, comunità che poi in qualche modo va a toccare anche la sfera spirituale, che è poi l’anima, il sale che dà sapore a tutta la vita della persona e della comunità. Per cui o si tratta di uno sviluppo umano integrale di tutti gli uomini e di tutto l’uomo o alla fine, in fin dei conti, non è sviluppo, perché questo è l’uomo con la sua dimensione anche spirituale, che è essenziale alla sua vita.

D. -  Le Caritas sono dislocate su tutto il territorio nazionale. Sono un vero e proprio presidio del territorio italiano ..

R. - Certamente le nostre Caritas diocesane sono presenti in tutte le diocesi italiane, sono circa 220. C’è un enorme sforzo anche a livello parrocchiale con il tentativo di essere presenti poi in ogni parrocchia con, prima di tutto, un impegno, come dice il nostro statuto, “prevalentemente pedagogico”, cioè il tentativo di educarci ed educare alla carità e poi è anche un lavoro di stimolo delle istituzioni pubbliche, per cercare di perseguire insieme questo obiettivo dello sviluppo umano integrale, che poi alla fine e a servizio della persona e delle famiglie.

D. - In questi anni Caritas purtroppo ha accompagnato e ha assistito ad un cambiamento peggiorativo del tessuto sociale italiano. Anche la classe media ormai chiede il sostegno delle vostre strutture …

R. - Sì, in questi ultimi anni sono evidenti alcuni cambiamenti radicali, oserei dire epocali. C’è appunto il grande tema della crisi economica, i flussi migratori sempre più consistenti e certamente un tasso demografico in diminuzione. Quindi c’è un ripensamento complessivo del nostro lavoro. Alcune fasce di popolazione che non incontravamo sono venute ai nostri centri di ascolto, nei nostri servizi, penso allo sportello psicologico per evitare il suicidio degli imprenditori soprattutto nel Nord Est. C’è il problema dei giovani che non studiano e che non lavorano, un problema giovanile enorme che abbiamo in Italia e, purtroppo, ne deteniamo il primato a livello europeo.  Infine, c’è il problema dei cosiddetti “working poor”, cioè coloro che pur avendo un lavoro non hanno un salario sufficiente per arrivare alla fine del mese.

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Dopo 60 anni le Piccole Sorelle di Gesù lasciano Afghanistan

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Dopo sessant’anni al servizio dei bisognosi hanno dovuto lasciare Kabul. Si tratta delle Piccole Sorelle di Gesù che sono rimaste al fianco degli afghani più poveri fino a quando hanno potuto, e ora la loro esperienza è finita a causa della mancanza di vocazioni. Ne dà notizia L’Osservatore Romano.

Afghane tra gli afghani, sempre presenti nella storia recenti
“Le Piccole Sorelle di Gesù erano afghane fra gli afghani. Per tutti questi anni - ha raccontato ad AsiaNews padre Giuseppe Moretti, per diciotto anni a Kabul come cappellano - non hanno mai lasciato la capitale: non durante l’occupazione sovietica, non sotto i talebani e neanche durante i bombardamenti”.

Una presenza silenziosa ma importante, lontana dai riflettori
Per padre Moretti, a colpire era il loro modo di stare vicine ai bisognosi, "nel silenzio". Anche con l’arrivo della Nato nel 2002, “hanno sempre rifiutato con gentilezza tutte le interviste. Non solo per non essere prese di mira o considerate spie, ma proprio per via della loro dedizione e riserbo. Tante donne si sono rivolte a loro, in cerca di appoggio, consolazione e forza, e hanno sempre tenuto riservate le loro storie”.

Rispettate anche dai talebani
Le suore, ha riferito il sacerdote, "parlavano la lingua farsi, vivevano come afghane, dormendo su un tappeto a terra e indossando gli abiti tradizionali". Per questo, le sorelle erano amate e stimate dalla comunità, tanto che negli ultimi anni avevano ottenuto la cittadinanza afghana. E “scherzavano dicendo che non è vero che non esiste più un afghano cristiano". Le consorelle erano rispettate anche dai talebani: "Nel 1993 andavano tutti i venerdì nella cappella dell’ambasciata a pregare, nonostante fosse chiusa per colpa della guerra civile. I talebani sapevano chi erano, ma le hanno sempre lasciate entrare. Sulla facciata della cappella c’è una croce ben visibile. La sede centrale della polizia religiosa era proprio lì vicino. Avrebbero potuto distruggere la cappella, ma non l’hanno fatto”. L’esperienza delle Piccole sorelle di Gesù è finita nel febbraio scorso con la partenza delle ultime due religiose, Marianne e Catherine. "La loro - conclude padre Moretti - è una storia a cui dobbiamo guardare".

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Ritratti di Santi. A Roma Bocciarelli legge Salvo D'Acquisto

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A meno di 23 anni diede la vita per salvare  22 persone innocenti condannate a morte in rappresaglia ad un attentato contro i militari nazisti. Morì al grido: “Viva l’Italia” E’ la storia del Servo di Dio Salvo d’Acquisto a cui è dedicata una serata speciale questa sera alle 21 nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria. L’evento si inserisce all’interno della consueta rassegna quaresimale “Ritratti di Santi”. A  leggere la biografia del giovane carabiniere, scritta dal padre carmelitano Andrea Sicari, sarà l’attore Vincenzo Bocciarelli. Paolo Ondarza gli ha chiesto come si prepara a vivere questo momento: 

R. – Con uno spirito carico di emozione, perché è una figura veramente, veramente eccezionale. Il giovane Salvo D’Aquisto morì a soli 23 anni per donare la propria vita, la propria esistenza difendendo, salvando 22 persone, 22 civili, in un momento di grande tensione tra le forze allora coinvolte nella Seconda Guerra Mondiale. Mi sembra che sia già una decina d’anni che ho il privilegio di dare voce alla vita di questi Santi così importanti, così necessari nella nostra contemporaneità, proprio per dare l’esempio, per ricordarci quanto sia importante vivere donandoci incondizionamente.

D. – Questo è un eroe della fede, ma anche un eroe della Patria; ancora attuale per i nostri tempi?

R. – Sì. Sia per i giovani, ma anche per tutti coloro che si trovano coinvolti anche in questi giorni – lo stiamo vedendo nella nostra città, a Roma – per difenderci, per proteggerci da possibili attacchi, da questo terrore che ormai cresce sempre di più dentro e fuori di noi. E’ l’esempio di un carabiniere che già durante la sua infanzia aveva dimostrato l’altruismo, la vicinanza al più debole, già nei primi anni di scuola ci sono momenti della sua vita raccontati, durante la lettura di questa sera, dai quali si evince la sua vicinanza ai più deboli, la sua grande fede. Per esempio  c’è un aneddoto: da piccolo, stava raccogliendo dei papaveri e la nonna gli disse: “Ma no, ma quelli non sono belli, sono brutti, non li raccogliere!”. E Salvo D’Acquisto rispose: “No, nonna, sono belli perché tutto ciò che crea Nostro Signore è bello”.

D. – Lei diceva che ormai da una decina di anni partecipa a questa rassegna quaresimale "Ritratti di Santi". Come vive questo impegno?

R. – La prima sensazione che ho è quella di sentirmi sempre molto piccolo, non all’altezza nell’affrontare questi grandi personaggi. Poi, capisco che non si tratta solo di “eseguire” una lettura, ma di interpretarla, di viverla e coinvolgere il pubblico. E il pubblico devo dire, ogni anno è sempre più numeroso, e partecipa a questa sorta di meditazione collettiva. E’ veramente un’infinita carezza all’anima, e ne abbiamo estremamente bisogno, soprattutto in questo momento in cui ci si sente avvolti dalla meschinità, dall’odio, dal vivere l’amore con il freno a mano tirato. Salvo D’Acquisto è un esempio d’amore, perché per quelle 22 persone lui ha dato la sua vita imitando le gesta di Nostro Signore. Quindi per me è gratificante, è arricchente; come interprete è un grande privilegio poter dar voce a queste parole. Mi rendo conto che ogni anno questa partecipazione a Ritratti di Santi costituisce un nuovo tassello di crescita spirituale, che poi cerco di condividere non solo con i miei colleghi, ma con il pubblico …

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LXI no. 86

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.