Il Motu proprio del Papa sulla Messa in latino "è un passo positivo": lo ha affermato
il cardinale Lehmann, capo della Chiesa tedesca. Il commento del teologo, don Salvatore
Vitiello
“Con la sua iniziativa liturgica, Papa Benedetto vuol dare un contributo alla riconciliazione
della Chiesa”. I vescovi tedeschi - come pure quelli francesi e svizzeri - sono in
piena sintonia con lo spirito e le intenzioni dichiarate da Benedetto XVI nel suo
Motu proprio Summorum Pontificum, che disciplina l’uso liturgico del Messale
Romano del 1962. Ieri a mezzogiorno - al momento in cui il Motu proprio veniva ufficialmente
reso noto - il presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale Karl
Lehmann, ha tenuto una conferenza stampa a Monaco di Baviera per esprimere la
posizione della Chiesa locale sul documento. Riascoltiamo alcuni passaggi del porporato,
in questo servizio di Alessandro De Carolis:
Ich bin
ganz fest davon überzeugt… “Sono assolutamente convinto che si tratti di
un passo positivo per tutti coloro che amano questo tipo di Messa e che non vogliono
essere accantonati in un angolo come se appartenessero ad una setta e come se facessero
qualcosa di anormale. Non è giusto mettere in negativo un tipo di Messa che nella
Chiesa è stata utilizzata per secoli. Chi ha cercato di farlo e parla di rottura in
questo senso, in realtà non ha capito nulla.”
Non
fa certo uso di diplomazia a scapito della chiarezza, il cardinale Lehmann, nell’esporre
il punto di vista della Chiesa in Germania circa il Motu proprio di Benedetto XVI.
Tra l’edizione del Missale Romanum promulgata 45 anni fa dal Beato Giovanni
XXIII e la forma rinnovata dopo il Concilio - si legge nel comunicato diffuso ieri
a Monaco di Baviera - “non esiste una rottura, come certi dicono. Non esiste un fosso
tra ‘l’ante-conciliare’ ed il ‘post-conciliare’. Esiste invece una continuità nell’evoluzione
di cui però spesso non è dato conto”. Continuità che il cardinale Lehmann ha riconosciuto
come un valore aggiunto a partire dalla sua stessa formazione sacerdotale:
Ich
finde diese Messe ist etwas… “Credo che questo tipo di Messa sia sempre
stata parte della Chiesa, e quindi fa parte anche della mia vita. E’ vero anche che
da giovane sacerdote in essa ho costruito la mia devozione per l’Eucaristia. Non l’ho
mai percepita come un qualcosa di estraneo. Devo però anche dire che nei miei quasi
25 anni da vescovo ho sempre potuto constatare come, al di là di alcuni abusi, la
riforma liturgica si possa considerare un’opera riuscita. C’è anche molto rispetto,
le comunità l’hanno accettata di buon grado.”
In
Germania come in altre diocesi del mondo, diversi gruppi hanno fatto da tempo richiesta
di poter celebrare la Messa in Latino secondo l’antica forma liturgica. Ora, “con
queste richieste - si afferma nel comunicato della Conferenza episcopale tedesca -
i vescovi e i sacerdoti dovranno agire in modo saggio, per non perdere d’occhio l’interesse
della comunità e per non far nascere delle controversie”. Uno scenario che il cardinale
Lehmann ha presentato con la consueta incisività:
Die
Zahlen - ohne dass ich jetzt mit Zahlen… “Le cifre - senza volerci giocare
o addirittura fare politica - le cifre dei cristiani, dei cattolici, che si sentono
vicini alle forme tradizionali non sono poi cosi alte. Ovviamente, ci sono anche persone
che vi aderiscono per varie e diverse ragioni. Se poi teniamo conto del fatto che
nell’ultimo anno abbiamo offerto possibilità di celebrare la Messa tradizionale, forse
non in modo adeguato ma pur sempre sufficiente, penso che l’atmosfera non dovrebbe
essere poi troppo agitata. Spero che da entrambe le parti si riesca ad orientare le
‘teste calde’ verso una posizione più moderata. Questo, comunque, è ciò che vuole
il Papa”. (Traduzione a cura di Mario Galgano)
Per
un commento sui contenuti e sulle prospettive che si aprono con il Motu proprio di
Benedetto XVI,Fabio Colagrande ha intervistato don Salvatore Vitiello,
docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica di Roma:
R. -
Non si tratta di un provvedimento restrittivo, ma di un allargamento delle possibilità
di celebrare la sacra liturgia. In particolare, penso che si possa leggere questo
intervento secondo la già reiterata posizione ratzingeriana dell’allargamento della
ragione. Si tratta di non restringere nulla nella celebrazione, ma di allargare la
possibilità che altri fratelli, in piena comunione con la Chiesa di Roma, in piena
obbedienza al Papa e ai vescovi, soltanto desiderano celebrare in una forma diversa
del medesimo Rito romano, possano farlo liberamente e credo che nessuno debba temere
o debba avere paura della libertà. Laddove si amplia la libertà, si deve senz’altro
gioire perché oggi la Chiesa è più libera: non è meno libera. E questo è molto importante,
credo.
D. - Come leggere dunque questo provvedimento
nel contesto del magistero di Benedetto XVI?
R. -
Certamente, c’è un "filo rosso" che lega questo provvedimento all’ormai storico discorso
del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, quando il Papa fece quell’intervento sull’ermeneutica
del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ci sono due ermeneutiche contrapposte, quella
della discontinuità e della rottura, che il Papa ha chiaramente detto essere erronea
perché foriera di equivoci, di disorientamento nel popolo, perché nella Chiesa non
può esserci rottura: la Chiesa è un unico corpo mistico, che nei secoli cammina nella
storia, e in essa ci sono giustamente riforme, o se si vuole “aggiornamenti”... Tuttavia,
all'interno di questo sviluppo non si danno fratture. Dunque, il Papa in quel discorso
famoso ha dichiarato con grande chiarezza e limpidezza che l’ermeneutica della discontinuità
e della rottura nella Chiesa, la famosa ermeneutica dello Spirito conciliare non ha
portato frutti, mentre silenziosamente - ha detto il Papa in quel discorso - l’ermeneutica
della riforma sta portando i propri frutti, dopo oltre 40 anni. Per cui, alla luce
di quel discorso lì, si può interpretare questo Motu proprio. Ritengo che làddove
il Papa afferma - e questa è una novità grandissima: anche a livello linguistico dobbiamo
correggere noi teologi, e i liturgisti dovranno farlo altrettanto, il linguaggio -
che non si tratta di due riti: il Rito di San Pio V e il Rito di Paolo VI, ma si tratta
di un unico Rito in due forme.
D. - Come verrà accolto
questo documento? Quali previsioni si possono fare?
R.
- Molto semplicemente, è un grande appello di obbedienza innanzitutto a noi sacerdoti
e ai vescovi, per mostrare un volto unito. Credo che la grande sfida di queste prossime
ore, giornate, settimane, sia mostrare al mondo il vero volto della Chiesa che è Una,
Santa, Cattolica e Apostolica, unita a Pietro. Quindi, i vescovi dovranno dare l’esempio
anche ai loro presbiteri, di profonda unità con il Vescovo di Roma. E se noi daremo
questo esempio di grande unità, anche il mondo dei media si allineerà e recepirà il
documento secondo il suo vero spirito, senza far leva su possibili dissensi che qualcuno
potrebbe anche avere, magari nel foro interno, ma - tenuto secondo l’esortazione della
stessa Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo,
che ovviamente si può anche applicare al pastore - senza esprimerli, senza creare
fratture indebite che in questo momento assolutamente non favorirebbero la giusta
recezione.