2007-07-08 14:15:39

Il Motu proprio del Papa sulla Messa in latino "è un passo positivo": lo ha affermato il cardinale Lehmann, capo della Chiesa tedesca. Il commento del teologo, don Salvatore Vitiello


“Con la sua iniziativa liturgica, Papa Benedetto vuol dare un contributo alla riconciliazione della Chiesa”. I vescovi tedeschi - come pure quelli francesi e svizzeri - sono in piena sintonia con lo spirito e le intenzioni dichiarate da Benedetto XVI nel suo Motu proprio Summorum Pontificum, che disciplina l’uso liturgico del Messale Romano del 1962. Ieri a mezzogiorno - al momento in cui il Motu proprio veniva ufficialmente reso noto - il presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale Karl Lehmann, ha tenuto una conferenza stampa a Monaco di Baviera per esprimere la posizione della Chiesa locale sul documento. Riascoltiamo alcuni passaggi del porporato, in questo servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3


Ich bin ganz fest davon überzeugt…
“Sono assolutamente convinto che si tratti di un passo positivo per tutti coloro che amano questo tipo di Messa e che non vogliono essere accantonati in un angolo come se appartenessero ad una setta e come se facessero qualcosa di anormale. Non è giusto mettere in negativo un tipo di Messa che nella Chiesa è stata utilizzata per secoli. Chi ha cercato di farlo e parla di rottura in questo senso, in realtà non ha capito nulla.”

 
Non fa certo uso di diplomazia a scapito della chiarezza, il cardinale Lehmann, nell’esporre il punto di vista della Chiesa in Germania circa il Motu proprio di Benedetto XVI. Tra l’edizione del Missale Romanum promulgata 45 anni fa dal Beato Giovanni XXIII e la forma rinnovata dopo il Concilio - si legge nel comunicato diffuso ieri a Monaco di Baviera - “non esiste una rottura, come certi dicono. Non esiste un fosso tra ‘l’ante-conciliare’ ed il ‘post-conciliare’. Esiste invece una continuità nell’evoluzione di cui però spesso non è dato conto”. Continuità che il cardinale Lehmann ha riconosciuto come un valore aggiunto a partire dalla sua stessa formazione sacerdotale:

 
Ich finde diese Messe ist etwas…
“Credo che questo tipo di Messa sia sempre stata parte della Chiesa, e quindi fa parte anche della mia vita. E’ vero anche che da giovane sacerdote in essa ho costruito la mia devozione per l’Eucaristia. Non l’ho mai percepita come un qualcosa di estraneo. Devo però anche dire che nei miei quasi 25 anni da vescovo ho sempre potuto constatare come, al di là di alcuni abusi, la riforma liturgica si possa considerare un’opera riuscita. C’è anche molto rispetto, le comunità l’hanno accettata di buon grado.”

 
In Germania come in altre diocesi del mondo, diversi gruppi hanno fatto da tempo richiesta di poter celebrare la Messa in Latino secondo l’antica forma liturgica. Ora, “con queste richieste - si afferma nel comunicato della Conferenza episcopale tedesca - i vescovi e i sacerdoti dovranno agire in modo saggio, per non perdere d’occhio l’interesse della comunità e per non far nascere delle controversie”. Uno scenario che il cardinale Lehmann ha presentato con la consueta incisività:

 
Die Zahlen - ohne dass ich jetzt mit Zahlen…
“Le cifre - senza volerci giocare o addirittura fare politica - le cifre dei cristiani, dei cattolici, che si sentono vicini alle forme tradizionali non sono poi cosi alte. Ovviamente, ci sono anche persone che vi aderiscono per varie e diverse ragioni. Se poi teniamo conto del fatto che nell’ultimo anno abbiamo offerto possibilità di celebrare la Messa tradizionale, forse non in modo adeguato ma pur sempre sufficiente, penso che l’atmosfera non dovrebbe essere poi troppo agitata. Spero che da entrambe le parti si riesca ad orientare le ‘teste calde’ verso una posizione più moderata. Questo, comunque, è ciò che vuole il Papa”. (Traduzione a cura di Mario Galgano)

 
Per un commento sui contenuti e sulle prospettive che si aprono con il Motu proprio di Benedetto XVI, Fabio Colagrande ha intervistato don Salvatore Vitiello, docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica di Roma:RealAudioMP3


R. - Non si tratta di un provvedimento restrittivo, ma di un allargamento delle possibilità di celebrare la sacra liturgia. In particolare, penso che si possa leggere questo intervento secondo la già reiterata posizione ratzingeriana dell’allargamento della ragione. Si tratta di non restringere nulla nella celebrazione, ma di allargare la possibilità che altri fratelli, in piena comunione con la Chiesa di Roma, in piena obbedienza al Papa e ai vescovi, soltanto desiderano celebrare in una forma diversa del medesimo Rito romano, possano farlo liberamente e credo che nessuno debba temere o debba avere paura della libertà. Laddove si amplia la libertà, si deve senz’altro gioire perché oggi la Chiesa è più libera: non è meno libera. E questo è molto importante, credo.

 
D. - Come leggere dunque questo provvedimento nel contesto del magistero di Benedetto XVI?

 
R. - Certamente, c’è un "filo rosso" che lega questo provvedimento all’ormai storico discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, quando il Papa fece quell’intervento sull’ermeneutica del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ci sono due ermeneutiche contrapposte, quella della discontinuità e della rottura, che il Papa ha chiaramente detto essere erronea perché foriera di equivoci, di disorientamento nel popolo, perché nella Chiesa non può esserci rottura: la Chiesa è un unico corpo mistico, che nei secoli cammina nella storia, e in essa ci sono giustamente riforme, o se si vuole “aggiornamenti”... Tuttavia, all'interno di questo sviluppo non si danno fratture. Dunque, il Papa in quel discorso famoso ha dichiarato con grande chiarezza e limpidezza che l’ermeneutica della discontinuità e della rottura nella Chiesa, la famosa ermeneutica dello Spirito conciliare non ha portato frutti, mentre silenziosamente - ha detto il Papa in quel discorso - l’ermeneutica della riforma sta portando i propri frutti, dopo oltre 40 anni. Per cui, alla luce di quel discorso lì, si può interpretare questo Motu proprio. Ritengo che làddove il Papa afferma - e questa è una novità grandissima: anche a livello linguistico dobbiamo correggere noi teologi, e i liturgisti dovranno farlo altrettanto, il linguaggio - che non si tratta di due riti: il Rito di San Pio V e il Rito di Paolo VI, ma si tratta di un unico Rito in due forme.

 
D. - Come verrà accolto questo documento? Quali previsioni si possono fare?

 
R. - Molto semplicemente, è un grande appello di obbedienza innanzitutto a noi sacerdoti e ai vescovi, per mostrare un volto unito. Credo che la grande sfida di queste prossime ore, giornate, settimane, sia mostrare al mondo il vero volto della Chiesa che è Una, Santa, Cattolica e Apostolica, unita a Pietro. Quindi, i vescovi dovranno dare l’esempio anche ai loro presbiteri, di profonda unità con il Vescovo di Roma. E se noi daremo questo esempio di grande unità, anche il mondo dei media si allineerà e recepirà il documento secondo il suo vero spirito, senza far leva su possibili dissensi che qualcuno potrebbe anche avere, magari nel foro interno, ma - tenuto secondo l’esortazione della stessa Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo, che ovviamente si può anche applicare al pastore - senza esprimerli, senza creare fratture indebite che in questo momento assolutamente non favorirebbero la giusta recezione.







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